Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: Lies_Of_My_Mind    13/02/2011    1 recensioni
[...] Un ragazzo, ormai quasi uomo, camminava tra le spighe di grano tremando dal freddo e dalla paura mentre la notte incominciava ad intravedersi.
I suoi passi erano svelti e ampi ma le gambe tremavano come foglie al gelo e gli occhi guizzavano in ogni dove per poter captare anche solo l’ombra di un pericolo invisibile ed inaspettato.
Era il momento peggiore per intraprendere una scampagnata in un posto come quello ma ogni cosa di quell’uomo lasciava capire perfettamente che egli non si trovava in quel luogo per propria volontà. [...]
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Not demons. Not spirits

Just a lady…

 

 

 

 

 

Il sole stava calando.

Lento, inesorabile, qualcosa che non si poteva fermare, il cielo rosso ed oro andava via, via incupendosi e le tenebre continuavano la loro avanzata coprendo mano a mano sempre più la volta celeste.

Un castello nero corvino si stagliava alto ed imponente gettando la propria ombra massiccia sui campi di grano secco che si allargavano tutto intorno.

La pietra umida, che formava ogni muro ed ogni torre di quel palazzo antico, sembrava quasi ricoperta di una coltre di vapore che ne sfumava i contorni lasciando intravedere solo una forma ambigua e inquietante.

Un ragazzo, ormai quasi uomo, camminava tra le spighe di grano tremando dal freddo e dalla paura mentre la notte incominciava ad intravedersi.

I suoi passi erano svelti e ampi ma le gambe tremavano come foglie al gelo e gli occhi guizzavano in ogni dove per poter captare anche solo l’ombra di un pericolo invisibile ed inaspettato.

Era il momento peggiore per intraprendere una scampagnata in un posto come quello ma ogni cosa di quell’uomo lasciava capire perfettamente che egli non si trovava in quel luogo per propria volontà.

Le gambe lo avevano portato fin lì, quasi senza il suo permesso, come attratte da qualcosa di sovrannaturale, quasi mistico e così tremendamente spaventoso. Eccitante.

Ed ora, quelle stesse gambe così temerarie di giorno, tremavano convulsamente facendolo quasi cadere, ma decise a portare a termine quel viaggio in una marcia solenne all’apparenza sicura e determinata, ma che nascondeva terrore puro.

Come per uno strano scherzo del destino si ritrovò nel giro di qualche secondo dinnanzi al portone di legno scuro e marcio. Due battenti di ferro massiccio si mostravano terribili al visitatore che avrebbe dovuto usarli per aprire le porte del proprio inferno personale.

Poggiò le mani, intorpidite dal gelo, sul legno umido spingendo con poca convinzione fino a che non si spalancarono, accompagnate da un’orchestra di cigolii e rumori sinistri.

Un film dell’orrore probabilmente sarebbe stato meno terrificante.

Con passi indecisi si addentrò nell’ingresso buio e desolato facendo il minimo rumore. Tende nere di velluto pesante coprivano, come le coltri di un defunto, le finestre sudice lasciando entrare pochi spiragli di luce fioca e rosata del tramonto.

Mobili antichi di legno scuro impreziosivano la sala, quasi del tutto vuota, dandogli un aspetto di un non totale abbandono.

Le pareti, spoglie da qualsivoglia decorazione, mostravano piccole crepe in ogni dove che andavano ad incontrarsi in un unico punto. Sopra un pianoforte. Quasi come fatte apposta per poter portare l’attenzione del visitatore su quell’oggetto prezioso, perfettamente pulito e splendente.

Sembrava provenire da un universo parallelo a qual castello che al contrario era sporco e umido.

Vi si avvicinò quasi a toccarlo così da poter notare che i tasti di legno erano leggermente lisi come se fossero stati usati da moltissimo tempo e venissero ancora adoperati abitualmente.

Era possibile, perciò, che vi fosse qualcuno in quel posto. Possibile che qualcuno vi abitasse perfino?

Una rampa di scale si arrampicava, con curve circolari perfette, attorno ad un possente pilastro di pietra più chiara rispetto all’edificio.

Sui gradini vi era un tappeto di velluto rosso carminio che abbracciava morbidamente ogni ansa e spigolo della pietra accompagnandola fino al piano superiore come un premuroso amante.

La decisione di salirvi era azzardata, pericolosa e decisamente sciocca, ma ormai la curiosità stava logorando il cuore e l’anima di quel giovane uomo che ancora non sapeva cosa aspettarsi da quel luogo.

Il rumore dei suoi passi era come tante grida soffocate. Grida disperate che non trovavano sollievo se non contro una superficie morbida come il velluto, incapace di dargli conforto.

Le scale sembravano non finire mai, quasi sollevarlo da terra il più possibile così che la caduta fosse ancora più dolorosa.

Finalmente una piccola porta di legno rosso scrostato gli apparve davanti. Nella toppa vi era una piccola chiave argentata con un nastro di seta nera legatovi attorno.

La girò due volte e la porta si aprì, questa volta senza il minimo rumore, come volesse essere complice di quell’intrusione inappropriata.

La oltrepassò indeciso per poi girarsi e afferrarla per poterla riaccostare, ma qualcosa la fece chiudere di botto, sempre silenziosamente, facendo poi girare le chiavi due volte dall’altra parte del legno.

Il cuore dell’uomo ormai batteva come le ali di un colibrì impazzito, facendogli girare la testa e provare un leggero senso di nausea.

Non c’era speranza, andare avanti e cercare una via d’uscita tra quei corridoi bui era l’unica cosa che potesse fare.

Fece un passo e le torce che si trovavano sulle pareti di un azzurro tenue si accesero proiettando ombre ambigue su tutto il pavimento.

Come demoni che combattevano instancabilmente una guerra già persa, lo accompagnarono fino ad un’ennesima porta nera, leggermente socchiusa, che lasciava passare qualche spiraglio di luce.

La spalancò, stanco di quel viaggio in quell’inferno personale, che ormai era durato anche troppo.

Vi entrò, deciso e gagliardo, guardandosi attorno, pronto ad affrontare qualsivoglia creatura demoniaca o spirito maligno che avesse provato ad ostacolare la sua fuga da quel luogo.

Lo stupore si impossessò di lui con la velocità e la forza di un ciclone lasciandolo leggermente stordito e confuso.

Non vi erano né creature demoniache né spiriti maligni in quella stanza, nulla di ciò di cui si era preparato ad affrontare alloggiava in quella dannata stanza.

Solo una finestra, da cui entrava la luce della luna che era appena sorta, un cassettone di cedro scuro con grossi pomelli d’ottone e un letto.

Un enorme baldacchino di ferro battuto alloggiava impertinente al centro della stanza, lenzuola di seta rosso sangue avvolgevano uno spesso materasso dall’aria morbida e comoda e cuscini neri, dall’aria altrettanto invitante sorreggevano il capo di una splendida fanciulla.

Una fanciulla.

Nessun demone o diavolo. Solo una fanciulla.

Giaceva tra le coperte addormentata, come un angelo fra i propri crini corvini, ricci e setosi che le circondavano il capo sparpagliati sui cuscini morbidi.

La pelle lattea era troppo bella anche solo da guardare, le palpebre chiuse coprivano quelli che dovevano essere superbi occhi grandi mentre le ciglia le accarezzavano la parte superiore delle guance pallide.

Le si avvicinò continuando a fissare quel volto meraviglioso, quel naso così perfetto e longilineo, quelle labbra rosse e carnose che sembravano fatte per essere baciate e quelle piccole orecchie regali abbellite da piccoli smeraldi luccicanti.

Con le gambe sfiorò le coperte del letto.

Si piegò un poco per ammirarla meglio fino a quando non decise di sedersi accanto a quell’angelo corvino.

Appoggiò un avambraccio accanto al suo volto per poi portare l’altra mano fino alla sua guancia così da poterla sfiorare.

Era così fredda che quasi tirò via la mano, ma qualcosa lo fece desistere continuando ad accarezzare quel meraviglioso viso.

Sentì qualcosa muoversi e spostò lo sguardo verso le mani di lei notando che una di esse si stava muovendo. La vide portarla fino alle sue mani andando a circondare con le sue dita, candide ed affusolate, il suo polso.

Alzò gli occhi fino ad incontrare quelli di lei, scuri come il petrolio. La pupilla era quasi impossibile da vedere. Lo spaventarono tremendamente. Quegli occhi ebbero il potere di terrificarlo e congelarlo sul posto.

L’unica cosa che riuscì a fare fu cercare di portare via il polso dalle sue grinfie con uno scatto fulmineo, strattonando disperatamente il braccio, ma invano.

La vide sorridere, malignamente, avvicinando il suo polso alla bocca senza il minimo sforzo come se lui, a suo confronto, fosse un insetto insignificante e debole.

Improvvisamente spalancò la bocca lasciando che la luce lunare illuminasse i canini spropositatamente allungati ed aguzzi, che spuntavano fra le labbra, facendoli brillare come lame affilate.

Un dolore lancinante gli attraversò il petto, poi la schiena ed infine la testa quando la vide penetrargli la carne del polso con quelle due piccole lame bianche, ma affilate come rasoi.

Quando iniziò a succhiargli via il sangue la stanza iniziò a girare, o forse era lui a girare, davvero non avrebbe saputo dire.

Tutto iniziò a divenire buio. Tutto iniziò a sfumare e a divenire sempre meno chiaro e sempre più ambiguo ed indefinibile. La stanza girava ancora ed ancora facendo sì che lui non vedesse più nulla.

 

Tutto divenne buio. Buio come il cielo che tetro ed impaziente aspettava la sua anima.

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Lies_Of_My_Mind