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Autore: Darik    13/02/2011    3 recensioni
A Neo-Tokyo 3 arriva un nuovo pilota, che darà il via ad una serie di grandi cambiamenti nella vita dei nostri.
In un graduale e continuo crescendo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rewriting of Evangelion'
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6° CAPITOLO

Qualcosa stava cambiando.

Da quanto tempo si trovava lì?

Da circa sei mesi.

In una vuota cella dalle pareti bianche.

Perché si trovava lì?

Questo invece non sapeva dirlo ancora con certezza.

Sapeva che gli uomini in camice bianco lo avevano sbattuto lì dentro per qualcosa che lui aveva fatto.

Anche se non sapevano che era stato lui.

Chi era lui?

Non poteva dirlo.

Continuava a ricordarsi di non aver mai avuto un nome o informazioni sul suo passato.

Chi lo aveva rinchiuso lì?

Questo lo sapeva da tempo.

Chi lo aveva creato.

Deluso dal risultato finale, qualunque fosse.

Sarebbe uscito da lì?

Sentì che le possibilità aumentavano.


“Ehi guarda, si è mosso” disse lo scribacchino indicando lo schermo.

Il controllore del monitor, di ritorno da una seduta in bagno, non sembrò sorpreso. “Sì, è allora? Non è un mistero che sappia muoversi”.

“Ma tu sai che finora quando stava seduto, era sempre immobile. E ora sta guardando… verso la telecamera. Però è nascosta!”

“Ti preoccupi troppo. Dovresti semmai essere contento di avere qualcosa di nuovo da scrivere sul tuo rapporto”.

Lo scribacchino si strinse nelle spalle e riprese a scrivere uno dei suoi tanti rapporti.

Si fermò un attimo a contemplare lo schermo, poi riprese il suo lavoro.

Gli era parso per un momento che la figura ripresa dalla telecamera avesse sorriso per un istante.

****

“…. e fu cosi che la località in cui abitavo venne distrutta del Second Impact”.

Il professore sembrava davvero un disco rotto: quante volte aveva ripetuto la storia della sua vita nel periodo del Second Impact?

Cosi tante volte che persino Mana, pur trasferitasi da poco, sentiva la tentazione di sbadigliare ogni minuto.

Diede un’occhiata distratta alla classe: erano tutti chiaramente presi da altri pensieri, che nulla centravano con la lezione.

Comunque erano costretti a fingere un minimo d’interesse.

Tutta un’altra storia la sua vecchia classe in America: talmente scalmanata e agitata che il professore di turno era ben lieto di lasciare che la maggior parte degli alunni si rifugiasse in bagno o nel cortile a fare chissà che, accontentandosi di avere un gruppetto di alunni più diligenti che ascoltavano la lezione.

Mana era in quel gruppetto, ma adesso, davanti alla monotonia di lezioni che non c’entravano nulla col programma, provava nostalgia per il caos dei suoi ex-compagni.

La ragazza spostò lo sguardo sul trio Suzuhara-Aida-Horaki: i tre erano impegnati, rispettivamente, a cercare di non addormentarsi, a guardare sul PC roba militare e a tentare di non far addormentare Toji dandogli qualche piccola gomitata.

Mana guardò i suoi tre ‘colleghi’: Ayanami osservava fuori dalla finestra, Asuka picchiettava sul banco con una matita e Shinji sembrava perso nei suoi pensieri.

C’era davvero da sperare che il resto della giornata fosse migliore.


“E’ gelida!” gridò Mana sotto un getto di acqua freddissima.

Tra l’altro l’acqua usciva con tale violenza che anziché bagnare, si doveva dire che colpiva.

Quando la dottoressa Akagi aveva detto loro che sarebbero stati sottoposti a un test diverso dal solito, l’interesse del Fourth Children si era ridestato.

Ora l’interesse stava diventando preoccupazione: per quale motivo si stavano facendo una raffica di docce in quelle condizioni?

Li avevano ficcati tutti e quattro in delle cabine, separate da un pannello che lasciava intravedere solo la testa e i piedi di chi stava affianco.

Ed erano pure nudi.

La richiesta di poter indossare almeno un costume era stata rifiutata.

E Mana aveva Shinji, anche lui piuttosto a disagio, alla sua destra, per cui cercava di dargli le spalle.

Finalmente il ciclo di docce terminò.

“Ecco, ora sono come volevate. Pulita e lavata per ben diciassette volte!” grugnì Asuka alquanto seccata.

Da un altoparlante invisibile giunse la voce della dottoressa Akagi: “Bene. Ora entrate cosi come siete negli Entry Plug”.

“Cheee?!” esclamò sbalordita Asuka.

“Non preoccupatevi, il monitoraggio visivo verrà spento, la vostra privacy sarà rispettata”.

“Non è questo il punto! E’ una questione di sensazioni!”

“Scopo di questo test è analizzare la sincronia senza la presenza di Plug Suit o indumenti”.

“Asuka, è un ordine” intervenne Misato sempre tramite l’altoparlante.

“Uffa! Non guardate per alcun motivo!” ordinò la tedesca.

E la telecamera che li riprendeva si spense.

Davanti a loro si aprirono delle porte scorrevoli, oltre le quali si vedevano i portelloni d’ingresso spalancati per gli Entry Plug.

“Ehi Mana, sei nervosa?” chiese Shinji guardando davanti.

“Un po’. Fare un test in queste condizioni…”

“E’ vero, è piuttosto imbarazzante. Una condizione del genere rende difficile entrare nella capsula, forse anche più dell’affrontare un angelo”.

“Eheh, hai ragione”.

“Piantatela con questi discorsi! Entrate e basta!” gridò Asuka, che stava affianco a Shinji.

“Sì, non preoccuparti. Volevo solo alleggerire la tensione di Mana” spiegò il giovane.

“Cosa?! E da quando sei il suo baby sitter?!”

“Non sono il suo baby sitter” replicò indispettito Shinji “E ti pregherei di non essere cosi isterica”.

“Isterica?! Chi sarebbe isterica?! Brutto idiota, ora ti…”

Presa dal furore, Asuka si appoggiò sul bordo superiore del pannello divisorio e si sporse in avanti per picchiare Shinji.

Che in un istante divenne più rosso di un pomodoro.

Asuka prima lo squadrò, poi inarcò un sopraciglio, guardò in basso e divenne rossa anche lei.

“Arghhh!!! Non guardarmi il seno, maniaco!!”

Sporgendosi il più possibile in avanti, Asuka cercò di colpire il ragazzo, che spaventato indietreggiò e istintivamente si girò per scappare.

“Shinji, attento!” gridò Mana sporgendosi anche lei per aiutare il ragazzo.

Asuka colpì l’aria, e a causa dello slancio cadde nella cabina del Third Children.

Si risentì di nuovo l’altoparlante. “Ma che sta succedendo lì?!”

Misato e Ritsuko avevano sentito le grida attraverso il collegamento radio, e volevano vederci chiaro.

Specie Misato, la quale rimase a bocca aperta quando il monitoraggio si riattivò.

Per quale motivo Shinji, appoggiato di petto sulla parete sinistra della sua cabina, stava con la faccia tra i seni di Mana, rimasta pressoché immobilizzata?

E perché Asuka, che ora li fissava con occhi quasi spiritati, stava nella cabina di Shinji?

Shinji si allontanò da Mana spaventato e sorpreso, scivolò sul pavimento bagnato e cadde addosso ad Asuka.

Dalla padella nella brace.

“Stupido! Me la paghi! Oh se me la paghi!” urlò Asuka.

“Non l’ho fatto apposta! Mi sono girato e Mana stava lì! No Asuka! I capelli no!” implorò Shinji.

“Avevi predisposto tutto, vero?! Dannato maniaco! ARGHHHH! Ti si è pure ingrossato!!! Porco! Maniaco!! Idiota!!!” strillò Asuka.

Invano Shinji chiedeva pietà, e che fossero risparmiati nell’ordine: il suo collo, la sua testa, le sue mani, il naso, le orecchie, le gambe e la schiena.

Mana stava rannicchiata nella sua cabina, coprendosi il petto con le mani.

Rei osservava un po’ accigliata il tutto.

Misato invece si sedette e ordinò a Makoto Hyuga di andarle a prendere una birra.

“Però maggiore, lei è in servizio” obbiettò l’operatore.

“Una birra!” ordinò la donna esasperata “O tra poco andrò lì dentro e sculaccerò Shinji e Asuka fino al giorno del giudizio!”

Ritsuko invece decise di riportare l’ordine, sapeva essere più autoritaria di Misato.

Prima però doveva smettere di ridere.


Quando tutto finì, i danni per Shinji non erano ingenti, solo qualche livido.

Quindi si poteva proseguire con l’esperimento.

Tuttavia sia Asuka sia Mana cercarono sempre di evitare lo sguardo di Shinji, il quale evitava il loro, quindi guardava sempre davanti.

Con i piloti nelle capsule, quest’ultime furono inserite nei meccanismi di simulazione, in pratica degli Evangelion ridotti al tronco e alle braccia.

Iniziò l’esperimento, e Mana si sentì strana: come se il suo corpo fosse intorpidito.

Dai commenti che sentiva via radio, sembrava che anche i suoi tre compagni provassero sensazioni simili.

Il fatto che si fosse proseguito col test sembrò una cosa buona per la ragazza: dovendo pensare alla sincronia, poteva distrarsi dall’incidente di poco prima.

Improvvisamente un formicolio le investì il braccio destro.

“Ehi, che diavolo succede?!” esclamò Mana cominciando a grattarsi.

Quel formicolio era fortissimo, sembrava che un esercito di formiche stesse passando sul suo braccio.

E ora quell’esercito inesistente si stava spostando sulla spalla. Poi sulla schiena. Il collo. La testa. Tutto il corpo!

E non si limitava alla superficie della pelle, era come se qualcosa stesse penetrando dentro di lei!

Mana gridò.

Cominciò a dimenarsi, e anche quello che aveva intorno tremava e si agitava come se fosse preda di spasmi.

Il tempo sembrò fermarsi: dopo la sorpresa, il dolore e la paura, arrivò un fortissimo torpore.

Le ultime cose che Mana udì furono una sirena d’emergenza, un ordine di espulsione e poi suoni indistinti.

Infine fu tutto buio e silenzio.


“Mmm, questa è una vera novità!” commentò Rioji Kaji stando sul letto di un ascensore e guardando verso l’alto.

Quando la sirena dell’allarme era scattata, aveva temuto che qualcuno lo avesse scoperto.

Tuttavia dopo aver visto quegli strani bagliori rossi sulla sommità dell’immenso pozzo del Central Dogma, aveva capito che si trattava di qualcosa di ancora più pericoloso del suo mestiere triplogiochista.

“Cosi quello sarebbe un angelo. Be, questo non è il momento di pensare al lavoro”.

Le paratie blindate avevano cominciato a uscire dalle pareti: in una decina di secondi avrebbero chiuso il pozzo in tanti segmenti sigillati ermeticamente.

Ed era meglio non farsi trovare in uno di questi segmenti.

Gli ascensori, che salivano e scendevano a spirale lungo le superfici del pozzo, erano bloccati.

Quindi Kaji saltò giù, verso uno degli ingressi del Dogma, prima che fosse chiuso da un’altra paratia.

Atterrò senza problemi e corse via: finita l’emergenza, gli conveniva spostarsi in un luogo tranquillo.

Sempre ammesso che nel frattempo non si fosse scatenato il Third Impact.

Mentre correva dando le spalle alla paratia, l’uomo udì un clang sospetto dietro di lui.

Si girò e non vide nessuno.

Ebbe solo l’impressione che la paratia si stesse chiudendo con qualche secondo di ritardo rispetto alle altre, nonostante fossero tutte perfettamente sincronizzate.

Ma era solo un’impressione, quindi riprese a correre.

****

Stati Uniti (10 anni prima)

Nella cucina c’era solo una persona, una donna, impegnata a cucinare.

La cucina era molto semplice, come il resto della casa: una villetta in legno circondata da distese di campi coltivati e prati.

C’erano anche delle collinette.

E una stava proprio affianco alla villetta.

La donna era sulla trentina, con un viso gradevole ma normale, i capelli castani raccolti in una piccola coda di cavallo. Aveva le mani affondate in un pasticcio di carne.

Una donna più anziana si affacciò alla porta. “Emiko, tutto bene?”

“Certo, mamma. Ormai sono grande e so cucinare da sola” osservò Emiko senza togliere gli occhi dalla carne.

“Abbi un po’ di rispetto per tua madre. Volevo solo sapere se ti serviva aiuto”.

“Ti ringrazio per il pensiero, mamma, ma non mi serve aiuto. So cucinare dei pranzetti come si deve. Chiedi ai miei figli e a mio marito”.

“A proposito di tuo marito Koichi, come mai non è qui con noi?”

“Arriverà domani. Lo sai, lui è un volontario per la donazione del sangue. La guerra è finita da poco, finalmente stiamo tornando alla normalità dopo quel dannato Second Impact, ma i danni sono ancora ingenti. E se Koichi può aiutare qualcuno col suo sangue non si tira certo indietro” spiegò Emiko prendendo del prezzemolo.

“Oh, hai ragione. Ricordo quella volta in cui tornò pallido come un morto. Chissà quanto sangue aveva donato in quei giorni” rammentò l’anziana.

“Decisamente troppo! Al punto che il nostro medico lo mise a riposo. E meno male che non si è dedicato al volontariato nelle zone disastrate. Altrimenti non lo avremmo più visto per anni”.

Detto questo, Emiko rimase turbata.

“Cioè, non volevo dire che aiutare gli sfollati è sbagliato, ho fatto anch’io volontariato. E’ che…”

“Ami tuo marito e lo vuoi anche per te e la famiglia. Lo so, lo so. Parole equivoche possono scappare a tutti. Cambiamo discorso, va bene? Dove sono i ragazzi?”

“Miwako e Koji stanno giocando nel fienile. Mana è nel soggiorno che guarda la televisione. E papà dov’è?”

“Sulla collinetta che armeggia con quel vecchio trattore. Quante volte gli ho detto di cambiarlo. Ormai è andato, soprattutto i freni” rispose la madre di Emiko.

In quel momento le due donne udirono un grido lontano, poi una specie di forte rombo, anch’esso lontano ma che si faceva sempre più vicino e minaccioso.

“Ma…. Ma che succede?! Un terremoto?!” domandò angosciata Emiko.

“Figliola, l’America non è zona sismica come il nostro Giappone” rispose l’anziana.

Ci fu come uno schianto, un rumore di lamiere, e contemporaneamente il rombo terminò.

“Veniva dal soggiorno. Mana!!” gridò Emiko terrorizzata andando nel salotto.

Col cuore in gola entrò nella stanza: era intatta. Mana stava seduta per terra, intenta a guardare la tv e sembrava non essersi accorta di nulla.

“Mana! Tesoro! Tesoro mio!” esclamò Emiko prendendo la piccola e abbracciandola.

Mana non capì il perché di quell’abbraccio, ma ne fu comunque felice e ricambiò circondando il collo della madre con le sue piccole braccia.

Un uomo anziano piombò nella stanza: “State tutti bene?!”

“Papà” rispose Emiko “cosa diavolo è successo?!”

“Io… venite a vedere” disse l’uomo facendo cenno alla figlia e alla moglie di seguirlo.

Tutti uscirono e rimasero bloccati davanti a quella vista: vicino alla parete del soggiorno c’era un grosso e vecchio trattore ribaltato su un lato.

Il fianco destro della parte anteriore era tutta piegato, quasi accartocciata su se stessa.

“Questo dannato trattore! Lo avevo parcheggiato sulla cima della collinetta. Il tempo di andare giù al capanno per prendere un attrezzo, esco e vedo che il trattore è scomparso.

Sento un rombo, capisco che il freno si è rotto nuovamente e il trattore sta scendendo come in picchiata verso la casa. Corro, grido, faccio il giro della collinetta e lo trovo ribaltato! Un attimo prima di piombare nel soggiorno! Incredibile!” spiegò il padre di Emiko.

La moglie prese a rimproverarlo per la sua stupidità nel voler usare ancora quel vecchio arnese.

Emiko guardò il trattore ribaltato: non sapeva spiegarsi come avesse fatto a capovolgersi ad appena un metro dalla casa. Sulla sua strada non c’erano ostacoli di alcun genere. E un simile bestione non può certo sobbalzare molto.

La logica avrebbe voluto che piombasse sulla casa, sfondasse come niente la parete e irrompesse nel soggiorno, schiacciando la piccola Mana.

Ma non era successo.

E questa era in fondo la sola cosa che importava.

“Sei davvero una piccola miracolata” disse dolcemente Emiko alla figlia baciandola su una guancia.

****

Mana aprì lentamente gli occhi.

Sentiva intorno a se delle voci indistinte, molte luci.

Qualcosa era davanti a lei, l’immagine era sfocata.

Poi mise a fuoco meglio: era Misato.

“Meno male che ti sei ripresa” le disse il maggiore sorridendo.

“Cosa… cosa è successo?” domandò la ragazza guardandosi attorno.

Era su una barella, coperta da un lenzuolo.

“Un angelo” rispose Misato “non sappiamo come, ma è penetrato nella base. Per fortuna l’abbiamo sconfitto, con un tipo di battaglia poco convenzionale.”

Mana mugugnò qualcosa, poi si ricordò un particolare: durante l’esperimento era nuda!

Si alzò di scatto avvolgendosi intorno il lenzuolo.

“Sta tranquilla” le disse allora Misato mettendole le mani sulle spalle “ho pensato anche a questo. Il vostro recupero lo sta eseguendo il personale femminile”.

Solo allora Mana si accorse che, in effetti, intorno a loro c’erano soltanto donne.

Erano donne anche gli occupanti di tre motoscafi che si stavano dirigendo verso gli Entry Plug galleggianti nel mezzo del lago sotterraneo del geo-front.

“Vanno dai tuoi compagni. Le capsule le recupereranno dopo con una gru” spiegò ancora Misato.

“Davvero? E perché la mia capsula l’avete recuperata per prima?” domandò Mana.

“Non l’abbiamo recuperata. La tua capsula, con te dentro, era già sulla riva del lago. L’avrà spinta la corrente”.

“Ah” mormorò il Fourth Children.

  
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