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Autore: FuoriTarget    15/02/2011    10 recensioni
[Andre con un sorriso malefico si fece ambasciatore per tutti: -Non siamo mica idioti: Manu è cotto come una bistecca alla griglia- ...
-Non gli abbiamo detto nulla perchè lo conosciamo, sappiamo che manderebbe tutti al diavolo- ...
-La sera della tua festa, quando lei è salita sul tavolo a ballare, credevo che gli sarebbe esplosa la testa- tutti risero in coro con lui.
-Sei mesi... e non hanno mai detto nulla!?- ... ]
Manuel e Alice, due universi che si scontrano in una Verona ricca e piena di pregiudizi. Un rapporto clandestino nascosto a tutto il resto del mondo che si consuma lentamente, una passione ardente che diventerà dipendenza vera e propria.
E forse, se il Fato lo permetterà...Amore.
Ebbene si postato il capitolo 18!! Gelosia portami via...
In corso revisione "formale" dei primi capitoli.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Relazione Clandestina



-14-






"la tua bellezza sale fino in fondo all'anima,
solo ad immaginare la tua mano cosa fa
"


Quando il cellulare trillò nel buio della stanza quasi saltò sul letto.
Lo afferrò con il cuore in gola, spaventata dalle ipotesi apocalittiche che le affollavano la mente. Era un messaggio. Di Manuel.
Il pollice vibrò leggermente per la frenesia mentre premeva il tasto rotondo al centro della tastiera, il testo apparve subito confortandola un po'.
"Sei a casa?"
Compose il testo e lo inviò ancora prima di avere la consapevolezza di averlo fatto.
"Si"
Che cosa voleva? Si accorse che era l'una passata solo dopo essere tornata alla schermata principale del cellulare, l'una e trentasette. La consapevolezza di cosa potesse volere da lei a quell'ora indecente si sviluppò piano piano. Manuel sapeva che Alice era sola a casa, ne avevano parlato fuori dalla pizzeria, e a cena era stata fin troppo accomodante con lui visto quello che le aveva rivelato nel pomeriggio. Avrebbe dovuto ignorarlo? O peggio starne alla larga?
Eppure non riusciva a vedere qualcosa di pericoloso in lui nonostante tutto...
Una seconda vibrazione interruppe i suoi castelli in aria prima che prendessero una forma concreta.
"Sono davanti al tuo cancello. Aprimi"
Eccolo il solito messaggio. Manuel non faceva domande...ordinava, da chi cavolo aveva imparato quei metodi barbari di comunicazione??
Contro ogni pronostico si scapicollò fuori dalle lenzuola per correre alla porta in pigiama. Tutte le ipotesi malevole di prima scomparirono per far posto ad altre molto più drammatiche condite di sangue e ossa rotte.
E oltre la porta lo spettacolo non era poi troppo distante dalle sue immagini mentali.
Manuel era scuro in volto, la maglietta bagnata dall'acqua che colava dai capelli e macchiata di rosso attorno al collo e su una manica, un sopracciglio incrostato di sangue circondato da altri piccoli sfregi e un graffio più grosso sulla guancia dallo stesso lato. Non fece nemmeno in tempo a spaventarsi e urlare che incrociò i suoi occhi che la costrinsero al silenzio.
-Entra- mormorò solo spostandosi di lato.
Conosceva vagamente casa di Alice l'aveva vista solo una volta di sfuggita. Era molto diversa dalla sua: una villetta bifamiliare con un bel salotto con divani a ferro di cavallo e un tavolo da pranzo in vetro. C'era calore in quella casa, foto sulle pareti, quadri e tinte calde, vasi di fiori e candele, tutte cose che in casa Bressan erano sparite con la morte di sua madre e la dipartita di suo padre. L'unica stanza di quella casa ad avere una parvenza di vita era la stanza di Manuel.
Dopo aver posato il casco a terra aspettò che fosse lei a fargli strada.
-Cosa ti è successo?- gli chiese subito dopo averlo fatto accomodare in cucina.
Evitò di risponderle tanto sapeva che sarebbe tornata alla carica più tardi. Ne seguì i movimenti tra la cucina e il ripostiglio alla ricerca di cotone e disinfettante e mentre bagnava un canovaccio sotto al rubinetto. Pragmatica e decisa, dopo un primo momento di confusione, non aveva perso la calma neanche davanti al sangue.
-Mio padre è a casa con degli amici, non potevo presentarmi così..- strinse i denti mentre Alice provava a pulirgli la faccia -Jack e Filo avrebbero fatto troppe domande. Andre invece non so dove sia-
-Quindi speri che io non te le faccia??-
-Mi devi ancora un favore, e non sei pericolosa quanto loro. Me ne avrebbero date il doppio solo per non averli portati con me..-
Stava seduto nella grande cucina in cotto con i gomiti poggiati al tavolo e le palpebre che gli si chiudevano dal sonno sotto il tocco discreto di quelle manine bianche. Lo stava medicando delicatamente, in piedi di fianco a lui, e non appena lo toccò con il batuffolo imbevuto di disinfettante Manuel scattò indietro colpito dal bruciore della sostanza a contatto con la ferita. Strizzò gli occhi cercando di trattenere un ringhio molto irritato.
-Su su dai, non farà più male di quando te l'hanno fatto, no?- 
La guardò torvo e ritornò al suo posto gli occhi concentrati sui piedi nudi della ragazza.
Aveva le unghie dipinte di un verde brillante che saltava subito all'occhio.
L'operazione continuò ma si trattenne da scappare al contatto con il disinfettante, digrignò solo un po' i denti. Essere davanti lì in quelle condizioni era già abbastanza umiliante, non poteva fare pure la figura del bambino piagnone. Alice sbuffò un paio di volte ma sembrava più che altro divertita dalla sua rigidità e dal fatto che quel taglio fosse tutto fumo e niente arrosto.
Quando la tortura si interruppe tornò di nuovo tranquillo.
La guardava a pochi centimetri da lui mentre studiava pensierosa la ferita..
-Hai detto che sei da sola, giusto?- chinò il capo da un lato guardandosi attorno senza un velo di malizia, forse più per assicurarsi di non rischiare incontri spiacevoli.
All'improvviso quella camicia da notte le sembrò troppo corta, lisa e slavata per stare di fronte a lui senza arrossire, avrebbe dovuto quantomeno infilarsi un paio di pantaloncini prima di aprirgli. Annuì dignitosa.
-Che hai fatto per meritarti questo?- gli chiese indicando il lato destro del suo volto con gli occhi.
-Ho fatto incazzare gli amichetti di Cheru-
Cercò di focalizzare le facce dei tipi di cui parlava con scarso successo, Cheru era una figura indimenticabile tutto tronfio nella sua misera altezza, i suoi comilitoni erano due, uno smilzo ma perecchio più alto, l'altro invece per quanto ricordava somigliava in tutto e per tutto a un cinghiale.
-Wow! Che magnifica idea..- riprese a medicarlo con l'acqua ossigenata con più vigore: -Filo ha detto che dovevi saldare un debito, suppongo che questa sia la liquidazione!?! Tieni qui.-
La sua mano si sostituì a quella sottile e delicata di Alice sul batuffolo mentre gli cercava un cerotto nella scatola.
-Ehi guarda che non le ho solo prese! Vedrai Dave che bell'occhio nero che sfoggerà..-
Gli sorrise con un misto di divertimento e ammonimento che riusciva a sfoderare solo lei per poi attaccargli un cerotto grosso e bianco senza troppa premura sul sopraciglio.
Passarono qualche minuto in silenzio mentre la ragazza smaltiva carte e batuffoli sporchi di sangue e Manuel finiva di pulirsi il collo dal sangue con l'asciugamano, incrociarono gli sguardi un paio di volte senza dirsi nulla in particolare. Solo allora notò davvero l'abbigliamento di Alice.
Una canottiera bianca la copriva appena sotto al sedere, lasciando le gambe altrettanto pallide completamente esposte alla sua vista. I capelli slegati avevano preso l'onda della crocchia in cui li aveva stretti a cena, stavano scompigliati su una spalla, alcuni ciuffi della franghia spettinata voltati all'insù.
-Dormivi già?-
Alice annuì chinandosi sulle ginocchia per prendere una bottiglia d'acqua dal mobile, il vestito scivolò in avanti senza che lei se ne accorgesse e Manuel ebbe l'esatta percezione di tutto ciò che non indossava sotto la camicia da notte.
Gli offrì un bicchier d'acqua che ignorò, troppo impegnato a cercare una scappatoia dalla visione della ragazza a meno di un metro da lui.
Di nuovo piombarono nel silenzio imbarazzante di prima, e pur non concentrarsi troppo su di lei cominciò a vagare con lo sguardo per la cucina. L'unica cosa che gli saltò all'occhi fu un foglio bianco appeso al frigo con due calamite, era una lista dei cose da fare, una sorta di promemoria, vergato con la calligrafia regolare e asciutta di Alice. Alcuni punti erano stati sottilineati, altri cancellati: quelli ancora da fare erano riordinare la stanza, passare al lavasecco e chiamare il tecnico del modem. Non era abituata quanto lui a stare sola, lui aveva smesso di farsi quelle liste da quasi un anno.
Perso nella sua osservazione si accorse tardi dell'espressione stranita e del risolino di Alice in sottofondo.
-Che c'è?- le chiese irritato dalla curiosità con cui lo scrutava.
-Non ti avevo mai visto sbadigliare...quindi sei umano!?-
-Simpatica!!- si beò del suo stesso sarcasmo perchè la sua semplicità lo irritava più di quanto non fosse di suo: -Sono stanco stamattina mi sono alzato presto e ho passato il pomeriggio al campetto con Jack-
Non sapeva nemmeno perchè le stesse dando spiegazioni.
-Puoi dormire qui se vuoi- 
Manuel la guardò stupito alzando il sopraciclio sano, cos'era una dichiarazione di guerra? Si era forse accorta della brama con cui la guardava? Probabilmente no visto il sorriso gentile che aveva sfoderato.
A che gioco stava giocando?
-Perchè?-
-Mi piace dormire con te..- mugugnò facendo spallucce: -E poi mi parva di aver capito che non fosse il caso che tu tornassi a casa in queste condizioni..-
Eccola. Quella era Alice. La piccola addescatrice maliziosa dagli occhi blu che l'aveva irretito quella sera d'inverno.
-Va bene-

Era stato solo una volta in camera di Alice, il giorno in cui erano stati insieme al lago l'aveva accompagnata a casa a cambiarsi ed era rimasto seduto sul suo letto tutto il tempo seguendola con gli occhi entrare e uscire dal bagno.
Quella stanza era come l'aveva sempre immaginata, incasinata e colorata.
Aveva una grande scrivania con sopra un caos spropositato, un'armadio a tre ante che straripava di vestiti che l'altra volta non erano così in ordine, il letto a una piazza e mezzo con le lenzuola azzurre con stampate delle nuvolette gialle e rosa. Il pavimento non era più disseminato di scarpe spaiate, c'era solo un paio di ballerine, le stesse probabilmente che aveva indossato a cena.
Niente era esattamente al suo posto ma lei sembrava starci bene in quel disordine.
Sul comodino un i-pod su un amplificatore dal design iperfemminile diffondeva deboli note di un concerto di pianoforte -Chopin conoscendo i gusti di Alice-, il portatile ai piedi del letto, sulla scrivania un altro computer fisso da cui si diramava una ragnatela di cavi che lo collegavano a vari pezzi sparsi sopra o sotto il tavolo. Su una mensola sotto la finestra pile disorganizzate di giornali di moda e libri.
-Scusa il disordine, ma quando non c'è mia madre mi lascio un po' prendere la mano..- gli disse appena lo vide entrare spaesato in camera.
Non le rispose.
Al bordo inferiore del letto era appeso un reggiseno che Manuel riconobbe e non potè che sorridere davanti al pizzo cosparso di piccole margherite binahce gialle.
-Posso usare il bagno?- le chiese mentre Alice si muoveva per dare una parvenza d'ordine, raccolse alcuni libri da terra e li posò in bilico su una pila di fogli sulla scrivania, chiuse le ante dell' armadio gettandovi dentro alla rinfusa tutto ciò che stava sul fondo del letto, poi raccolse una scatola aperta da terra che conteneva una serie di attrezzi da disegno, squadre righelli e goniometri di ogni dimensione e la nascose sotto il letto.
-Certo certo- brontolò.
Manuel si chiuse la porta del piccolo bagno privato alle spalle con un sorriso sulle labbra.

Quando uscì sembrava vagamente più orientato, e notò subito quanto la camera sembrasse più ordinata. Dal bagno l'aveva sentita armeggiare per tutto il tempo, ed ora non c'era più nulla appeso al letto, ne oggetti a terra. In compenso in bagno aveva trovato di tutto: rossetti e mascara sparsi ovunque, vestiti accumulati in un angolo, un post-it sullo specchio con disegnata una grossa P rossa e un punto esclamativo e accessori per capelli che straripavano dal cassetto. Il concetto di ordine e razionalizzazione le era completamente estraneo.
La trovò seduta contro la testata del letto con le mani in grembo, ed era chiaro che lo stesse aspettando da come lo fissava.
Manuel si sfilò la maglietta e la lasciò cadere a terra ai piedi del letto, poi passò alla chiusura dei jeans continuando a guardarla negli occhi. Stordita dalla visione ci mise un po' per organizzare pensieri coerenti e spostare lo sguardo, doveva per forza spogliarsi in quel modo?
Non ci fu bisogno di dirsi nulla, era come era sempre stato a casa di lui: Alice a destra Manuel a sinistra. Venne naturale ad entrambi disporsi così, non ci fu bisogno di parlarsi.
Manuel le voltò le spalle, nonostante lei sapesse benissimo che dormiva quasi sempre a pancia insù: -Buonanotte-
-'Notte- rispose in un brontolio assonnato lui.
Non rimasero a lungo schiena contro schiena in quella posizione ridicola e poco riposante, ognuno accucciato sul bordo esterno del letto e presto si ritrovarono sdraiati quasi l'uno contro l'altra in posizioni molto più gradevoli. Al solito il ragazzo infilò un braccio sotto al cuscino, l'altro, quello con cui di solito l'abbracciava, abbandonato sul petto.
Alice invece non riusciva a rilassarsi, e allo stesso tempo temeva di disturbarlo nel tentare di trovare una posizione comoda. Era rigida e immobile con le braccia innauralmente abbandonate ai lati dei fianchi, incapace di reagire.
I minuti passavano nel silenzio più totale della casa, i soliti scricchiolii provenienti dall'armadio, il respiro ritmico di lui, tutto nella norma. Eppure non la straniva averlo lì.
-Dormi?- chiese sussurrando dopo interminabili minuti di insonnia e pensieri che si rincorrevano senza ne capo ne coda.
Dovette attendere un po' ma alla fne la risposta arrivò: -Ci stavo quasi riuscendo- 
-Domani pensi di andare al lago con gli altri?-
-Forse-
Alice si voltò verso il comodino e con una semplice pressione su un tasto riempì la stanza con una canzone lieve dal ritmo lento e irregolare, il volume era bassissimo, ma la note riempivano dolcemente il silenzio.
Lui voltò la testa guardandola per chiede spiegazioni a quel gesto.
-Ogni tanto dormo con la musica, mi concilia il sonno. Ti da fastidio?-
Non le rispose tornò solo a fissare il soffitto e poi chiuse le palpebre rapito da quel suono.
-Uhn..già la tua insonnia...- commentò ricordando il suo problema -Ti capita ancora?-
-Spesso. In questo periodo poi, con gli esami e tutto il resto..- non si guardavano fissavano entrambi il soffitto.
Decise di ginorare quel "tutto il resto" che immaginava riguardasse anche lui, non gli piaceva l'idea di crearle problemi. Ascoltò meglio la sinfonia, riconoscendola vagamente per l'irregolarità dell'andatura.
-Chopin immagino?-
-Bravo! Questo me l'ha consigliato Andre Pasini sai, dice che a lui rilassa..-
Manuel rimase in silenzio ad occhi chiusi, e lasciò che mente e corpo si perdessero in quella melodia, era rapito, rilassato e abbandonato ai sensi.
Troppo abbandonato ai senti.
Affondò completamente nel cuscino e inspirò a fondo: quel cuscino, quelle lenzuola, quella stanza, quel mondo intero odorava di lei. Era snervante e inebriante. 
La sensazione che l'aveva sconvolto tante volte in sua presenza lo vinse ancora: il mondo era scomparso.
Non c'erano più i suoi problemi con la fisica, ne la tesina da finire.
Non c'era sua padre ad assillarlo per l'università dall'altra parte dell'Europa.
Non c'era quel ginocchio maledetto, ne il fisioterapista con le sue ramanzine.
Non c'era il carburatore della moto da riparare, ne tutte le sue maschere d'orgoglio da mantenere.
C'era solo quella stanza dal disordine nascosto nei cassetti, quel cuscino che profumava di lei. Solo loro, in quel letto, soli.

Le parole arrivarono al suo orecchio distorte, come se fossero lontane o solo pensate e un tripudio di emozioni esplose nel suo corpo ottenendone solo la completa pietrificazione.
Calore. Paura. Stupore. Gioia. Dubbio.
E ancora farfalle. Milioni di farfalle, dentro e fuori di lei.
-Basta hai vinto tu, mi arrendo-
Cosa voleva dire?
Non impiegò molto a capirlo, nel momento stesso in cui sentì le lenzuola spostarsi al tocco di una mano che non era la sua, capì che quelle erano le parole che aspettava da mesi.
Lenta la mano di Manuel la raggiunse, insinuò due dita nel suo palmo per accarezzarlo, senza fretta.
Le stava rannicchiato accanto eppure i loro corpi non si sfioravano, l’unico contatto era quello con le dita di Manuel.
Risalì con le dita fino al polso, scivolando sul tendine contratto, forse nella speranza di rilassarla lo massaggiò leggermente senza grandi risultati. Alice era immobile, una statua di cera supina sul letto con gli occhi chiusi.
Aprirli significava scontrarsi con la realtà e magari scoprire che quelle parole, quel tocco erano solo frutto della sua fantasia, che Manuel non aveva ceduto, non era accanto a lei ad accarezzarle la pelle.
Intanto quelle dita invece salivano. Salivano, salivano.
Erano arrivate all’interno del gomito, ne saggiavano la consistenza morbida della pelle ed esile e ossuta al di sotto. Lo sentì soffermarsi su una vena, un piccolo canale rigido ed elastico sottopelle, inseguì il suo corso fino al bicipite per poi sentirlo sparire dietro al sottile strato di muscolo, giunse alla fine del braccio e si fermò. Esitazione.
Alice non si era mossa di una virgola, ne un cenno ne un tremito, occhi ostinatamente serrati. Era il caso di insistere?
Si.                                                             
Sulla spalla incontrò la sporgenza della clavicola e l’ostacolo leggero della canottiera che agirò infastidito da tutto ciò che non fosse la sua pelle, separarsene in quel momento era qualcosa di estremamente fastidioso. Scese fino all’attaccatura del collo fino al centro della gola.
E lì fu il dilemma.
Salire ad accarezzarle il viso, o azzardasi a scendere al resto del corpo?
Lei non accennò a muoversi.
Si convinse che forse poteva aggirare i punti più ostici. Non voleva ancora incontrare i suoi occhi.
Cominciò a camminare con le dita lungo lo sterno, contando le costole e saggiandone lo spessore la rigidità e quanto poco tessuto lo separasse dall’osso. Constatò con amarezza quanto fosse fragile rispetto a lui, quanto poteva pesare Alice? Mangiava abbastanza? Forse avrebbe dovuto controllarla meglio. Inevitabilmente a metà del torace incontrò il sottile strato di tessuto che la copriva.
Maledetta camicia da notte.
Camminò sul profilo inferiore del seno senza avvicinarcisi troppo, lì la pelle prendeva una consistenza differente, più tenera, le costole s’inabissavano nel corpo lasciando spazio alla curva debole di cui l’aveva sentita lamentarsi tante volte.
Ridiscese verso il centro del ventre, lo sentiva abbassarsi al ritmo del respiro molto più che il torace, morbido a differenza del resto anche se intrappolato del tessuto del pigiama. Trovò l’ombelico in un piccolo avvallamento di forma perfettamente circolare, niente piercing, diceva di essere troppo cagasotto per sottoporsi volontariamente al dolore. Sapeva che lì sotto al cotone avrebbe trovato un piccolo neo proprio alla destra dell’ombelico.
Scese ancora percependo con chiarezza l’elastico delle mutande e gli ostacoli tra le sue dita e la pelle di Alice aumentare. Per un attimo l’idea di seguire l’istinto lo accarezzò, avrebbe voluto toglierle tutta quella roba, trascinarla nuda sotto di se e stringerla fino a fondersi con lei.
Rincorse le ossa del bacino fino al fianco sinistro, artigliandolo con tutto il palmo -quante volte le aveva artigliato così i fianchi incastrandosi con lei alla perfezione- e finalmente ne avvertì la reazione. Un gemito. Non di dolore. Non di piacere. Solo una reazione di stupore, probabilmente per il cambio di tono con lui l’aveva stretta.
In alcuni punti era fin troppo spigolosa Alice.
Andò da un’anca all’altra con il palmo aperto, con forza, portandola un po’ di più verso di se.
Poi tornò a sfiorarla solo con i polpastrelli.
Scivolò sull’esterno della coscia fino ad incontrare di nuovo quella pelle pallida sporcata di lentiggini, arrivò al ginocchio chinandosi per solleticarne il retro attendendo la reazione che sperava.
Alice si rilassò in modo appena percettibile sotto al suo tocco, rilasciò il ventre e pure i muscoli delle gambe finalmente liberò un respiro più profondo degli altri in cui Manuel ascoltò il suo nome insinuarsi tra quelle labbra e scappare fuori.
Era tempo di prendere coraggio.
In quel momento qualsiasi –qualsiasi- cosa le avesse chiesto non avrebbe mai rifiutato, era sua, in ogni atomo in ogni organo in ogni respiro. Le avesse chiesto del sangue si sarebbe tagliata pur di farglielo bere direttamente dalle sue vene.
Nemmeno si accorse che si era mosso quando se lo ritrovò addosso.
Per quante volte l’avesse visto sopra di lei a torso nudo pronto a spogliarla, non sarebbe mai stata pronta a quel momento: in equilibrio con le mani ben piantate sul materasso appena sopra le sue spalle e le ginocchia ai lati dei fianchi, Manuel quasi non la toccava.
-Apri gli occhi ti prego-
Mai mai mai avrebbe creduto di sentirlo pregare con quel tono così dimesso e sofferente.
Perché? Li aveva forse chiusi? Allora perché lo vedeva comunque?
Quando li aprì si scontrò con l’oscurità della stanza, faticò a distinguere i contorni della figura di Manuel sebbene fosse a pochi centimetri da lei. Per abituarsi al buio ci volle un po’, la prima cosa che distinse furono le spalle, larghe e massicce, dalle quali risalì al volto e poi agli occhi. Neri abbastanza per non essere distinti dal resto, eppure era certa che fossero lì, piantati su di lei. Frementi.
Forse era il consenso che aspettava perché pian piano Manuel si sedette sui talloni facendo scivolare il lenzuolo in basso scoprendo entrambi.
Fu con studiata lentezza che le portò di nuovo le mani ai fianchi insinuandole sotto la camicia da notte. E non furono più solo i polpastrelli a godere del contatto con la sua pelle, ma tutti i palmi, tutte le dita perfino i polsi. E ogni terminazione nervosa trovò il suo posto. Il suo attimo di gloria.
Alice non sapeva dove guardare, chi pregare, a chi chiedere sollievo, si sentiva andare a fuoco dal desiderio e allo stesso tempo divorata dall’ansia.
Non faceva l’amore con lui da mesi.
Eppure lui era seduto sulle sue cosce e la guardava pieno di brama, e anche le sue parole erano lì.
Si era arreso. E il suo tocco non era mai stato così incerto, la cortese fermezza che l’aveva sempre distinto dagli altri momentaneamente accantonata.
Le farfalle che l’avevano tormentata fino a quel momento divennero veri e propri crampi quando, dopo aver atteso a lungo uno stop, iniziò a far scorrere la canottiera verso l’alto.
Saliva saliva saliva.
Si bloccò con le mani sotto al seno senza scoprirlo. Concentrò le sue attenzioni sul ventre, accarezzandolo con tutte e dieci le dita, prima verso l’alto poi verso il basso, fino al bordo delle mutande. Alice ora lo guardava, ne seguiva ogni mossa con circospezione mentre si abbassava a lambirle con le labbra la carne molle del fianco, e dopo mentre con la lingua e i denti le marchiava il perimetro dell’ombelico. Era il figlio di Satana. Le mani presero la via della schiena sollevandola un po’  e correndo fin sulle natiche, da lì ricominciò dalle mani, i polsi, gli avambracci, i gomiti. E ancora le spalle, le clavicole, la gola. La toccava dappertutto, e non sembrava averne mai a basta, baciava ogni sporgenza ogni osso o venuzza in rilievo, stampandosene il percorso nella mente.
Finalmente si ritrovò le mani grandi di Manuel ad avvolgerle la mandibola, con le dita insinuate tra i suoi capelli era di nuovo immobile, preso solo a guardarla. Mosse le mani tra la massa di capelli rossi sparsa sul cuscino, a tracciarne i bordi dell’attaccatura e massaggiarle le tempie.
Era lì a un palmo dalle sue labbra con gli occhi sbarrati. A portata di bacio.
Per un attimo le fece quasi paura per la forza che imprimeva alla stretta sul suo volto e per la tensione delle labbra serrate per uno sforzo incomprensibile. Prima non l’aveva capito.
Aveva preso la sua esitazione per brama, invece era lui stesso ad avere paura, aspettava lei, la sua partecipazione, il suo permesso.
In effetti oltre ad aver aperto gli occhi, non si era più mossa, era lì inerme alla mercè delle sue mani con l’improvvisa sensazione di dover dire qualcosa.
Le mani le formicolavano per l’immobilità forzata, ne volevano collaborare, ma le costrinse ad alzarsi fino agli addominali di Manuel e correre fino allo stomaco, al petto su per le spalle fino alla gola, in fretta ignorando la sensazione di calore sotto le dita e la tentazione di fermarsi ad esplorarne i muscoli definiti. Raggiunse il viso e lo accarezzò piano prima di spingere sui reni ed alzarsi a baciarlo.
E fu fuoco.
E fu aria.
Un bacio semplice in cui era stata Alice a lanciarsi su di lui, ed ora stava appesa alle sue spalle con la schiena sollevata. Le artigliò la vita e una coscia per portarla seduta con se sul materasso e dedicarsi a quel bacio che aspettava da giorni.
 
 
 
"perso non più contatto più niente, se tutto cambia in un istante
in guardia e costantemente, fuori controllo
perso non più certezze più niente, il vuoto accorcia le distanze
in fuga e costantemente, pronto allo scontro.
Subsonica"









Inutile e abusivo spazio autrice:

Ecco a voi l'ennesimo capitolo scritto e pubblicato di getto!
Ringraziate tutti e inchinatevi alla mia Alessandra, la mia beta una e trina.
Ora,
no comment sul capitolo che finisce e non finisce...
Già so che riceverò recensioni con violente ripercussioni verso la mia persona e visto che qualcuna di voi è di bologna
vi prego non venite a cercarmi per flagellarmi!
Il seguito è quasi pronto, diciamo che il più è fatto.
Come alcune di voi già sanno: la mia velocità negli aggiornamenti è direttamente proporzionale alla mia depressione,
il che significa che in questo periodo va tutto maledettamente male.
Ma voi gioite, significa che aggiornerò in un lampo!!!

Due piccoli regalini:
capitolo 13
capitolo 14
Le canzoni citate sono: L'amor carnale - The bastard sons of dioniso, L'errore - Subsonica.

Adoro il nuovo sistema per rispondere alle recensioni e adoro voi che mi seguite.
(come al solito) 1bacio. Vale.


   
 
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