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Autore: _Lethe    09/02/2011    1 recensioni
Maledetto! Avrai anche i capelli biondi Malfoy, ma non sei un angelo, mettitelo bene in testa! Hai cercato di sopprimere la mia personalità, cercavi forse anche tu un pupazzo, forse anche tu amavi un’idea, a cui hai dato –maledetto!- le mie sembianze?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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resta

CHE COSA RESTA DI NOI?

Non c’è bisogno di parlare ora. Tanto non ho bisogno di ascoltare il tuo fiato per sentire. Mi solletica il collo, il tuo respiro, non smorzarlo con parole vuote. So che oramai è finita, lo so da molto tempo. Sono troppo chiara per te che sei così nero. Ti ho visto dentro e questo non ti è piaciuto. Comprensibile.
Fisso il soffitto bianco, una vena nera lo increspa, congiungendo due angoli troppo lontani per raggiungersi. Eravamo così anche noi due? Dov’è finita la crepa che ci univa?
La pioggia picchietta tranquilla sul vetro, nascondendo la vista della città che corre cercando una risposta che non c’è.
L’odore ancora acre della legna di ginepro che fumava fino a qualche minuto fa nel caminetto volteggia nella stanza, ricordo di mille rimpianti. Chiudo gli occhi, cercando di non ascoltare le parole che mi sussurri a mezza voce, affondi nei soliti cliché, dicendo che ti ho cambiato il mondo. Ti prego, io non ho fatto nulla di tutto questo, ti ho solo aperto il cuore, trovando la chiave che avevi nascondo chissà dove. Ti nascondi dietro muri di lettere, esternandomi da un mondo che vuoi di nuovo tutto tuo. E lo capisco. Hai un’anima bianca anche tu, lo sai? Ma credi che avendo l’ombra nera, sarà nero anche il cuore. Grave errore, sì. Sei fuggito dalla tua gabbia dorata, ma non per questo sei libero.

Avere le ali non significa saperle usare.

Io ho cercato l’amore nei libri per troppo tempo, scrutando la vita da dietro le copertine dei grossi tomi che mi portavo sempre dietro. Erano la mia corazza.
Poi sei arrivato tu e hai reso inutile la mia protezione. Ci sono cose che con le parole non riesci a descrivere. Forse nemmeno con i suoni, con i profumi, ma solo con il corpo. Le mani sono le uniche interpreti di sentimenti che le lettere o i tratti d’inchiostro che sporcano di segni senza senso le gialle pergamene, non sono capaci di chiarire. Il brivido che dalla sottile pelle dei polpastrelli corre veloce fino alla schiena quando, per sbaglio, le dita toccano il braccio caldo di una persona, non riesci a metterlo su carta, ci ho provato. Quando le gambe ti tremano e la testa ti gira e lo stomaco si attanaglia in una morsa dolorosa, non ti viene in mente una frase o un pensiero coerente, o almeno, nei rari casi in cui ciò accada, non ti rimane in testa per abbastanza tempo da annotarlo o da serbarne il minimo ricordo. Ecco, accade anche a me, quando appoggio la testa sulla tua spalla, quando ti cerco nella notte e non ti trovo, vorrei essere capace di scrivere tutti i sentimenti che provo, ma anche il mio cervello, visibilmente sviluppato, non riesce a formulare una parola che non sia stupida.

Cosa non vera, ovviamente.

Perché tu, solo tu, mi fai questo effetto?
Nei tuoi occhi, non riesco a specchiarmi, per te non esisto forse?

E allora basta, basta prolungare all’infinito questa agonia.

Mi alzo dal letto e raduno intorno al corpo le lenzuola che ancora profumano di pulito. Non sono state usate spesso. Come un fantasma che senza meta vaga per i corridoi di Hogwarts, cammino verso la sedia che accoglieva il mio riposo.
Non ho mai usato il letto, quando tu non c’eri, troppo spesso.
Senza accorgermene sussurro i miei pensieri, interrompendo il tuo lungo monologo:
“Come una cagna, mi accontentavo della poltrona. Guarda, su dai, guarda, come si è ridotta la mente del Trio dei Miracoli. A dormire su una sedia, aspettando tutta la notte che tu arrivassi” Scuoto la testa. “Eh, no, basta, un po’ di dignità” esclamo fissando l’intonaco che si sta staccando dal muro.
I capelli che sono riuscita a domare solo tenendoli all’altezza delle orecchie si muovono come i serpenti di Medusa. Vorrei tanto poter pietrificare con lo sguardo ora.
Ma non mi volto, non mi volto ancora.
“Chi ami è un angelo” mi sussurri ora, come facevi qualche anno fa. “Che uccide se lo tocchi (
¹)”
“Ladro!” grido, girando violentemente la testa a guardarti “Mi hai rubato gli anni della pace per continuare una assurda lotta personale, contro me stessa e contro l’idea che mi sono fatta di te, di cui mi sono innamorata.
“Maledetto! Avrai anche i capelli biondi Malfoy, ma non sei un angelo, mettitelo bene in testa! Hai cercato di sopprimere la mia personalità, cercavi forse anche tu un pupazzo, forse anche tu amavi un’idea, a cui hai dato –maledetto!- le mie sembianze?
Non ti rendi conto che così facendo hai distrutto me e te allo stesso tempo? Ma come si può essere così egoisti?”

Ricevo solo silenzio in cambio della mia arringa dal perfetto avvocato che sarei voluta diventare.

I tuoi occhi mi fissano, allucinati, guardano nei miei, cercando un indizio, un barlume di affetto.
Ma io mi sento tradita e traditrice; come Medea, l’eroina che più mi rispecchia, almeno in questo momento, sento il mio orgoglio ribollire d’ira per il tradimento che hai compiuto nei miei confronti. Mi sento una traditrice, per aver abbandonato una vita che mi apparteneva, che credevo di stringere tra le mani con forza, per qualche anno di “felicità” passata con te.
Ma quella non era felicità, no signore.
Una pallida imitazione di essa, che mi ero autoimposta di vivere e di mettere in pratica.

Stupida! Ecco, l’ho detto già due volte oggi, sono proprio sconvolta.

Le mie labbra tengono ben strette tutte le cose che vorrei dirti, che vorrei rinfacciarti. Cosa resta di me, dopo tutti questi anni passati ad adorarti (²), cosa resta di me, dopo aver vissuto nell’ombra di me stessa per questo, per riuscire a tenere il nulla nelle mani, per una strana forma di estrema conoscenza? Quanto giù nell’abisso la mia fame di sapere mi ha trascinata, tutto per riuscire a cogliere ogni più piccolo e doloroso aspetto del reale.
Pazza e stupida.
Ma ora basta, basta.
Come in preda a una febbre, prendo tutti i miei vestiti dall’armadio, dimenticandomi di essere una strega, convincendomi che le cose più importanti vanno fatte “alla vecchia maniera”.
Sento il tuo sguardo fisso sulla mia schiena, ma non m’importa, come non importa a te del resto.
Dopo aver riempito un borsone, che alla fine decido di allargare con la magia, mi vesto con le prime cose che mi passano sotto mano e mi giro.
Tu sei ancora lì, immobile nel letto disfatto, che cerchi con lo sguardo una donna che non ricordavi di conoscere.
“Sì Draco, sono tornata. E ora me ne vado” ti guardo vedendo in te solo il bamboccio che mi aveva chiamata mezzosangue la prima volta.
Prendendo in mano la bacchetta per smaterializzarmi, dove non so ancora, sorrido.

“Ah, voglio il divorzio”

 

 

 

 

 

(¹) cit. di “Ossigeno” degli Afterhours, che reputo molto adatta alla coppia.

(²) cit. di “L’aeroplano” dei Baustelle, canzone che ha ispirato questa storia e molte altre.

 

  
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