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Autore: Piccola Ketty    15/02/2011    2 recensioni
Autoscuola.
Un istruttore bellissimo, dieci anni più grande della sua allieva.
Kate e Mirko.
Una storia strana, un gioco di sguardi che porterà tutti e due in un vortice chiamato amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I breathe your moments




un piccolo pensierino..



8.
 
Mi fermai per respirare, cercando di mantenere la calma e di non piangere.
Tutto inutile, ormai era ovvio che non sarebbe potuto succedere nulla se non una bellissima notte.
Melanie non poteva avere ragione, non poteva succedere come nelle favole, purtroppo la realtà era davvero troppo diversa.
“Che succede?”, mi domandò mettendosi di fronte a me.
“C’è che sono confusa. C’è che ho paura che un giorno, tu arrivi e mi dici “ehi bella, ciao io ho trovato una donna matura che mi darà quello che cerco””.
Le lacrime scendevano silenziose, lasciandomi le labbra umide e le guancie rigate.
“No, non puoi pensarlo davvero”, si passò una mano tra i capelli, “cioè, ti ho già detto che non succederà. Non capisco perché continui ad insistere..”.
“Perché guarda, guarda me, e guarda te. A parte l’aspetto, io non ho altro da darti..sono una ragazzina”.
Scoppiai completamente, abbracciandomi la vita e sperando di sprofondare davvero in un abisso fatto di silenzio.
“Stai scherzando? Pensi che io mi stia innamorando soltanto del tuo fisico?”, la voce aspra, arrabbiata.
Rimasi spiazzata dalla parola che usò, per definire quello che provava.
Io non lo avevo mai detto ad alta voce, avevo sempre tappato il tutto con una semplice cotta. Eppure lui aveva avuto più coraggio di me. Ovviamente.
“Io non lo so. So solo che tu sei un uomo, ed io non potrò darti quello che cerchi..”.
“Tu pensi che io affretterei i tempi, solo perché sono più grande? Che non avrei pazienza, per aspettare te, invece, che voglio vicina?”, si era distaccato, guardandomi severo.
“Anche ora, vedi? Io mi comporto da ragazzina, e non l’ho mai fatto..non voglio che il mio comportamento, ti allontani..”, le lacrime presero a scendere più forti, costringendomi a coprirmi il viso per mantenere un minimo di reputazione.
“Forse sei tu, che temi che io non ti dia quello che cerchi tu, è diverso. Io sono più grande, è vero, ma ci sono coppie con molti più anni di differenza, e nove anni non sono tanti, se c’è sentimento. Quindi non venire a dare la colpa a me, perché prima di questa tua bellissima dichiarazione, ero l’uomo più felice del mondo”.
Rientrò nella scuola, lasciandomi li da sola.
Da sola, in mezzo ad una piazza deserta, con le mani davanti al viso e i singhiozzi chiari e forti. Mai stata tanto male, per un ragazzo..mai.
Ma non passò molto tempo. Uscì di nuovo, rimettendosi di fronte a me, ed abbracciandomi, nonostante le mie mani fossero davanti al mio viso.
“Mi dispiace”, dissi tra i singhiozzi.
La paura che lui potesse scappare, mi aveva fatto perdere la testa, riempiendomela di brutte immagini.
Ero davvero una ragazzina, ma non mi ero mai comportata in quel modo, nemmeno per le cotte più futili. E sicuramente, prima o poi si sarebbe stufato delle mie scenate.
“Non arriverà un’altra donna, non arriverà. Ed anche se dovesse arrivare, io non le permetterò di mettersi in mezzo a noi.
Non ti posso promettere che tutto andrà bene, ma ora come ora, io voglio stare con te. Sono io che mi devo preoccupare, non tu. Sono io che passerò per il maniaco, non tu..quindi, per favore, smettila di dire queste stupidaggini. Guardami negli occhi per favore”.
Alzai lo sguardo, incontrando il suo, ancora serio.
“Li vedi i miei occhi?”, mi domandò con un tono più calmo e morbido.
Li guardai più intensamente, perdendomi il quell’azzurro infinito. Annuii soltanto, reprimendo un singhiozzo.
“Guardali attentamente..non sono mai stati così accesi, e sei tu, che li rendi così. Sei tu che mi rendi felice. Tu, con la tua stupida convinzione di essere piccola, ed invece sei una donna bellissima e piena di carattere. Tu che continui a guardarmi con quegli occhi ingenui e non sai davvero, cosa potrei farti..tu, che invece di trovare in me, dei lati negativi, continui a darti colpe inesistenti. Voglio che tu capisca che ci sei tu qui”, prese la mia mano, appoggiandola sopra al suo petto, all’altezza del suo cuore, “e nessun’altra, ok?”.
Posò una mano sulla mia guancia, asciugandola dalle lacrime, accarezzandola con delicatezza.
“Oh Mirko”, mi buttai completamente tra le sue braccia, stringendo forte la sua maglia, e provando a strappare dalla mia mente le più terribili immagini.
Restai abbracciata a lui, finché i singhiozzi non scemarono, calmandomi e ritrovando la lucidità necessaria per capire che aveva ragione, che dovevo smetterla di farmi mille problemi, e di vivere serena la nostra storia.
Era nata da tanto poco, che non potevo permettere finisse immediatamente per dei miei capricci.
“Mi dispiace”, sussurrai, appoggiando una mano sul suo petto, “mi dispiace davvero per tutte le sciocchezze che ho detto prima. Non dubito affatto dei tuoi sentimenti, anzi..scusami, davvero”, alzai lo sguardo incontrando il suo, comprensivo e pieno di affetto.
“Non importa, ma mi devi promettere che non farai mai più certi pensieri..”, mi diede un bacio a fior di labbra, chiudendo gli occhi, “non ti fa bene, e non fa bene nemmeno noi..”.
Potevo prometterglielo? Volevo.
“Si, va bene..te lo prometto”.
“Ora entriamo, che inizia la lezione”, mi prese per mano, facendomi entrare per prima, tenendomi la porta.
Nessuno disse nulla, si limitarono a continuare il loro lavoro, mentre Mirko mi scortava fino al bagno.
“Grazie..”, sussurrai ancora scossa dalla crisi di nervi avuta poco prima.
Mi accarezzò il viso, lasciandomi entrare nel bagno, abbassando lo sguardo poco prima che chiudessi la porta. Mi sciacquai il viso, conscia che tanto avrei portato i segni di quel pianto per almeno due ore.
Avevo gli occhi arrossati, e le guancie, insieme al naso, completamente rossi.
Scrollai la testa, vergognandomi della magra figura che avevo fatto io, e che avevo fatto fare a lui. Quando ne uscii lui era già nella sua postazione, pronto per iniziare la spiegazione.
Era una delle ultime, ormai, poi ci sarebbero stati solo quiz, per chi voleva venire ugualmente.
Mi sedetti in un posto appartato, contro al muro, seguendo con attenzione.
Sapeva che non ero lì con la testa in quel momento, infatti mi lasciò nel mio cantuccio, tranquilla.
Lasciò uscire tutte le persone che erano dentro, poi si mise a sistemare i fogli, lanciandomi qualche sguardo apprensivo. Io mi preparai per uscire, avvicinandomi lentamente alla cattedra, sempre con la testa bassa.
“Va meglio?”, mi domandò con voce calda.
“Si, va meglio..ti chiedo ancora scusa, per aver dubitato di te..non avrei dovuto”, scossi la testa, stringendo la borsa contro il petto.
“Devi avere più fiducia in noi, come ne ho io..se già ora abbiamo questi problemi, figurati in futuro..”.
Futuro, lui parlava di futuro. Io rischiavo di rovinare il presente, e lui parlava già di futuro. Era perfetto, ed io lo stavo allontanando senza nemmeno rendermene conto.
“Però”, lasciò cadere le carte sul tavolo, girando la cattedra e posizionandosi davanti a me, “se tu non vuoi, se pensi che sia davvero troppo grande per te, me lo devi dire ora. Io mi farò da parte, come è giusto che sia, ok? Me lo devi dire ora però, non puoi lasciare che io mi avvicini sempre di più a te..non puoi..”, appoggiò la fronte contro la mia, cingendomi i fianchi.
“No, io..non lo so..ci devo pensare..non so più niente..”, rischiai di scoppiare di nuovo in lacrime, “non sono nelle condizioni per poter fare un discorso logico Mirko, scusami..”.
Ero confusa, lui era grande, ma io sentivo di volerlo, eppure c’era qualcosa che mi frenava, qualcosa che non mi faceva essere completamente me stessa.
Sospirò, spostandosi, e facendomi alzare il viso verso di lui.
“Prenditi tutto il tempo che vuoi”, non erano parole belle da sentirsi dire, non lo erano affatto.
Il suo viso con un’ombra di dolore, restò comunque solare, tranquillo. I suoi occhi non smisero di luccicare, nella luce della stanza, e le sue labbra, erano sempre lì, pronte per me.
“Mi dispiace”, gli dissi con le lacrime piene di dolore.
“Non ti preoccupare, io saprò cavarmela. Voglio soltanto che tu sia felice, solo questo. Fai ciò che ritieni più giusto per te stessa, non pensare a me, o a nessun’altro. Solo a te”.
Mi allontanai, per evitare di recare altro dolore a tutti e due, “ricordati che io sono qui”, mi disse soltanto, prima di varcare la soglia della porta della stanza.
Mi coprii meglio con la giacca, visto il vento, poi presi a camminare senza sapere dove andare.
 
Il giorno dopo, presi la decisione di non andare più a scuola guida, avrei studiato da sola, a casa. Poi, avrei fatto attenzione ad andare dalle ragazze, quando sapevo che Mirko non ci sarebbe stato. Non volevo vederlo, non potevo nemmeno permettermi di chiamarlo. Stupida.
Ricordavo ancora quando sotto mano, Fiamma mi aveva dato il suo numero, mai utilizzato peraltro. Alla fine, era stato lui stesso a ridarmelo, ed io facendo finta di niente, lo ringraziai anche. Sorrisi automaticamente, ricordando il suo imbarazzo nel fare un gesto così semplice.
Ritornai alla realtà, sentendomi una schifosa ragazzina. Gli avevo chiesto del tempo, senza nemmeno dirlo ad alta voce. Lui, maturo, lo aveva capito, e mi aveva lasciata andare senza costringermi a fare niente. Ancora una volta la nostra maturità, mostrava le sue differenze.
Era stato un uomo d’onore, e per questo lo ammiravo molto. Mi mancava come l’aria, pensavo a lui in ogni istante, e di certo non era un bene.
Non sapevo come stava, non sapevo se era tranquillo, oppure se come me, stava soffrendo, e questo non sapere, mi logorava l’anima.
Passavo le giornate a pensarlo, ad immaginare cosa stesse facendo, e ogni volta finivo con il piangere. Non potevo continuare in quel modo.
Erano passate due settimane, nelle quali mi ero dedicata allo studio, ed al lavoro. Uscivo con gli amici, cosa che non facevo da parecchio tempo, e soprattutto, avevo ripreso la mia vita, evitando di tornare a casa ad orari impossibili a causa della scuola guida.
Melanie era sempre presente, come lo era sempre stata, ed io, ero riuscita a ritornare anche il suo punto di riferimento. Ero stata per troppo tempo chiusa nel mio guscio, era il momento di ritirare fuori la vecchia Kate.
“Non lo hai più sentito?”, mi aveva chiesto una sera, mentre camminavamo per il centro.
“No, ma spesso penso a cosa stia facendo, a cosa sta pensando..”, fissai il vuoto, ricordando il suo sorriso, “insomma, cose del genere”.
“Perché non lo chiami?”.
“Perché non saprei cosa dirgli. È inutile che lo chiamo, se poi sono di nuovo nello stesso stato. Ora devo capire perché, mi sono tirata indietro..mi sembrava che anche io, fossi presa..”, abbassai lo sguardo colpevole.
“Ti frena l’età?”, mi domandò seria.
“No, o almeno non credo. Sono stata la prima a prendermi una cotta per lui..non penso che sia per quello..”.
“Tu hai paura dei pensieri della gente..”, ammise annuendo.
Non era una domanda.
“Non è vero..”, e sicuramente la mia risposta, le aveva dato le conferme che cercava.
“Si che è vero, perché altrimenti ora non saresti qui a parlare di lui. Saresti con lui..”.
“Lui ha bisogno di una donna, non di una bambina”.
“Ma non sono vent’anni di differenza i vostri, cavolo. Sono solo nove..”, la stavo facendo esasperare.
“Si, appunto..”.
“Tu vuoi un ragazzo più giovane? Magari i cretini della nostra età?”.
Anche il suo ragazzo era più grande, ma aveva solo quattro anni in più di lei.
“Mirko è un ragazzo, non un uomo. Si comporta come tale, non sembra un vecchio. Potrebbe pure uscire con noi, perché non dimostra affatto la sua età. È bello, anzi no..bellissimo! E tu te lo stai facendo scappare..è cotto di te. Ed inoltre, tu sei molto più matura della tua età, perciò non vedo tutti questi problemi..”.
Erano tutte cose vere, ma ancora io non riuscivo a sbloccarmi.
“Penso di aver bisogno di altro tempo..”.
“Come vuoi..vedi di fare in fretta però, che per quanto lui sia innamorato di te, non resterà in attesa per tutta la vita..”.
Mi fermai qualche secondo, per assimilare le ultime parole di Melanie. Aveva ragione, non potevo tenerlo sul filo del rasoio per tutta la vita. Aveva diritto di sapere che cosa pensassi io, e sicuramente, aveva bisogno di una verità.
   
Stavo correndo per arrivare a scuola guida. Ero uscita un’ora prima da lavoro, cercando di fare in fretta, per poter fare qualche quiz. Ormai era un mese che non lo vedevo, ed ormai, avevo perso ogni speranza.
Credevo che il tempo avrebbe risolto tutto, facendo sfumare il suo ricordo e soprattutto la sua immagine fissa nella mia mente. Ogni notte, però, sognavo i suoi occhi azzurri, le sue mani sul mio viso e le sue labbra sopra le mie. Poi, quando mi svegliavo, piangevo.
Aprii la porta, iniziando a sbottonare la giacca.
“Ehi, ciao”, c’era solo Fiamma.
“Ciao, come va?”, domandai posando la mia borsa su una sedia.
“Bene, bene..tu?”, mi fissò attentamente, aspettando una mia risposta.
“Tutto bene, grazie”, ammisi sorridendole.
Mi guardò ancora con un po’ di curiosità, poi riprese a scrivere al computer, scrollando le spalle. Sbuffai, ritrovandomi con la zip della felpa bloccata. Si moriva di caldo lì dentro, e il fatto che avessi fretta, non aiutava la mia impresa.
Mi voltai verso Fiamma, sperando di potermi fare aiutare, ma non la trovai. Rimasi con una mano a mezz’aria, e l’altra con la zip in mano, guardandola.
“Mmmh”, mugolai nervosa, “collabora, per favore. Non fare così. Apriti..”, sbuffai.
“Lascia fare a me”, quella voce, quella voce, quella voce.
La mia mente non ci impiegò nemmeno un attimo per capire a chi appartenesse.
Mille brividi mi passarono per il corpo, facendo aumentare il mio respiro, e lasciandomi con la bocca completamente asciutta.
Rimasi pietrificata, non sapendo cosa fare. Un mese senza la sua voce, ed in quel momento, era miele per me.
Se alzo la testa, lo vedo. Ed io lo volevo vedere, eccome se volevo vederlo. Era come acqua in un mese di deserto.
Lentamente alzai lo sguardo, incontrando i suoi occhi azzurri che mi fissavano ardentemente.
“Ciao”, boccheggiai in cerca d’aria, con la zip ancora in mano. Sorrisi come un’ebete.
“Vuoi una mano?”, mi domandò, indicando con lo sguardo la felpa.
“Oh..no..beh”, balbettai, indietreggiando di un passo, “penso di potercela fare”, provai a tirarla di nuovo giù, con scarsissimi risultati.
Si avvicinò, spostando le mie mani dalla zip provocandomi un brivido di piacere, e di calore. Lo fece con lentezza, come se stesse misurando non solo le mie forze, ma anche le sue.
Toccami ancora, ti prego.
La prese tra le mani, facendo pressione. Dopo qualche tentativo riuscì a sbloccarla, permettendomi di levarla. Se prima avevo caldo, ormai ero andata a fuoco. Sentivo le guance ardenti, e sicuramente ero diventata rossa come un peperone.
“Beh, ce l’avrei fatta anche io”, testarda come una bambina, sorrisi nervosa.
Mi guardò torvo, reprimendo un sorriso, con scarsi risultati.
“Come stai?”, mi domandò dopo attimi di silenzio.
Evitavo il suo sguardo come la peste. Lo sentivo bruciare contro la mia pelle, ma ero troppo codarda per potergli dire la verità. Cioè che l’amavo, che lo volevo accanto, e che per me era fondamentale saperlo vicino..“Bene, tu?”, me ne uscì solamente con due parole, reprimendo tutto il resto.
“Sono stato meglio”, colpita ed affondata, “sei qui per i quiz?”, lo ringraziai per non aver domandato altro, non ero brava a fingere.
“Si, esatto”, mi voltai un po’ verso il computer, per fargli capire che era mia intenzione mettermi subito a farli.
“Allora ti lascio stare..a presto”, lo guardai un secondo negli occhi, restando incantata dalla sua bellezza, di nuovo. Era passato un mese, ed il suo ricordo non gli dava di certo giustizia.
Aprii la bocca per replicare, ma non vi uscii nessun suono.
Maledetta me.
Mi sorrise, con il solito sorriso sghembo da infarto, per poi allontanarsi con le braccia incrociate sul petto. Fissava i monitor alla sua sinistra, annuendo. Di scatto, mi voltai verso Fiamma, che magicamente era riapparsa.
“Tu”, la fissai con cattiveria, “mi avevi detto che non ci sarebbe stato”, dissi tutto d’un fiato, sussurrandolo.
“E’ arrivato ora infatti, io non lo sapevo”, con la solita faccia di chi sa, ma non dice.
“Tsè”, corrugai le sopracciglia, “me la pagherete”, mi finsi arrabbiata, voltandomi poi per tornare al computer.
Quando passava dietro di me, potevo sentire il suo profumo, e la concentrazione veniva a mancare. Arrivavano i brividi nella schiena, come se il mio corpo sapesse, senza nemmeno doverlo guardare, che lui era lì, e la sua elettricità colpiva anche me.
Mi passai una mano sugli occhi, massaggiandoli.
“Continui a sbagliare la stessa domanda”, si era avvicinato, posando una mano sul banco dove era appoggiato lo schermo.
Il suo viso era di fianco al mio, e con la coda dell’occhio potevo osservarne il profilo. Mi sarebbe bastato avvicinarmi di qualche centimetro, per sentire la sua guancia sotto le mie labbra.
“Ah si?”, che cavolo di domande fai?
“Si”, lo sentii sorridere, per poi indicare la domanda sbagliata sul monitor.
“Ah, già..”, sospirai, cercando di mantenermi calma. È colpa tua.
Mi spiegò la risposta corretta, ma quello che capii, fu zero. La sua vicinanza, non aiutava.
Prima di alzarsi, per riprendere il giro, rimase fermo accanto al mio viso.
“Mi manchi..”, sussurrò accanto al mio orecchio, accarezzandomi la guancia con la punta del naso.
Rabbrividii, chiudendo gli occhi ed inclinando la testa verso di lui. Volevo piangere, voltarmi e dirgli che ero una scema, che lo volevo, e che mi era mancato anche lui. Ma rimasi in silenzio, come sempre, beandomi soltanto della sua carezza e dandogli di certo un messaggio sbagliato.
Si spostò del tutto, riprendendo a camminare, e lasciandomi completamente sciolta sulla sedia. Mi sentivo nuda, senza lui accanto, ed ormai restare lì dentro mi provocava soltanto dolore. Quando mi convinsi che era inutile restare lì a perdere tempo, vista la concentrazione scarsa, iniziai a prepararmi per andarmene. Non era facile, perché una parte di me, voleva restare lì per bearmi della sua presenza, un’altra parte sapeva però che mi sarei fatta del male gratuito. Vinse la seconda.
Riagganciai la giacca, sistemandomi i capelli, provando a non fare il minimo rumore. Volevo sparire, e se avessi avuto qualche potere soprannaturale, tipo il teletrasporto, lo avrei usato. Volevo davvero andare via, e smettere di esistere, volevo scavarmi di nuovo la famosa buca e sotterrar mici per sempre.
“Ci vediamo..”, salutai Fiamma con un gesto della mano, ed un piccolo sorriso forzatissimo.
Mi sorrise anche lei, parlando con un cliente. Mi voltai verso Mirko, per salutarlo. Nonostante tutto, era pure sempre il mio istruttore, o comunque lo era stato. Deficiente.
Era concentrato nel dare una spiegazione ad una donna, quindi lo lasciai stare, ed uscii dalla scuola guida. Rabbrividii per il vento che si era alzato, e coprendomi come meglio potevo, mi incamminai verso la fermata dell’autobus.
Attraversai, facendo attenzione alle macchine che passavano, appoggiandomi al portone, attendendo l’autobus.
Erano le nove e mezza ed io ero ancora li sotto ad aspettare un autobus fantasma.
Mentre osservavo la strada, alla ricerca di un bar aperto, notai con la coda dell’occhio una macchina fermarsi davanti a me.
Perfetto, ci mancavano pure i maniaci a rompere quella sera.
Feci finta di niente, indietreggiando quel tanto che bastava per evitare un contatto con l’autista.
La porta si aprì, e al suo interno, con enorme stupore trovai un Mirko sorridente.
“Sali, svelta..altrimenti ti prenderai un accidenti”.
Chiusi gli occhi, perdendomi in quel ricordo.
Erano passati quasi due mesi, dal nostro primo incontro, ed ogni volta era sempre come la prima. Sorrisi, pensando che la mia piccola parte di felicità ero riuscita ad averla, ed ero anche riuscita a ridurla in brandelli.
“Ehi Kate”, mi voltai di scatto aprendo gli occhi, ritrovandomelo davanti.
Aggrottai la fronte, domandandomi come mai fosse alla fermata, senza giacca e con il fiatone.
“Fiamma mi ha detto che eri uscita, volevo salutarti”, tutta quella corsa per salutarmi?
Alzai un sopracciglio, annuendo.
“Eri impegnato, non volevo disturbarti”, gli sorrisi, spostando poi lo sguardo per vedere se l’autobus stava magari passando.
“Potevi disturbarmi”, ammise serio e triste, “ho bisogno di sapere una cosa da te, Kate”, arrivò al dunque senza troppi preamboli. Eravamo giunti al momento della verità, ed io non ne avevo una pronta, avevo soltanto altri dubbi in testa.
“Dimmi”, lo guardai, dritto negli occhi.
“C’è, per te, una possibilità per noi?”, si avvicinò di un passo, guardandomi dolcemente.
Mi morsi il labbro inferiore, abbassando la testa.
“Non lo so”, la rialzai, più sicura di prima, “so solo che tu non mi puoi aspettare in eterno, quindi”, lo vidi avvicinarsi ancora, ed io rimasi ferma, “vai pure avanti con la tua vita, è giusto così. Io lo farò con la mia..”, dissi sottovoce, non credendomi nemmeno da sola.
Si bloccò, con una mano all’altezza della mia, facendo una smorfia.
“Allora è questo che vuoi?”.
“Si”, aprii leggermente le labbra, emettendo un piccolo lamento.
“Va bene, come preferisci”, avvicinò le labbra al mio viso, ed io, stupidamente mi preparai per un bacio; un bacio che potesse farmi tornare in me, e farmi dire davvero quello che provavo, “Sii felice Kate”, alzò il viso verso la mia fronte, depositandovi sopra un bacio delicato, che lasciò il fuoco nello stesso punto sfiorato dalle sue labbra.
Lo guardai mentre composto e svelto ritornava alla scuola guida, conscia solo in quel momento, delle conseguenze delle mie parole.

***

Sopra ho messo un'immagine che ho fatto sabato scorso, era da tanto che non photoshoppavo..quindi abbiate pietà di me :D
Che dirvi, penso, penso, penso di essere tornata a scrivere come prima, intendo dire con lo stesso desiderio e la stessa voglia..
A volte mi blocco, perchè faccio ancora fatica a riprendere il ritmo, prima stavo sempre sulla storia, sulla pagina, ora è più complesso..però ce la sto mettendo tutta, giuro!
Vi mando un bacione!

PiccolaKetty










   
 
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