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Autore: Maggie_Lullaby    08/02/2011    3 recensioni
Samantha Sparks è una ventisettenne affascinante da un passato malinconico e un presente che non guarda il futuro che da due anni lavora come Agente Sotto Copertura per l'FBI. Quando viene chiamata a collaborare con l'Unità d'Analisi Comportamentale non ha idea che quel caso cambierà drasticamente il suo futuro.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2.

Dove tutto è male, deve essere bene conoscere il peggio.

{Francis Herbert Bradley}

«Beh il fatto che il BAU ti abbia richiamata è una buona cosa», aveva snocciolato Bruce Atwood, il capo di Samantha, penetrandola con i suoi occhi piccoli e scuri. «Vedi di non fare casini.».

Ora Samantha si trovava seduta sul jet privato dell'Unità di Analisi Comportamentale, seduta su un sedile accanto a Morgan e davanti a Emily, quest'ultima vicina a Rossi.

Teneva il capo chino sul suo fascicolo, i capelli mori che le accarezzavano le guance mentre con la mano destra tamburellava le dita su una gamba. Le immagini delle donne ammazzate, seminude, sulle foto, le passavano davanti agli occhi senza che lei desse la minima reazione di essere impressionata. Ne aveva visti anche troppi di cadaveri, spesso gente che conosceva che moriva sotto ai suoi occhi.

Chiuse gli occhi per un istante, cercando di tenere a freno i ricordi di quando era ragazzina, contando sino a dieci. Sua madre glielo diceva sempre: conta sino a dieci, pensa al sole e ai fiori, alla luce e alle risate. E lei lo faceva sin da quando aveva sedici anni.

Si scostò una ciocca di capelli dagli occhi blu e alzò lo sguardo sulla squadra, chiudendo il fascicolo con un colpo secco.

«Allora? Che pensate?», domandò seriamente, attirando su di sé lo sguardo degli altri sei agenti e per un secondo pensò di aver interrotto i loro ragionamenti da profiler.

JJ la guardò e si rivolse agli altri.

«Sarà meglio iniziare ad inquadrare questo S.I.»

«Giusto. Non credo sia un sadico.», iniziò Morgan osservando con particolare attenzione la foto di Irina Isaac. «Non ci sono segni di tortura, deve essere un maniaco sessuale che si sente impotente nei rapporti con l'altro sesso. Questo potrebbe essergli fatto notare da una donna tra i trenta e i trentacinque anni, come le vittime. Magari l'impossibilità di avere un figlio, una separazione dalla moglie potrebbe essere stato il fattore di stress.».

«Perfetto. Reid, mettiti in contatto con Garcia e chiedigli di cercare la lista degli uomini divorziati di Tucson le cui ex mogli hanno fatto nell'ultimo anno degli esami ginecologici per avere figli che non hanno avuto risultati positivi.».

«Subito.», annuì Reid, iniziando a smanettare con il computer e mettendosi in contatto con la loro tecnica informatica.

«Tu come pensi di muoverti, Samantha?», domandò Emily.

La ragazza si compose, intrecciando le mani.

«Come nell'ultimo caso, quando avremo una breve lista di sospettati deciderete tramite il profilo chi, per voi, sia l'assassino. Mi infiltrerò nella sua vita, in qualsiasi maniera, e cercherò prove che vi permettano di incriminare suddetto S.I., poi il resto si svolgerà come con il caso Olden.».

«Mi sembra perfetto.», annuì Emily, sorridendo.

«Quando atterreremo ci divideremo i compiti: Morgan, Prentiss voi andrete sull'ultima scena del crimine; Reid, Rossi, voi andate all'obitorio, fatevi dare una spiegazione accurata dal medico legale mentre JJ, Sparks ed io andremo al commissariato.», spiegò Hotch, guardando uno alla volta ognuno dei suoi Agenti e la nuova collaboratrice.

Samantha annuì.

«Quanto tempo è passato tra una vittima e l'altra?», chiese incuriosita.

«Laura Randall è stata trovata il sedici Gennaio, Irina Isaac il dieci Febbraio mentre Kimberly Dawson ieri, il diciassette Febbraio», recitò Reid, velocemente, ripetendo i dati che aveva letto su un foglio adocchiato nello studio di JJ.

«Una rapida escalation, l'S.I. è passato da ventiquattro giorni tra un omicidio all'altro a solo una settimana.», grugnì Morgan.

«Questo significa che potrebbe esserci presto una nuova vittima. JJ, quando arriviamo a Tucson indici una conferenza stampa, ragguaglia la popolazione su un serial killer e di stare attenti e di evitare di uscire soli di giorno, per quanto possa essere fastidioso l'S.I non si muoverà molto facilmente se ci sarà un intero gruppo di persone. Se deve rapire una donna, farà le cose per bene, evitando di lasciarsi dietro testimoni scomodi o ulteriori cadaveri.».

La bionda annuì, appuntando il tutto su un block-notes.

«Ora riposiamoci un po', abbiamo ancora qualche ora prima dell'arrivo a Tucson, riprenderemo una volta arrivati in Arizona.».

Tutti annuirono, disperdendosi in altri posti liberi del jet per restare un po' soli e provare a dormire.

Reid si alzò, appoggiandosi con le mani sui braccioli dei sedili mentre si massaggiava il ginocchio destro, con una smorfia di fastidio sul volto.

«Tutto bene, Reid?», domandò Morgan, alzando un sopracciglio guardando l'amico e collega, mentre tirava fuori dal suo bagaglio a mano le cuffie del proprio mp3.

«Sì, sì, solo un po' di fastidio. Chi vuole del caffè?», ripiegò Reid, con un piccolo sorriso, avvicinandosi alla cabina di pilotaggio dove si trovava la macchina del caffè.

Samantha gli lanciò un'occhiata, guardando il suo profilo esile mentre versava nella tazza di caffè una quantità esagerata di zucchero.

Nel frattempo JJ si era sdraiata su un sedile lungo per riposarsi, Emily guardava fuori dal finestrino osservando le nubi, Hotch e Rossi si erano messi l'uno accanto all'altro, per discutere del caso, ovviamente non pensavano di avere il tempo di riposarsi, loro, invece Morgan ascoltava la musica, gli occhi chiusi.

Reid si sedette nel posto che si era liberato di fronte a Samantha e le porse un caffè che non aveva chiesto.

«Mmh... Grazie.», disse lei, prendendola con una mano e avvicinandola alle labbra rosee.

«Prego.», ricambiò lui, imitandola, mentre con una mano continuava a massaggiarsi il ginocchio.

Samantha inclinò il capo verso sinistra, come per osservarlo meglio, mentre strizzava un poco gli occhi.

«Cosa ti sei fatto?», chiese, accennando con il mento al ginocchio del collega.

«Mi hanno sparato al ginocchio.», iniziò a spiegare lui. «Qualche mese fa, a volte torna a fare un po' male, ma spesso non mi ricordo nemmeno quale ginocchio mi sia ferito.».

La ragazza annuì mentre parlava.

«Mi spiace.», disse.

«Non è niente. Sai, le statistiche dicono che un Agente Federale ha il settantasei percento di possibilità di rimanere ferito sul campo.», citò come un'enciclopedia.

«Memoria eidetica?», chiese ridacchiando lei.

«Come fai a saperlo?», domandò Reid.

«Ho sentito parlare di un certo Agente genio nella vostra Unità.», sorrise Samantha. «E ora ho scoperto chi è.»

Reid arrossì appena.

«Era un complimento.».

«Lo so... Grazie.».

Samantha gli sorrise appena, incrinando un poco gli angoli della bocca in su, poi estrasse un libro dal proprio bagaglio a mano. Prima di iniziare a leggere, alzò di nuovo gli occhi su Reid.


*


Tucson; Arizona

«Agente Mars? Sono l'Agente Speciale Derek Morgan, dell'Unità di Analisi Comportamentale, e lei è la mia collega, l'Agente Speciale Emily Prentiss.», fece le presentazioni il bell'uomo di colore allo sceriffo di Tucson, un uomo sui quaranta dai capelli corti e scuri e uno sguardo penetrante ma solcato da profonde occhiaie e di rughe di preoccupazione.

«Oh, Agenti, sono felice di conoscervi, anche se avrei preferito farlo in alte circostanze.», disse, guardandosi intorno con aria preoccupata. «Il resto della squadra?». Era chiaramente preoccupato: non credeva che soli due agenti in più avrebbero potuto cambiare la situazione. Emily lo comprese perfettamente.

«Ci siamo divisi tra qui, l'obitorio e il commissariato.», spiegò. «Ci rivedremo più tardi nel vostro ufficio.».

«Bene. Perfetto. Beh, come sapete la vittima è Kimberly Dawson, trentadue anni, lavorava in tre diverse case di famiglie benestanti come governante e donna delle pulizie. Strangolata. È stata stuprata.», riassunse velocemente lo sceriffo Mars.

«Prima o post morte?», domandò Morgan.

«Stanno facendo degli esami in questo momento, ma il medico legale intervenuto sul luogo al momento del ritrovamento del cadavere disse che gli pare fosse stata violentata dopo essere stata uccisa. Questo vi dice qualcosa?».

«Probabilmente è un uomo impotente o è convinto di esserlo, forse condizionato dall'opinione di un ex fidanzata o una ex moglie. Il nostro tecnico informatico sta facendo delle ricerche.», continuò Derek. Si avvicinò a un punto del terreno su cui c'era un piccolo cartello della polizia con il numero uno stampato sopra. «E' stata trovata qui?».

La zona era un punto abbastanza trafficato, eppure il punto in cui era stata trovata Kimberly era nascosto da una spessa parete di cespugli che divideva la strada da un piccolo parco. L'S.I poteva tranquillamente abbandonare un cadavere, sempre che il parco fosse stato vuoto, senza che nessuno lo potesse vedere.

«Sì.», rispose lo sceriffo Mars, chiamando a sé un collega e, una volta che questi l'ebbe raggiunto, consegnando a Morgan delle foto. L'uomo le osservò attentamente, poi le passò ad Emily.

«Sono state messe in posa», notò la donna, guardando bene l'immagine del cadavere di Kimberly Dawson.

La donna era sdraiata sulla schiena, le gambe dritte, le mani posizionate attentamente sugli occhi, come un bambino che non vuole vedere la scena di un film e si ripara con l'unica protezione che crede possibile. Per il resto, il corpo aveva semplicemente un po' di terra sparsa sulle vesti e i capelli spettinati.

«Rimorso?», domandò Emily, guardando il collega mentre restituiva le foto allo sceriffo.

«No, non direi. Se fosse stato rimorso le mani sarebbero state sul cuore, oppure il corpo sarebbe stato girato sulla pancia. No, questo S.I. le mette in posa come se volesse che le sue vittime non vedano chi è stato ad ucciderle. Si nasconde.».

Mars spostò lo sguardo dall'uno all'altro agente.

«Volete andare in centrale oppure controllare qualcos'altro qui nei dintorni?», domandò.

«Andiamo in commissariato.», annuì Emily. «Qui non possiamo fare altro.».


*


Il primo caso di che era capitato sul tavolo di metallo di James Wilson fu quello di uno strangolamento, quindi quando il corpo di Kimberly Dawson arrivò in obitorio quasi non si stupì: sembrava quasi palese che dovesse concludere la sua vita professionale nello stesso modo in cui era iniziata.

Infilò un paio di guanti in lattice e ne passò altre due paia a Rossi e Reid, appena arrivati.

«Cosa ci può dire?», domandò il primo, indossando i guanti mentre osservava il cadavere bianco, nudo, ricoperto solo da un velo della giovane donna.

«Beh, dalle condizioni dello stomaco risulta che l'ultima cosa che ha mangiato non è stata digerita, quindi, considerando che si pensa che l'ora del rapimento sia avvenuta intorno alle dieci del mattino, credo che sia morta circa un paio d'ore dopo.», spiegò James Wilson, controllando la propria cartella medica. «La morta è sopraggiunta per strangolamento da parte di una cintura, sono rimaste delle tracce di fibre che ci indicano che sia in cuoio ma nessuna impronta digitale. Evidentemente l'assassino indossava dei guanti come stiamo facendo noi adesso. Non ci sono tracce di tortura, a parte qualche piccola contusione che deve essersi procurata dibattendosi a terra mentre veniva soffocata.».

Reid annuì, guardando attentamente la ragazza stesa sul tavolo davanti a sé.

«Non ha trovato nessuna anomalia, quindi?», continuò Rossi.

«Assolutamente no. A parte lo stupro post morte. Non ho trovato alcuna traccia di DNA, chiunque abbia approfittato di lei avrà utilizzato un anticoncezionale.».

Rossi sospirò: avevano di fronte a loro un uomo organizzato, un S.I. disorganizzato non avrebbe mai pensato di nascondere le proprie tracce in quella maniera.

Mentre osservava il giovane collega controllare con attenzione il corpo della signorina Dawson, nella sua mente si stendeva velocemente un profilo preliminare abbozzato: maschio, tra i trenta e i quarant'anni, bianco, probabilmente reduce di una recente separazione o divorzio, sessualmente impotente, organizzato.

Si rese conto che in quella maniera aveva descritto più o meno la metà degli abitanti di Tucson.

«Mi scusi, dottore.». Rossi si riprese dai propri pensieri sentendo Reid parlare mentre, chinato sul lato destro della ragazza, chiamava il medico legale. «Da cosa è dovuto questo sangue?», domandò.

«Sangue?», chiese allibito James Wilson, inforcando il proprio paio di occhiali e chinandosi nel punto indicatogli da Spencer. Solo allora notò, incrostato, del sangue sulle pareti dell'orecchio destro di Kimberly.

«Non l'avevo visto...», disse stranito il medico, prendendo degli attrezzi da una cassetta e abbassando uno sgabello per arrivare alla stessa altezza della parte insanguinata con più comodità.

Rossi e Reid si scambiarono parecchie occhiate mentre questi cambiava spesso oggetti ed esplorava l'orecchio di Kimberly.

«Rettifico ciò che dicevo prima: c'è qualcosa di strano.», borbottò Wilson, piuttosto scosso.

«Cos'ha trovato?».

«Non so se sia lo stesso anche per l'altro orecchio, ma il timpano di questo è stato bucato.».

«Bucato?», ripeté David, spalancando gli occhi.

«Con un oggetto appuntito piuttosto affilato, sì.». James Wilson si allontanò turbato dal cadavere di qualche passo. «Posso chiedervi di uscire mentre continuo i miei esami? Avrete tutto ciò che ho scoperto appena possibile.».

David e Spencer ubbidirono, uscendo dalla stanza e buttando in un cestino i guanti.

Rossi doveva aggiungere un altro particolare al suo profilo: sadico.


«Sì, capisco Reid, venite qui appena possibile, ne discuteremo di persona. A tra poco.», disse Hotch, riattaccando il cellulare e voltandosi verso JJ e Samantha che lo guardavano, la prima appoggiata a una scrivania della centrale di polizia, mentre l'altra in piedi rigida, la ventiquattr'ore ancora in mano.

«I timpani di Kimberly Dawson sono stati perforati tramite un oggetto appuntito.», spiegò l'uomo. «Dobbiamo riuscire a scoprire se era così anche per Laura Randall e Irina Isaac.».

«Possiamo chiedere alle famiglie se possiamo riesumare i corpi», propose JJ, una mano appoggiata su un fianco mentre l'altra ricadeva semplicemente lungo il suo fianco.

«Occupatene tu, per favore. Agente Sparks, lei venga con me.», si rivolse poi verso la mora che teneva le braccia incrociate al petto e si stava guardando attorno. Questa annuì, seguendolo lungo i corridoi della piccola centrale della polizia di Tucson.

«Vice sceriffo Matthews?», disse Hotch ad alta voce, attirando l'attenzione di un uomo che aveva da poco superato i trenta, i corti capelli chiari e gli occhi verdi.

«Esattamente. Voi siete gli Agenti dell'FBI, immagino.», rispose l'uomo, alzandosi dalla sedia su cui era seduto mentre compilava delle scartoffie e stringendo le mani ed entrambi.

«Io sono l'Agente Speciale Supervisore Hotchner, capo dell'Unità di Analisi Comportamentale, questa è l'Agente Samantha Sparks, Infiltrata Speciale dell'FBI.», presentò Hotch, indicando la collega. «L'addetta alle comunicazioni stampa, Jennifer Jerau, sta facendo una telefonata, ci raggiungerà presto; gli altri Agenti sono all'obitorio e sull'ultima scena del crimine.».

«Sì, mi è stato comunicato. Seguitemi, abbiamo sistemato un ufficio per voi.», indicò loro una porta chiusa a vetri e li fece accomodare. «Se avete bisogno d'altro, basta chiedere.».

«Grazie mille, per ora va bene così.», rispose Hotch, guardando la grossa bacheca che era stata messa a loro disposizione.

«La macchinetta del caffè più schifoso dell'Arizona è in fondo al corridoio.», aggiunse Matthews, con un piccolo sorrisetto divertito. «Ora scusatemi, devo finire di firmare un rapporto da consegnare entro un'ora e devo telefonare la scientifica.».

«Grazie della disponibilità», disse Samantha, parlando per la prima volta in presenza del vice sceriffo.

«Dovere.». Chinò il capo in cenno di saluto e si allontanò.

La ragazza lo osservò allontanarsi lentamente, poi abbassò il capo e tirò fuori dalla propria ventiquattr'ore una pistola calibro 44.

«Come pensa di muoversi?», domandò a questo punto, pensando già alle varie tipologie da utilizzare con il Soggetto Ignoto per estorcergli una confessione, chiunque esso sia.

«La prego, chiamami Hotch.», disse Aaron, con un piccolo sorriso.

Samantha annuì.

«Allora tu chiamami Sparks, o Samantha. Niente Agente. Odio essere etichettata con il mio nominativo lavorativo.», ribatté velocemente lei, scrollando le spalle.

Hotch accettò.

«Le famiglie di Irina Isaac e Laura Randall hanno accettato a far riesumare i corpi.», disse JJ, entrando velocemente nella stanza, il cellulare ancora in mano. «Chiedono se debba esserci qualche familiare durante la riesumazione.».

«No, devono semplicemente firmare dei documenti che gli spediremo via fax.».

«Meglio così, non apprezzavano l'idea.», disse la giovane madre, scostandosi una ciocca bionda dagli occhi azzurri e mettendosela dietro ad un orecchio. «Gli altri?».

«Arriveranno a momenti.», replicò Hotch.

Samantha si alzò e guardò fuori dalla grossa finestra che illuminava l'ufficio.

«Pensate che riusciremo a prenderlo prima che ci regali un altro cadavere?».

Né JJ né Hotch risposero.


Continua...


Mi scuso per il ritardo, ma non è stata una settimana facile e mi sono completamente dimenticata di aggiornare. Chiedo venia.

Il prossimo capitolo di Somewhere in my mind verrà postato presto, sto finendo di aggiustare le ultime cose.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere le vostre opinioni! ;)

  
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