Grazie, come sempre. Anche a chi legge e non
commenta.
Capitolo 11
“Davide, scendi?! Perché non vieni a prendere Bilbo?”
Il tempo si ferma
quando Camila capisce che Davide è in casa. Priscilla e Simona guardano verso
il corridoio, in attesa che il ragazzo scenda, e dopo un po’ li sente anche
lei: i passi di qualcuno che arriva dalle scale, dal piano di sopra.
A Camila sembra di
trovarsi in un’altra dimensione, in un film, in un contesto irreale.
Quando Davide mette
piede nel salotto, cerca di rimanere composta e sorridente, anche se l’istinto
le chiede di inventare una scusa ed andare via.
“Eccoti,” dice Simona. “Bilbo è molto agitato, perché non lo porti
un po’ fuori?”
Invece di
rispondere a sua madre, Davide guarda Camila.
Dirà che mi conosce? Mi saluterà come se
niente fosse?
“Buonasera,” dice lui. Allunga la mano verso Camila, che l’accetta
subito ma senza guardarlo negli occhi. “Sono Davide.”
“Io Camila,” dice lei velocemente. Ritira la mano e si volta nella
direzione di Simona.
“Camila lavorerà
qui,” dice la donna a suo figlio. “Almeno lo spero,” aggiunge ridendo.
“In casa siamo in
quattro,” interviene Priscilla. “Noi tre ed il nostro
patrigno, Giancarlo.”
Istintivamente,
Camila si volta a guardare la foto raffigurante Davide
da bambino. “Quello è mio padre,” dice lui,
appoggiando i gomiti sulla spalliera della sedia di sua sorella.
Camila annuisce,
sperando che il ragazzo si decida a portar fuori il cane come sua madre gli ha
chiesto.
Perché è proprio questa, la casa? Perché?
Posso rifiutare? No, ho bisogno di soldi. Posso accettare? No, non posso
lavorare per la famiglia di Davide.
“In linea di
massima siamo ordinati e puliti,” riprende Simona,
“tranne quando qualcuno trasforma il pavimento del bagno in una piscina dopo
aver fatto la doccia,” dice, lanciando un’occhiataccia a Davide.
Lui avvampa. “E’
accaduto solo quella volta,” dice fra i denti.
“E io stavo per
rimanerci secca,” gli fa eco Priscilla.
“Senti chi parla,
tu sei quella che lascia in giro palline da hockey.”
“E tu non guardi
mai dove metti i piedi.”
“E tu-”
“Ok, ok, basta!”
esclama Simona. “Siete impazziti? Abbiamo un’ospite, non fatemi fare brutte
figure.” Poi, rivolgendosi a Camila,
dice: “Sono adulti, ma si comportano come bambini. Scusali.”
“Non c’è problema,” risponde lei, guardando ovunque tranne che nella
direzione di Davide. “La casa è su due piani?” Da un lato vorrebbe rimanere in
silenzio per non esporsi, ma è pur sempre ad un colloquio di lavoro, e il suo
obiettivo è quello di ottenere informazioni sulla famiglia e sulla casa.
“Sì,” dice Priscilla. “Qui sotto abbiamo il salotto, la cucina, un bagno e lo studio. Di sopra,
invece, le tre camere da letto e un altro bagno.”
Camila annuisce,
guardandosi attorno.
“Ciò di cui ho
bisogno,” dice Simona, “è un aiuto per mandare avanti
la baracca. Qualcuno che mi aiuti a pulire le camere, che mi aiuti con il
bucato. Pensi di potercela fare? La mia amica mi ha parlato benissimo di te. Dice che sei un angelo.” Le sorride, e per un attimo Camila rivede
in lei lo stesso sorriso di suo figlio. Buono e generoso.
“Posso farcela,” dice Camila guardandosi le mani, “ma la mia settimana di
lavoro è molto piena. Ogni quanto avrebbe bisogno di me?”
“Tutti i giorni!”
esclamano le due donne insieme.
“Tutti i giorni?!”
“Sì, Camila. Vedi,
la casa non è molto grande, ma c’è sempre qualcosa da fare. Mio marito invita
sempre i suoi amici all’ultimo momento; i due campioni, qui, sono sempre in
giro e io-”
“E lei va in crisi,” conclude Davide. Lo dice senza guardare Camila.
“Io non vado in
crisi,” ribatte Simona, “ho semplicemente bisogno di
una mano. Tutto qui.”
“Lei lavora?”
chiede Camila.
“No,” risponde la donna. “Non più.”
“Io sono impegnata
in ospedale,” dice Priscilla. “Due volte alla
settimana ho gli allenamenti con la squadra di hockey, e ogni quindici giorni
parto per le trasferte.”
Camila fa il suo
lavoro da poco, ma ha imparato bene a conoscere i suoi clienti.
Esistono le donne
impegnate sul lavoro, che non hanno tempo da dedicare alla casa e per questo si
affidano a lei. Esistono le persone anziane, che non hanno più la forza
necessaria per pulire i vetri o per stendere il bucato. Esistono le famiglie
ricche, per le quali la donna delle pulizie è un must, come la pelliccia
nell’armadio o l’auto di lusso in garage.
Esistono poi le
donne come Simona, che non hanno un buon rapporto con la casa e che
preferiscono affidare le faccende domestiche ad un estraneo. Camila le
preferisce alle altre, per il semplice fatto che non fanno parecchie storie e
non la trattano mai con sufficienza. La considerano un’amica, più che una
dipendente, e non le stanno col fiato sul collo.
“Pensi di riuscire
a venire tutti i giorni?” chiede Priscilla.
Camila ritorna al
presente, e alla domanda che la signora Falco le ha appena fatto.
“Le mie giornate
sono davvero molto occupate,” dice. “Non so se
riuscirei a venire tutti i-”
“Ovviamente saresti
assunta in piena regola,” dice Simona. “Con uno
stipendio, un giorno alla settimana di riposo, un periodo di ferie retribuito;
vogliamo fare le cose perbene, stavolta.”
Camila fatica a
starle dietro. “Un momento. Mi sta proponendo di
lavorare qui… sempre? Cioè, come donna delle pulizie… vera? Come
un vero lavoro?”
Simona solleva le
sopracciglia, sorpresa. “Certo, Camila. Dovremo
parlarne bene con il nostro commercialista, inquadrare una forma contrattuale
che possa stare bene ad entrambe, ma l’idea è questa. Perché,
è un problema?”
Camila non ha mai
avuto un lavoro fisso.
Sarebbe come quando lavoravo per i Bauer, in Germania. Lavorerei solo per questa famiglia, non
sarei costretta ad andare di casa in casa. Magari potrei ritagliare degli spazi
nel giorno libero, per fare degli extra, oppure potrei…
“Camila? A cosa pensi?”
Priscilla la
riporta di nuovo alla realtà.
“Vuoi accettare?”
domanda Simona.
Davide è ancora nel
salotto, con le tre donne. E’ rimasto in silenzio, e Camila si chiede a cosa
sta pensando. Lavorare per i Falco significherebbe un passo in avanti, certo,
ma vorrebbe dire anche vederlo ogni giorno. Pulire la sua camera. Lavare i suoi
vestiti.
Si sente a disagio
al sol pensiero. O forse non è disagio. Forse si tratta di imbarazzo.
Prima di prendere
la parola, Camila guarda lui. Davide si guarda in giro come se niente fosse.
Vorrebbe quasi chiedergli se la sua presenza in casa potrebbe
causargli un problema, e se è rimasto nascosto al piano di sopra per
evitare di vederla.
Ma poi il telefono
di casa suona, e Davide si affretta a rispondere. “Pronto?
Oi, sono io… Sì. Sì. Va bene.” Guarda
l’orologio. “D’accordo. Glielo dico subito. Va bene,
va bene. Ciao.” Riaggancia e si gira verso sua madre. “Era Giancarlo. Ha detto che lui e i suoi amici arriveranno
alle otto, invece che alle nove. Hanno finito prima di visitare non so cosa,
quindi-”
“Alle otto?!” esclama Simona. “Ma è così presto!” Scatta in piedi con
le mani fra i capelli, guardandosi attorno come se fossero entrati i ladri.
“Devo ancora preparare gli antipasti e fare una doccia! Volevo fare la piastra,
volevo anche-”
“Mamma, calmati!”
Priscilla regala uno sguardo imbarazzato a Camila, la quale si alza per
riflesso, sentendosi all’improvviso di troppo. “Non è sempre così,” le dice. “Te lo giuro.”
“Avete molte
persone a cena?”
“Solo due più del
normale,” risponde Priscilla. “Ma lei odia le sorprese
dell’ultimo minuto, e si agita per un nonnulla.” Finisce la frase sussurrando
le ultime parole, ma sapendo che sua madre può sentirla.
“Allora sarà meglio
che vi lasci continuare,” dice Camila, appoggiando la
borsa sulla spalla. “Non voglio rubarvi tempo prez-”
“Oh, no.” La voce
di Davide non le permette di continuare.
Camila e le due
donne si voltano verso il ragazzo, il quale ha gli occhi puntati in basso,
verso Bilbo.
Il muso del cane è
sporco di cioccolato.
“La torta!” esclama
Priscilla, correndo in cucina. “Oh, no! Ha distrutto la torta! Davide, dovevi tenerlo d’occhio!”
Davide si china e solleva
il cane con facilità. Camila nota che anche le zampe anteriori sono sporche.
“Mamma, mi dispiace.”
“Davide, ti avevamo
chiesto una sola cosa: tenere d’occhio Bilbo.” Simona sbuffa, lasciando andare
le braccia lungo i fianchi in segno di resa. “Siamo in madornale ritardo,” dice con voce sfinita. “Devo ancora
finire di preparare la cena, e il dolce è distrutto. Favoloso. Tremendamente favoloso.” Scuote il capo verso suo figlio.
“Mi dispiace,
mamma, davvero.”
“Sì, lo so.” La
donna si volta verso Camila, spettatrice silenziosa del piccolo disastro
familiare. “Scusaci ancora una volta, Camila. Dovremo
sembrarti una banda di pazzi.”
Camila non capisce
il motivo dell’agitazione di Simona. Vorrebbe dirle ‘Si calmi, è solo una cena
fra amici, il dolce si può andare a comprare in pasticceria’, ma è chiaro che
per Simona si tratta di un avvenimento importante.
Per questa ragione,
non esita a dire la sua. “Vuole che l’aiuti, signora? Vuole che le dia una mano con la cena?”
Simona sembra presa
alla sprovvista. “Oh. Io… no, no, Camila. Ti ringrazio, ma non-”
“La torta è
irrecuperabile,” dice Priscilla, arrivando dalla
cucina. “E il corridoio è pieno di zampate di cioccolato,”
continua, guardando a terra. “Che io dovrò pulire in fretta e furia, visto che
mio fratello è un idiota.”
“Ve l’ho detto, mi
dispiace!”
Se la sua voce è
dispiaciuta, i suoi occhi lo sono meno. Gli occhi marroni di Davide sembrano
quasi divertiti o meglio, felici.
“Camila, non posso
chiederti di aiutarmi. Sei venuta solo per un
colloquio, e non abbiamo ancora deciso in che modo organizzarci per il lav-”
“Tu non puoi
chiederglielo, ma io sì,” dice Priscilla. “Ti sei
offerta di darci una mano, ho capito bene?”
“Sì,” risponde Camila. “Se posso darvi una mano lo faccio
volentieri.”
“Magnifico!” esclama
Priscilla. “Vieni con me,” dice, tirandola per un
braccio. “Mamma, tu vai di sopra a prepararti, io e Camila finiremo la cena e
penseremo ad un nuovo dolce. Davide, tu sparisci con Bilbo. Non
voglio vederti fino alle otto!”
Camila non sa di
preciso perché si è offerta di dare una mano ai Falco. In fondo questa per lei
è stata una giornata faticosa, e tutto ciò che desiderava, prima di mettere
piede nella loro casa, era ritornare al suo appartamento, fare una doccia,
mangiare un boccone e infilarsi sotto le coperte.
Quando però è
entrata in casa di Simona, è stata avvolta da un’atmosfera surreale ma
piacevole, e in pochi minuti ha scoperto che queste persone le piacciono. Sono
un po’ sopra le righe e di certo molto diverse da lei, ma Simona e Priscilla
sono due brave donne, e Camila non ha potuto fare a meno di offrire loro un
aiuto.
Poi c’è Davide. Che
ha finto di non conoscerla e che le ha rivolto la parola solo quando si è
presentato formalmente.
E’ arrabbiato con me, dopo la conversazione
di ieri sera? Spera che non accetti il lavoro?
Davide è il motivo
per cui Camila dovrebbe lasciare la casa e tornare al suo appartamento, e lei
lo sa. Al tempo stesso, però, è anche uno dei motivi per cui non riesce a
calmare il suo cuore, e ad inventare una scusa per andare via.
“Mio
fratello è un idiota. Te
ne accorgerai presto.” Priscilla prende la borsa e la giacca di Camila e le
appoggia su un divanetto nel corridoio. “Ammesso che tu decida di accettare il
lavoro,” riprende, guidandola in cucina. “Che dici,
potresti farcela con i tuoi impegni?”
“Potrei, sì,” risponde Camila, “ma devo pensarci bene. Valutare molte cose.”
Priscilla è curiosa
come Davide, ma con l’età ha imparato a modulare la voglia di sapere, per cui
annuisce e sorride.
“Questo è ciò che
resta del mio dolce,” dice, indicando il tavolo sul
quale giace la torta al cioccolato dilaniata dalle zampe e dal musetto di
Bilbo. “E lì c’è la cena,” continua, indicando i
fornelli. “Quella per fortuna è salva.”
“Il profumo è molto
buono,” dice Camila. “Si sente dall’ingresso.”
Priscilla
scoperchia le pentole per mostrarle il contenuto. “Mia madre è molto brava,
quando non si fa prendere dal panico.” Si gira verso il tavolo. “Hai qualche
suggerimento per la torta? Per fare quella ho impiegato due ore, e non abbiamo molto
tempo a disposizione.”
Camila cerca di
pensare velocemente, scorrendo nella mente tutte le ricette che ha imparato nel
corso degli anni. Sa di non poter proporre il suo cavallo di battaglia,
“Nella dispensa
dovrebbe esserci una torta Cameo!” La voce di Davide arriva dal bagno in cui
sta pulendo Bilbo. “L’ho comprata io per prepararla con i miei amici!”
“Non sapevo che
fossi diventato pasticciere!” grida Priscilla di rimando. “Occupati di Bilbo!”
continua, facendo una buffa linguaccia verso la porta.
“Era solo un’idea!”
“Un’idea idiota!”
Si avvicina alla porta, e da essa guarda il fratello intento a pulire nel
corridoio. “Vuoi proporre a quei due snob una torta Cameo? Che diavolo ti salta
in mente?!”
“Allora vai in
pasticceria,” dice lui.
“Non se ne parla.
Dobbiamo inventarci qualcosa.”
Rimanendo accanto
ai fornelli, evitando cioè di avvicinarsi alla porta (e quindi a Davide), Camila
espone la sua idea. “In quel cesto sul ripiano di legno c’è molta frutta,” dice. “Potremmo preparare una crostata di frutta. Sarà
certamente pronta per la fine della cena.”
“Davvero?” domanda
Priscilla.
“Sì. Ho soltanto
bisogno di burro, uova, farina, latte, vaniglia e…
gelatina.”
“Tutto qui? Puoi
davvero preparare una torta di questo tipo in così poco tempo?”
“Sì,” risponde l’altra, sorridendo.
“Oh, Camila. Grazie, grazie, grazie.”
E così, mezzora
dopo, alle sette e trentacinque minuti, Camila infila in forno la teglia
contenente la base della torta, mentre Priscilla termina la cottura della crema
alla vaniglia.
“Mentre si
raffredda inizio ad affettare la frutta,” dice Camila.
“Tu puoi andare a prepararti, se vuoi.”
“Sicura?”
“Sì, certo. Non c’è
altro da fare, vero? Il pesce ha terminato la cottura, e la base per il risotto
è pronta.”
Camila non è mai
stata brava a cucinare il pesce, ma è stata fortunata: la cottura delle
pietanze era già al punto giusto. Lei e Priscilla non hanno dovuto fare altro
che aggiungere un filo d’acqua nelle pentole e terminare la cottura.
“Grazie,
Camila. Sarò di ritorno
in un baleno, promesso.” Si avvia nel corridoio, ma poi torna indietro. “Non ho
idea di dove siano Davide e Bilbo, ma non farli avvicinare a quella torta, intesi?”
“Intesi,” risponde l’altra, con un grande sorriso sulle labbra.
L’atmosfera
surreale continua ad avvolgerla, ma assieme ad essa c’è qualcos’altro. Passare
del tempo con Priscilla non è stato difficile per lei, né imbarazzante.
A Camila la ragazza
è simpatica, e sembra che anche Priscilla veda lei di buon occhio.
E’ strano. Sono qui, in casa di Davide, e ho
appena trascorso mezzora con sua sorella. La stessa sorella che 17 anni fa mi
ha dato un paio di scarpe, pur non sapendolo.
So che dovrei andarmene. So che questo non è
il mio posto, e che è solo per puro miracolo che Davide non è qui in cucina, ma
non posso fare a meno di sentirmi attratta da tutto questo.
E’ vero, sembrano una banda di pazzi, ma mi
piace stare qui, con loro.
Camila affetta
diligentemente i kiwi, le arance, le mele e le fragole. Controlla di tanto in
tanto la cottura della base, e dopo un quarto d’ora decide che è pronta. Nella
casa regna il silenzio, segno che i membri della famiglia sono occupati a
prepararsi per la cena.
Sarà così, se deciderò di lavorare per loro?
Mi lasceranno libera in cucina? Accidenti, l’hanno appena fatto. Ora, al nostro
primo incontro. Potrei essere una delinquente. Potrei rapinarli e andare via.
“Tutto bene?”
La voce di Simona
la sorprende alle spalle. Camila si volta e nota come sia cambiata in poco meno
di un’ora. Indossa un paio di pantaloni di pelle marrone, che potrebbero
risultare volgari alla sua età, ma che a lei donano particolarmente, visto che
è alta e snella. Sui pantaloni, fino a metà coscia, scende una blusa a maniche
lunghe color caramello. Ai piedi ha due ballerine,
dorate come il disegno astratto che si trova sul retro della blusa. Con sé,
Simona porta un buon profumo fruttato. I capelli sono lisci e legati in una
coda bassa, fermata con un fermacapelli gigante.
“Complimenti,
signora,” dice Camila. “Sta molto bene.”
“Grazie,” risponde Simona. “Come procede qui? Priscilla mi ha detto
che sei un lampo nell’impastare.”
Camila le mostra la
base di pasta frolla, che si sta raffreddando assieme alla crema alla vaniglia,
e la frutta tagliata a piccoli pezzi.
“Bene,” dice Simona. “non resta che preparare l’antipasto. Avevo
in mente di fare dei vol-au-vent al salmone, ma il
tempo è poco, quindi opteremo per delle tartine al paté d’oliva. Tu che dici?”
“Può andare,” risponde Camila, meravigliandosi che la donna abbia
chiesto il suo parere. In fondo sono estranee, non dovrebbe essere così… così
cordiale, giusto?
Camila osserva
Simona aggirarsi per la cucina con la sua blusa svolazzante, e all’improvviso
ha un’altra idea. “Potrei prepararle io,” dice. “Se
vuole può andare ad apparecchiare, invece di rimanere qui. E’ così ben vestita,
non vorrei si sporcasse.”
Simona è di nuovo
presa alla sprovvista. “Camila, io… Sei molto gentile, ma non devi trattenerti oltre.”
Alza gli occhi sull’orologio attaccato alla parete. “Dio,
sono quasi le otto! Vorrai tornare a casa, non è così? Oh, Dio, ti
abbiamo trattenuta qui fino a quest’ora!”
“No, no, signora. Non è un problema.”
In teoria è un
problema, ma a Camila non importa.
“Sarebbe un peccato
se si sporcasse proprio adesso,” continua. “Ha detto
tartine con il paté d’olive, giusto? Credo di aver visto il pane in cassetta in
quel mobile lì in basso, quando Priscilla ha preso la farina. Vada pure, ci
penso io.”
Mezzora dopo, la tartine e la crostata alla frutta sono pronte sul tavolo
della cucina dei Falco.
“Wow. Complimenti.”
Davide entra in
cucina lentamente, tenendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
Camila aveva quasi
dimenticato che fa anche lui parte della famiglia. O forse voleva semplicemente
illudersi che non fosse a casa.
Indossa un paio di
pantaloni scuri e una camicia grigia con delle righe celesti
molto sottili. Il suo profumo è molto più forte di quello di Simona, e
Camila ne è immediatamente colpita.
Tuttavia,
nonostante desideri alzare gli occhi dalla tartina che ha in mano e osservare
quelli di lui, Camila evita di cedere all’istinto e mormora un ‘Grazie’ prima di appoggiare il triangolo di pane in
cassetta sul vassoio.
Davide fa il giro
del tavolo e arriva al balcone. Si ferma a pochi passi da lei. Osserva la
torta.
“Posso averne una
fetta?”
“Tua sorella ha
detto che non devi avvicinarti alla torta,” risponde
lei.
Silenzio per
qualche secondo.
“Posso ripulire il
pentolino in cui avete preparato la crema?”
Camila sorride, ma
non alza la testa. “Va bene.”
Davide si avvicina
ai fornelli e prende il pentolino. Da un cassetto prende un cucchiaino e inizia
a ripulire il recipiente. Lentamente. Con attenzione. Impiegando più tempo del
necessario.
Camila termina di
stendere il paté sulle tartine, e prende a sistemare le fette di pane in modo da ricreare
un motivo geometrico. Anche i suoi movimenti sono lenti e attenti.
“La crema è molto
buona. Complimenti.”
“Grazie. E’ stata Priscilla a prepararla.”
“Scommetto che le
hai detto tu come fare. Quella che fa di solito è piena di grumi.”
Camila sorride di
nuovo, e ripensa a quando Priscilla le ha chiesto di versare il latte sul
composto di uova, farina e zucchero al suo posto, in quanto temeva i grumi.
“Hai
già deciso cosa farai? Lavorerai qui?” incalza Davide.
Camila non riesce
ad alzare lo sguardo, per cui si occupa di allineare le tartine con calma.
“Non ho ancora
deciso,” sussurra dopo un po’.
Si volta per andare
al lavello, per sciacquare le mani che non
sono sporche. Davide la segue come un’ombra, appoggiando in una delle vaschette
il pentolino ormai pulito ed il cucchiaino.
“Mia
madre e mia sorella sono estasiate all’idea di averti qui ogni giorno. Hanno detto che ispiri
fiducia.”
Il suo tono di voce
è basso, gentile.
Camila continua a
tenere la testa chinata, e ringrazia in silenzio i suoi capelli gonfi che le
fanno da scudo.
“Sei
stanca?”
“No,” dice subito. “Perché?”
“Perché hai la
testa a penzoloni come se stessi per addormentarti,”
dice con un sorriso. Camila la alza di scatto, in parte indispettita per le sue
parole, in parte desiderosa di guardarlo mentre ride. “Così va meglio,” riprende Davide.
Sono talmente
vicini che lei può sentire il suo profumo come se si trovasse sulla sua stessa
pelle.
Sono talmente vicini
che gli occhi marroni di Davide hanno l’effetto di un pendolo ipnotizzante.
“Sei
stanca, non è vero?”
“No,” ripete Camila.
“Lo dici con così
tanta veemenza che la bugia è evidente,” sussurra lui.
“Grazie per essere rimasta.”
Lei lo guarda di
sfuggita, ma senza scostarsi. I loro fianchi si sfiorano. “Prego.”
“Accetterai di
lavorare qui? Mia madre è pronta a costruirti un trono, ti avviso.”
Camila sorride.
“Non lo so, Davide. Devo pensarci
bene.”
“E’ per me? Hai dei
dubbi perché questa è casa mia? Sappi che di solito passo poco tempo in casa.
La mia camera è la più pulita di tutte, me ne occupo personalmente, quindi non
dovresti neppure entrarci.”
“No,” dice lei. “Non è per questo.”
Vorrebbe
continuare, e dirgli che si tratta di un problema di organizzazione, anche per
quanto riguarda i suoi altri clienti (lavorare per i Falco a tempo pieno
vorrebbe dire salutare molte delle famiglie per cui lavora adesso), ma Davide
l’anticipa.
“E’ per tuo marito?
Devi parlarne con lui?”
Lo chiede in
maniera fredda. Quasi con strafottenza.
A Camila il suo
tono non piace.
“No,” risponde secca. E non dice altro.
Davide esce dalla
cucina dopo pochi secondi, senza rivolgerle più la parola.
***
“Ti prego, Camila, resta a cena con noi.”
Priscilla cerca di
convincerla da dieci minuti, ma Camila ha già deciso:
non rimarrà con i Falco.
Sarebbe troppo.
Gli ospiti sono
arrivati da dieci minuti e si trovano in salotto con Giancarlo, il quale si è
limitato a salutare Camila con una rapida stretta di mano
Priscilla e Simona
sono in cucina, intente a riempire i piatti di cibo.
“Vi ringrazio,” dice Camila. “Ma non posso, davvero. Devo
tornare a casa.”
Guarda l’orologio.
Sono le otto e mezza. Non arriverà a casa prima delle nove. Dovrà prepararsi da
mangiare, lavarsi. Non può trattenersi oltre.
“Va bene,” si arrende Simona. “Va bene.” Le va accanto, ignorando
per un attimo le tartine. “Grazie per tutto quello che hai fatto per noi questa
sera, Camila. Ci hai salvate, davvero.”
Priscilla annuisce
e sorride.
“Non ho fatto nulla
di speciale, davvero,” dice, indossando la sua giacca.
“Grazie a voi per avermi lasciato la vostra cucina, e per avermi dato fiducia.”
“Fiducia meritata,” dice Priscilla. “Le tartine sono eccezionali, e scommetto
che anche la torta sarà buonissima.”
“Grazie, Priscilla.”
Camila la guarda con un’intensità all’apparenza immotivata, ma dentro di sé il suo grazie è molto profondo.
Grazie per le tue scarpe, vorrebbe dirle. Grazie per aver deciso che non ne avevi più bisogno.
“Quando possiamo
risentirci?” chiede Simona. “Per discutere meglio del lavoro, del contratto.”
“Va bene domani?
Voglio dormirci su e pensare bene a tutto il da farsi,”
dice Camila. “Non so se ne ha già parlato con la signora Ballotta, ma io vivo
dall’altra parte di Roma, quindi fra le altre cose dovrò considerare anche il
trasporto.”
“Hai un’auto?”
chiede Priscilla.
“No. Uso i mezzi
pubblici.”
“Sono sicura che
troveremo il modo di metterci d’accordo,” replica
Simona. “Ci tengo molto, Camila. Davvero.” E nel
dirlo, tira fuori dalla tasca una piccola bustina bianca e gliela porge.
“Questo è un piccolo pensiero per il tempo che ci hai dedicato questa sera.”
“Oh,
no. Non posso, signora. No.”
“Ti prego, Camila. Voglio che ci sia equilibrio nel nostro
rapporto, e se non prendi questa busta mi sentirò per sempre irriconoscente per
quello che hai fatto.”
“E’ vero,” dice Priscilla. “Hai preparato tutto questo in meno di
un’ora. Devi accettare qualcosa. Prendi la busta, Camila. Davvero.”
“In questo modo ci
sarà equilibrio,” riprende Simona. “E potremo parlare
del lavoro come si deve.”
Camila accetta la
busta bianca ringraziando le due donne, la infila in borsa senza aprirla; non
vuole che pensino che sia una persona attaccata al denaro, e non vuole neppure
fare la figura della poveretta che conta immediatamente i soldi guadagnati.
“Grazie,” dice ad entrambe. “Adesso vado. Buona serata. Buona
cena.”
“Come tornerai a
casa?” chiede Priscilla mentre le fa strada nel corridoio. “Prenderai i mezzi?”
“Sì.”
“Oh. Stai attenta,
mi raccomando. Ci sentiamo domani, d’accordo?”
“D’accordo. Grazie
ancora, Priscilla.”
“Grazie a te,
Camila.”
La ragazza le
sorride fino a quando chiude la porta. Il pezzo di legno rossastro che la
separa dai Falco e dalla sensazione di famiglia che le hanno trasmesso per
poche ore diventa rapidamente suo nemico, per cui gira in fretta i tacchi e
scende le scale.
Non posso non accettare. Si tratta di una
buona famiglia. Lavorare in un posto solo, invece che impazzire per la città,
sarebbe fantastico… ma posso davvero farlo? E’ la casa di Davide. Ha detto che
non c’è mai, e che non dovrei pulire la sua camera, è vero..
ma è pur sempre casa sua.
Accidenti. Perché mi faccio tutti questi
problemi? Si tratta di un lavoro, e devo considerarlo come tale. Non posso
farmi condizionare da Carovigno, né dalle due sere nel giardino sotto casa. Né
dal suo approccio nei miei riguardi. Devo pensare a me stessa, alle mie
priorità. Ho bisogno di un lavoro che mi permetta di guadagnare bene, e Simona
Falco ha bisogno di una persona come me.
Davide? Il suo sorriso? Il suo profumo e i
suoi occhi ipnotizzanti? Non mi interessano. Non devono interessarmi.
Camila si ritrova
davanti al portone alla fine del suo monologo interiore. Si chiude nella giacca
e si prepara ad arrivare alla fermata dell’autobus a piedi, ma una voce la ferma.
E’ la voce di
Davide. Fermo accanto ad un’aiuola, ha con sé Bilbo, legato al guinzaglio.
“Bilbo mi ha
chiesto di riaccompagnarti a casa. Andiamo.”
---
Durante la scrittura mi sono resa conto che
questo capitolo stava venendo molto lungo. Ho deciso, quindi, di spezzarlo a
metà. Il seguito arriverà la prossima settimana. Resistete.