Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: suni    02/01/2006    14 recensioni
Un uomo, solo.
Una stanza vuota.
Ricordi.
Che cos'è un fratello? Quanto rappresenta?
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fratello, dove sei

Salve a tutti.

Non si può dire che questa sia una storia, sono solo i pensieri di un uomo. E’ un po’ triste, vi avverto.

Spero davvero che mi direte cosa ne pensate, indipendentemente dal fatto che vi piaccia o meno.

Buona lettura

suni

 

Fratello, dove sei?

 

Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Quante volte hai contato i passi del perimetro di camera mia, e di camera tua? Non sopportavi che la mia arrivasse a sette, che fosse più grande.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Sono passati più di vent’anni, e le tue cose erano ancora tutte qui, nella tua stanza. Le ho tolte ieri, ho buttato via quasi tutto, tranne qualche libro e un vecchio album di foto. E da ieri non faccio che camminare lungo questi muri.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Ci sono anche io nelle foto. Bambino, vivace e cupo. In una ci abbracciamo, sembriamo felici. Un’altra è a Natale, mentre ci scambiamo dei regali. Mi ricordo: io avevo ricevuto le Gobbiglie in avorio e tu la scopa, e tutti e due preferivamo il regalo dell’altro, così abbiamo fatto scambio.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
E’ buffo: c’è stato un tempo in cui ci scambiavamo le cose, per farci un piacere a vicenda. Come fanno i fratelli, quelli della pubblicità, ma anche quelli delle famiglie normali. C’è stato un tempo in cui, se uno di noi due piangeva, l’altro rubava il cioccolato in cucina, e glielo portava.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Un tempo in cui se ricevevi un torto, io ti difendevo, quando i bambini più grandi se la prendevano con te. Un tempo in cui, quando litigavo con mamma, tu venivi a consolarmi in camera mentre piangevo, senza che ti importasse che pensavi che avesse ragione lei.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Però ti rodeva, che fossi il più grande; con la stanza più grossa, con più fiducia, più interesse intorno, più libertà di fare come volevo, finchè non sono andato a Hogwarts. Tu eri il più piccolo: ogni cosa che facevi stupiva di meno mamma e papà, perché l’avevo già fatta io.
E io ero insofferente quando cercavi di monopolizzare tu l’attenzione; mi sembravi sciocco e infantile, ma lo ero anche io.
Proprio come nelle famiglie normali.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Ci volevamo bene, me lo ricordo. Ci fidavamo l’uno dell’altro, ci sostenevamo a vicenda, anche se eravamo solo bambini. Nessuno poteva dividerci. Un solo anno di differenza di età, che permetteva ai nostri mondi di intersecarsi.
Non che fosse rose e fiori. Ricordo ancora dozzine di baruffe, calci, graffi e strilli. Le prime parolacce, ce le siamo dette a vicenda. Il primo pugno, l’ho tirato a te. Il primo litigio l’ho fatto con te, e ancora me lo ricordo: volevi il mio Librolorato, quello dove i disegni del Gatto con gli Stivali saltavano fuori e si spargevano sul muro quando lo aprivi. Io non te lo volevo dare, anche se non lo usavo più da mesi. Non lo so perché, ero solo un bambino.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
E il giorno del mio compleanno ricevevo sempre cose che a te sembrava di desiderare ardentemente, e viceversa. E allora ce le rubavamo a vicenda e ci facevamo i dispetti, di nascosto dalla mamma. E qualche volta uno dei due faceva la spia, e volavano schiaffi e sgridate: allora ci coalizzavamo di nuovo. E in ogni caso, dopo un giorno ogni dispetto era dimenticato, come se non fosse mai stato perpetrato.
E quando uno dei due era in punizione, l’altro nonostante il divieto gli faceva compagnia in camera, cercando di non farsi scoprire. E se anche lo scoprivano e punivano, non importava per nulla, pur di poter sostenere il proprio fratello.
Te lo ricordi, Regulus?
Te lo ricordi, che una volta mi volevi bene?
Ti ricordi che ti fidavi di me più che di chiunque altro al mondo?
E quando facevi qualcosa di bello, o di entusiasmante, andavo in giro a raccontarlo a tutti: mio fratello qui, mio fratello là, con un tale orgoglio, come se tu fossi stato l’unico al mondo che imparava a scrivere o ad andare in bicicletta. Mio fratello, ripetevo sorridendo. E anche tu, eri così fiero del fratellone, quando dicevi quelle parole sembrava usassi la maiuscola: Mio Fratello andrà ad Hogwarts. Come se nessun altro bambino quell’anno fosse stato convocato a scuola oltre a me, anzi come se l’avessero fatta fare apposta per me quella scuola. E io ero felice, perché mio fratello m voleva bene. E quando ti facevo un complimento, -allora non me ne rendevo conto- sfoderavi il sorriso più largo della storia, ti scioglievi di gioia, brillavi come un Lumos.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre-
Lo so che è scemo piangere.
Fratello.
Era magica questa parola, da bambino. Era la porta di un universo dorato e scintillante in cui non essere mai solo, mai triste, mai scontento. Perché c’era sempre chi mi sosteneva, e chi potevo sostenere. Inconsciamente, istintivamente, senza averne la consapevolezza, percepivo dentro di me –come forse tutti i bambini- il potere quasi divino di quella parolina, più dirompente di quello di qualsiasi incantesimo che Vitious avrebbe potuto insegnarci.
“Fratello” dicevo.
E il mondo si tingeva di sfumature nuove. Le caramelle erano più buone e i giochi più divertenti se li condividevamo, ma non lo sapevamo allora. Era ovvio e scontato che ci fossimo l’uno per l’altro, un bimbo non ha la concezione della precarietà degli eventi della vita, per lui tutto sarà come è sempre stato.
Lo so che è scemo piangere.
Fratello.
Piangevi, quando me ne sono andato. Tutto il tuo orgoglio per la grande avventura del fratellone era sparito, e mentre cercavo di salire sul treno non mi lasciavi, mi stringevi intorno al collo le tue piccole braccia sottili con tutte le tue forze, e ti aggrappavi con quelle manine ai capelli, ai vestiti, alle gambe, a qualsiasi cosa ti capitasse a tiro per non lasciarmi andare, singhiozzando. Io volevo sembrare grande, adulto per questa grande prova che mi attendeva, perciò mi fingevo annoiato e ti prendevo in giro perché frignavi, ma in realtà avrei voluto mettermi a piangere anch’io. Forse avrei dovuto. Se lo avessi fatto, chissà…
Avevo tanta paura a pensare di stare per tutti quei mesi senza di te. Te lo ricordi, Regulus, la mamma era riuscita a tenerti e io stavo già salendo in carrozza, ma sono risceso e ti ho sorriso, poi ti ho fatto una carezza e sono scappato via, perché non volevo che mi vedessi piangere.
Quanto vorrei poterti fare una carezza, ora.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Fratello.
Nessuno poteva prenderti in giro, darti del fifone o dello scemo; anche se in fondo a me sapevo che eri entrambe le cose, nessuno poteva permettersi di dirtele, di usare le tue debolezze; abbiamo tutti dei difetti ma quelli del proprio fratello sono secondari perché prima di tutto viene il sangue, non quello dei titoli ma quello vero, fisico, il sangue di chi per nove mesi ha dormito nello stesso ventre in cui hai dormito tu. Come quella volta che Lucius ha detto che ero solo un esaltato che voleva fare il diverso, e tu gli hai rotto il naso con un pugno anche se era grosso due volte te; non ci saresti mai riuscito se non avesse offeso il tuo fratellone, non avresti mai trovato la forza.
Lo so che è scemo piangere.
Fratello, com’è andata?
Ricordo il ritorno a casa a Natale. Qualcosa aveva cominciato ad andare storto: Grifondoro, aveva detto il Cappello. Avevi sperimentato la vergogna, lo scherno per colpe non tue; per la prima volta avevi visto il disprezzo della Madre per il Figlio, e ti aveva spaccato in due: la mamma da una parte, Sirius dall’altra. Ma reggevi, in qualche modo. Arrivata l’estate ti eri intromesso nelle urla, nelle botte e nelle punizioni, avevi colto l’ingiustizia, forse per una frazione di infinito hai scorto l’errore nella tua fazione –in quella che lo sarebbe diventata- la chiusura, il pregiudizio. Se ti avessi teso una mano, allora, tutto sarebbe stato diverso. Sarebbe bastato un gesto.
Hogwarts, tutti e due: Serpeverde per te, come per tutti i Black.
Te ne feci una colpa.
Fratello, ti imploro. Dall’abisso invoco il tuo perdono.
Ti ho allontanato volutamente, e mentre cambiavo non ti permettevo di capire come né perché; ti ho lasciato indottrinare quando poche parole ti avrebbero salvato. Sinistramente gioivo nel vederti avvicinare a Lucius, Rastaban, Rodolphus; e ogni ora che trascorrevi con Narcissa e Bellatrix diventava una conferma delle tue colpe. Ogni giorno ero più lontano da loro, e ogni giorno chiudevo a te una porta in faccia, fino a un giorno diverso da ogni altro.
Fratello, ti ricordi?
“Ti odio”
Mi odi ancora, Regulus?
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Fratello, mi odi ancora?
Dall’abisso invoco il tuo perdono.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Hogwarts scivolava veloce, fuori dal mondo. Ci schieravamo già come ci saremmo schierati dopo, fuori, nella Guerra vera. E quando provasti a schierarti accanto a me, come un tempo, ho riso.
Avevo dimenticato. “Fratello” e non si è soli. Non lo ricordavo, e ti ho scacciato, deriso.
“Ti odio” hai detto.
Non pensavo avresti capito. Adolescente, tagliavo il mondo con l’accetta: bianco, nero, buono, cattivo. Non capivo le sfumature, l’affetto, tralasciavo di considerare il sangue. Dimenticavo che tu non avevi vissuto ciò che era avvenuto a me. Nessun uomo ha un destino deciso da un Cappello, ciò che è può essere cambiato.
Una frase poteva forse salvarti, una frase che non ho mai detto.
Resta con me, Fratello.
Vedevo solo più i difetti: pauroso, poco sveglio, poco intraprendente.
Fratello, cosa pensavi?
Quali pensieri scorrevano nella tua mente quando incontrandoti in corridoio fingevo di non vederti e mi voltavo dall’altra parte?
Diventasti implacabile, feroce, oltre ogni misura, ma io ho sbagliato per primo. Lontano dalla mia influenza, eri in balia del clan di Serpeverde. Ti facesti amico Severus perché io lo odiavo. Diventasti inseparabile da Rodolphus perché sapevi che lo disprezzavo più di chiunque altro. Quando m’incontravi mi aggredivi, a parole o a gesti, seguivi il loro esempio, perché non sei mai stato bravo a pensare con la tua testa. Ma la colpa non era tua, eri fatto così. Lo sapevo –tutti conoscono la profonda natura del Fratello, perché è fatto della stessa carne- ma fingevo di ignorarlo. I ruoli erano cambiati: tu disprezzavi me, e senza remore. E io ero troppo orgoglioso per capire che avendo sbagliato per primo, per primo avrei dovuto tornare sui miei passi. Ero più grande, più maturo e indipendente anche se non per scelta, dapprincipio, ma non feci nulla.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Credevo davvero di disprezzarti, di provare schifo di te. L’ho creduto fino a ieri. Pensavo di odiarti come avevi detto tu a me. Eri un nemico da sconfiggere, come tutti gli altri.
Ora so.
Fratello, mi odi ancora?
So che non eri affatto come gli altri: eri mio fratello. C’erano i giochi, il Natale, i pianti e le risate, le corse, gli abbracci, i morsi, gli insulti, gli incoraggiamenti, le paure condivise e sconfitte insieme –ricordi, Regulus, quando abbiamo imparato che il buio non fa nulla?- i dispetti, le pacche sulle spalle, le coalizioni contro ‘i grandi’, le lacrime asciugate, gli abbracci, i silenzi, le piccole vittorie, le sconfitte, addolcite dal reciproco appoggio, le vacanze, i tuffi al mare, i primi voli, le confidenze, le cattiverie e i favori, gli spintoni, le buffonate, le fughe da parenti inferociti, gli strilli, le mani strette l’una nell’altra –migliaia di volte-, gli inseguimenti, le domande, le sbruffonate, le ore pressati in due su una poltrona, gli incubi notturni confidati sottovoce all’orecchio amico che accendeva la luce, i segreti inconfessabili a chiunque altro, che di colpo diventavano leggeri se divisi a metà, i calci, le carezze, le rappacificazioni, i consigli.
Tutto questo non poteva essere cancellato.
Hogwarts finiva, e finiva il mondo dei giochi: fuori c’era la vita reale, e c’era la morte.
Fratello, com’è andata?
Non l’ho mai saputo.
Punizione, mi hanno detto; tradimento.
Codardo, dissi allora.
Oggi amo pensare che il tuo ultimo giorno l’hai vissuto capendo che combattevi per la causa sbagliata. Mi piace credere che hai tradito per coraggio, e non per vigliaccheria. Ma non posso sapere.
San Mungo: tutto così bianco. Ricordo il vetro oltre il quale ero nascosto. Il viso pallido di tua madre, e l’espressione desolata del medimago con cui parlava: no, no, no faceva con la testa.
Ricordo l’urlo della Madre che perde il Figlio. Ricordo che a quel suono lancinante mi sono piegato in due, ricordo le braccia di James che sostenevano il mio corpo a peso morto.
Lei non mi ha fatto entrare.
“Non sei suo fratello” ha detto. Anche spezzata continuava ad odiarmi.
Sbagliato.
Sono suo fratello.
Sono tuo fratello.
Non ho potuto vedere un’ultima volta il tuo viso, così simile al mio.
Ma allora pensavo davvero che non eravamo più fratelli. Come se si potesse semplicemente smettere di essere il fratello di qualcuno, nemmeno fosse un contratto la fraternità. Stupido.
Fratello, perdono.
Mi sono macchiato della colpa più grave: ho condannato mio fratello, l’ho gettato nelle fauci del nemico. Se ti avessi parlato…
Resta con me, Fratello.
Se tornassi indietro, oggi, al San Mungo, lo direi: sono suo fratello. Entrerei, ad ogni costo, e ti guarderei un’ultima volta, a lungo, per ricordare ogni centimetro, ogni irregolarità del tuo viso; e lo accarezzerei ancora una volta, e laverei via con cura dal tuo corpo ogni traccia di sangue, ogni sporcizia, minuziosamente, come da bambino quando avevi la febbre –ti veniva ad ogni inverno, ricordi?- e ti stringerei con ogni forza, e ti chiuderei gli occhi con le mie mani, non permetterei a nessun altro di farlo. E li chiuderei piano piano, lentamente, perché da vivo ti dava fastidio quando qualcuno ti avvicinava un oggetto o una mano agli occhi troppo velocemente. Li chiuderei dopo averli guardati un’ultima volta, e ti pettinerei i capelli, amato mio Fratello.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Uno, due, tre –porta- quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
Se in qualche tempo, in qualche luogo, ti incontrerò ancora –mi rasserena pensare che avverrà- ti dirò tutte le cose che per anni non ti ho detto.
Ti dirò che per tutta la vita, ho sentito la mancanza degli abbracci di mio fratello, del suono della sua risata, della modulazione della sua voce, della sua erre moscia alla francese. Della forma del suo sorriso –il tuo sorriso-, e del sapore delle tue lacrime. Ti dirò, Regulus, il dolore soffocante e acuto, irrimediabile, della perdita del proprio fratello, e tu mi dirai del tuo. Ci racconteremo, come i due bimbi sorridenti delle tue foto. Ricorderemo quei giorni e il loro profumo, e voglio pensare che ci abbracceremo e dimenticheremo.
Ma forse sono solo un illuso.
Fratello, dove sei?



The End

   
 
Leggi le 14 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: suni