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Autore: miss dark    08/02/2011    3 recensioni
Una storia senza cuore, l’aveva definita. Quelle, le ultime ventotto ore della sua vita, erano senza cuore? Rimase qualche minuto in silenzio a riflettere. I suoi pensieri spaziavano dall’odio verso la situazione nella propria casa, alla paura di essere sola in mezzo al nulla e senza nessuna meta. Dalla felicità che le avevano dato le parole del libro di Hans, alla stanchezza che sentiva pervaderle il corpo. Dalla strana conversazione avuta con Danny a quelle inutili e lacunose con Rosalyn. Dalle poche ma importanti risate con Lucy all’assurda voglia di parlare con quell’uomo che ora sedeva davanti a lei osservandola.
Assurdo ed improvviso viaggio di una diciannovenne dalla sperduta Rawlins alla grande ed affascinante San Francisco.
[Prima classificata al concorso "All around the world" di Fe85]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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What's your road, man?

I
Dove Annie incontra Danny, che viaggia per trovare la sua città.

 

 
La luce gialla dei radi lampioni illuminava fiocamente il lungo rettilineo di strada asfaltata che separava il piccolo bus bianco e azzurro dalla sottile ed imprecisa linea dell’orizzonte. Dentro quell’autobus barcollante, seduta su uno dei sedili di plastica, Annie osservava il lento scorrere del paesaggio al di là del finestrino.
Avevano da poco superato Salt Lake City ed il panorama delle montagne e del Grande Lago Salato si rifletteva negli occhi neri della ragazza. Non aveva mai visto uno spettacolo simile. Non aveva mai visto lo splendore della pallida luna riflettersi maliziosamente tra le piccole onde di una così grande distesa d’acqua. Non aveva mai visto così alti profili, stagliarsi verso un limpido cielo di dicembre. Non aveva mai visto paesaggi differenti dalla sua città, Rawlins. Non era mai uscita dai confini cittadini, nemmeno per pochi giorni, eppure ora, dopo circa sei ore di viaggio su quel bus maleodorante ed in compagnia di persone dall'aspetto poco raccomandabile, era quasi certa che non avrebbe mai più rimesso piede in quella città di soli ottomilacinquecento abitanti.
Si era sbattuta la porta di casa alle spalle e si era diretta alla stazione degli autobus. Portava con sé un sacco di tela verde militare, contenente due paia di pantaloni, tre magliette, un maglione, qualche mutanda e un paio di reggiseni. Era partita all'improvviso, senza far sapere a nessuno dove sarebbe andata e quando sarebbe tornata. Era passata a salutare Hans, il vecchio barista del pub sotto casa sua, ed egli, che la conosceva da diciannove anni, le aveva letto negli occhi la voglia di partire, ma non le aveva chiesto niente. Le aveva offerto una birra e l'aveva guardata mentre beveva.
- I viaggi sono lunghi e spesso noiosi - le aveva detto lasciando sul bancone un libro dalla copertina rossa e malconcia. Poi le aveva voltato le spalle e, zoppicando, era andato nel retro del locale.
Ora Annie stringeva quel libro tra le mani. L'aveva sfogliato in stazione e da quel momento non l'aveva più riaperto. Era un libro di poesie americane; "Foglie d'erba", s'intitolava. Odorava di polvere e di esperienze vissute. Sul retro della copertina vi era una dedica fatta da qualcuno ad Hans molto tempo prima: Perchè tu possa appassionarti alla vita e non smettere mai di amarla. Era una calligrafia delicata e femminile, probabilmente di una delle molte donne che l'uomo, prima di prendere coscienza della propria vecchiaia, aveva amato e poi dimenticato.
Annie spostò il proprio sguardo dal paesaggio al libro e sussurrò tra sé e sé: - Perchè tu possa appassionarti alla vita... - .
L'uomo che occupava il sedile davanti al suo, un messicano di mezza età, tossì rumorosamente e la distolse dai propri pensieri. Annie si alzò e si avvicinò al guidatore per chiedergli quanto mancasse a Wendover, ultima piccola cittadina dove il bus si sarebbe fermato.
- Un'oretta, direi, anche se tra un po' mi dovrò fermare per fare benzina. Se hai fretta di scendere, puoi farlo alla stazione di servizio - rispose sgarbatamente l'uomo, grasso e visibilmente affaticato dal lungo viaggio.
- Grazie - disse lei flebilmente.
Non si era ancora posta il problema di dove e quando scendere e, soprattutto, di cosa fare una volta arrivata in qualunque posto volesse arrivare, ma, ad ogni modo, non le interessava molto. Non aveva idea di dove si trovasse, ma l'importante non era la destinazione, bensì il viaggio, allontanarsi da casa il più possibile.
- Se lei fosse in me, dove andrebbe? - chiese all’autista.
- Mah. Se continui su questa strada, puoi arrivare a San Francisco - rispose, stupito da quella domanda.
- E cosa c'è a San Francisco? -
- Boh. Non ci sono mai stato - rispose bruscamente, per evitare che la ragazza gli ponesse altre domande.
Annie si voltò e si diresse verso il proprio sedile, quando un ragazzo, che fino a quel momento le era parso addormentato, la guardò e le disse: - San Francisco è libertà. Non so nemmeno io cosa ci sia, ma so che è la destinazione giusta per un viaggio senza destinazione. Io non so dove vado, ma so che devo passare da lì. Sai, me lo sento. Credo che ognuno di noi, noi che non sappiamo dove andare, abbia una città nel cuore, bisogna solo che scopriamo quale sia. -
La ragazza lo guardò fisso negli occhi, mentre rifletteva sulle sue parole.
- Se vuoi puoi sederti qui, non mordo - disse lui, mettendosi a sedere più compostamente, per dare un'idea di sé meno trasandata, ma Annie continuava a guardarlo senza muoversi. - Sono gay, se questo ti può rassicurare.-
- E chi mi assicura che questa non sia una balla che usi per attirare le ragazze innocenti tra le tue braccia, per poi ucciderle nelle stazioni di servizio? - disse lei con aria di sfida.
- Nessuno. Però mi hai rivolto la parola, e questo significa che non ti faccio poi tanta paura - le rispose il ragazzo, guardandola con gli occhi di chi è abituato alla diffidenza e all'isolamento.
Annie diede un'occhiata al proprio sacco, lasciato vicino al sedile, poi si sedette affianco al ragazzo.
- Da dove vieni? - gli chiese.
- Non ha poi così tanta importanza. Vengo da Des Moines, ma so che a te non interessa più di tanto. E' la tipica domanda che ti pone chi ne vuole fare una più difficile e complicata. Te lo leggo negli occhi. -
- Nemmeno sai come mi chiamo e già pretendi di conoscermi - disse lei guardandolo in faccia.
Aveva un viso scavato e scuro, il viso di chi è in viaggio da molto tempo; i capelli neri e crespi e la bocca tagliata, probabilmente dal vento caldo. - Perchè dici di sapere dove vuoi andare, se in realtà è evidente che sei in viaggio da settimane? - continuò Annie puntando i propri occhi neri in quelli di lui, verdi e socchiusi.
- Non è detto che sapessi sin dall'inizio dove volessi andare. -
- E quanto ci hai messo a scoprirlo? -
- Una vita intera. -
La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, pensando che probabilmente anche lei avrebbe impiegato una vita intera per scoprire dove andare e soprattutto perchè. Non voleva affidarsi all'istinto, ma nemmeno riflettere sul proprio viaggio. Non voleva pensare, voleva andare. Effettivamente, non voleva nemmeno sapere dove, ma solo andare. Era convinta che quello fosse l'importante, eppure, la vicinanza a quello sconosciuto aveva messo in dubbio le sue certezze.
- Mi chiamo Annie. -
Il ragazzo la osservò, soffermando il proprio sguardo sulle sue mani, abbandonate sulle ginocchia. Mani poco curate, poco femminili, le unghie corte e spezzate.
- Di cosa hai paura, Annie? - le chiese all'improvviso, riportando il proprio sguardo sul suo viso, delicato e pallido.
- Di nulla, al momento - rispose la ragazza, stupita.
- Tutti hanno paura di qualcosa. E' fondamentale avere paura, altrimenti da cosa scapperemmo? -
- Io non sto scappando. -
- Sì invece. Secondo me stai scappando dal tuo futuro. -
- Non credo che tu sia la persona più adatta per sputare sentenze. -
- Io non giudico nessuno. Tu mi piaci, sei interessante. Sono dieci minuti che parliamo, eppure non sono ancora riuscito a capire chi sei e come sei. -
- E di solito ci riesci? -
- Sì, sempre. Io capisco le persone. Le osservo, ci parlo e le capisco. Prima ancora che loro capiscano se stesse, a volte. -
- Beh. Mi dispiace essere l'eccezione. -
- Perchè? Non è necessario che gli altri sappiano che non sono riuscito a capirti. -
- Allora, se è così, chi mi assicura che non ti sia già capitato? -
Lui accennò un sorriso beffardo e poi le disse con saccenza: - Perchè hai bisogno di così tante sicurezze? -
- Come? -
- E' già la seconda volta che mi chiedi chi possa assicurarti che quello che io dico sia vero. -
Lei stava per replicare qualcosa, ma si interruppe.
- Già. Non lo sai. Potrei mentire. Potrei essermi costruito un personaggio e aver recitato dall'inizio della nostra conversazione. Ma, alla fine, che t'importa? - disse lui, allargando le proprie braccia, possenti ed abituate al lavoro manuale. - Questo è il bello di incontrare persone. Non sai mai cosa nascondono. E non potrai mai saperlo. Perchè tu scenderai alla stazione di servizio, mentre io resterò sul bus fino a Wendover e poi ne prenderò un altro per San Francisco. E non c'incontreremo mai più. Perchè hai bisogno di sicurezze, allora? -
- Perchè potrei trovarti anch'io una persona interessante e, a differenza tua, essere incuriosita da te, da come tu sei veramente, non da un personaggio inventato e recitato per un quarto d'ora. Io non fingo mai. Io sono me stessa. -
- E qui sbagli. Non puoi esporti così tanto alla gente. Ti ha già ferita più di una volta, perchè rischiare di nuovo? -
- Perchè non voglio finire come te, impenetrabile e misterioso, ma solo e triste - rispose lei con una sottile vena di cattiveria nella voce.
Lui rimase immobile ad osservarla come si osserva un cane che ti ringhia contro nel momento in cui gli porti da mangiare. - Anche io osservo le persone e tento di capirle. Ti osservo da quando sono salita su questo bus - continuò Annie, - e so che non stavi recitando, sei troppo spavaldo ed orgoglioso per nasconderti dietro ad una maschera - concluse.
Il ragazzo la osservò, sorridendo.
- Mi chiamo Danny e secondo me anche tu vai a San Francisco. -
- Può darsi, ma non ora - disse Annie spostando il proprio sguardo verso i finestrini di destra. Proprio in quel momento, infatti, il bus si stava fermando alla stazione di servizio per fare rifornimento.
- E' stato un piacere, Annie. Continuo a non averti capita e a pensare che tu sia interessante. Magari ci becchiamo a San Francisco. -
- Magari - rispose lei sorridendo ed alzandosi per andare a prendere il libro che aveva lasciato sul sedile e il borsone, che era rimasto per terra. Issò il bagaglio sulla spalla sinistra e si diresse alla porta anteriore. Prima di scendere si voltò un'ultima volta verso Danny, che le fece un cenno con la testa, sorridendo beffardamente.

 

 

 

 

 

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Ho cercato di rendere il viaggio il più verosimile possibile, non solo nella trama, ma anche nell’itinerario e nelle tempistiche. Mi sono scervellata per controllare quanto costasse il prezzo di un biglietto del treno, quanto durasse ogni tragitto del viaggio e dove fossero le stazioni ferroviarie. L’unica cosa che non ho potuto controllare e da dove e quando passassero i pullman. Spero possa essere verosimile anche questa componente.

Il titolo è una citazione da “On the road” di Jack Kerouac.

Spero davvero che mi vogliate far sapere che cosa ne pensate, perchè ho dato molto per questa storia.

E' dedicata ad una persona che con me, tra qualche anno, farà questo viaggio negli States. Senza alcun dubbio.

 

 

  
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