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Autore: corpoestraneo    04/01/2006    5 recensioni
Prima del Golden Trio e dei Marauders, c’è un’altra storia. La storia di un amore impossibile. La storia di un vecchio e di una bambina. La storia di due professori. La storia di Albus e Minerva. AD/MM
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Erano passate quasi quattro settimane da quando Albus e Minerva erano diventati quasi-ufficialmente una quasi-coppia e gennaio stava per giungere al termine.

Una fredda sera, mentre Albus era fuori con alcuni professori, impegnato in un importantissima riunione su Grindelwald, Minerva si era ritrovata sola nelle piccolo appartamento di Dumbledore, nell’ala ovest del castello.

Era raggomitolata sul divanetto davanti al camino, mentre cercava di leggere una copia di “Trasfigurazione Oggi”, ma per quanto si sforzasse, le parole le sfuggivano da sotto gli occhi, e lei non riusciva a coglierne il senso. Una morsa di pena le attanagliava lo stomaco, come ogni volta che Albus la lasciava per andare a tenere delle riunioni o per dei giri di ronda attorno al castello. Lui non la lasciava mai venire, diceva che era troppo pericoloso, che lei significava il mondo per lui, che… Minerva era stanca di sentirsi messa da parte solo per la sua incolumità, solo perché era giovane e magari, inesperta. Lei voleva semplicemente stargli accanto.

Chiuse la rivista e si alzò per sbirciare fuori dalla finestra, facendo quasi cadere la tazza di cioccolata calda che Albus le aveva preparato prima di uscire. Non ne aveva bevuto nemmeno un sorso, il solo odore le dava la nausea.

Scostò le tendine ricamate. Nessun segno della presenza di qualcuno ai cancelli del castello, né nel giardino. Minerva lasciò la tenda, sospirando rassegnata. Forse quella notte avrebbe dovuto addormentarsi da sola.

Mentre ripercorreva a grandi falcate la breve distanza che portava dal divano alla finestra, un debole toc-toc dietro di lei la fece sobbalzare.

Girandosi, vide che un grande gufo grigio la scrutava con occhi curiosi da dietro il vetro.

Minerva riconobbe immediatamente quell’animale. Era Charles, il gufo domestico di suo padre.

A qualche chilometro di distanza, in una piccola cantina stantia del puzzo di chiuso e di muffa, Albus Dumbledore, Armando Dippett e altri due maghi stavano discutendo animatamente, molto animatamente.

“QUATTRO! QUATTRO MORTI!” esclamò Dippett, battendo il pugno sul tavolo, che scricchiolò pericolosamente.

“Armando, sono sicuro che…” borbottò un uomo tarchiato alla sua destra.

“Di cosa sei sicuro Julius? Sicuro che prima o poi smetterà?” tagliò corto Dumbledore, portandosi avanti sul tavolo, le lunghe dita intrecciate davanti a sé.

“Non intendevo dire questo. Ma quest’uomo si è dimostrato molto più forte di quanto tutti noi avessimo osato immaginare…” rispose l’uomo che si chiamava Julius, scotendo leggermente la testa, mentre si lasciava cadere sullo schienale della sua sedia.

“Sabbiamo ben poco su di lui, e quel che sappiamo non può tornarci utile...” continuò un altro uomo, dalla corporatura longilinea e anche se era seduto sembrava molto alto.

“Si, John” concordò Dippett, massaggiandosi le tempie “Cosa consigli, Albus?”.

Dumbledore scrutò attentamente le persone all’interno della stanza, prima di parlare. Il suo sguardo si soffermò sul giovane uomo che aveva parlato prima di Dippett. Un certo John Navarre. Per qualche motivo, Navarre non gradiva la sua presenta nella stanza, e lui poteva intuirlo, come poteva intuire il puzzo di bruciato quando la mattina, molto assonnato, faceva involontariamente bruciare le uova per Minerva.

Minerva.

Le aveva promesso che sarebbe tornato presto.

“Direi che per questa notte abbiamo fatto abbastanza” sorrise lui, alzandosi dal tavolo.

E nessuno dissentì.

Mentre Dumbledore si infilava il mantello per prepararsi a tornare al castello, il preside Dippett lo prese da parte.

“Albus, dobbiamo parlare” disse l’uomo, lanciandogli uno sguardo che non poteva permettere nessuna replica.

“Cosa, Armando?” chiese Dumbledore distratto. Sperava di sbrigarsela velocemente con il vecchio preside.

Dippett condusse Dumbledore fuori dalla cantina, che dava su un locale pieno di fumo e di gente leggermente brilla.

I due aspettarono che Julius e Navarre uscissero del locale, prima di accomodarsi ad un tavolino.

“Dimmi…” fece Dumbledore, leggermente impaziente. Era seccato dal fatto che Dippett l’avesse trattenuto, quando avrebbe potuto dirgli quello che doveva dirgli quando erano giù in cantina, perché era sicuro, anzi era certo, che quella cosa riguardava Grindelwald.

“Albus…temo che ci siano delle spie”.

“Cosa?”

“Hai capito bene” disse Dippett, guardandosi attorno, sperando che non ci fosse nessuno che udiva la loro conversazione.

“Sospetti di qualcuno?” chiese Dumbledore, improvvisamente preoccupato e cupo.

Dippett scosse la testa. “Nessuno. Vorrei incontrarti domani mattina presto nel mio ufficio”.

Dumbledore annuì e si alzò, dirigendosi verso la porta.

Camminò il più velocemente possibile, cercando di non considerare il turbinio di pensieri che in quel momento lo tormentavano.

Aprì la porta dei propri alloggi, stupendosi del fatto che le luci erano spente e non c’era Minerva a leggere sulla sua poltrona preferita.

“Minerva?” sussurrò lui, pensando che si fosse addormentata. “Minerva?!” chiese un'altra volta, alzando la voce.

“Sono qui…” rispose una voce rauca accanto alla finestra.

Dumbledore si inginocchio accanto a lei. Minerva era fuori di sé. Tremava di rabbia, stringendo i pugni convulsamente, il volto livido, le guance rigate dalle lacrime.

“L’ha fatto” rispose, evitando lo sguardo preoccupato di Albus.

Dumbledore mise due dita sotto il mento della donna, costringendola a guardarlo.

“Ha fatto che cosa, cara?” chiese lui, usando un tono dolce e amorevole, che riservava solo a lei.

“Oh Albus!” esclamò lei, lanciandogli le braccia al collo, seppellendo il volto nell’incavo del collo di lui.

“Mi ha dato in sposa al conte Navarre”.

In quel momento, Albus Dumbledore, pensò che la sua vita fosse finita.

  
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