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Autore: xela182    08/02/2011    2 recensioni
Tonks senza Lupin
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'Wotcher Wolvie'
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NdA. Questa song fic è nata praticamente di getto (anche se non l'ho scritta tutta in una volta), risentendo la canzone di Caterina Caselli "Tutto nero", cover di "Paint it black" dei Rolling Stones. 

I due testi si assomigliano molto (un caso in cui le cover italiane degli anni '60 non sono state stravolte) ma ho preferito usare quello della Caselli per alcuni passaggi che mi ricordano molto la storia che vi sto andando a narrare.

Siamo nell'autunno 1996, Lupin è in missione tra i mannari, Tonks è dislocata a Hogsmeade.

 

Tutto Nero

  

Il suo turno era finito già da un pezzo.

Era stata una giornata lunga e spossante.

Contro ogni buon senso decise di non dirigersi verso casa, ma di proseguire il giro di perlustrazione del quartiere.

I passi decisi e svelti eccheggiavano nel viottolo che portava a Mielandia, che sorpassò senza neppure degnarla di uno sguardo.

Lei.

Lei  che fino a qualche tempo prima viveva di cioccolato e zucchero.

 

Le mani serrate a pugno, gli occhi che saettavano dalla via principale a quelle laterali, spasmodicamente, pregando quasi che accadesse qualcosa, che qualcosa la potesse distrarre, perché, lo sapeva ormai troppo bene, loro sarebbero tornati di nuovo.

Facendole pizzicare gli occhi.

Facendole soffocare il respiro.

 

Non aveva idea di che ora fosse, giorno o mese. Aveva perduto la cognizione del tempo, fermo a quel  fatidico giorno.

 

Di notte il cielo senza stelle è tutto nero
così il mio cuore fino all'ultimo pensiero

 

Non aveva importanza che fosse giorno fatto, con il sole splendente o il crepuscolo con le luci offuscate della notte.

Davanti a sé non aveva altro che un mondo scuro, buio, nero.

Lei.

Lei che fino a qualche tempo prima viveva nei colori.

 

Il lungo mantello scuro che portava strisciava freneticamente sul selciato, tanto che l’orlo era già parecchio liso.

Una folata di vento freddo si sferzò contro il suo viso, ma non battè minimamente ciglio, né parve infastidita, continuò indifferente a tenere il passo.

Lo sguardo vitreo, infuocato, che cercava ostentatamente di fermarsi alla realtà che aveva di fronte e non all’illusione che covava dentro.

 

Non ha più dolore la mia vita senza di te
c'è un'eterna notte disperata dentro di me

 

Sguainò la bacchetta, con mano ferma scagliava lontano tutti i piccoli ostacoli che trovava senza neanche lontanamente percepirli, facendo miagolare spaventata una gatta tra i cespugli.

- Maledizione! – imprecò tra i denti quando cominciò a sentire le lacrime a fior di ciglia.

 

Come trascinata da una Passaporta verso il passato, immagini nitide e confuse si scatenavano nella sua testa con un unico soggetto comune. Lui.

Mesi che tentava disperatamente di ricacciare nella sua nuova dimensione oscura, interi giorni di luce.

Lei.

Lei  ribattezzata da lui Auroradora.

 

Son nere le pareti bianche della stanza
dove è  la luce che fa bella l'esistenza

 

Si strofinò rapidamente gli occhi con le maniche del mantello, girò sui tacchi e ripercorse la strada a ritroso.

Madama Rosmerta le fece un cenno con la mano dalla soglia dei Tre Manici di Scopa, che neanche scorse, lasciando la donna di stucco; era solita fermarsi, ridacchiare e raccontare storie altamenti divertenti, corredate di facce buffe, chiome variopinte e voci in falsetto.

Ma il suo volto non era più in grado di trasformarsi, né i suoi capelli cambiavano colore; la sua voce era ridotta ad un suono quasi metallico, quasi inumano.

 

Chi mi viene incontro per le strade guarda e non sa
che per il mio sguardo anche il sole nero sarà

 

Aveva raggiunto il centro del paese, quando improvvisamente girò di scatto a destra intrufolandosi in un vicolo stretto e buio.

Si appoggiò dischianto al muro lasciandosi scivolare a terra. Raccolse in un abbraccio le ginocchia e prese a singhiozzare sonoramente, dondolandosi incontrollata avanti e indietro.

Le lacrime ormai le rigavano il volto pallido e scavato mentre, tra un singulto e l’altro, non riusciva che a pronunciare il suo nome.

Tese la mano nell’oscurità, cercando quell’aiuto che non sarebbe arrivato mai.

Il suo aiuto.

 

E come un bimbo appena nato cerca il mondo
io cerco il bene che ho perduto e sto piangendo
 
Tonks lasciò cadere stanca la mano a terra. Lentamente stava ritornando padrona di sé.
Sospirò ancora un paio di volte, prima di rialzarsi in piedi. Si strofinò il mantello e i pantaloni, si pulì malamente il viso.
Chiuse per un istante gli occhi pensando a qualcosa di veramente bello, intenso; qualcosa che in quel momento le mancava più dell’aria per respirare. 
Forse qualcuno. 
Dalla punta della bacchetta scaturì una familiare luce argentea che prese una forma insolita.
Aveva imparato ad amarla quella forma, che aveva da poco sostituito la sua consueta farfalla, anche se ormai aveva perso le speranze di possederla.

Puntò nuovamente la bacchetta, stavolta sulla strada, e immediatamente uno stridio e una luce potente segnalavano l’arrivo del Nottetempo.
Salì rapidamente, scoccando appena uno sguardo al sostituto di Stan Picchetto, nel momento in cui gli lasciò in mano le monete per il viaggio, 
digrignando la sua destinazione.
Cercò un posto vuoto accanto al finestrino e si sedette; la Gran Bretagna le apparve tutta uguale, un’identica massa informe. Nera.
 
Affrontar la vita, se mi manchi, come farò
se la bianca aurora del mattino nera vedrò
 
Chiuse la porta di casa alle sue spalle che albeggiava appena.
L’appartamento era immerso nell’oscurità. Mancava da almeno una settimana. Aveva bighellonato da conoscenti e colleghi per ritardare quel momento.
Aprì leggermente i battenti della finestra del salotto; si guardò intorno. 
Tutto era come l’aveva lasciato. 
Come l’avevano  lasciato.
I cuscini a terra.
I cuscini che gli aveva tirato.
La foto strappata a metà.
La loro foto.
Si chinò a raccogliere la metà rimasta.
L’unico giorno in cui era riuscita a trascinarlo lontano dal loro mondo in guerra. 
Sulla calda costa della Cornovaglia, in spiaggia.
Prima della battaglia al Ministero, prima della morte di Sirius, prima della missione di quel vecchio pazzo. Prima che il loro mondo li reclamasse.
 
Nell’originale ridevano abbracciati, sotto un cielo azzurro, davanti ad un mare scintillante.
Lui, secondo lei “pazzescamente bello” come gli aveva ripetuto centinaia di volte, con il volto finalmente felice, gli occhi verdi brillanti, la stringeva come se temesse 
di vederla prendere il volo.
Lei  con la testa appoggiata alla sua spalla, i capelli rosa cicca che le incorniciavano il viso e le braccia a cingere le sue.
Lui  l’aveva stracciata per farle capire che non erano più un insieme.
Tra le sue mani era rimasto lui  ora in bianco e nero…
 
Inchiostro nero è diventato il verde mare
da quando so che non potrai più ritornare

Guardò la poltrona intrisa da peli e batuffoli bianchi, qualche pagina lacerata.
Si era aggrappata al suo braccio per fermarlo da una missione suicida, da un’interminabile lontananza da lei. Un vago sorriso sforzato le aveva pazientemente 
spiegato i motivi di tale scelta e alle sue proteste aveva distrutto tutto quello che lei per mesi aveva raccolto; libri, articoli sui mannari e persino pupazzi a forma 
di lupo.
 
La luce del giorno penetrava prepotente dalla finestra, ma Tonks non se ne accorse. 
Stava ancora osservando la fotografia.
 
Ogni giorno l'ora del tramonto sempre sarà
il mio mondo è nero come nera è l'oscurità

L’ombra di un sorriso le increspò appena le labbra; Remus si era tenuto la metà che la ritraeva.

 

M m m m m m m m

m m m m m m m m...

 

 

NdA (bis): questa è la prima fic malinconica/triste che scrivo. Che ne pensate?

P.S.: non avendo il sesto libro sotto mano non ho controllato e ho lasciato la questione di Stan Picchetto sul vago, so che a Natale era ad Azkaban ma non ricordo quando ne davano la notizia...

  
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