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Autore: _Fedra_    09/02/2011    1 recensioni
Qualcosa di strano sta accadendo nella vita di Cate Mantis, da una misteriosa bambina che sembra provenire direttamente da un altro mondo a un'inquietante signora bianca che afferma di conoscere molte cose su di lei. Tutto ciò l'avvicina sempre più al mondo di Narnia, una dimensione parallela nella quale ella virà la più grande avventura della sua vita, insieme a un amico decisamente inaspettato! p.s. questa fanfiction è stata tradotta in inglese sul sito Fanfiction.net con il titolo "The last passsage".
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edmund Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The passage'
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nbsp;Ci volle un’infinità di tempo prima che osassi riaprire gli occhi e realizzassi che non mi ero fatta nulla. O, almeno, non ancora. Ero sospesa ad almeno una decina di metri da terra, incastrata in una rete di arbusti che avevano frenato la caduta all’ultimo istante. I loro rami mi erano penetrati nelle costole, graffiandomi la faccia, e un fastidiosissimo bruciore mi tormentava il fianco. Imprecai fra i denti, non osando muovere un muscolo. Possibile che dovevo finire proprio fra quei cosi pieni di spine? Beh, in fin dei conti, sempre meglio che sfracellarsi sulle rive del fiume ghiacciato! Con un profondo respiro, osai guardare giù, trattenendo a fatica le vertigini. Sarebbe bastato il minimo gesto a farmi cadere di sotto. Ma dovevo trovare comunque il modo di liberarmi da quella scomoda situazione, anche perché non sapevo quanto quei sottili rami secchi avrebbero retto il mio peso. Facendo appello a tutte le mie forze, mi districai più veloce che potevo dalle spine che mi trattenevano per i capelli e i vestiti, divincolandomi dalla loro presa dolorosa e cercando di raggiungere il frammento di terra più vicino. Con uno schiocco secco, l’arbusto si spezzò sotto il mio peso, facendomi fare un volo di qualche metro, rotolando rocambolescamente giù per il pendio innevato, rischiando di andare a sbattere contro un albero. Rimasi lì, distesa bocconi nella neve, lo sguardo perso sulle cime degli alberi che in quel momento mi sembravano di un’altezza vertiginosa, irraggiungibile, ogni centimetro del mi corpo dolorante e sanguinante. Eppure ero ancora viva. Viva! Era più di quanto potessi sopportare. Scoppiai in un pianto disperato e silenzioso, le lacrime che mi scendevano lentamente lungo le guance parevano lame incandescenti in confronto a tutto quel bianco gelo che mi circondava da ogni parte.
Quando finalmente mi calmai, mi tirai lentamente su a sedere e mi guardai intorno smarrita. Che fare? Dove sarei andata? Alzai lo sguardo verso il pendio da cui ero precipitata. La gola era così profonda che non riuscivo neanche a scorgerne la sommità. Il cuore mi si contrasse con una fitta dolorosa. Edmund. Come poteva una persona mostrarsi così crudele e priva di scrupoli? Quale anima nera si celava dietro quello che sembrava un ragazzo per bene, forse solo un po’ troppo sicuro di sé? Sbattei le palpebre con violenza, come per scacciare un pensiero sgradevole. Per un attimo, solo per un attimo, una vocina maliziosa mi aveva sussurrato cose assurde quanto imbarazzanti, idee sciocche quanto irrazionali, ma che in qualche modo, nonostante in quel momento non lo avrei mai ammesso, erano la verità. Una nuova fitta di dolore mi percorse il petto e, nonostante stessi lottando con tutte le mie forze per evitarlo, scoppiai a piangere di nuovo, questa volta non per il dolore o la paura, ma per qualcos’altro, qualcosa che andava più profondamente nella mia anima, senza ancora rivelare la sua presenza, fuorché quella tristezza infinita che mi aveva presa in una morsa d’acciaio, terribile come la consapevolezza di essere stati traditi da una persona che si ama.
“No!” singhiozzai, sfregandomi violentemente il volto arrossato con il dorso della mano. “No! No!”.
Scrollai il capo con furia, guardandomi intorno nuovamente alla ricerca di un segno, un punto di riferimento, qualcosa che mi strappasse via da quei miei assurdi pensieri e mi facesse preoccupare di cose ben più importanti di un ragazzino dalla lingua biforcuta. Seguii con lo sguardo il corso sinuoso del fiume che si perdeva nella foresta, simile a un pericoloso sentiero ghiacciato. Non so perché feci quell’associazione, ma, in qualche modo, sentivo che ero sulla strada giusta. Mi incamminai, dunque, lungo la sponda gelata, stando attenta a non scivolare sulla sottile lastra gelata che scorreva a pochi metri da me, gorgogliando impercettibilmente all’interno della sua prigione. Marciai per un tempo infinito, le gambe sempre più doloranti e i piedi che ormai non li sentivo più, fino a quando non stramazzai al suolo priva di forze, addormentandomi lì dov’ero, senza preoccuparmi minimamente di trovare un riparo.
 
Fui risvegliata da un rumore che credevo di aver dimenticato, una specie di crepitio scoppiettante, accompagnato dal buon profumo della legna fresca. Aprii gli occhi lentamente, facendomi accarezzare da quel bagliore rossastro che mi riscaldava il volto. Un fuoco acceso. E una coperta di lana che mi ricopriva. Possibile che stesse accadendo davvero?
Mi tirai su a edere incredula, stropicciandomi gli occhi. Un’ombra scura si stagliava accanto al focolare.
“Oh, sei sveglia, finalmente!” esclamò una voce calda e allegra nell’oscurità della foresta.  
“Chi sei?” domandai spaesata.
“Non mi riconosci?”.
Strinsi le palpebre a due fessure, sondando la figura oltre il fascio di luce provocato dal fuoco.
“Non riesco a vederti, scusa” dissi alzando le spalle.
Lo sconosciuto scoppiò in una risata, poi si chinò leggermente verso di me, rivelando il suo volto. Sembrava un vecchio guerriero, la lunga barba e i capelli d’argento che gli ricadevano sulla gorgiera rosso scuro, i profondi occhi azzurri incredibilmente vivi e saggi che brillavano simili a due antiche stelle sul volto rubizzo.
“Perdonatemi, signore, ma credo di non avervi mai visto” mi scusai ancora.
“Eppure dovresti conoscermi bene, ormai” scherzò l’uomo. “Forse mi ricordavi diverso, nel tuo mondo”.
“Nel mio mondo?”.
“Coraggio”.
Il suo sorriso caloroso e cordiale, le guance piene, l’aspetto bonario, senza tempo, tutto mi piovve in testa insieme a quell’inaspettata verità, accresciuta dal suo aspetto saggio e solenne, del tutto privo della banalità commerciale che tanti adulti nel mio mondo gli avevano appioppato, a partire dalla ridicola giacca rossa della Coca-Cola.
“Tu sei…?” esclamai incredula.
Il sorriso di Babbo Natale si fece ancora più grande. “Dimmi la verità, Cate,” mi disse dolcemente “hai mai pensato seriamente che io non esistessi?”.
“Non per come volevano che fossi per loro, no” risposi tutto d’un fiato.  
“Ci sono molte cose che nel tuo mondo sono andate perdute, bambina mia” continuò lui. “Ma tu sei stata una delle poche che ha avuto il coraggio di desiderare di poter guardare oltre e il tuo desiderio è stato esaudito. Potrai tornare a casa e portare loro un messaggio ben diverso alle persone che ami. Nulla accade per caso e questo è il momento giusto per scoprire quanto il tuo destino sia speciale, Cate”.
“Devo trovare Aslan” dissi decisa. “Lui mi ha chiesto di raggiungerlo alla Tavola di Pietra, ma non so la strada”.
“La strada è dentro il tuo cuore” rispose Babbo Natale. “Tu la conosci già”.
Mi porse un calice d’oro ricolmo di cioccolata fumante, che svuotai tutto d’un fiato.
“Tuttavia,” proseguì “credo che tu abbia bisogno di un piccolo aiuto per affrontare il tuo viaggio”.
Si chinò sul sacco che teneva ai suoi piedi, estraendovi un lungo mantello con il cappuccio, un paio di stivali di pelle e una spada dall’impugnatura  testa di leone.
“Sono strumenti, non giocattoli” si raccomandò facendosi serio. “Usali con giudizio”.
“Grazie, signore” lo ringraziai, gli occhi che mi brillavano di felicità.
“Ora,però, devo andare. L’inverno sta ormai finendo e ho ancora molte faccende da sbrigare”.
“Cosa? Come dite?”.
Babbo Natale sorrise ancora e ciò bastò a farmi capire ciò che stava accadendo. Il potere della Strega aveva ormai i giorni contati.
“Segui il corso del fiume” disse l’uomo levandosi in piedi e avviandosi verso la slitta che lo attendeva a pochi metri da noi. “Ti porterà da Aslan”.
“Lo farò, è una promessa!” assicurai io.
“Buona fortuna, Cate Mantis. E buon Natale!” mi salutò lui levando il braccio.
Io lo salutai a mia volta mentre la slitta partiva a tuta velocità nella neve, il tintinnio dei campanelli assicurati al dorso delle renne risuonò allegro nella foresta rimasta silenziosa troppo a lungo.
Mi sentivo improvvisamente più forte e consapevole, un profondo senso di pace e di gioia mi pulsava dolcemente nel petto, cancellando per sempre qualsiasi forma di dolore e rabbia. Ecco, la magia era tornata nella mia vita. La mia preghiera era stata esaudita. Levai il capo sulle chiome degli alberi alti come cattedrali, sfiorando i loro tronchi ruvidi e sentendo la loro anima antica sussurrarmi dolce e rugosa allo stesso tempo sotto le dita. Ero di nuovo lì, in quella foresta magica che avevo tanto sognato in un tempo lontano che credevo di non ricordare più.     
 
 So già che tutte le fan di Edmund saranno molto deluse da questo capitolo, ma purtroppo al momento il ragazzo è in stato di grave incoscienza a cusa della brutale aggressione di La_la e quindi non sifarà vedere fino al prossimo capitolo (tanto il bello deve ancora venire!).

In ogni caso, in questo capitolo Cate comincia a rendersi conto di avere dei sentimenti e ne paga le conseguenze (forza, piccola, resisti!) e allo stesso tempo comincia a entrare a far parte di quel mondo che finora le è stato completamente ostile.

Vi ringrazio tutti del sostegno, ci vediamo al prossimo capitolo! Baci <3

Sunny



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

   
 
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