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Autore: Hiromi    08/02/2011    10 recensioni
"Abitiamo in paesi diversi, entrambe vogliamo conoscere i nostri genitori, ma cosa possiamo fare normalmente? Ed ecco che io vado in Russia da te, e tu torni in Inghilterra presentandoti come me. Geniale, no?" Daphne Tachibana e Nadja Hiwatari si incontrano per caso a Parigi, e architettano un piano per riprendersi un loro diritto: conoscere i loro genitori. I guai sono alle porte!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Kei Hiwatari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Russie mon Amour

Russie mon Amour

 

 

 

 

 

 

Nadja si svegliò con un vivace mal di testa e un consistente malumore: il giorno prima non aveva fatto altro che ciarlare tutto il tempo, ridere e scherzare, forzando il suo carattere in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile.

 

Lei non era fatta così: lei non era Daphne; non era aperta, vivace, chiacchierona… No. A lei piaceva ritagliarsi il suo attimo di silenzio, osservare le situazioni, le cose, le persone… Ascoltare. Invece per non dare nell’occhio, per non insospettire, doveva parlare, parlare, parlare.

 

Ora basta. Oggi sarà proprio questo mal di testa la mia salvezza.

 

Bensvegliata, tesoro.” Hilary fece capolino dalla porta della stanza della figlia: con un tailleur viola che le fasciava la figura slanciata, i tacchi dieci che conferivano alle sue gambe un’armoniosità maggiore di quanto già avessero e  i lunghi capelli castani lasciati liberi sulla schiena, la ragazza si ritrovò ancora una volta a pensare quanto fosse bella la donna che aveva davanti.

 

Mia madre.

 

“Buongiorno.” sorrise Nadja, accettando il bacio che la donna le diede.

 

“Come ti vestirai oggi?”

 

Bella domanda. “Non lo so… Potresti… Consigliarmi tu.”

 

Hilary si voltò verso di lei con le sopracciglia inarcate. “Ma se è da quando hai l’età di Daisy che ti vuoi vestire secondo il tuo gusto.”

 

La ragazza scosse la testa. “Ho mal di testa. Non voglio nemmeno sprecarmi a ragionare.

 

Non è che hai la febbre? Fa’ sentire…”

 

Nadja si scansò. “No, niente febbre.”

 

Hilary la guardò dubbiosa, poi sospirò, andando verso l’armadio e prendendole un paio di pantaloni neri a vita alta e una blusa viola firmata Marc Jacobs. “Spero ti vadano bene.” la ragazzina annuì e, visto che non accennava a cambiarsi, Hilary la guardò scioccata.

“Beh? Guarda che hai l’autobus tra poco più di mezz’ora, mica tra due ore.” fu allora che Nadja capì che madre e figlia non avevano riserve a cambiarsi l’una davanti all’altra. “Ah, volevo dirti che oggi sono a pranzo con il mio collega…” assunse un tono malizioso. “Ha detto che mi vuole parlare…”

 

La ragazza spuntò fuori dalla blusa tutta di un altro colore. “E che vuole?” fece, con un tono un po’ troppo brusco.

Quando l’altra la fissò sbattendo le ciglia, lei si accorse dell’errore. “No, intendevo dire… Potrebbe essere un appuntamento?” si accorse che aveva la gola secca, e la cosa non le piaceva per nulla.

Sua madre non poteva uscire con un altro uomo. Non poteva e basta.

 

“Non lo so… Voglio dire, non so se mi piace, so che mi lusinga con le sue attenzioni…” qui Hilary sbuffò. “Spero solo non si faccia pressante come gli altri. Diventano così noiosi, poi…” fece, roteando gli occhi ed infine lanciandole uno sguardo complice che evidentemente doveva essere ricambiato.

 

La ragazza si ricordò solo allora di quello che le aveva detto Daphne: Hilary era una donna molto corteggiata, ma che non concedeva più di qualche appuntamento.

“Ehm si. Fammi sapere.”

 

Lei inarcò le sopracciglia. “Mettici più entusiasmo, eh.” sembrava quasi offesa: incrociò le braccia al petto, e un’espressione corrucciata si fece largo sul suo viso.

 

“Scusa, sono di cattivo umore, e ho mal di testa.” borbottò. “Comunque io vado.”

 

La donna si accigliò palesemente. “Ma se non ti sei nemmeno truccata! …E hai i capelli scombinati! Non hai nemmeno fatto colazione…”

 

Complimenti: missione non farle venire dei sospetti completamente riuscita, eh?

 

“Ah… Adesso mi pettino. Riguardo le altre cose… Ci penso a scuola.”

Mi sa che è meglio.

 

Hilary la fissò andare via con un’espressione allucinata. “Come vuoi…” esalò, con un filo di voce.

 

 

 

 

Karen era sconvolta: si, aveva insistito per portare Nadja in una boutique a fare spese, ad un giorno dalla sua partenza, e si era preparata psicologicamente a resistenze, sbuffi, lamentele passive e continui sproni da parte sua…

Non immaginava che la ragazza si sarebbe data alla pazza gioia e per ben due ore avrebbe comandato a bacchetta la commessa per provare gli abiti più belli ed eleganti.

Non era… da lei.

 

Sembra quasi un’altra persona…

 

 “Zia? Che te ne sembra?” trattenne il fiato quando la vide uscire dal camerino con addosso un vestito di chiffon nero che sembrava fatto apposta per lei. “Certo, i capelli dovrebbero essere tirati su in alto, mi ci vorrebbe una borsetta e un paio di decolleté… ma questo vestito è stupendo.”

 

La donna era allibita: aveva visto crescere quella bambina, e ora stava davanti a lei in abito da sera…

 

Come una qualsiasi quindicenne.

 

Era in quei momenti che le ricordava dolorosamente Hilary, e non poteva fare a meno di provare una stretta al cuore.

Meno male che Takao non era presente, o sarebbe perlomeno ammutolito.

 

“Sei bellissima tesoro.” fece, sforzandosi di sorridere. “Capelli, borsetta, decolleté… Come le sai tutte queste cose, tu, mh?”

 

Daphne avvampò: quando era in presenza di vestiti, o comunque di shopping si dimenticava sempre di tutto.

 Accidenti! “Amelie mi ha dato qualche dritta.” scelse di dire. “Poi quest’anno avrò il ballo del liceo e sto pensando a cosa indossare, capisci, no? Per una ragazza è importante.”

 

Karen annuì. “Cielo, quest’abito sembra ti sia stato disegnato addosso.” ammise. “Ma per il clima moscovita non è leggerino?”

 

“Non ci ho pensato.” ammise, ridacchiando nervosamente. “Lo comprerò lì.” fece, tornando di filata nel camerino.

 

Karen sorrise. “Nadja, aspetta.” sospirò, poi si rivolse alla commessa. “Potremmo vedere qualcosa da indossare sopra? Possibilmente con della pelliccia ecologica.” fece, schiacciandole l’occhiolino.

 

Oh, merda, e ora se la zia lo compra e lo fa recapitare in Russia… quando questa storia sarà finita la vera Nadja mi strozza! Questo vestito non lo metterà mai!

 

“Va bene questo?” guardando l’elegante cappotto di finta pelliccia firmato Chanel, Daphne sentì il suo stomaco strizzarsi in una morsa di piacere che solo una shopaholic come lei poteva provare.

 

Oh, beh, se non lo metterà lei, vorrà dire che mi immolerò io.

 

 

 

 

Nadja tornò a casa da scuola con un diavolo per capello: era stata una giornata stancante da morire.

 

Prima aveva ricevuto una strigliata da parte delle amiche della sua gemella per come si era comportata con Hilary, (la vera Daphne non accettava mai di farsi vestire da qualcun altro) poi si era dovuta far truccare ed agghindare da loro, dopodiché aveva passato il resto della giornata cercando di evitare la gente.

Inutilmente.

Daphne era molto popolare a scuola, attirava i ragazzi come le api al miele, e lei non poteva distruggere la sua vita sociale. Così via a risatine, battutine… Insomma, leggeri flirt.

I suoi nervi erano a pezzi.

 

Daphy!” la voce allegra di Daisy la richiamò al di là del prato: stava giocando con Gold, e aveva tutto il visetto e i vestitini sporchi di terra.

 

“Ciao.” esclamò, cercando di sorridere. “Cosa fai qui? Dove sono i tuoi genitori?”

 

“Papà è al lavoro, mamma è a casa.” fece cantilenante la bambina.

 

“Rientriamo a casa, allora? Così giochiamo io e te?”

 

“Uh, si, dai!” gli occhi della bimba erano tutti uno splendore; Nadja la prese per mano e, seguiti dal cagnone, rientrarono, laddove trovarono Maryam intenta a preparare della camomilla.

 

“Ciao Daphne.” la salutò. “Rientrata da scuo… Daisy! Sei tutta sporca di terra…”

 

Nadja le sorrise. “Zia, se vuoi ci penso io a lei, visto che tu non ti puoi piegare. Metto i suoi vestiti in lavatrice e la cambio.

 

Maryam sospirò. “Mi faresti un gran favore. Lavale pure il viso, per piacere.” Nadja annuì, dirigendosi verso la cameretta della bambina.

 

Daphy, mi metti il vestitino quello arancione?”

 

Nadja si accigliò. “Qual è?”

 

“Quello bello delle feste, Daphy…” si lagnò, riducendo gli occhi a delle pozze di smeraldo tristi tristi.

 

“Se è delle feste non dovresti metterlo.” cercò di dire la ragazza.

 

Cosa è delle feste?” intervenne Maryam, affacciandosi nella stanza.

 

“Non lo so, vuole un vestito arancione.” disse Nadja, facendo spallucce.

 

La donna la guardò interdetta. “Ma… Daphne, è il suo vestito preferito, quello estivo, che mette sempre…

 

Cavolo! “Ah…No, non fare caso a me, oggi sono interdetta.” fece, ridacchiando. “Ho un mal di testa…”

 

La zia inarcò le sopracciglia. “In genere quando hai mal di testa prendi un’aspirina e sei più energica di prima.”

 

Ecco. E’ una coalizione contro di me.

 

“Forse sto covando l’influenza. Mi sento strana.”

 

Maryam la osservò, annuendo, ma i suoi occhi parlavano chiaro: non se l’era bevuta. “Come mai in Francia hai tagliato i capelli?” Nadja interpretò il suo inarcare le sopracciglia come una sfida. “Proprio due giorni prima di partire mi hai detto che li volevi fare crescere, infatti ce li avevi belli lunghi.”

 

“Mi andava… ” balbettò. “E poi lì c’era un parrucchiere fighissimo, ha tagliato i capelli persino a Madonna e Penelope Cruz… Volevo provare.”

 

Maryam annuì, ma il suo sguardo faceva ben intendere che sebbene l’avesse lasciata andare ora, l’avrebbe tenuta d’occhio in futuro.

 

 

 

 

“Signorina Hiwatari? Siamo arrivati.” Daphne fu svegliata da una frase detta in un fluente russo dopo otto ore di volo diretto, nel jet privato che aveva scoperto di possedere.

Sbadigliò, stiracchiandosi: quelle ultime ore erano state pesanti; Karen e Takao all’aeroporto si erano quasi commossi, le avevano fatto promettere di venirli a trovare il prima possibile, e poi c’era stata la sorpresa di sentirsi chiamare dallo speaker.

 

Il diretto per la signorina Nadezda Hiwatari partirà tra un’ora dallo scalo 3.

 

Nadja non le aveva mica detto che avrebbe avuto un jet tutto per lei! Invece era così, un jet con tutte le comodità: dagli aperitivi, ai bonbon, alle riviste. Un sogno.

 

In quel momento, però, Daphne aveva altro per la testa. Era arrivata, ed era arrivato anche il momento della verità. Il momento di conoscere suo padre.

 

“Signorina, il volo è terminato, può slacciare la cintura di sicurezza.” quando l’assistente di volo alta e bionda parlò nuovamente in un russo di cui lei capì solo le parole principali, la ragazza sentì le mani cominciare improvvisamente a tremarle.

Era sempre stata una ragazza emotiva ed impulsiva, che si faceva prendere dalla foga del momento, dalle emozioni dell’istante.

 

Delle lacrime cominciarono a premerle contro gli occhi alla sola idea di chi avrebbe visto tra pochi minuti, e quasi non fu in grado nemmeno di articolare dei semplici movimenti per slacciare la cintura che la teneva ancorata al sedile.

 

Okay, o mi calmo o mando tutto a quel paese.

 

Con un sospiro profondo ricacciò indietro le lacrime e slacciò la cintura, alzandosi in piedi, su ginocchia malferme e tremolanti.

 

“Arrivederci, signorina Hiwatari.” la salutarono la hostess e il pilota, mettendosi in fila e sorridendole; lei abbozzò quello che avrebbe dovuto essere un sorriso di ricambio ma che in realtà – lo sapeva – era una smorfia.

 

Quando scese dal jet, tutta imbacuccata nel suo cappottone e nel suo cappello viola, il vento gelido della Russia le frustò le guancie, facendole chiudere gli occhi.

 

E meno male che è una bella giornata. Ci sono solo meno cinque!

 

Scese gli scalini attenta a non cadere, mordendosi le labbra, e guardandosi intorno solo quando fu a contatto con la terraferma.

 

 

Poi lo vide, e il suo cuore esplose.

Stava in piedi davanti la limousine, la guardava sorridendo, e aveva degli occhi viola proprio come i suoi.

 

Papà…

 

La testa calda di Daphne ebbe il sopravvento: gli corse incontro fino a saltargli in braccio, e quasi non si accorse delle lacrime che le rigavano le guancie.

 

Nadja!” la voce di lui, stupita, la riportò alla realtà: a Kai non piaceva essere trattato con calore, e poi lui pensava che lei fosse la sua gemella, la sua figlia riservata e timida.

 

“Papà, mi sei mancato.” sussurrò con sincerità.

 

L’uomo la guardò sbattendo gli occhi, probabilmente chiedendosi cosa vi fosse dietro questo atteggiamento così poco da Nadja. “Come mai parli in inglese?”

 

Daphne sbatté gli occhi, scagliata improvvisamente con forza nella dura realtà dei fatti.

 

Perché non conosco il russo. O meglio, lo conosco poco e il mio accento resta inglese.

 

 “Oh, ehm… perché la settimana prossima ho un compito e voglio esercitarmi, in questi giorni passati dagli zii di certo non mi sono portata libri. Tu parli bene l’inglese, no?”

 

Kai annuì, ma non aggiunse altro, entrando in macchina seguito dalla ragazza.

 

Avrei tante cose da dirti, papà… E invece devo stare zitta. Dannazione al tuo carattere schivo, Nad!

 

 

 

 

Era incredibile la quantità di tempo che solitamente Daphne passava in casa Mizuhara: generalmente Hilary era in tribunale o allo studio, quindi per non restare da sola la ragazza, anche visto che le case erano praticamente attigue, trascorreva il pomeriggio in casa degli zii.

 

In quel frangente Nadja stava constatando quanto gli esercizi della scuola inglese fossero più semplici rispetto a quelli della sua, di scuola: infatti li aveva svolti con una semplicità estrema, non trovandovi nulla di difficile, e memorizzando le lezioni per il giorno successivo in un batter d’occhio. Chi lo sapeva, magari in quei giorni in cui era avrebbe pure potuto alzare la media scadente di Daphne, che evidentemente preferiva dedicarsi alla moda piuttosto che allo studio…

 

Chi invece la osservava come un falco osserva la sua preda, era Maryam che, in teoria stava preparando il tè in cucina, in pratica, con la coda nell’occhio stava osservando sua nipote svolgere gli esercizi. Cosa assolutamente anormale.

Generalmente Daphne non studiava: lei faceva shopping, giocava con Daisy, mandava sms, chiacchierava, guardava la tv, usciva con le amiche… Lei si riduceva all’ultimo, a studiare la sera tardi, sempre, anche quando aveva un compito importante. In quei giorni quello era stato solo uno dei tanti comportamenti strani. Da quando era tornata da Parigi non sembrava più lei, sembrava cambiata, faticava a riconoscerla.

E i casi erano due: o con la gravidanza le era partito qualche neurone, e stava esagerando, facendosi film e flash laddove non ce ne erano, o dopo tanti anni di far parte degli Scudi Sacri e lavorare per proteggere l’incolumità delle persone, un po’ di sesto senso ce l’aveva ancora. Non sapeva in che opzione sperare.

 

“Sono a casa.” la voce allegra del marito richiamò la sua attenzione.

 

Stranamente Daphne non alzò neanche gli occhi dai libri, intenta com’era a studiare e a svolgere gli esercizi: fu Maryam ad andare verso l’uomo con un sorriso stampato sulle labbra. “Ehi, bentornato”

 

Max baciò la bocca della moglie sorridendo contro le sue labbra. “Ciao.” le sussurrò. “Ehi, Daph, tutto a posto? Non ti vedevo studiare così dagli esami di terza media.” fece, rivolto alla nipote.

 

Nadja sussultò. “Eh? Ah, ho… Deciso di impegnarmi con lo studio. Ho parecchie cose in sospeso.”

 

“Fai bene.” fece gentilmente Maryam, con un sorriso che celava le idee che aveva. “Vuoi del tè?” chiese al marito, che annuì.

 

Una volta in cucina, al riparo da occhi e orecchie indiscrete, l’uomo si appoggiò contro un mobile. “Allora, conosco quel sorriso… Cosa bolle in pentola?” Max si slacciò la cravatta da dirigente della American Beyblade Association, e inchiodò con gli occhi la moglie, che incrociò le braccia al petto.

 

“Cosa ti fa pensare che vi sia qualcosa di mezzo?” cinguettò lei, con aria innocente.

 

Lui alzò gli occhi al cielo. “Maryam, per favore. Ti conosco da anni, avrai pure origini celtiche, e tra parentesi forse è questo che ti rende così irresistibile… Il tuo continuo mistero…” poi inarcò le sopracciglia.

“Ma, ragazza mia, ricorda che per te sono stato un uomo disperato. Per te ho mollato la mia fidanzata ufficiale, sono andato in capo al mondo a rincorrerti, ho dovuto chiedere alla tua gente il permesso di sposarti e per farlo ho visto i sorci verdi. Maryam ridacchiò ricordandoselo.

“Ridi, eh? Per te ho perso la testa, mi hai stregato anima e corpo, e dopo anni è ancora così… E mi chiedi ancora come faccio a capirti? Beh, mi sembra il minimo.”

 

“Io ti amo, Max.”

 

L’uomo annuì, come se gli avessero confermato che due più due faceva quattro. “Si, non lo dici spesso quanto vorrei, ma…” prendendola per gli avambracci, Max l’attirò a sé, baciandola con sempre crescente entusiasmo, fino a quando un poderoso calcio all’altezza dell’addome non li divise, facendoli scoppiare a ridere.  “Qui abbiamo qualcuno che non è contento, eh?”

 

Maryam si accarezzò il pancione, sospirando. “Si è svegliato… Oggi ha dormito tutto il giorno.”

 

Lui rise. “Tutto me, allora.”

 

La donna inarcò le sopracciglia. “Che bellezza.”

 

Ridacchiò, prima di sorseggiare il tè. “Allora, torniamo al discorso di prima: cosa c’è che non va?”

 

Daphne.” disse la donna senza mezzi termini.

 

Max aggrottò le sopracciglia. “Ritieni sia strana?”

 

“Non sembra neanche lei. Okay, le persone cambiano: ma in una settimana?” prendendo a raccontargli di quello che aveva visto e sentito, la donna vide il marito assumere un viso sempre più concentrato.

 

“Se vuoi la verità,” fece eco l’uomo, “Anche a me è parsa strana quando l’ho vista all’aeroporto. Non è normale dire zio interrogativamente. Poi non so, si guardava come spaesata… Continuava a chiacchierare ma era come se lo facesse meccanicamente… Per non dire di quando Gold ha abbaiato, come se non la riconoscesse.”

 

Maryam aveva gli occhi ridotti a due fessure. “Cosa può esserci sotto?”

 

“Non ne ho idea. Attendiamo gli sviluppi della situazione e vediamo.

 

 

 

 

Perché in Russia deve esserci un altro alfabeto?

 

Subito dopo l’aeroporto, Daphne e Kai erano andati a casa Hiwatari, anzi, alla reggia Hiwatari, e l’uomo aveva dato alla figlia un quarto d’ora per farsi la doccia e cambiarsi.

 

Era in momenti come quelli che Daphne avrebbe voluto sbattere la testa al muro: era vero, Nadja si cambiava alla velocità della luce, proprio come un uomo, ma… lei no! Anzi.

 

Quindi, ecco che si ritrovava a correre per cambiarsi e mettersi qualcosa di quantomeno decente. E al diavolo la doccia, l’avrebbe fatta di sera.

 

“Pronta.” annunciò. “Dov’è che andiamo?”

 

Kai la fissò, impassibile, squadrando stranito la fascia che la figlia aveva nei capelli e le unghie laccate di rosa. “Vedrai.” le disse soltanto.

 

Questa volta avevano adoperato la Jaguar, e Daphne avrebbe tanto voluto mettersi un filo di trucco, ma ahilei, la vera Nadja metteva soltanto della crema idratante contro il freddo per via della sua pelle delicatissima, e del burro cacao. Fine.

 

Che tristezza.

 

“Non scendi?” Kai la stava guardando stranito, lei evidentemente si era da troppo tempo persa nei suoi pensieri; annuì brevemente, seguendo il padre, e osservando attentamente dov’erano.

 

Si trattava di una struttura piuttosto grande, tutta in bianco dove vigeva un cartello con una scritta russa che lei, ovviamente, non riusciva a decifrare.

Quando entrarono e si vide davanti delle segretarie con tanto di microfono auricolare dapprima pensò stupidamente ad una stazione ferroviaria, poi le venne in mente che non aveva sentito nemmeno il fischio dei treni.

 

Fu solo quando presero l’ascensore e Kai digitò il numero 5 che, dall’alto vide dei ragazzi esercitarsi a beyblade; e capì: quella gigantesca struttura era la famosa palestra di suo padre, famosa in tutta Mosca.

 

Nadja?” si era incantata ancora una volta. Si riscosse rapidamente, rivolgendo all’uomo un cenno di scuse ed uscendo rapidamente dall’ascensore.

 

“Dove stiamo andando?” chiese ancora una volta, aggrottando le sopracciglia; e ancora una volta Kai non rispose, facendo solo cenno di seguirlo. Daphne cominciava ad averne abbastanza di quella situazione, non sopportava quando non le si rispondeva.

 

“Apri la porta.” le disse l’uomo, con un sorriso appena accennato; la ragazzina gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma fece come le fu detto, e si ritrovò con una manciata di coriandoli addosso.

 

“Bentornata!” esclamò un gruppetto di persone, in russo.

 

Daphne sorrise, cercando di individuarli e catalogarli: c’erano una donna dai capelli chiari, gli occhi da gatta e il corpo sinuoso che doveva essere quella che Nadja chiamava zia Mao.

L’uomo accanto a lei, con i capelli neri e gli occhi color caramello doveva essere suo marito, Rei. C’erano i loro figli, Rika, una bambina di otto anni con i capelli chiari come la madre e gli occhi del padre, e Lee, un bimbo di sei anni con i capelli scuri e le movenze feline.

 

C’era un uomo con i capelli rossi e gli occhi color ghiaccio che doveva essere Yuri, il suo allenatore, colui che aveva insegnato a Nadja a giocare a beyblade. Accanto a lui stava una donna dai capelli color miele e dai lineamenti dolci che doveva essere Tanya, la sua compagna.

 

Infine c’erano due ragazze dai capelli scuri che si assomigliavano parecchio, che dovevano essere le amiche di Nadja, Natasha e Dorota.

 

“Una festa?” chiese, meravigliata, in inglese.

 

“Ah, non guardare noi, è stata un’idea di tua zia.” Rei alzò le mani in segno di resa.

 

Mao roteò gli occhi. “Sono giorni che non la vediamo. Poi è andata così lontano, ci è mancata tanto e…” quella donna, rifletté Daphne, doveva volere molto bene a Nadja. Da quello che aveva detto doveva essere una specie di mamma chioccia con lei.

 

“Zia, dai, mica sono partita per il fronte.” tutti risero. “Comunque grazie, è stata una bella idea.” fece educatamente. “Ciao a tutti, non vi ho ancora salutato.” ridacchiò.

 

“Guarda, ti ho preparato la vatruska.” fece la donna, sfoderando il dolce preferito di Nadja, ragion per la quale Daphne annuì, fingendosi contenta e pregando che le piacesse; fortunatamente fu così.

 

“Allora, cosa ci racconti di Parigi?” chiese Natasha, che distinse solo perché portava una catenina d’oro con su scritto il suo nome.

 

“Che dire? Parigi è Parigi, è la città della moda, dell’eleganza, dell’arte… Mi sono divertita.” iniziò, tra un boccone di vatruska e l’altro. “E’ incredibile: dovunque ti giri c’è qualcosa da vedere. E sapete cos’altro è incredibile? Il fatto che non sai mai cosa accade.”

 

Mao osservava la ragazza tenere banco con una naturalezza estrema ed essere al centro dell’attenzione: da quando Nadja era divenuta così ciarliera e chiacchierona?

Tutti pendevano dalle sue labbra, ascoltavano con attenzione quello che aveva da dire, ridevano alle sue battute… E lei aveva un peso sullo stomaco.

 

“…dovevate vedere gli zii in quel locale, c’era da morire!” ci fu una risata generale. “No, vi giuro: hanno davvero cantato al karaoke hot stuff di Donna Summer!” e fu qui che tutti scoppiarono definitivamente a ridere. “Cioè, erano pornografici: non so come fossero alla mia età, ma quei due sembra che debbano affittarsi una stanza un’ora si e una no!”

 

Mao fu la sola a non ridere, complice una sgradevole sensazione che si stava impadronendo di lei. Possibile che in quei pochi giorni a Parigi la nipote fosse cambiata così tanto?

Nadja era sempre stata una ragazza timida, riservata, impacciata… Da quando era divenuta così disinvolta, spontanea, spigliata… Da quando era divenuta così Hilary?

 

La donna strinse i pugni, decidendo di getto una cosa: qualsiasi cosa vi fosse nel mezzo, sarebbe intervenuta e l’avrebbe schiacciata. Non poteva permettere che questo cambiamento prendesse ancora forma. Nel modo più assoluto.

 

 

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

 

Okay, questo è senza dubbio il capitolo che temo maggiormente.

Perché? Santo cielo, vi siete fatti tanti flash su Kai e gli altri che la paura di deludervi è fortissima! T_______T

Tenete a mente solo una cosa: ai tempi in cui scrivevo RMA non avevo ancora visionato la terza serie di beyblade, altrimenti, se la scrivessi ora i cambiamenti sarebbero… Non dico radicali, ma ci sarebbero un po’ di personaggi in più xD

Comunque. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento e sottolineo spero.

 

Se qualcuno di voi vuol vedere Kai versione papo (visto che in questo capitolo a parer mio è stato piuttosto distaccato) dovrà aspettare un po’, però ci sarà.

 

Che dire? Hope u like it. xD

 

See u next week.

 

yours forever,

 

Hiromi

   
 
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