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Autore: Marguerite Tyreen    07/02/2011    0 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 Cuimhnì na Eirinn


Capitolo I: Tales of the beginning


 
Messico, 1929
 
Una raffica di proiettili lo colpì in pieno petto. Liam Murray tentò di resistere quel tanto che bastava per restituire con gli interessi il favore a quello dei regulares che gli aveva sparato, ma le forze gli vennero meno.
Scivolò a terra. Fine ben poco dignitosa, questa, per un rivoluzionario irlandese – pensò – morire in terra straniera sputando sangue per colpa di un soldato messicano qualunque.
Del resto avrebbe dovuto aspettarselo di prendersi, prima o poi, una pallottola a forza di immischiarsi in ogni rivoluzione che gli capitava a tiro.
Quando era arrivato in Messico, a dire la verità, la rivoluzione era quasi finita. Ma qualche focolaio di rivolta era sempre riuscito a trovarlo. Era stato dalla parte dei peones, non perché avesse qualche conto personale in sospeso con l’esercito messicano, ma piuttosto perché ormai era abituato a combattere per l’indipendenza di questo o quel popolo.
Com’era sempre successo in Irlanda.
La sua Erin! Sapeva che sarebbe stato difficile farvi ritorno. Ora era certo che sarebbe stato impossibile. Da anni non sapeva nemmeno in quali condizioni versasse la sua patria.
Ormai era quella la sua gente, quella per cui aveva combattuto e per cui sarebbe morto.
Fra loro aveva trovato un buon amico, Pedro Gonzales, il capo di una banda di ribelli, un brav’uomo di poche parole e parecchi sogni nella testa.
 
- Liam! – il grido di Pedro aveva lacerato la notte. In un attimo era giunto al suo capezzale, per trascinarlo il prima possibile al riparo.
- Non avrai intenzione di morire, eh irlandese?  La pellaccia l’hai sempre avuta dura, non ti farai ammazzare così?– gli disse in tono ironico, nascondendo nella maschera comica del suo volto una nota d’angoscia.
- Non temere, ti faranno generale della rivoluzione, dopo questo combattimento – rispose lui, sforzandosi di sorridere.
- Io a te mi ci ero abituato. – era il suo modo per dirgli che, in fondo, gli voleva bene. Forse più di quanto non osasse confessargli, per non diventare troppo sentimentale: -Che me ne frega di diventare generale, se tu…
Liam chiuse gli occhi; quasi non lo sentiva più.
- Devi farmi un favore, Pedro – gli chiese con tutta la voce che riuscì a trovare.
- Tutto… tutto quello che vuoi, amico mio.
- Quando morirò c’è una persona che devi avvertire.
- Una donna?
Sorrise: - Sì, una donna. Ricordati il suo nome e l’indirizzo: Kathleen O’Connor. 32, Henrietta street. Dublino, Irlanda. Lo ricorderai? Fai in modo che riceva una lettera, dille…
Gli strinse la mano convulsamente, per strappargli la promessa.
- Dille che… che sono morto per una buona causa. Dille che ho espiato le mie colpe, cadendo per un’idea. Dille che Liam è, in fondo, ancora quello che aveva conosciuto i primi tempi, non quello di cui serba un terribile ricordo. Glielo dirai, vero?
Non aveva capito nulla, in realtà, di quello che voleva che venisse scritto nella lettera, ma non aveva importanza, in quel momento: - Glielo dirò, te lo prometto.
- Grazie. Lei è stata… lei è molto importante per me.
- Oh, Liam, non morire, eh? Vado a cercare aiuto.
L’irlandese raccolse tutte le sue forze per sussurrare appena: - Amico mio, non pensare a me. Mettiti in salvo.
L’altro scosse la testa, nascondendo come poteva gli occhi umidi, sotto la falda del sombrero.
Non avrebbe avuto senso andare a cercare aiuto.
Lo sentiva: stava morendo.
Rimase solo, con la sua ultima sigaretta e i suoi pensieri. Quei pensieri che tormentano un uomo per tutta una vita e non l’abbandonano nemmeno mentre sta per morire. Al contrario, proprio negli ultimi momenti si fanno insistenti, più ossessivi, più terribili se possibile, come per farti scontare il prezzo di ogni singolo momento che hai vissuto.
Un volto di donna comparve davanti ai suoi occhi, illuminando per un istante le tenebre della mente.
Quello sguardo, buon Dio, quello sguardo che avrebbe voluto dimenticare. E i suoi capelli, quella impalpabile cascata di seta bionda, ancora li sentiva sotto le dita come fosse stato ieri.
Invece erano passati dieci anni, se ben ricordava. Dieci anni a ramingare per il mondo, andando di rivoluzione in rivoluzione perché era l’unica cosa che sapesse fare o l’unica che lo tenesse in vita, senza nemmeno la speranza di sfiorare per un’ultima volta il suolo patrio.
E lei chissà dov’era ora. Forse nemmeno più su questa terra, eppure Liam avrebbe dato anche gli ultimi attimi della sua esistenza, anche il suo ultimo respiro per averla accanto.
- Aisling – un nome gaelico gli sfuggì dalle labbra.
Una risata argentina risuonò da molto, troppo lontano, come da un abisso, divenendo più lugubre che fresca.
La vide correre, nei verdi campi d’Irlanda della sua memoria, giovane e felice come quando si erano conosciuti.
Correva, sollevando l’orlo candido della gonna per non inciampare, lasciando intravedere le gambe fasciate da calze bianche.
Correva e rideva mentre incitava a seguirla i due uomini dietro di lei.
Un cappello di paglia nelle sue mani sventolava come un aquilone.
- Come siete lenti! Vi farete battere da una donna? – gridava, la voce d’arpa rotta dall’affanno.
Rivide se stesso giovane, lanciato all’inseguimento giocoso della ragazza.
- Aspettami, Aisling. – in un attimo l’aveva raggiunta e, afferratola dolcemente ai fianchi, aveva preso a baciarla.
Lei, incurante dell’altro giovane che da lontano chiedeva di rallentare il passo, lo aveva lasciato fare, appoggiandosi al tronco di un albero.
Liam trasalì. Shannon: non poteva essere che lui l’altro con cui aveva diviso quei momenti.
Chiuse gli occhi: - Perdonami, Shannon – disse nella sua testa – E perdonami anche tu, Aisling.
Rigirò al dito l’anello sottile che portava, nell’illusione di allontanare i ricordi in virtù di un assurdo gesto magico.
Invece, quell’anello che un tempo era stato di Aisling, lo riportò lontano con la mente, verso un’Irlanda perduta, verso l’illusione di un sogno, verso il principio della storia.
 
Irlanda, 1898
 
- Lascialo immediatamente! – il piccolo Liam, all’età di sei anni e qualche mese, aveva gridato queste parole all’indirizzo del suo fraterno amico Shannon Donovan, prima di lanciarsi al suo inseguimento.
- Shannon, t’ho detto di ridarmelo subito!
L’altro, per tutta risposta, era fuggito col quaderno di scuola di Liam, come dispettosa ripicca di una scaramuccia cominciata sui banchi quella mattina, in un modo e per ragioni che nessuno dei due ormai ricordava più.
- Bambini, tornate indietro! Non correte o vi farete male! – da lontano li raggiungeva l’eco della voce lievemente nasale della signora Donovan.
Nel giardino pubblico della città, la madre di Shannon tentava di improvvisare una buffa corsetta, sperando di non inciampare nelle lunghe gonne o di inzaccherare gli scarpini eleganti nelle pozzanghere, ormai unica traccia visibile dell’ultimo temporale.
Doveva essere stato davvero uno spettacolo per quei due marmocchi vedere la povera Eiliònor Donovan, abituata com’era ai salotti borghesi o alle tranquille passeggiate nel parco al braccio del marito quando era proprio di umore particolarmente bucolico, cimentarsi in tale impresa. Tanto è vero che entrambi i ragazzini dimenticarono le loro schermaglie per prestarle un attimo attenzione.
Ma fu solo una fugace interruzione, prima di riprendere la loro corsa.
- Shannon! Liam! Tornate qui!
Imperterrito Shannon aveva continuato a trottare finché non era scivolato su una pozzanghera, cadendo bocconi nel fango e trascinando con sé il quaderno, ormai inservibile.
- Ecco, guarda cosa hai fatto! – il pronunciare quelle parole e il piombare sull’amico, per Liam furono tutt’uno.
Si azzuffarono in modo ben poco signorile, fra ruzzoloni, schiaffi e qualche morso.
- Shannon, smettila subito! Pensa a quando lo saprà tuo padre…
Fiato sprecato, povera Eiliònor.
- Non agitarti, ci penso io. – era sopraggiunta anche Gobnait Murray, la madre di Liam, che memore della sua infanzia priva di sofisticatezze e dotata di più senso pratico dell’amica, richiamò entrambi con un fischio da pastore tale da risvegliare anche un cavallo placidamente appisolato davanti al suo biroccio in attesa.
- Gobnait, mio Dio! Che modi! – la riprese l’altra.
- Però funziona – aveva riso e, tolte le scarpe, era corsa a dividere quei due demoni.
- E’ colpa tua! Non sarai più il mio migliore amico.
- Neanche tu. E non giocherò mai più con te.
Piagnucolarono i due.
- Calma, calma – li esortò dolcemente Gobnait, con tutta la pazienza che era riuscita a mettere nella voce, mentre tentava di scrollarli entrambi dal fango, alla bell’e meglio.
- Non dovete dire queste cose. Voi siete amici, quasi fratelli. Anzi, meglio che fratelli, perché non è stata la sorte a unirvi, ma sono state le vostre anime a scegliere di legarsi l’una all’altra dopo averla eletta tra altre mille. L’amicizia è uno dei beni più grandi che possiamo chiedere alla vita e mai dovrete permettervi di sprecarlo, qualunque incomprensione nasca fra voi.
Un giorno sarete uomini, forti, coraggiosi, indipendenti: eppure sentirete, in un momento difficile, il bisogno di dividere con qualcuno il peso delle vostre sofferenze e delusioni. Quel qualcuno sarà il vostro amico, che vi amerà sia che sarete gli uomini più importanti d’Irlanda, sia le persone più anonime di questo mondo.
Ricordatevi di ciò che vi dico: il nome di amico è l’appellativo più nobile che possiate dare ad un uomo dopo quello di “maestro”.
Non odiatevi e non traditevi mai. L’Irlanda ha bisogno di uomini leali e di nobili sentimenti, per diventare grande e libera.
Pulì il volto di entrambi con il proprio fazzoletto, come fossero stati tutti e due figli suoi.
Ed essendo i loro mariti amici da anni e i due ragazzi nati e cresciuti insieme, era come se davvero lo fossero. E così anche per Eiliònor.
 
Si erano calmati al suono della sua voce e all’udire quella storia che pareva alle loro orecchie una fiaba incomprensibile, per taluni versi, ma che invece sarebbe stata la loro vita.
Gobnait li abbracciò con trasporto: - Ed ora scambiatevi un bacio e ritirate quello che avete detto.
I due bambini si baciarono sulle gote.
- Mi spiace di aver rovinato il tuo quaderno, Liam. Sarai sempre il mio migliore amico.
- E a me dispiace di averti preso a botte, Shannon. Ti vorrò sempre come mio migliore amico, perché ti voglio bene.
- Anch’io.
 
Il sole stava tramontando su Dublino, sul parco cittadino e sui viali circostanti, sempre meno affollati.
Cominciavano ad accendersi i lampioni, avvolgendo tutto nella loro luce arancione e ad alzarsi le prime saracinesche delle birrerie che, a sera, si sarebbero riempite di fumo, avventori e odore caldo di whisky.
Era ora di rientrare. I due bambini, sotto lo sguardo vigile delle madri, ritornavano allegramente a casa, tenendosi per mano.

   
 
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