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Autore: Bellis    17/02/2011    3 recensioni
L'inaspettatamente traumatica conclusione di una delle indagini di Holmes provoca il risveglio dei fantasmi di Watson. Il detective dovrà a propria volta fare i conti col terrore che tali spiriti si rivelino fatali per il suo amico.
One-Shot Seconda Classificata al "Nightmare Hospital Contest" indetto da Lolly Deadgirl.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Bellis (bellis008@gmail.com)
Titolo: That Day
Fandom: Sherlock Holmes
Personaggi: John H. Watson, Sherlock Holmes, Murray, alcune comparse
Temi scelti: Allucinazione, Incapacità di Reagire
Genere: Angst, Dramma, Introspettivo
Rating: Arancione
Avvertimenti: One-Shot; come direbbe un anglofono: Pointless Angst; Scenari Onirici
Beta Reading: Sì, post-contest, svolto dalla paziente (dato che siamo in tema, questo sembra essere l'aggettivo giusto) Alchimista
Introduzione alla storia: L'inaspettatamente traumatica conclusione di una delle indagini di Holmes provoca il risveglio dei fantasmi di Watson. Il detective dovrà a propria volta fare i conti col terrore che tali spiriti si rivelino fatali per il suo amico.
Note dell'autore: Ringrazio Alchimista per il supporto morale a me fornito in corso di stesura della fanfiction, senza il quale non sarebbe mai nata. Una menzione va anche al dottor Bell, che ringrazio di improvvisarsi, di tanto in tanto, psicologo.

Ulteriori Note: Scritta per il Nightmare Hospital Contest di Lolly Deadgirl e classificata Seconda, con tanto di Premio Stile. Sono rimasta piuttosto sorpresa ed intimamente soddisfatta del buon risultato, e vorrei ringraziare la giudice per la valutazione e Shurei per i meravigliosi bannerini.




Per la cara collega Alchimista.
Tutto ciò che v'è di buono in questo testo è dedicato a lei.



That Day [1]

John Watson era nuovamente là.

Non sapeva ricordare quante volte egli avesse percorso, nel sogno, quel luogo, o quante volte egli ne fosse fuggito, sforzandosi di erigere in gran fretta una solida, impenetrabile barricata che proteggesse il suo atterrito intelletto dai suoi stessi ricordi.
Rivedeva nuovamente sopra di sè quei tendaggi pesanti, il cui colore scuro era attenuato dalla sabbia del deserto che ogni notte veniva depositata su di essi dal vento gelido e dal sole cocente del mezzogiorno, che bruciava il terreno e schiariva le vesti. Rientrava nell'ospedale da campo [2] e ripercorreva con lo sguardo quei volti cinerei, contorti dalla sofferenza: i lineamenti ben noti dei suoi compagni, che egli non sarebbe stato in grado di salvare. Paralizzato da questa nuova consapevolezza, non poteva più fare un passo, e rimaneva inerte a fissare il terreno brullo, ignorando le implorazioni di aiuto che s'innalzavano da ogni lato di quella tenda esagonale, che si stringeva sempre più intorno alla sua persona sola...

E proprio lui, un medico, un soldato, un uomo che avrebbe dovuto essere avvezzo al male ed agli orrori della guerra, arretrava, spaventato come un bambino, di fronte all'immagine che ogni notte gli sorgeva nella mente.
Una subitanea sensazione di vergogna lo assaliva, a quella riflessione, e solitamente aveva il potere di infondergli, come in una risposta eguale allo stimolo dato, la forza d'animo necessaria a ritrovare un certo distacco. Le figure che gli stavano intorno si dissolvevano, come polvere nella polvere, ed egli, impallidito, s'accorgeva che era già troppo tardi, che non v'era più nulla da fare. Ansante, si risvegliava, lo sguardo smarrito che frugava la penombra della stanza in cerca di un contrassegno di realtà, pregando che nessuno avesse udito il suo affannoso respiro ed i suoi strazianti singhiozzi...

... la sua stanza?
Stentava a riconoscerla. No, non si trattava della stanza presa in affitto presso il 221b di Baker Street, a Londra. Quella non era certo la sua casa, ed egli non era seduto su di un normale giaciglio. In effetti, qualsiasi sforzo che egli facesse per risollevarsi a sedere era prontamente ripagato da un lancinante dolore alla spalla sinistra, che lo costringeva a deglutire un gemito e a sospendere il tentativo in favore di un momento di assoluta immobilità.

Finalmente, si costrinse ad aprire gli occhi che teneva serrati, ed il pieno impatto della realtà - sì, realtà, perchè di questo si trattava - lo colpì con una violenza tale da stordirlo.
A qualche metro dalla sua figura supina, un telo scolorito e consunto ondeggiava leggermente, come se una brezza tesa lo stesse placidamente sfiorando. Una lanterna dal vetro annerito per il molto e frettoloso utilizzo era appesa ad un gancio, poco più in là, semicoperta da un panno che lasciava filtrare solamente qualche fioca scintilla di luce, sufficiente tuttavia a rivelargli la natura del proprio giaciglio: una branda dalla struttura di metallo e cuoio, alcune coperte lacere impilate come materasso, un lenzuolo macchiato di rosso teso sopra di lui. Su di una cassa, rovesciata e tenuta lì a mò di tavolo o comodino, alcuni strumenti da chirurgo - lame affilate e non ancora lucidate - sostavano, probabilmente appena utilizzati, insieme ad una gran ciotola d'acqua polverosa e sporca.

Watson si passò una mano sulla fronte madida di sudore, deglutendo.

"Dottore! Grazie al Cielo, dottore!" esclamò una voce giovanile, talmente improvvisa da farlo sobbalzare e sollecitare una nuova fitta di dolore dalla sua articolazione. Un uomo di forse venticinque anni si avvicinò a lui, con un sincero sorriso quasi di commozione a distendere il volto sudicio ma onesto. Si affrettò a toccare la tesa del cappello con la mano destra aperta, palmo rivolto verso l'esterno - una formalità che il medico credeva di aver dimenticata.

"Sapete, pensavamo che non vi avremmo più riavuto tra noi. O almeno, così diceva il dottor tenente Bryan, quel menagramo," il giovanotto si affrettò a togliere il berretto da sottufficiale, "Con rispetto parlando, dottore."

Watson sbattè le palpebre, lo sgomento che si mescolava al sollievo, mentre la realtà - quella che gli sembrava tale - ed il sogno - o almeno, quello che a rigor di logica gli era parso fantasia - si fondevano e si amalgamavano con tanta uniforme eleganza da turbinare nella sua mente in tumulto e renderlo nuovamente insensibile. Chiuse gli occhi, cercando di respirare lentamente.

"Murray [3] ?..." chiamò quindi, ritornando ad osservare il viso che ancora sostava, pervaso da preoccupazione, accanto a lui.

"Ci potete scommettere, dottore," esclamò quello, decisamente più sollevato, "Se non fosse proibito dal regolamento."

Il medico ignorò la sgrammaticata sintassi, non potendo evitare un debole sorriso a quel ben noto accento cockney. Comprendeva il poco entusiasmo di Bryan, anzi, lo conosceva molto bene. Quelle erano situazioni in cui un medico spesso non desiderava dare false speranze - né a se stesso, né agli altri. Poco alla volta, si calmò, l'odore di sangue e di sabbia che affiorava alle narici con minore impeto, gli occhi che si posavano nuovamente sull'ambiente circostante. Vi erano altri giacigli intorno al suo: una mano gelida parve stringersi sul cuore di Watson, mentre egli notava come la maggior parte dei loro occupanti fosse rigidamente immobile, un telo tirato fin sopra il volto.

"E' andata male, signore," mormorò Murray, passandosi il polsino della manica destra sul viso, "A Maiwand, intendo. Soprattutto per il nostro Berkshire, che il Cielo l'abbia in gloria. Ma voi non dovete preoccuparvene, adesso. Siamo a ovest di Kandahar, ora, e qui i Ghazis non sono ancora arrivati."

I baffi del medico tremarono, mentre quello si costringeva a serrare le labbra. "Quanti... quante vittime?" domandò piano, avvertendo, come un segnale remoto, un lontano e basso ronzìo.

"Non lo so, signore," rispose subito il suo aiutante, rigirando nervosamente il cappello tra le mani, "Ma qui siamo arrivati in una trentina [4]. Però gli altri avranno preso la strada per Kabul, questo è certo, signore, il generale Roberts [5] si è stanziato là, lo sapete."

"Trenta?..." Watson boccheggiò, preso da un subitaneo panico. La sensazione di vergogna lo avvolse di nuovo, come se egli fosse stato immerso in un immenso bacino d'acqua bollente che bruciasse impietosa ogni sua estremità, ed egli, per la prima volta nella sua vita, implorò dentro di sè che si trattasse di nuovo di un incubo, che il pungolo di quel tormento riuscisse a farlo rinsavire, riportandolo ad una verità più comfortevole e tranquilla. Ma ciò non accadde.
"Trenta, Murray... e... buon Dio... io dov'ero?" bisbigliò, il ronzìo che si avvicinava implacabile.

"Dottore," intervenne il giovane, ma Watson non lo lasciò parlare.

"There was thirty dead an' wounded on the ground we wouldn't keep - No, there wasn't more than twenty when the front began to go. [6]" balbettò, cercando disperatamente di scostare il lenzuolo, ora apparentemente pesantissimo, e di alzarsi.

"Aspettate - Cielo, dove state andando, dottore, vi prego! State calmo!" Murray aveva afferrato la sua spalla sana e lo stava sospingendo con decisione sulla massa di panni laceri. "Dottor Bryan, signore! Dottor Bryan!" strillò, evidentemente non temendo di disturbare chi non avrebbe potuto sentirlo.

Una figura vestita dell'uniforme di medico militare scostò un lato della tenda ed entrò di corsa, il ronzìo nel fondo del cranio di Watson si era trasformato in un boato scrosciante, che lo accompagnò dolcemente nell'oblìo del sonno, mentre una voce colma di spavento ripeteva più e più volte il suo nome.

---

Sherlock Holmes lasciò andare le braccia dell'uomo che si era accasciato sui cuscini, in un sonno inquieto. Una mano ossuta e nervosa percorse le bende accomodate con esperta prontezza sul capo dell'infermo dal personale del St. Bart.

"La febbre si è alzata, signor Holmes," notificò il medico, in piedi accanto a lui, "Non promette bene. Sta delirando."

Due occhi grigi si sollevarono verso il viso del dottore, le nubi grigiastre che vorticavano al loro interno si condensarono in freddo acciaio.

"Thirty dead and wounded..." sussurrò il detective, accorgendosi poco dopo del proprio tentativo di applicare un'analisi razionale a quella situazione, come se essa avesse potuto portare qualche sollievo alla persona che ora giaceva inerte su quel letto d'ospedale.

Anche il medico sembrava tuttavia incline a pensarla allo stesso modo, "Riconoscete quelle parole?" domandò, forse ansioso di rivedere un poco di luce in quelle circostanze così buie.

Un lampo negli occhi chiari testimoniò il balzo d'ingegno che riportava alla coscienza dell'uomo la sequenza di informazioni, accuratamente archiviate nella sua eccezionale memoria. La soluzione, inevitabilmente raggiunta da una serie di deduzioni corrette, prese forma nella sua mente come la figura di un veterano, dalla solida morale, appena rientrato a Londra nella torrida estate del 1881.

Holmes annuì lentamente, rimanendo in silenzio.

---

"Murray," fu la parola che per prima, bisbigliata, oltrepassò le sue labbra. "Dove... dov'ero io?"

Un lieve sospiro precedette un fruscìo di vesti, un volto tirato si avvicinò a quello di Watson.
"Non potete biasimarvi, dottore. Sapete, se la colpa è di qualcuno, è mia. Il comandante aveva ordinato la ritirata, il segnale squillava ovunque nella pianura, ed io vi ho portato via di là."

"No, figliolo," venne immediatamente la risposta, la voce impastata dalla febbre e dal dolore. "Avete fatto il vostro dovere di coraggioso soldato, ed inoltre io debbo esservi grato." il medico gli rivolse un breve sorriso, "Vi sembrerò molto ingiusto."

Murray scosse il capo con decisione, "Non nei miei confronti, signore. Semmai nei vostri, se scuserete la mia franchezza."

"It was me..." sussurrò l'altro, un'ombra di implacabile e cupa follìa che affiorava nelle iridi scure, al pensiero dei propri compagni riversi al suolo, abbandonati sulla distesa che assolata e silenziosa giaceva dinanzi agli arroccamenti nemici: alcuni morenti, altri defunti e mai sepolti, altri feriti e forse trucidati, più tardi, dai selvaggi vittoriosi. Il giovane scosse il capo, senza comprendere.

"I 'eard a beggar squealin' out for quarter as 'e ran, an' I thought I knew the voice an' - it was me! [7]"

"Dottore, voi non siete fuggito, mi sentite? Non siete fuggito, voi sareste rimasto insieme a loro, è colpa mia!"

"A beggar... un mendicante... ecco cosa sono... ho chiesto salva la vita, e l'ho avuta, e a causa mia!..."

Gridava nel silenzio della vecchia tenda da campo, che ben più di una battaglia aveva veduto concludersi, e decine e decine di soldati aveva accompagnato nel profondo sonno della morte, cullandoli coi lievi scricchiolii delle sue assi di legno scalfito dalle lame.

"A causa mia... non ha potuto salvarsi... ed io che gli davo le spalle... io, che non ho voluto rimaner lì con lui... io, che andavo nella direzione opposta!..."

"Watson! Watson, calmatevi!"

"No, no, sono stato io, non ho potuto far nulla, non ho voluto rimanere insieme a lui! Murray, dovete comprenderlo, son sempre stato io!"

"Watson, sono qui, per l'amor del Cielo!"

Lo sguardo attonito del ferito, che ansioso percorreva il malfermo ambiente che pareva tremare di fronte a lui e muoversi, come per l'effetto di una strana ipnosi, incontrò quello del suo aiutante. Fu sorpreso della veemenza della sua voce, del grigio penetrante dei suoi occhi - che, lo avrebbe giurato, fino a pochi minuti prima erano neri, - della salda presa delle sue mani sul suo viso, mentre cercava di ricondurlo alla tranquillità.
Poi, esausto e tremante, scivolò nuovamente nell'incoscienza.

---

"Mi dispiace, signor Holmes..."

La voce del medico era lenta e bassa, e non risuonò all'attenzione del detective come un buon presagio. Ostentando fermezza, quello si alzò, rivolgendo il proprio viso all'uomo nel camice bianco.

"Sta peggiorando ancora. Non credo che supererà la prossima crisi, e se non lo farà... Mi dispiace." ripetè, lasciando il polso di Watson e accomodando il suo braccio sul lenzuolo nitido.

Holmes rimase completamente solo, insieme ai propri pensieri. Ripercorse gli avvenimenti di quella notte, e si ripetè che il suo amico era stato perfettamente consapevole dei pericoli che avrebbe corso, accompagnandolo in una delle sue escapades notturne nei quartieri del Soho, alla ricerca di uno dei più pericolosi criminali che infestavano le strade di Londra. Rinnovò nel proprio formidabile intelletto l'idea del fatto che quella caccia era stato quanto di più nobile e giusto essi avrebbero potuto fare, in una situazione simile... che il giuoco, come il vecchio adagio suggeriva, valeva la candela.

Non avrebbe mai potuto immaginare, neppure dall'alto della sua scienza - che agli occhi di molti lo rendeva assimilabile ad un veggente - quanto terribili sarebbero state le conseguenze della sua indagine. La ferita, la debolezza, il trauma avevano risvegliato i demoni nascosti nella mente del suo camerata; Holmes si sorprese a considerare con quanta perizia il suo apparentemente onesto coinquilino avesse sempre celato alla sua viva attenzione l'orrore che egli provava al ripresentarsi di quelle devastanti visioni nella sua mente, notte dopo notte. Il detective aveva ovviamente osservato come il suo collega avesse i nervi scossi, nell'anno in cui si conobbero, e come i suoi incubi si presentassero, soprattutto nei primi tempi, con frequenza allarmante. Ma la cadenza di quegli spiacevoli episodi si era fatta più ampia, e Holmes non aveva voluto fare intrusione nella privacy di un uomo dal fiero orgoglio e dall'animo colmo di Vittoriano pudore.

Non avrebbe mai potuto sapere quanto vividamente quegli orrori avrebbero potuto ripresentarsi, a distanza di così tanti anni. Forse una lacuna nel suo ragionamento? Un errore nella sua osservazione? Quale ostacolo aveva potuto impedirgli di notare quella debolezza del suo amico? E quale innesco era mai riuscito a provocare una subitanea esplosione di tale magnitudine nel suo inconscio febbricitante?

Una frase balenò come un lampo nella mente del detective, una che l'infermo aveva pronunziato ripetutamente, nel delirio, ed alla quale sembrava associato il maggior carico di stress emotivo.
"Non ho voluto rimanere insieme a lui."

Holmes sillabò quelle parole una dopo l'altra, a voce alta.
"Non ho potuto far nulla... non ho voluto rimanere insieme a lui."

Finalmente, il detective comprese: ed insieme al ricordo delle strazianti grida che avevano sovrastato il ruggito delle cascate Reichenbach
[8], solamente quattro anni prima... lo assalì lo sconforto della colpa e dell'impotenza.

---

Si sentiva meglio; ma il caldo torrido che attanagliava nella sua morsa tagliente la regione Afghana non avrebbe certo facilitato la sua guarigione. Indossava nuovamente la propria uniforme, il braccio fermato intorno al busto da una fasciatura non molto pulita. Sedeva accanto all'ingresso della tenda da campo, per gentile concessione del dottor Bryan.

"Dottor Watson, signore!" la voce di Murray precedette di poco il suo scattante saluto, al quale il ferito rispose con un breve sorriso. Il giovane si chinò accanto a lui.

"Come va, ragazzo mio?" gli domandò, scrutando cupamente la pianura assolata che li circondava.

"Bene, signore." replicò subito quello, visibilmente a disagio. Sospinse più in alto sulla fronte la visiera del suo cappello. "Sapete, dottore, pensavo di ritornare a Kandahar insieme agli altri."

Watson annuì lentamente; non si aspettava altro. Si alzò in piedi, seguito dal sottufficiale.
"Siete un bravo soldato, Murray, e rendete onore a Sua Maestà ed alle sue truppe."

Il giovanotto lo fissò per un momento, sorridendo, e sembrando nulla più che un fanciullo agli occhi dell'altro milite. Si strinsero la mano, la medesima profonda stanchezza che si rifletteva dall'uno all'altro sguardo.

Passeggiarono insieme attraverso l'accampamento spoglio, non gremito di soldati ma quasi deserto, alla stregua di un ammasso di capanne Ghazis. Incontrarono alcuni soldati, e tutti salutarono, ritti sugli attenti, ma senz'altro che sconforto nel contegno abbattuto. I rinforzi erano lontani, e la marcia, nei giorni seguenti, sarebbe stata faticosa.

"An' the major cursed 'is Maker 'cause 'e lived to see that day, an' the colonel broke 'is sword acrost, an' cried. [9]"

Watson sollevò il capo all'improvviso, adocchiando il sottufficiale, stranito.
"Come avete detto, Murray?..."

"E' stata una brutta batosta, sapete, per il Berkshire," il giovane sembrava non aver udito la sua domanda, continuava a camminare, "E brutta ferita, la vostra, signore, davvero brutta."

Il medico si guardò intorno: pareva essersi fatta notte d'un colpo, i fuochi ardevano alti al centro dell'accampamento britannico. Le sentinelle erano scomparse, come se si trattasse di un inquietante campo fantasma, dove il nemico avesse già fatto irruzione sorprendendo l'intero contingente nel sonno.

"Intruso! Chi va là?" urlò Murray, senza preavviso, puntando il fucile. Watson seguì la traiettoria della baionetta e subito si lanciò in avanti ad afferrare la canna dell'arma e a dirigerla verso il suolo.

"No, figliolo, è solo una donna, non vedete?"

Era in effetti una figura femminile, avvolta in lunghi veli, che si avvicinava con le mani protese al Cielo, come se volesse parlamentare.

Placando i suoi istinti, il sottufficiale le si avvicinò.
"Chi siete, e cosa volete?"

Quella non rispondeva; scostando bruscamente Watson e puntando nuovamente il fucile, Murray ripetè: "Chi siete? Perchè siete qui?"

La donna si fece più innanzi, guardandoli dall'alto dei suoi occhi velati, dal profilo orientale e dalla freddezza che incuteva timore. Il suo viso era il surreale specchio del terrore e della furia insieme.
"Son qui per voi," risuonò come in sogno la sua voce saggia e vibrante; i soldati s'immobilizzarono, attoniti, "Per voi, che avete voltato la schiena alle armi ed al vostro sangue: premi il grilletto e fai fuoco verso di me, giovane stolto, non potrai che ferire il tuo orgoglio già annientato!"
E continuò, in un alto lamento, "Young love, if you do not fall in the battle of Maiwand... by God, someone is saving you as a token of shame. [10]"

Watson avrebbe voluto che la terra si aprisse sotto i suoi piedi in quel luogo ed in quel momento, piuttosto che rimanere a fissare quegli occhi straziati che lo fissavano senza accennare a distogliere lo sguardo da lui. Ma nulla accadde; solo, la donna continuava ad avvicinarsi, sempre più. Una mano ferma strattonò la manica della sua divisa.

"Signore, dobbiamo fuggire, dobbiamo andarcene, subito!" fece Murray, preso dal panico, "Seguitemi, seguitemi verso le cascate, presto!"

Il medico lo fissò con sguardo vacuo.
"Non posso fuggire ancora..."

"Non abbiamo scelta, dobbiamo andare, dottore!"

"No, Murray, non possiamo!..."

Senti che le forze gli venivano meno, ed il braccio del sottufficiale che lo cingeva, sorreggendolo. Si ritrovarono chissà come in un campo di battaglia, tra le forti detonazioni dei fucili ed il rombo possente dell'artiglieria, la tenda ospedale ormai una sagoma lontana. La spalla doleva come se il proiettile Ghazi si fosse appena conficcato lì.

"Alle cascate, signore! Saremo al sicuro, se le raggiungiamo."

"Murray, non vi sono cascate, qui, cosa state..."

Un cupo rumore di fondo, che a Watson pareva quello dei cannoni, si fuse in un suono più naturale, potente: mille sovrumane voci che all'unisono gridavano, infrangendo la loro eco sulle rocce circostanti. Un paesaggio montano si sovrapponeva alla sabbia polverosa, mentre folate di pungente freddo davano brividi rapidi e violenti alla schiena accaldata dell'uomo.

Senza accorgersene, egli si allontanò da Murray, avanzando verso l'orlo del baratro profondo numerose decine di metri che vedeva l'acqua riversarsi in un torbido insieme di mulinelli e schiuma, nel ventre di un avvallamento minaccioso e buio.

Due file di impronte si stendevano dal sentiero fino al precipizio. Qualcosa luccicava dalla sommità di un masso, accanto al quale era appoggiato un bastone da passeggio. [11]
Un dolore più lancinante di quello che pulsava sulla spalla sinistra si sprigionò nel petto dell'uomo.

"Holmes..."

Murray era di nuovo al suo fianco, aveva afferrato il suo braccio. La sua voce riecheggiò nelle tempie del medico.
"Watson..."

"Figliolo... io devo andare laggiù... devo tentare di far qualcosa... non posso rimanere qui e solamente guardare... Murray, ascoltatemi, lasciatemi andare!"

L'aiutante aveva messo da parte il fucile e lo stava trattenendo con entrambe le mani, scrollandolo con determinazione. "Watson! Non siete stato voi, non avete alcuna responsabilità per quello che è successo... Watson... svegliatevi."

"Là io mi potrò svegliare, là potrò dire il mio onore salvo, io debbo tentare di far qualcosa! Holmes!" gridò, colmo di orrore e rammarico, "Holmes, perdonatemi!"

"Non ho nulla da perdonarvi, amico mio, nulla. Svegliatevi, ora. Guardatemi, per amor del Cielo! Concentratevi, Watson! Sono io!"

Ancora quegli occhi, che da neri diventavano grigi, e quella voce, dall'accento di autorità così evidente da non poter essere ignorato. Il medico annaspava, avvertendo di nuovo la propria coscienza che scivolava via, verso lande inesplorate e fittizie, cercandovi rifugio. Eppure si sforzò di guardare in quelle iridi chiare che sentiva di conoscere così bene, e di rivolgere ogni fibra della propria attenzione ad esse, ignorando il paesaggio che poco a poco diveniva più sfocato, meno reale, sfiorandolo mentre si dissolveva in una miriade di specchi multicolore.

Quando il deserto si tramutò, come per magia, in una stanza bianca e tranquilla, e le mani macchiate di sangue del sottufficiale Murray, intorno ai suoi avambracci, si rivelarono essere quelle sottili e forti di Sherlock Holmes, il dottore pregò, con tutta la forza che restava nel suo animo, che non si trattasse dell'ennesima visione.

Il profilo affilato, coi lineamenti tesi dalla preoccupazione, che gli stava di fronte si rilassò leggermente, nella manifestazione di un impeto di sollievo tanto genuina che il medico non avrebbe mai pensato di poterla vedere proprio nel suo imperturbabile e caro amico.

"Watson..."

---

"... Holmes?"

John Watson stentò a riconoscere la propria voce, debole e spezzata. Se non avesse desiderato così fortemente che si trattasse realmente di lui, non avrebbe riconosciuto subito neppure il contegno di Sherlock Holmes, che in quegli istanti risultava talmente trasparente e sincero da consentire che anche l'ingenuo medico potesse leggere nella sua mente come fosse stata un libro aperto.

Il detective annuì, lentamente, rilasciando appena la figura ancora tremante dell'amico; abbassò lo sguardo, in un evidente tentativo di costringersi a riprendere le redini del proprio autocontrollo.

Rimasero a lungo in silenzio, l'uno di fronte all'altro.

"Un notevole scambio di ruoli rispetto al consueto," bisbigliò infine Watson, quando la vividezza di quella vera realtà ebbe terminato di fugare i molti spettri che ancora si trattenevano negli angoli più bui della stanzetta d'infermo. "Io son stato perduto nella tempesta, adesso, e voi siete stato il mio faro."

Due seri occhi grigi incontrarono ancora i suoi.
"Può il faro essere nello stesso tempo foriero di tempesta e portatore di luce?"

"Certe nubi, una volta generate, non si dissolvono mai, Holmes. Continuano a portare la tenebra nella nostra mente... per tutta la vita. Il faro le illumina e le riporta alla coscienza: ma ciò non significa che sia responsabile della loro permanenza. E' invece, indubbiamente, l'unico fautore della salvezza dell'equipaggio."

Non vi fu necessità di altre parole: quando il personale del St. Bart giunse nella camera ritenendo di dover constatare un'avvenuta tragedia, trovò il paziente, libero dalla precedente febbre, immerso in un sonno ristoratore, serenamente disteso sul suo giaciglio, ed il suo taciturno amico anch'egli appisolato su di una vicina poltrona; ciascuno consapevole del fatto che l'altro gli avrebbe fatto da guida nelle circostanze più perigliose ed intricate.


Note al Racconto:

[1] : E' anche il titolo di una composizione di Rudyard Kipling (risalente al 1892) sulla battaglia di Maiwand (avvenuta nel 1880), quella nella quale il dottor Watson è stato ferito (nota 2). -- Torna SU

[2] : John H. Watson ha un passato da medico militare. Ha prestato servizio insieme al contingente britannico nella seconda guerra Afghana, dalla quale è rientrato nel 1881, congedato in seguito ad una ferita alla spalla sinistra (A Study in Scarlet). -- Torna SU

[3] : Il sottufficiale Murray è l'uomo che ha salvato la vita di Watson, portandolo via dal campo di battaglia quando è stato ferito (A Study in Scarlet). -- Torna SU

[4] : I sopravvissuti del 66° reggimento di Fanteria dei Berkshires nella Battaglia di Maiwand sono, per l'appunto, trentadue. Le vittime accertate furono 286. -- Torna SU

[5] : Roberts giungerà da Kabul coi rinforzi per il distaccamento di Kandahar, contribuendo ad una vittoria decisiva per la campagna Afghana britannica. -- Torna SU

[6] : Dal poema di Kipling (nota 1), "C'erano trenta tra morti e feriti sul terreno che non eravamo riusciti a tenere / Non ve n'erano più di venti quando il fronte ha iniziato ad avanzare." -- Torna SU

[7] : Dal poema di Kipling (nota 1), "Fino a che udii un mendico strillare, mentre correva, che lo lasciassero passare / Pensai di conoscere quella voce ed - ero io!" -- Torna SU

[8] : Nel 1891, Sherlock Holmes finge la propria morte in una letale lotta con la sua nemesi, il professor Moriarty, criminale e malavitoso di Londra. Nella finzione, Holmes sarebbe precipitato nel baratro delle cascate di Reichenbach, vicino a Meiringen, in Svizzera. Watson, allontanato con uno stratagemma dallo stesso Moriarty, non ha potuto far altro che ritornare e constatare la (apparente) avvenuta tragedia (The Memoirs of Sherlock Holmes, "The Final Problem"). Holmes ritornerà da quello che è convenzionalmente chiamato The Great Hiatus dopo tre anni, nel 1894 (The Return of Sherlock Holmes, "The Empty House"). -- Torna SU

[9] : Dal poema di Kipling (nota 1), "E il maggiore rinfacciò al suo Creatore d'averlo fatto vivere per vedere quel giorno / E il colonnello spezzò a metà la sua spada e pianse." -- Torna SU

[10] : Narra una leggenda che, in un momento di sconforto delle truppe Ghazi durante la battaglia di Maiwand, una donna Afghana, Malalai, arringò i soldati con questa frase, facendo del proprio velo uno stendardo, e spronando i combattenti alla vittoria: "Amato giovine, se tu non cadi morto nella battaglia di Maiwand / Buon Dio, qualcuno ti sta risparmiando perchè tu sia simbolo di vergogna." -- Torna SU

[11] : E' lo scenario che appare a Watson in The Final Problem (nota 8) dopo la presunta tragedia. L'oggetto che scintilla è un portasigarette d'argento, sotto il quale si trova il messaggio lasciato dal detective per l'amico. Le due file d'impronte derivano dall'avvenuta colluttazione tra Sherlock Holmes e James Moriarty. -- Torna SU

   
 
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