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Autore: Keiko    15/02/2011    1 recensioni
31 ottobre 1981. E’ la notte di Samhain, la notte degli inganni. Hogwarts festeggia il capodanno celtico con un ballo aperto a tutti gli studenti e Ninfadora Tonks è alle prese con un abito troppo sfarzoso ed un cavaliere che è anche il suo migliore amico. E mentre Tonks affronta la sua prima cotta, Lord Voldemort miete le proprie vittime all’ombra di una festa che pare farsi beffe persino di lui. E’ così che la storia ebbe inizio. [Cronologicamente collocato al 31 ottobre 1981]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Weasley, Nimphadora Tonks
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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A Sweet Revenge © [30/10/2006]
Disclaimer. Tutti i personaggi di Harry Potter appartengono a J. K. Rowling, agli editori inglesi e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti.
Nessun copyright si ritiene leso.




31 ottobre 1981

Era stato naturale avere Bill Weasley come accompagnatore al ballo di Samhain, per motivi che anche lei stentava a comprendere. Perché erano entrambi al primo anno di Grifondoro e nessun ragazzo più grande l’avrebbe mai considerata con quella sua aria sempre distratta e la testa tra le nuvole, ancora infantile con le poche efelidi che le solcavano il viso. Oppure perché tra di loro si era subito instaurata una bella amicizia, di quelle che Ninfadora non aveva mai vissuto. Andromeda le aveva impartito un’educazione severa tipica della formazione dei rampolli dell’alta società nonostante di aristocratico ormai la loro famiglia avesse davvero poco se non il cognome di sua madre per altro cancellato dagli alberi genealogici di tutte le famiglie purosangue del Mondo Magico.
“Tonks, sei pronta?”
La voce di Bill la raggiunse sino al dormitorio delle ragazze e lei indossava ancora la divisa scolastica, intenta a recuperare il filo dei propri pensieri seduta a gambe incrociate sul letto a baldacchino.
“Non ancora…”
Era stato un flebile sussurro il suo, di quelli che le uscivano quando nelle rare occasioni che le si erano presentate nei suoi primi anni di vita, era stata costretta a rispondere ai signori Lestrange. Non le riusciva di definirli “zii” senza deglutire a fatica per il timore di adirarli e le sembravano l’incarnazione perfetta del male. Bellatrix aveva una follia selvaggia a deformarle il viso perfetto e Rodolphus l’arroganza di chi nella vita ha sempre vinto e ogni qualvolta si trovava faccia a faccia con loro non poteva fare a meno di avvertire una morsa di terrore serrarle lo stomaco come se da un momento all’altro potessero colpirla con una maledizione senza perdono. Sua madre doveva aver avvertito il suo disagio considerando che di punto in bianco non li aveva più visti varcare la soglia di casa e di loro non erano rimasti che vaghi ricordi rinvigoriti successivamente dai racconti sprezzanti di Sirius.
“Se Sirius fosse qui forse mi direbbe che non dovrei pensare a cosa mi sta meglio o mi sta peggio, ma che dovrei vestirmi semplicemente con ciò che mi fa sentire a mio agio. Ci fosse qualcosa che mi mettesse a mio agio, ora! Ma se sto rimuginando su cosa indossare forse è perché voglio che Bill mi trovi bella? E se invece mi trovasse ridicola? E se invece…oh, al diavolo!”
Aveva sbottato sollevandosi di scatto dalla propria postazione e aprendo il baule che giaceva ai piedi del letto aveva iniziato a gettare alla rinfusa fuori da esso gli abiti che sua madre vi aveva meticolosamente riposto all’interno. Le ronzavano in testa i discorsi degli ultimi giorni, quelli che aveva finto di ascoltare distratta ma che invece le avevano insinuato nello stomaco la morsa che si trascinava appresso sin da quando aveva deciso che sarebbe andata al ballo con Bill. Leyla e Margherite non avevano cessato di sospirare e lanciare languidi sguardi a Thomas Patterson e Gregory Childs gettandola nella confusione più totale con i loro discorsi ridicolmente simili a quelli descritti nei trattati – poteva poi realmente definirli così? – di Gilderoy Allock.
“Dora non mi dirai che non te ne sei accorta, vero?”
“Di cosa, Rite?”
“Di Bill…credi davvero che ti abbia invitata perché sei sua amica e basta?”
“Avrebbe dovuto farlo per qualche altro motivo?”
Marguerite Dorgy aveva così alzato gli occhi al cielo prodigandosi in una smorfia buffa da Cenerentola scoppiando poi a ridere in quella pantomima che si ripeteva da giorni.
“Ma è così ovvio, Dora! Gli piaci!”
Ed ora era lì nel dormitorio a gettare abiti tutt’attorno mentre le amiche erano già scese alla Sala Comune circondata da altre compagne quasi tutte più grandi di lei, che si davano di gomito scoppiando in risolini striduli.
Lei non sarebbe mai diventata così, piuttosto un maschiaccio o un degno erede di Sirius o qualsiasi altra cosa poteva andare bene ma rinchiusa nello stereotipo della donna innamorata mai. Si era tormentata per giorni chiedendosi perché uno stupido ballo dovesse gettare tanto scompiglio tra gli studenti. Persino i professori tendevano ad essere più elastici ed accondiscendenti in quei giorni prima della festa. Hogwarts aveva adottato una mentalità decisamente più aperta e Silente aveva espresso il desiderio che si festeggiasse Samhain come era giusto che fosse all’interno della comunità magica. Aveva destato scalpore il fatto che tutti gli studenti potessero prendervi parte senza distinzione di età ma in quelli che venivano considerati gli anni del terrore, Silente aveva deciso di donare una parvenza di serenità e gioia ai maghi del futuro con un tacito auspicio di speranza per il mondo magico.
E così Ninfadora era ancora ferma a contemplare l’abito elegante che sua madre le aveva riposto nel baule ricco di balze e pizzi che le fluttuavano dinnanzi di un pallido azzurro come se fossero dotati di vita propria.
Fece un profondo respiro e si tuffò all’interno di quella nube di organza per riemergerne poco dopo, acconciando i capelli sulla nuca con alcuni fermagli.
Alcuni passi lungo la scala del dormitorio femminile, il tacco della scarpetta di raso che tradisce ed afferra come un amo l’ultima balza turchina, l’ovvia perdita di equilibrio e la rovinosa caduta.
Qualcuno la fissò preoccupato, seduta a terra avvolta da quella nube che la faceva apparire una bambola d’altri tempi e qualcun altro scoppiò a ridere scaricando la tensione per l’imminente ballo. Bill invece le si era avvicinato inginocchiandosi davanti a lei guardandola come avrebbe probabilmente guardato un animaletto ferito.
“Tonks tutto bene?”
Aveva annuito con il capo sentendosi avvampare il viso davanti a quello sguardo azzurro come il mare che si sposava perfettamente con il suo abito e in quell’esatto istante aveva desiderato di sentirsi chiamare Tonks con quel tono di voce un altro milione di volte.
Bill l’aiutò a rialzarsi e si diressero insieme verso la Sala Grande addobbata a festa come mai l’avevano vista prima. Festoni color arancio adornavano le pareti e lanterne multicolore illuminavano l’ambiente di luci rossastre e giallognole, giocando con le ombre che si stagliavano lungo le pareti della Sala facendo si che fantasmi ed ombre diventassero un tutt’uno impedendo la distinzione tra le une e gli altri. Tutti erano in fermento e Ninfadora aveva lanciato sguardi solidali verso Margherite e Leyla, due ritratti della felicità strette al braccio del proprio cavaliere. Lei aveva inconsapevolmente assunto l’atteggiamento che Andromeda le aveva imposto decine di volte sino a trasformarlo in meccanici gesti da nobildonna, l’angolo della gonna sollevato per evitare di cadere – e già aveva fatto la sua misera figura capitolando dalle scale del dormitorio – e la mano libera posata su quella di Bill che l’accompagnava.
Era come vivere in una fiaba di nome Hogwarts.
Era stata cresciuta in una gabbia dorata circondata da adulti e questo aveva fatto si che sviluppasse una criticità compiuta che cozzava con la sua spiccata ingenuità e distrazione tipicamente infantili. Ninfadora aveva quell’aria perennemente assorta e buffa di natura da suscitare inevitabilmente tenerezza, specie in un ragazzo come Bill cresciuto in un ambiente familiare tendenzialmente claustrofobico dal punto di vista dell’affetto che poteva vantare il pregio, o il difetto, di possedere il classico cipiglio protettivo del primogenito che era da poco diventato. Bill Wesley era stato il primo a rivolgerle la parola sull’Espresso per Hogwarts, a gioire insieme a lei dello smistamento nella stessa Casa e a condividere le gioie per le vittorie della squadra di Quiddich di Grifondoro.
Quando Ninfadora gli aveva confidato di non amare affatto il proprio nome a Bill si era dipinta un’espressione stupita sul volto e poi era scoppiato in una risata contagiosa che però aveva ferito la ragazza, che aveva interpretato quell’ilarità spontanea ed innocente come una presa in giro ai suoi danni.
“Perché ridi? Pensi sia facile portare un nome così importante? Ho chiesto milioni di volte a mia madre perché mi avesse chiamata così e per tutta risposta mi ha sempre sorriso, abbracciata e poi bisbigliato che mi voleva bene.”
“Io lo trovo bello. Evoca l’immagine di una ninfa solare, un nome che ti si addice dopotutto.”
Le aveva sorriso e a Ninfadora il proprio nome non era mai suonato così poetico e meraviglioso.
“Però, visto che non ti piace ti chiamerò Tonks. Lo preferisci?”
“Credo mi si addica di più. Ninfadora è un nome da Black non da Tonks…ti pare?”
“Io queste lotte tra famiglie non le ho mai capite. Voglio dire, le casate purosangue sono tutte imparentate tra loro e allora che senso ha sradicare rami di un albero genealogico che comunque mantengono lo stesso sangue nelle vene? Se bastasse strappare un nome da un dipinto per cancellare il ricordo di quello stesso nome da un’intera dinastia avrebbe un senso ma così no.”
“Mia madre ha preso una decisione ed è stata rispettata al prezzo di una cancellazione dopotutto. Le è costato dover rinunciare alle sue sorelle, ma d’altra parte le prime a rinnegarla sono state proprio loro.”
“Mio padre dice che sono tempi cupi questi, in cui le schiere di Tu-Sai-Chi si rinvigoriscono giorno dopo giorno.”
“Ci sarà qualcuno a contrastarli, no?”
“Credo di si, il Ministero deve aver preso provvedimenti anche se non so quali di preciso. Papà non ama parlare dei Mangiamorte.”
Bill ricordava ancora quella conversazione, testa contro testa distesi sul prato adiacente il Lago Nero e tuttavia gli sembrava fossero passate decine d’anni mentre stringeva tra le braccia il corpo minuto di Tonks. A lui piaceva quella sua aria innocente e svanita, la sua ilarità esplosiva e quel modo aristocratico che inavvertitamente possedeva come se fosse un dono naturale. Non era né femminile né nobile eppure aveva un fascino tutto particolare che la contraddistingueva da tutte le altre studentesse.
“Bill usciamo di qui? Ho caldo.”
L’aveva stretta per mano e condotta dolcemente oltre le scalinate della Sala Grande e l’ampio salone per arrivare alla terrazza principale, anch’essa adorna di lanterne fluttuanti simili a fuochi fatui dagli svariati colori.
Ninfadora si era adagiata alla balaustra sedendosi sopra di essa con una leggera spinta, dondolando i piedi a penzoloni sul vuoto che si stagliava sotto di loro.
“Non è pericoloso, Tonks?”
“Fammi guardare il cielo per un po’, Bill. Sai quand’ero piccola mia madre la notte di Samhain mi portava a passeggio per le strade delle città babbane ed era così strano vedere quei bambini vestiti come me e sentirli dire che erano travestimenti! Mi teneva per mano e mi mostrava il mondo babbano. Loro la notte di Samhain si mascherano per confondersi con gli spiriti dei morti ed evitare che questi li portino via dal loro mondo. Non è triste come storia? Hanno paura dei loro cari defunti! Addirittura mettono lanterne alle finestre per confondere gli spiriti e far credere ad essi che in quella casa dimorino già fantasmi. Pensa ai loro morti che vorrebbero riabbracciarli.”
“Noi siamo abituati a parlare con i nostri fantasmi, con i loro ritratti sparsi per le nostre case. Forse per loro non è la stessa cosa.”
“Mia madre una volta mi parlò del Velo. Pare che tra il nostro mondo e quello dei morti vi sia uno scudo, lo Skathach, che la notte di Samhain si assottiglia per lasciar vagare le anime dei morti nel nostro mondo. Morire significa strappare quel Velo e passarvi attraverso credo. Noi onoriamo i nostri defunti, viviamo con le loro anime incanalate in ritratti o a tutti gli effetti ancora tra noi. Perché loro hanno così tanta paura?”
“Perché questa è magia, Tonks.”
“Dici? Io credo sia semplicemente la tradizione. Né più né meno che una delle tante leggi non scritte del Mondo Magico.”
“Guarda laggiù.”
Una stella cadente illuminò a giorno il cielo sopra Hogwarts, mentre Ninfadora e Bill la osservavano rapiti entrambi a esprimere un tacito desiderio di un futuro legato l’uno all’altra.
Quella fu una stella nefasta, l’araldo rosso che segnalava l’avvento di Lord Voldemort.

“James sta arrivando! Non possiamo restare qui, Harry…”
“Lily lui sta giungendo qui così rapidamente che non gli costerebbe nulla materializzarsi nel nostro salotto.”
“Peter ci ha traditi, vero?”
“Farebbe la differenza saperlo?”
“Solo per poter perdonare chi si è fatto corrompere dalla crudeltà di Voldemort, James.”
“L’ha fatto. E chissà cos’altro farà per distruggere ciò che abbiamo così faticosamente guadagnato con il sangue. Ti ricordi quando ci siamo scontrati con Bellatrix e Lucius?”
Lily aveva annuito con il capo, i capelli fulvi a creare effetti di luce rubiconda mentre stringeva a sé Harry con la premura di quando lo cullava prima di metterlo a dormire.
“Bellatrix è sempre stata spavalda. Dotata di quell’indole folle che un perfetto seguace di Voldemort deve possedere. E’ la più pericolosa dei Mangiamorte e non si fermerà dinnanzi a nulla. E mi chiedo se Alice e Frank sopravvivranno a questa notte. Mi sembra di essere un topo in gabbia, James.”
“Lo siamo, ma non abbiamo scelta. Qualcuno morirà e qualcuno sopravvivrà. Spero solo che il sacrificio valga a qualcosa, Lily.”
“La Profezia ha scatenato tutto questo? Aver fatto nostro custode Peter è stato il nostro più grande errore.”
La donna sospirò e il marito l’attirò a sé stringendo lei e il figlioletto in un caldo abbraccio, forse l’ultimo. Le scoccò un bacio sulla fronte e con lo stesso affetto ricopiò quel gesto su Harry.
“Ha i tuoi occhi Lily.”
“Ed avrà il tuo coraggio James.”
Il marchio nero brillava sinistramente sulla loro abitazione ed era incredibile come il tempo scorresse in quel momento così lentamente e dannatamente veloce al contempo. Per Lily e James Potter quegli attimi stretti l’uno all’altra erano l’ultimo appiglio alla vita e alla felicità stessa, quella che avevano costruito insieme imparando ad apprezzarsi oltre la goliardia scolastica di James e l’ardore eroico di Lily lavorando l’uno al fianco dell’altra come Auror, senza domandarsi mai se fosse giusto ciò che stavano facendo semplicemente perché erano cresciuti in un momento della storia che non dava possibilità di scelta. Restavano stretti l’uno all’altra finché il tempo glielo avesse concesso, questione di pochi secondi o qualche minuto non di più, due condannati a morte che fissavano il proprio boia stringere al collo il cappio che avrebbe strappato loro la vita.
“E così siete qui ad attendermi, Potter. Siete qui con il moccioso ad attendere che vi uccida, non è vero?”
La porta si era spalancata lasciando entrare un vento gelido che odorava di morte nella confortevole sala dell’abitazione e l’intera via era immersa nel buio, oltre la figura spettrale eppure magnifica di Lord Voldemort. Persino il cielo sembrava privo di stelle, più cupo e minaccioso che mai come se gli astri si fossero rifugiati a piangere in qualche altro angolo di spazio.
“Riddle tu non cambi mai, vero? Dove sono i tuoi Mangiamorte? Nascosti pronti a difenderti nel caso tu sia in difficoltà? O hai portato solo Codaliscia? Basta un servo fedele e viscido come lui per uno come te o sbaglio?”
“Piccolo insolente…non ti hanno insegnato anni di guerra che io sono Lord Voldemort, il Signore Oscuro? Dovresti tremare nel solo sentir pronunciare il mio nome! Crucio!”
James cadde a terra contorcendosi sul freddo pavimento di marmo mentre Lily fissava attonita la scena nascosta dietro la porta della cucina, il petto scosso dai singhiozzi mentre Harry gorgogliava sommessamente parole incomprensibili come se capisse cosa stava accadendo a suo padre.
“Non piangere piccino, andrà tutto bene. La mamma ti proteggerà sempre, ovunque essa si trovi.”
Teneva il dito medio della madre stretto nella propria manina calda e paffuta e la fissava con quegli occhi innocenti che si trovavano costretti a vedere la violenza della morte per la prima volta in un crudele battesimo di sangue.
“Allora Potter, hai ancora voglia di scherzare? Non ci sarà un domani né per te, né per quella feccia mezzosangue di tua moglie e nemmeno per quel moccioso.”
“Ti fa così paura mio figlio, Voldemort? Così paura da scomodare il Signore Oscuro in persona? Non sei immortale come credevi, Tom Riddle? I tuoi Mangiamorte fuggiranno non appena il tuo dominio cadrà. Un uomo come Malfoy o Lenstrange, perché pensi siano ai tuoi ordini? Non per timore, non per devozione ma per convenienza.”
“Ora inchinati dinnanzi a me Potter o non farai in tempo a pronunciare nemmeno il nome di tua moglie prima di morire. Crucio, Potter.”
Il cognome di James risuonava acuto e stridulo, sibilato malignamente dalle labbra di Voldemort e le sue maledizioni lo piegavano a terra senza potergli permettere di rialzarsi.
Expelliarimus!”
Lily uscì dal proprio nascondiglio stringendo al petto Harry, la bacchetta puntata contro Lord Voldemort che la fissava incredulo.
Tu, donna. Tu hai osato metterti contro di me? Tu, una bastarda mezzosangue?”
“Sarò una mezzosangue Voldemort ma non ho paura né di te né dei tuoi Mangiamorte. Quanti di voi sono finiti ad Azkaban? Quanti di voi ancora cadranno? Non è fede la loro, è convenienza e paura. E quando tu sarai solo cosa resterà mai di Tom Riddle? Lo spettro di una tirannia fantasma.”
“Mi fai pena, mezzosangue. Accio, bacchetta!”
Lily spalancò gli occhi in un’espressione di puro terrore e sconcerto, James ancora accasciato a terra emetteva gemiti e singulti soffocati cercando di trovare la dignità e la forza di rialzarsi di nuovo e proteggere la sua famiglia con l’ausilio di un coraggio che non gli era mai mancato.
“Come…”
“Io sono Lord Voldemort. Io posso questo e molto altro, mezzosangue ma non vivrai abbastanza per vedere il mio regno. Per vedere il mondo magico purificato. Avada Kedavra!”
Lily aveva esitato un istante di troppo con il piccolo Harry ancora stretto al petto. Aveva sempre amato parlare, spesso a sproposito, ma il suo sconcerto e quella paura tangibile che provava l’avevano paralizzata ed ora James si stava accasciando privo di vita ai suoi piedi e ai piedi di suo figlio, una mano tesa a tentare di sfiorarle per un ultimo istante il viso rigato di lacrime calde attraverso le quali vedeva il sorriso di suo marito per l’ultima volta, consapevole che sarebbe stata solo lei ora a combattere contro Lord Voldemort per difendere la vita di suo figlio.
“Tu, tu! Hai voluto la vita di mio marito, vuoi la mia vita e quella di mio figlio. Hai avuto James ed avrai me, Voldemort. Ma Harry…lui non sarà mai tuo. Prima che tu possa sfiorare mio figlio dovrai scatenare l’Inferno in cui cadrai per primo.”
Quegli occhi lo irritavano. Era lo sguardo di chi non teme la morte, di chi muore con consapevolezza e dignità. Uno sguardo che mai si era abbassato quello di Lily Evans, né davanti alla bellezza di James Potter né dinnanzi alla crudeltà di Tom Riddle. Aveva sempre guardato la vita in faccia con un’inconsapevole spavalderia del tutto simile a quella di James e non aveva perso sé stessa nei suoi meandri, fronteggiando persino Bella senza timore. Ed ora fronteggiava lui con lo stesso coraggio che aveva dimostrato durante l’attacco di Bellatrix e Lucius alla catapecchia di Moody.
“Stupida mezzosangue…Avada Kedavra!”
Lily cadde a terra con Harry ancora stretto tra le braccia intento a serrarle il dito medio nella propria mano come poco prima. Non aveva lasciato la sua presa e non accennava a staccare gli occhi dal viso della madre. Voldemort si avvicinò al neonato scostandolo un poco dal corpo della donna.
Gli stessi occhi.
“All’Inferno, ragazzino della Profezia. Non esiste nessun Prescelto, né tu né tanto meno il figlio dei Paciock. Il mondo sta aspettando me, il Signore Oscuro. Lord Voldemort. Avada Kedavra!”
Quegli occhi verdi, puri.
Impavidi.
Quegli occhi che l’avevano guardato con odio ora lo guardavano con innocenza, senza chiudersi. E qualcosa in lui si spezzò, frantumandosi in milioni di schegge. La magia scivolava via dal suo corpo come sabbia da una clessidra rotta, troppo rapidamente perché lui potesse fermarla o bloccare quel flusso di vita che gli scemava via dal corpo così ingiustamente. Lord Voldemort non poteva fallire, eppure Harry Potter – colui che il Mondo Magico avrebbe iniziato a chiamare Il Prescelto – aveva vinto. Così battendo le palpebre ed emettendo il primo vagito che aprì una triste nenia di pianto e lacrime decretando l’apertura del lutto per il Mondo Magico, Harry Potter il bambino che si era salvato, aveva riportato la Speranza ad una popolazione oppressa.

“Che desiderio hai espresso Bill?”
“Se te lo rivelo non si avvera, Tonks. E tu?”
“Stesso motivo…te lo dirò quando si avvera. Oh, guarda! Una fata e…”
Si era sporta per tentare di afferrare una fata che rapidamente aveva volteggiato attorno a loro emettendo un suono simile al trillìo di un campanello – una risata argentina – ed irrimediabilmente aveva perso l’equilibrio. Bill prontamente l’aveva sorretta stringendola per i fianchi e così erano rovinati a terra entrambi.
“Ti sei fatta male?”
“No, affatto.”
Aveva cercato di rialzarsi, il volto accaldato da quel contatto inaspettato ed inconsciamente malediva la piccola fata e quella nube di organza che si era impigliata chissà dove per impedirle di sollevarsi dal corpo di Bill.
“Buon Samhain Tonks.”
Le scoccò un maldestro bacio a fior di labbra e lei rimase ad osservarlo come se lo vedesse per la prima volta incapace di rialzarsi e recuperare quella poca padronanza di sé che aveva abbandonato in una notte soltanto. Ninfadora Tonks undici anni, era stata baciata per la prima volta dal ragazzo di cui si era inconsapevolmente innamorata.
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa.

Samhain è la notte degli inganni.
I morti ingannano i vivi ed i vivi ingannano i morti. Le fate ed i folletti tirano scherzi mancini agli uomini, giocando a volte con le loro esistenze per un tozzo di pane allo zenzero. Durante la festa di Samhain lo Skathach si assottiglia e permette la comunicazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti. I fuochi fatui danzano sulle rive dei fiumi e le lanterne tremolano dinnanzi alle finestre. L’ennesimo artificioso inganno, come i travestimenti dei bambini ed il tradizionale pasto a base di zucca, un segnale di buon augurio per l’anno nuovo.
Samhain è la notte degli inganni.
La notte in cui Frank e Alice Paciock persero il senno e James e Lily Potter la vita. Una notte di inganni, gli ennesimi beffardi di una vita spesa al servizio della giustizia.
Semhain vide trionfare Peter Minus e cadere Sirius Black, diventato attore protagonista di una tragedia di cui era ignaro. Fu la notte ingannevole in cui Harry Potter divenne il Prescelto, il nemico di Lord Voldemort e Neville Paciock un mezzo orfano un po’ timido ed impacciato.
La notte degli inganni tradì Lord Voldemort e lo vide capitolare dal suo scranno di pietra e terrore.
Cadde grazie all’amore di una madre e ad occhi troppo sinceri e puri che l’avrebbero eternamente braccato come una lupa che famelica attende la propria preda per divorarla.
E ci fu anche chi conobbe il primo amore ma questi, non è mai destinato all’eternità.
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa.
Nella notte degli inganni anche il cuore è beffardo, puoi ascoltarlo o rifiutarlo ma lui ti ingannerà sempre.



Note dell'autrice.
Per scrivere questa fanfiction (come pure le altre inerenti al fandom del maghetto occhialuto) ho tenuto conto della cronologia che si può ricavare dalla sola lettura dei romanzi che tuttavia, presenta grosse lacune e al contempo delle enormi incongruità. Essendo la Rowling per prima a zampettare allegramente con la linea temporale degli eventi, mi sono sentita legittimata nel fare altrettanto.

   
 
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