CHE COSA RESTA DI NOI?
Non c’è
bisogno di parlare ora. Tanto non ho bisogno di ascoltare il tuo fiato per
sentire. Mi solletica il collo, il tuo respiro, non smorzarlo con parole vuote.
So che oramai è finita, lo so da molto tempo. Sono troppo chiara per te che sei
così nero. Ti ho visto dentro e questo non ti è piaciuto. Comprensibile.
Fisso il
soffitto bianco, una vena nera lo increspa, congiungendo due angoli troppo
lontani per raggiungersi. Eravamo così anche noi due? Dov’è finita la crepa che
ci univa?
La
pioggia picchietta tranquilla sul vetro, nascondendo la vista della città che
corre cercando una risposta che non c’è.
L’odore
ancora acre della legna di ginepro che fumava fino a qualche minuto fa nel
caminetto volteggia nella stanza, ricordo di mille rimpianti. Chiudo gli occhi,
cercando di non ascoltare le parole che mi sussurri a mezza voce, affondi nei
soliti cliché, dicendo che ti ho cambiato
il mondo. Ti prego, io non ho fatto nulla di tutto questo, ti ho solo aperto il
cuore, trovando la chiave che avevi nascondo chissà dove. Ti nascondi dietro
muri di lettere, esternandomi da un mondo che vuoi di nuovo tutto tuo. E lo
capisco. Hai un’anima bianca anche tu, lo sai? Ma credi che avendo l’ombra
nera, sarà nero anche il cuore. Grave errore, sì. Sei fuggito dalla tua gabbia
dorata, ma non per questo sei libero.
Avere
le ali non significa saperle usare.
Io ho
cercato l’amore nei libri per troppo tempo, scrutando la vita da dietro le
copertine dei grossi tomi che mi portavo sempre dietro. Erano la mia corazza.
Poi sei
arrivato tu e hai reso inutile la mia protezione. Ci sono cose che con le
parole non riesci a descrivere. Forse nemmeno con i suoni, con i profumi, ma
solo con il corpo. Le mani sono le uniche interpreti di sentimenti che le
lettere o i tratti d’inchiostro che sporcano di segni senza senso le gialle
pergamene, non sono capaci di chiarire. Il brivido che dalla sottile pelle dei
polpastrelli corre veloce fino alla schiena quando, per sbaglio, le dita
toccano il braccio caldo di una persona, non riesci a metterlo su carta, ci ho
provato. Quando le gambe ti tremano e la testa ti gira e lo stomaco si
attanaglia in una morsa dolorosa, non ti viene in mente una frase o un pensiero
coerente, o almeno, nei rari casi in cui ciò accada, non ti rimane in testa per
abbastanza tempo da annotarlo o da serbarne il minimo ricordo. Ecco, accade
anche a me, quando appoggio la testa sulla tua spalla, quando ti cerco nella
notte e non ti trovo, vorrei essere capace di scrivere tutti i sentimenti che
provo, ma anche il mio cervello, visibilmente sviluppato, non riesce a
formulare una parola che non sia stupida.
Cosa non
vera, ovviamente.
Perché
tu, solo tu, mi fai questo effetto?
Nei tuoi
occhi, non riesco a specchiarmi, per te non esisto forse?
E allora
basta, basta prolungare all’infinito questa agonia.
Mi alzo
dal letto e raduno intorno al corpo le lenzuola che ancora profumano di pulito.
Non sono state usate spesso. Come un fantasma che senza meta vaga per i
corridoi di Hogwarts, cammino verso la sedia che accoglieva il mio riposo.
Non ho
mai usato il letto, quando tu non c’eri, troppo spesso.
Senza accorgermene
sussurro i miei pensieri, interrompendo il tuo lungo monologo:
“Come una
cagna, mi accontentavo della poltrona. Guarda, su dai, guarda, come si è
ridotta la mente del Trio dei
Miracoli. A dormire su una sedia, aspettando tutta la notte che tu arrivassi”
Scuoto la testa. “Eh, no, basta, un po’ di dignità” esclamo fissando l’intonaco
che si sta staccando dal muro.
I capelli
che sono riuscita a domare solo tenendoli all’altezza delle orecchie si muovono
come i serpenti di Medusa. Vorrei tanto poter pietrificare con lo sguardo ora.
Ma non mi
volto, non mi volto ancora.
“Chi ami
è un angelo” mi sussurri ora, come facevi qualche anno fa. “Che uccide se lo
tocchi (¹)”
“Ladro!”
grido, girando violentemente la testa a guardarti “Mi hai rubato gli anni della
pace per continuare una assurda lotta personale, contro me stessa e contro
l’idea che mi sono fatta di te, di cui mi sono innamorata.
“Maledetto!
Avrai anche i capelli biondi Malfoy, ma non sei un angelo, mettitelo bene in
testa! Hai cercato di sopprimere la mia personalità, cercavi forse anche tu un
pupazzo, forse anche tu amavi un’idea, a cui hai dato –maledetto!- le mie
sembianze?
Non ti
rendi conto che così facendo hai distrutto me e te allo stesso tempo? Ma come
si può essere così egoisti?”
Ricevo
solo silenzio in cambio della mia arringa dal perfetto avvocato che sarei
voluta diventare.
I tuoi
occhi mi fissano, allucinati, guardano nei miei, cercando un indizio, un
barlume di affetto.
Ma io mi
sento tradita e traditrice; come Medea, l’eroina che più mi rispecchia, almeno
in questo momento, sento il mio orgoglio ribollire d’ira per il tradimento che
hai compiuto nei miei confronti. Mi sento una traditrice, per aver abbandonato
una vita che mi apparteneva, che credevo di stringere tra le mani con forza,
per qualche anno di “felicità” passata con te.
Ma quella
non era felicità, no signore.
Una
pallida imitazione di essa, che mi ero autoimposta di vivere e di mettere in
pratica.
Stupida!
Ecco, l’ho detto già due volte oggi, sono proprio sconvolta.
Le mie
labbra tengono ben strette tutte le cose che vorrei dirti, che vorrei
rinfacciarti. Cosa resta di me, dopo tutti questi anni passati ad adorarti (²),
cosa resta di me, dopo aver vissuto nell’ombra di me stessa per questo, per riuscire
a tenere il nulla nelle mani, per una strana forma di estrema conoscenza? Quanto
giù nell’abisso la mia fame di sapere mi ha trascinata, tutto per riuscire a cogliere
ogni più piccolo e doloroso aspetto del reale.
Pazza e stupida.
Ma ora basta, basta.
Come in preda a una febbre, prendo tutti i miei
vestiti dall’armadio, dimenticandomi di essere una strega, convincendomi che le
cose più importanti vanno fatte “alla vecchia maniera”.
Sento il tuo sguardo fisso sulla mia schiena, ma
non m’importa, come non importa a te del resto.
Dopo aver riempito un borsone, che alla fine
decido di allargare con la magia, mi vesto con le prime cose che mi passano
sotto mano e mi giro.
Tu sei ancora lì, immobile nel letto disfatto, che
cerchi con lo sguardo una donna che non ricordavi di conoscere.
“Sì Draco, sono tornata. E ora me ne vado” ti
guardo vedendo in te solo il bamboccio che mi aveva chiamata
mezzosangue la prima volta.
Prendendo in mano la bacchetta per
smaterializzarmi, dove non so ancora, sorrido.
“Ah, voglio il divorzio”
(¹) cit. di “Ossigeno” degli Afterhours, che reputo molto adatta alla
coppia.
(²) cit. di “L’aeroplano” dei Baustelle, canzone che ha ispirato questa
storia e molte altre.