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Autore: ladygiucchan    08/02/2011    5 recensioni
Le rose sono bellissime, ma le spine sono terribili.
Si conficcano nella carne e difficilmente ne escono.
Le ferite potranno anche rimarginarsi, ma le cicatrici resteranno sempre.
Tu le vedrai sempre.

Francis Bonnefoy / Arthur Kirkland
Il mio primo tentativo di longfic FrUk. Ambientata in un AU. Rating giallo, per ora. Se deciderò di scendere nei dettagli delle scene hot lo cambierò. Non so cosa ne verrà fuori...Io ci ho provato! In particolare, è dedicata al mio amato gruppetto di FrUkkettone ♥
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2- Still you say 'remember when'



Calma, Francis. Respira. Coraggio.
In fondo, Londra è una bellissima città. E magari gli inglesi sono anche più simpatici di quanto non vogliano far credere. E’ solo questione di abitudine. Solo questione di abitudine...
Se lo ripete in continuazione, Francis, che è solo questione di abitudine. Che è solo questione di tempo e la smetterà di sentirsi un pesce fuor d’acqua, che l’Inghilterra sarà per lui come una seconda casa e che prima o poi la smetterà di inzuppare il cuscino di lacrime. Perché è quello che sta facendo: piange, piange come un moccioso, a 17 anni suonati.
Non può farci nulla, sa che è sbagliato, ma Dio, gli manca la Francia. Gli manca da morire. Gli manca Parigi, gli mancano i suoi vecchi amici, gli manca tutto.
E’ inevitabile. Nel buio della stanza la sua mente corre veloce, e ogni ricordo, vivido come non mai, è una fitta al cuore.
Una famiglia unita, la sua. Benestante, anche: non si facevano mancare nulla. Si volevano bene, e non perdevano occasione per dimostrarselo.
Francis, figlio unico, era cresciuto forse un po’ viziato, ma amato e vezzeggiato come un piccolo principe, circondato dall’affetto devoto di due genitori che a causa di una gravidanza difficile avevano rischiato di perderlo. Il loro era un amore raro, invidiato da molti, che la nascita del loro beniamino aveva soltanto consolidato. Un amore idilliaco, soprattutto quando diventarono in tre: un idillio che non poteva andare avanti per molto.
Un incidente. Una tragedia, a detta di molti, che si poteva evitare.
Francis aveva otto anni. Cos’era la morte? Perché gli aveva portato via la mamma e il papà? Cosa ne sarebbe stato di lui?
Un’adolescenza difficile, a differenza dell’infanzia serena interrotta da un simile orrore. Anni di solitudine volontaria e ostinata lo avevano cambiato.
Non era stato facile. Era arrivato persino ad odiarsi. Gli stessi occhi azzurri della madre, gli stessi capelli biondo oro e  le stesse labbra sottili del padre. Il suo stesso naso. Il suo stesso sorriso. Guardandosi allo specchio, per molto tempo si era detestato.
Poi, aveva deciso di trarre vantaggio dal suo stesso dolore. Non vedeva altri modi di andare avanti. E così era diventato il Francis che tutti conoscevano, o meglio, credevano di conoscere. Perché nessuno sapeva cosa si nascondesse veramente dietro la sua maschera, dietro l’apparenza di dongiovanni sfacciato e sicuro di sé. Ma soffermarsi sul suo vero io faceva male persino a lui, quindi aveva preferito concentrarsi sull’immagine che aveva costruito di se stesso. Aveva fatto della sua bellezza e del suo charme la sua unica forza.. Poco importava che in fondo lui continuasse a disprezzarsi, poco importava che gli altri vedessero soltanto ciò che era in superficie, anzi: era decisamente meglio così.
E allora, Francis sorride sempre. Francis non ha problemi. Francis è innamorato dell’amore e gioca con i cuori delle sue vittime perché si diverte così, ma è talmente irresistibile che non puoi non cadere ai suoi piedi.
Si, gli piaceva quel nuovo Francis. Tanto che aveva cominciato ad abusarne fino a rendersi ridicolo ai suoi stessi occhi.
E aveva scoperto di essere omosessuale. Cosa ne avrebbe detto suo padre? L’avrebbe amato lo stesso? Poteva lasciarsi tormentare da dubbi così stupidi?  Questo aveva aggiunto nuovo rancore verso sé stesso, sotterrato in quella parte del suo cuore dove nessuno poteva avere accesso. Non aveva molti amici, ma non gli importava. Il suo profitto scolastico non era brillante, ma se la cavava. E gli andava bene così: era popolare e desiderato. I suoi numerosi scheletri nell’armadio avevano ottenuto una posizione irrilevante, nella vita che aveva ottenuto. Si era illuso di aver raggiunto un equilibrio, di non aver bisogno di nulla. E poi, gli era crollato il mondo addosso. Di nuovo.
Per carità, era molto grato a sua zia per averlo cresciuto in assenza dei suoi genitori, e per averlo, a suo modo, amato nonostante tutto. Ma doveva proprio decidere di trasferirsi a Londra? Si era opposto in tutti i modi possibili, ma era stato tutto inutile. La prospettiva di dover ricominciare lo terrorizzava, letteralmente. Aveva deciso ancora una volta di trasformare la sua debolezza in forza. Aveva deciso di prendere per mano la paura e condurla oltre il limite. Allora aveva comprato il primo appartamento libero ed era andato a vivere da solo. Neanche quello era stato facile. I soldi non gli mancavano, quello che gli mancava era un po’ di compagnia... In più, la nuova scuola...
Sono passate quasi due settimane da quando ha cominciato a frequentarla, e non ha ancora trovato nessun lato positivo. La gente lo evita come la peste, sono tutti troppo snob per i suoi gusti e in più il grigiore di Londra gli mette tristezza.
Sono le sei di mattina quando decide finalmente di alzarsi. Sente lo stomaco chiuso, non ha voglia di fare colazione. Un’occhiata veloce allo specchio e una all’orologio per stabilire di avere all’incirca dieci minuti per trasformare quel disastro in qualcosa di presentabile. E nessuna voglia di farlo. Essere obbligati ad essere sempre perfetti a volte fa davvero schifo, e non sa proprio cosa fare per quegli occhi gonfi. “Oggi sarebbe stato il loro anniversario”, pensa, con una stretta al cuore. Chissà, forse da qualche parte i suoi genitori si amano ancora. Anzi, ne è sicuro. Nonostante tutto, lui crede strenuamente nell’amore, più che in qualsiasi altra cosa. Solo, non crede che possa capitare a lui.
Poche ore dopo, è nel cortile della scuola. Ovviamente, in molti gli girano ancora alla larga. Quelli che non lo fanno, lo trattano come se venisse da un altro pianeta. Non fanno che costringerlo a parlare di Parigi, dei francesi, della sua vecchia vita. Vogliono sentire la sua storia. E lui sorride e mente, poi fa battutine allusive e sorride ancora, si mostra disinvolto quando in realtà tutte le parole che non può dire gli bruciano dentro.
Finalmente le lezioni sono finite. Scruta tra la folla, sistemandosi la cartella in spalla, e improvvisamente la sua giornata cambia. Eccoli. Quegli occhi verdi stupendi.
Li ha notati fin dal primo giorno. Ha notato loro così come il proprietario: è un ragazzo particolare, spicca tra tutti. Non è come gli altri, o almeno per lui non lo è. Ogni volta che lo fissa insistentemente lui distoglie lo sguardo, e un paio di volte giurerebbe di averlo visto arrossire nel farlo. L’unica volta in cui si sono accidentalmente scontrati in un corridoio, lui è avvampato ed è corso via borbottando un “lasciami stare”. Non spiccica parola con nessuno, sta sempre per i fatti suoi. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, lo affascina da morire. Vorrebbe attaccare bottone con lui, ma ha un’assurda paura di essere rifiutato. Qualcuno oserebbe mai rifiutarlo? Beh, ha la netta sensazione che quel ragazzo potrebbe farlo. In quel mare di facce anonime e banali, lui gli da sicurezza. E’ stupido, forse, ma è così. Aveva chiesto ad una ragazza se lo conoscesse, quella mattina. “Ah, Arthur Kirkland? E’ un secchione, ma non sta simpatico a nessuno. Lascialo perdere, non ne vale la pena.”
In seguito a quella risposta, aveva deciso: quella mattina lui e Arthur Kirkland avrebbero fatto amicizia. O, perlomeno, ci avrebbe provato.

Nel ricordare la prima volta in cui si parlarono, in cui riuscì a guardarlo negli occhi da vicino, nel ricordare il momento in cui quegli occhi che già lo avevano stregato lo soggiogarono completamente, Francis sentiva un’enorme malinconia.

<< Ciao! >> “Ciao” non è esattamente l’approccio che aveva in mente. Ma è un buon inizio. Peccato che l’oggetto della sua attenzione non lo stia degnando neanche di uno sguardo. L’inglesino continua imperterrito a camminare, come se Francis non esistesse.
<< Hey, guarda che io sono qui!>>
<< Adesso che me l’hai fatto notare, puoi anche andartene. Thank you.>>
Oh, mon Dieu. La sua voce. È adorabile. E per la prima volta da quando ha messo piede in Inghilterra, la cadenza inglese non gli sembra orrenda. Su di lui, è addirittura armoniosa. Di un’eleganza tutta sua, in squisito contrasto con il tono burbero e la smorfia di disappunto che gli increspa la bocca. E, oh, quella bocca. È deliziosa. La prenderebbe a morsi, e ha tutta l’intenzione di farlo, prima o poi.
<< Non mandarmi via così, s'il te plaît! Volevo solo fare amicizia!>>
Maledetto francese, che si infila dove non dovrebbe. Stona terribilmente, con il suo inglese stentato. Ma è più forte di lui.
<< Fa’ come ti pare.>> Francis sorride. Vittoria!
<< Posso...seguirti fino a casa?>>
Ma che gli salta in mente? Così farà la figura dello stalker! Ma deve assolutamente scoprire dove abita, e non può mica pedinarlo di nascosto.
<< Non hai nulla di meglio da fare?>>
Ogni resistenza è futile. Il tragitto è piuttosto demotivante, lui non fa altro che chiacchierare ma Arthur non sembra interessato a nulla di ciò che dice.
<< Non sei molto amichevole, sai? >>
Ok, forse non è stata una mossa esattamente geniale farglielo presente.
<< E tu sei uno stalker, maleducato, invadente e persino francese!>>
...Per l’appunto. Ecco, e ora c’è rimasto male come un idiota.
Non darlo a vedere, non darlo a vedere. Rispondigli a tono.
<< Da quando essere francese è un difetto, se posso saperlo?>>
Inserire mossa sensuale con i capelli qui. Sorriso accattivante. Non può sbagliare.
<< Si può sapere qual è il tuo problema?- …mossa sensuale: fallita. Dovrà ricorrere a qualcos’altro. – Ti hanno mandato per uccidermi? Perché diavolo mi segui? Non so neanche come ti chiami!>>
Francis vorrebbe scoppiare a ridere, o saltargli addosso e abbracciarlo. Questa sua ritrosia lo fa impazzire. Spera di resistergli a lungo? Illuso! E poi, se necessario, sarà disposto ad un lungo ed estenuante assedio. Lungo, estenuante e piacevole.
<< Francis Bonnefoy, per servirti!>>
Gli porge la mano facendogli l’occhiolino, sperando di vederlo finalmente abbassare le difese, almeno un po’. È evidente che non lo conosce abbastanza bene.
<< Ma fammi un favore! Io me ne vado.>>
Dannazione, no! Non farti prendere dal panico. Disinvolto, Francis, disinvolto. Sfoggia la sua risata più convincente, ma serve a poco, dato che l’altro imperterrito gli volta le spalle. Svelto, Francis lo trattiene per un braccio.
<< Che vuoi?>>
<< Posso almeno sapere il tuo nome?>>
“Dai, Arthur Kirkland. Dimmi come ti chiami. Voglio sentirlo dire da te, e farò finta di sorprendermi anche se starò fissando quelle labbra stupende che ti ritrovi. E non pensare che non abbia notato come mi stai guardando.”
Si stanno mangiando vicendevolmente con gli occhi.
<< ...Arthur. Arthur Kirkland.>>
Quant’è carino. Ha anche abbassato lo sguardo. Cos’è, si vergogna? Che dolce.
Se non temesse di farlo scappare a gambe levate, Francis gli prenderebbe il mento tra due dita e lo costringerebbe a guardarlo negli occhi.
...poi, se proprio dipendesse da lui, lo bacerebbe. Ma è troppo presto, e ci tiene all’incolumità dei suoi gioielli di famiglia. E poi, dov’è finito il romanticismo?
<< Arthùr Kirkland.  Fare la tua conoscenza è stata la cosa più bella che mi sia capitata, questa settimana.>> ...se non nell’ultimo mese. O nell’ultimo anno.
Evidentemente l’inglese non la pensa allo stesso modo, dato che è letteralmente corso via senza neanche salutarlo. Beh, urge fargli cambiare idea.
Francis non si arrende così facilmente, oh no. Se è Arthur che vuole, allora è Arthur che avrà.

Da quel giorno in poi era successo tutto troppo in fretta, come quando un sasso rotola giù da un pendio e non riesci più a fermarlo. Ciò che ricordava più di ogni altra cosa era il loro primo bacio. Ne sentiva ancora il sapore.

<< Uhm, quand’è che torneranno i tuoi?>>
Quella di Arthur vuole passare per una domanda disinteressata, ma Francis sa che non lo è. E sa anche che non immagina la verità riguardo ai suoi genitori. È colpa sua, dato che si ostina a tenergliela nascosta. Ignorando la stretta dolorosa allo stomaco, si sforza di sorridere. Porta una mano ad accarezzargli il collo e lo vede sussultare. Spera che non scappi. Arthur è bravissimo a farlo: ad avvicinarsi tanto da tenergli il respiro sospeso e subito dopo scappare portandoglielo via. È per questo che Francis si sente davvero vivo soltanto in sua compagnia. È per questo che sente distintamente che senza di lui potrebbe morire. È la sua ancora di salvezza.
Esagerato? Beh, può anche mentire a sé stesso, ma fino ad un certo punto.
Gli si è affezionato molto più di quanto non si aspettasse, ed è la prima volta che gli capita. È diventato più di una semplice cotta,  non può più ignorare i suoi veri sentimenti per lui.
“Piccolo, i miei genitori non torneranno mai più...”
Ah, se solo sapesse.
No, no, no. Pessima risposta. Non può rovinare tutto.
<< Stanotte...tardi...>> gli dice quindi, guardandolo negli occhi con fare accattivante. A volte è necessario mentire, anche se fa male. Soprattutto se è per una buona causa. E Arthur è una buona causa, decisamente. Anche se talvolta teme che sia più che altro una causa persa. Ma Francis non è tipo da arrendersi, non lo è mai stato e non lo sarà mai, specialmente se si tratta del biondo inglesino che gli ha ormai rubato il cuore.
<< N-nulla, è che...Sono vestito come un cretino e mi sto annoiando.>>
“Certo, petit Arthùr, ti credo.” Decide comunque di assecondarlo, tanto per non metterlo troppo in imbarazzo.
<< E cosa vorresti fare, mh...?>>
<< Beh, potremmo...Guardare la televisione, p-potresti darmi un libro da...leggere... Potrei darti una mano a fare i...compiti...>>
Oddio, no. Non può averlo detto davvero. Francis sorride, sorride della sua ingenuità e sorride per esorcizzare il nervosismo dovuto a ciò che sta per fare.
<< Oppure, potremmo fare questo...>>
Ok, la battuta ad effetto c’è. Per la prima volta, si domanda se forse non dovrebbe smetterla di comportarsi come se seguisse alla lettera il “Manuale del perfetto seduttore”. È questo il bello di Arthur, sente che con lui potrebbe essere sé stesso.  Un dubbio atroce lo assale, quando ormai è così vicino da poter sentire il calore del suo respiro. Una voce in lui gli urla di buttarsi, l’altra di scappare. Ma Francis Bonnefoy non si tira mai indietro, soprattutto ad un soffio dalle tanto agognate labbra del suo Arthur. E allora dà retta alla prima voce, gli prende la testa tra le mani e lo bacia.

E finalmente inizia il viaggio.

Francis chiuse gli occhi e accarezzò nostalgico la stoffa del divano sul posto vuoto accanto a lui, dove, in quel tiepido Marzo di dieci anni prima, stringeva tra le braccia il suo Arthùr per la prima volta, sperimentava per la prima volta cosa significasse essere lì, pelle contro pelle, bocca contro bocca, mani nelle mani, esserlo per davvero e non soltanto nella sua fervida immaginazione. Un’emozione indescrivibile. Un’emozione che non aveva mai provato, e non aveva più provato con nessuno all’infuori di lui. Un’emozione della quale non aveva più potuto fare a meno. Il giorno del loro primo bacio era stato anche il giorno del suo primo, immaturo ‘ti amo’.
Ecco, in quel momento aveva un disperato bisogno di poterglielo ripetere... E di sentirselo dire. Era da mezz’ora buona che rigirava il telefono tra le mani. Quando squillò, sobbalzò come un idiota e rispose immediatamente.
<< Allô?>>
 << Francis, it’s me.>>
Dieu, era veramente lui. La voce gli tremava: era quasi irriconoscibile, come se avesse appena pianto. Ma era lui. Si era deciso, finalmente! Sentì lo stomaco fare le capriole come quello di una tredicenne alla prima cotta.
<< Arthùr! Qualcosa non va?...>>
<< Volevo parlarti.>>
<< Beh, stiamo parlando... >>
<< Non in quel senso, you jerk. – non cambi mai, eh Arthùr? – Intendo, parlarti seriamente.>>
<< ..Seriamente?>> Non riuscì a fare altro oltre a ripetere le sue parole come un automa, ma il groppo in gola non lo aiutava affatto.
<< Si, potremmo... –la voce ebbe un calo impercettibile, vacillò- Potremmo vederci di persona?>> Aggiunse, dopo una piccola pausa. Francis sorrise.
<< Quando vuoi! Anche subito! Aspettavo che me lo chiedessi...>>
<< Domani.>> lo interruppe Arthur, secco. Francis poteva solo immaginare quanto quella situazione lo mettesse a disagio. Non doveva essere facile, per lui, mettere da parte il suo orgoglio.
<< Domani andrà benissimo. Arthùr, sono così felice che tu...>>
<< Piantala, Francis. E non farti illusioni. Voglio solo parlarti.>>
<< ...sono felice che tu mi stia concedendo un’altra chance.>>
<< Non ti sto concedendo un accidenti. E ora scusami, la tua voce mi sta irritando.>>
Detto questo, Arthur gli riattaccò il telefono in faccia, prima di poter udire il je t’aime che uscì dalle labbra di Francis come una liberazione.
  
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