Another Note –
Chronicles
of the deadly Hogwarts.
Retrace III: Attack?
Uno sbuffo di
vento ricordò a Lawliet dove si trovasse. Era così perso nei suoi pensieri da
essersi momentaneamente dimenticato di trovarsi a lezione di Cura delle
Creature magiche, quindi era rimasto per lo spazio di diversi minuti con lo
sguardo perso e con la mano a mezz’aria, in quello che al principio voleva
essere un tentativo di dare da mangiare ad uno degli unicorni che Hagrid aveva portato per la lezione.
Pure quel
cucciolo dorato sembrava guardarlo interrogativo, al che lui si limitò ad
accarezzarlo, facendo finta di nulla.
Ovviamente non
gli serviva davvero un M.A.G.O in
quella materia per diventare Auror, ma alla fine
aveva deciso di rinunciare al minor numero di materie. Purtroppo ciò aveva
voluto dire abbandonare Aritmanzia per Divinazione,
cosa per la quale Hermione l’aveva pubblicamente additato come pazzo in Sala
Grande l’anno prima; eppure lui non la trovava una cosa tanto folle: dando una
veloce sfogliata ad entrambi i libri aveva capito tutto di Aritmanzia
e davvero poco di Divinazione, quella era una materia che non si poteva
imparare sui libri, quindi l’aveva presa come una sfida.
Adesso, però,
il vero problema era l’onnipresente Rospa Umbridge
che sembrava più che determinata a licenziare Hagrid
e, ovviamente, al cagnolino del Ministero non era sfuggito il suo precedente
stato vegetativo, quindi si schiarì la voce; «stavo ammirando quanto questi
Unicorni rispecchino alla perfezione le caratteristiche che il professor Hagrid ci elencò mercoledì scorso. Sembra incredibile
riuscire a conoscere così profondamente una creatura magica tanto complessa; so
che molti specialisti, a differenza del professore, non sono in grado di
stabilire l’esatta età dell’esemplare attraverso la sola sfumatura del pelo»
spiegò, mentre la Umbridge, pur di non convenire con lui, si avvicinava svelta
verso il gruppetto dei Serpeverde dove Misa era
semplicemente incantata. Se fosse stato possibile, gli occhi della ragazza si
sarebbero stretti a forma di cuoricino, nel guardare al limite della
venerazione i cuccioli.
«Contegno,
Misa, contegno» le disse Mikami, aggiustandosi meglio la cravatta verde e
argento della divisa, stringendo appena il nodo.
Quando Lawliet
fu sicuro che nessun occhio indiscreto fosse puntato su di lui, tirò fuori
dalla borsa l’angolo di una pergamena e, puntandovi contro la bacchetta,
mormorò: «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni».
Era da una
settimana, ovvero da dopo aver parlato con Silente e quindi constatato che
avrebbe dovuto cavarsela da solo per legare le mani a Yagami, che aveva chiesto
in prestito a Potter la Mappa del Malandrino e questi, anche se al principio
abbastanza riluttante, l’aveva accontentato in quanto servisse per smascherare
una volta per tutte Light.
Gli occhi
grandi del ragazzo vagarono subito nello spazio della mappa che indicava la
biblioteca e non si stupì di trovare vicini al nome “Light Yagami” quelli di
“Sayu Yagami” e “Luna Lovegood”, sapeva già che
quello che lui aveva eletto come sua nemesi dava ripetizioni alla sorellina e
alla migliore amica di quest’ultima in vista dei loro G.U.F.O; forse
semplicemente una qualche strategia per ottenere più fiducia dagli altri,
mascherandosi da bravo fratellino premuroso.
Mise via la
mappa, senza però disattivarla.
Silente si
sbagliava, ne era certo. Un preside, per quanto geniale, non può pretendere di
conoscere alla perfezione i suoi alunni, lui invece era da sette anni che
analizzava Light Yagami e quella minaccia velata in biblioteca non era che la
conferma di tutti i suoi sospetti.
Accenno un
sorriso: tra tutti quelli che gli stavano col fiato sul collo, Light aveva
minacciato lui, voleva dire che tutto
sommato lo temeva, che sapeva che si stava avvicinando troppo alla verità e
quindi aveva messo in piedi quel patetico tentativo d’intimorirlo per fargli
fare marcia indietro.
Il sorriso gli
morì rapidamente, riflettendoci doveva stare davvero attento, non sapeva ancora
con certezza quanti scrupoli potesse farsi Yagami pur essendo all’interno di
una scuola e sotto gli occhi di Silente, ma se ciò che sospettava coincideva
con la verità, light era abbastanza montato da potersi credere più potente del
preside stesso.
Sbirciò
nuovamente la mappa ed ebbe un lampo di panico nel non vedere più il nome di
Yagami in biblioteca. Scorse con gli occhi praticamente tutta la pergamena per
poi ritrovare il nome al settimo piano, ma non ebbe il tempo di tirare il tanto
sperato sospiro di sollievo che la scritta sparì nel nulla.
“Cosa?” pensò. Non era possibile, non poteva essere sparito, non ci si
poteva Materializzare o Smaterializzare all’interno del castello, pure i primini sapevano che era impossibile, accidenti! Non a caso
la scuola era considerata il posto più sicuro a Londra, al pari con la Gringot .
Sbuffò
sonoramente, intimandosi di calmarsi, se non s’era Smaterializzato doveva
esserci un’altra spiegazione perfettamente razionale, doveva solo cercarla.
Osservò meglio
la mappa e trattenne a stento una smorfia: era così concentrato a farsi
prendere dal panico da non accorgersi che il punto da dove Yagami s’era
volatilizzato era proprio di fronte all’arazzo di Barnaba
il Babbeo, avrebbe dovuto accorgersene subito, dato che passava lì almeno una
sera a settimana con l’ES.
“Uno a zero per
me, Yagami” pensò Lawliet. Ci avrebbe pensato il giorno dopo a chiarire bene
con Light chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso tra i due.
[…]
Il giorno dopo,
come quello dopo ancora, però, Light non s’era recato nella Stanza delle
Necessità, quindi fu con estrema impazienza che Lawliet seguì Yagami il terzo
giorno dalla sua scoperta. Aveva usato su sé stesso un incantesimo di
Disillusione e saltò l’ora di Antiche Rune per seguire il ragazzo.
Lo osservò
passare tre volte davanti alla parete che si trovava davanti all’arazzo di Barnaba il Babbeo Bastonato dai Troll e s’affrettò ad
entrare nella stanza subito dopo di lui quando dal nulla apparì
la lucida porta scura.
Notò che nella
stanza c’erano solamente un tavolino ed una sedia…
assolutamente nulla da considerare pericoloso, ma dopotutto Silente aveva
parlato di un libro che, secondo Madama Pince, Light aveva preso dalla Sezione
Proibita.
Il Corvonero poggiò la tracolla coi libri ai piedi del tavolo
e si stiracchiò, al che Lawliet capì che se voleva agire doveva farlo in quel
preciso momento.
«Incarceramus!» sibilò.
Prontamente
Light portò la mano alla bacchetta, ma riuscì a malapena a sfiorarla, prima che
lunghe funi lo imprigionassero nella loro stretta morsa.
Prima di
potersene rendere conto si trovò in ginocchio, busto e caviglie legati tanto
strette al solo scopo di fare più male possibile e le braccia alzate a formare
una larga “V” per via delle funi al soffitto che gli stringevano i polsi quasi
al punto di bloccargli la circolazione sanguigna.
Respirò a
fatica, altre funi s’erano avvolte impietosamente al suo sterno. Col fiato
corto cercò d’individuare il suo aggressore, solo in quel momento L sciolsel’incanto di Disillusione, mostrandosi.
«Lawliet, avrei
dovuto immaginarlo» borbottò Yagami, per pentirsene. Subito sentì la mancanza
del prezioso ossigeno che aveva sprecato per parlare.
Lawliet non
rispose, limitandosi ad aprirela borsa del bruno e
tirare via tutti i libri; l’ultimo fu un tomo nero dalla rilegatura antica. La
scritta argentea recitava: “I resti di Salomone”. Lo sfogliò per non più di
cinque minuti, durante i quali il silenzio fu rotto solo dal continuo annaspare
di Light alla disperata ricerca d’aria, abbastanza furbo da non sprecarne a
parlare o, peggio ancora, a divincolarsi, sapendo che in quel modo avrebbe solo
peggiorato le cose.
Alzò appena lo
sguardo su di lui, Lawliet, non riuscendo a credere che Yagami fosse ancora a
piede libero nonostante Silente sapesse che libro stesse leggendo…
per poi trovare ancora più incredibile il fatto che il preside conservasse un libro
del genere nella sua scuola.
«Horcrux,
Yagami?» domandò, disgustato.
«Ho il permesso
per quel libro» si limitò a boccheggiare l’altro, sapendo che entro pochi
secondi sarebbe tornato a respirare normalmente: non sarebbe stato da L,
lasciarlo soffocare.
Il ragazzo,
infatti, con un pigro gesto della bacchetta fece allentare le corde quel tanto
che bastava per farlo respirare quasi regolarmente.
«Chi è
l’idiota?»
«Vitious. Quel
libro mi serve per i M.A.G.O in Difesa Contro le Arti Oscure, ma la Umbridge non
mi avrebbe mai permesso di prendere quel libro, così mi sono rivolto al
responsabile della mia casa» spiegò Light, cercando di risultare credibile
nonostante sapesse che Lawliet non si sarebbe fatto incantare per nessun
motivo.
«Sì, sì, questa
è la versione ufficiale» tagliò corto L, estraendo dalla tasca una boccetta
piena di liquido trasparente, «ma a me dirai la verità».
«Veritaserum?» fece Yagami, derisorio, «quando Pitonse ne accorgerà…»
«Penserà che la
Umbridge abbia voluto interrogare qualcuno» concluse l’altro, avvicinandogli la
boccetta alle labbra e cercando di obbligarlo a bere il siero. Dopo una decina
di tentativi falliti, inaspettatamente accennò un sorriso, «sei più cocciuto di
me» constatò L, «questo metodo non ti piacerà» concluse.
Al posto di
avvicinare di nuovo la fiala alle labbra del Corvonero,
l’avvicinò alle proprie.
Light intuì le
intenzioni dell’altro, sgranando gli occhi; «N-non t’azzardare…!» lo redarguì inutilmente; quando Lawliet si
chinò su di lui, strinse le labbra il più possibile. “Crepa” gli augurò
mentalmente.
L si concesse
una frazione di secondo per gustarsi lo sguardo irato ma vagamente venato di
terrore della “vittima” poi, dopo aver piegato gli angoli della bocca in un
sorriso vittorioso, lo baciò, obbligandolo a dischiudere le labbra.
Avrebbe potuto
obbligarlo in mille altri modi, ad esempio stringendo le corde, ma quel metodo
esprimeva meglio il concetto “io vinco, tu perdi”.
Bocca a bocca,
lo obbligò ad ingoiare la pozione, provando un feroce piacere nel vederlo lì,
legato, umiliato, completamente alla sua mercé ed ora pure costretto a dire la
verità.
«Che schifo»
disse subito Light, una volta libero dalle labbra dell’altro, «ovviamente
intendo te, non la pozione» specificò, derisorio.
«vedremo se
sarai ancora tanto simpatico quando comincerò ad interrogarti» fece L,
perfettamente tranquillo e per nulla toccato da quello che aveva voluto essere
un insulto. «Allora, cosa volevi farci con quel libro?»
Yagami attese
qualche secondo, poi lo guardò con aria di sfida, «quello che si fa con i
libri, Lawliet, leggerlo… di certo non volevo
portarmelo a letto, per quello esistono Misa e Takada».
Le corde si
strinsero di più, ma inaspettatamente il Corvonero
scoppiò a ridere, «oddio, la scorta di Veritaserum di
Piton?» domandò retorico, scuotendo il capo per
quanto gli era possibile, «tu devi essere proprio idiota, Lawliet! Dopo che la umbridge ne ha usato per interrogare mezzo istituto per
scovare l’Esercito di Silente,
e tenendo conto che Piton fa parte dell’Ordine della Fenice, pensavi sul serio
che questo fosse davvero Veritaserum? Di questo passo
rischi di deludermi, sai?»
«Taci!» sibilò
L, effettivamente aveva sperato che le scorte personali di Piton,
quelle tenute alla larga dalla Umbridge, funzionassero; invece quella che aveva
somministrato a Yagami era solo semplice acqua.
«Bene, adesso
che abbiamo dimostrato che il Gran Secchione Capo è anche in grado di non usare il cervello, che ne diresti di
slegarmi?»
Non fece in
tempo a finire la frase che le corde si strinsero ulteriormente, strappandogli
un gemito di autentico dolore. Lo guardò con astio, scoprendo che Lawliet gli
stava restituendo la medesima occhiata.
«Dimmi cos’hai
intenzione di fare» ordinò il Grifondoro, deciso ad ottenere comunque una
confessione.
Light non
rispose, limitandosi a guardarlo con sguardo che vagava dall’odio puro alla
derisione. Una corda si strinse al suo collo, esercitando una lieve pressione,
guidata dalla bacchetta di Lawliet.
«Dimmi cos’hai
intenzione di fare» ripeté il ragazzo.
Nuovamente
Yagami non rispose e nuovamente le corde si strinsero, compresa quella al
collo.
«Andiamo,
Lawliet, sai che non ti dirò quello che vuoi sapere e non penso che tu voglia
stringere queste corde al punto di diventare un assassino» disse Light a
fatica, con un filo di voce.
L’altro lo
guardò con noncuranza, facendo in modo che la fune attorno al collo si
stringesse appena oltre il sopportabile.
«Dimmi una
cosa, Light; se io ti uccidessi adesso, pensi che qualcuno troverebbe mai il
tuo cadavere, tenendo conto che siamo in una stanza che scompare all’uscita e
che riapparirebbe solo se qualcuno ci passasse davanti per tre volte pensando
le esatte parole che hai usato tu per aprirla? Quelli dell’ES continuerebbero
ad usare la Stanza delle Necessità, ma apparirebbe come una stanza
completamente diversa da questa. Nessuno ti troverebbe, ti darebbero
semplicemente per disperso ed io non sarei un assassino perché tu non saresti
ufficialmente morto».
Light non
riusciva a respirare, sentendo prossima la perdita dei sensi, però non poteva
cedere e confessare, non aveva dubbi sul fatto che l’altro stesse solo
bluffando.
La vista aveva
appena cominciato ad offuscarsi quando sentì la corda alla gola allentarsi.
«Idiota
testardo» .
Esclusa quelle
al collo e allo sterno, tutte le funi si strinsero così tanto che quelle ai
polsi e alle caviglie, in quanto a diretto contatto, lacerarono la pelle; Yagam,i strinse i pugni per il dolore e sentì del sangue
colargli giù dai polsi. «Non penso che Silente sarebbe molto contento della condotta
del suo cagnolino» sbottò con rabbia, «e il tuo dannato senso di giustizia te
lo sei mangiato questa mattina a colazione?»
Alzò gli occhi
a cielo, Lawliet, riconoscendo che avrebbe potuto torturarlo a morte senza
scucirgli una sola informazione utile. «Accio
bacchetta» si limitò, quindi, a mormorare, mentre la bacchetta di Light
fluttuava mansueta verso di lui.
«Cos…?»
«Te la renderò a
lezione» disse, slegandolo e uscendo dalla stanza.