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Autore: ElderClaud    17/02/2011    2 recensioni
“Ehi... Aspettate!”
il gesto di un “alt” improvviso fatto a palmo aperto, viene immediatamente rispettato dai sudditi di Grimmjow non appena giunti sulla cima di una morbida duna.
Alcuni mormorii si perdono al vento lieve e gelido che soffia per la valle, per l'improvviso stop dettato da un sire che guarda lontano.
Nakeem, a differenza dei suoi fratelli, è il primo a capire il perchè Jaegerjaquez si sia improvvisamente fermato.

[Nakeem Greendina][Menos Grande]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Arrancar, Jaggerjack Grimmjow
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'e'
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Non so il perchè mi sia venuta in mente questa oneshot. Ma ripensando più attentamente ai menos, non ho potuto fare a meno di provare malinconia. C'è chi se lo scorda ma quelli non sono semplici “mostri” quanto anime di persone che sono diventate così per una serie di sfortunati eventi.
E no, non me la sento di dire che sono “brutti mostri e cattivi” perchè: primo non è mai stato detto dall'autore che gli hollow sono malvagi (solo istintivi), secondo sarebbe troppo facile una simile interpretazione. Comunque, sono stata ispirata da alcune parti della canzone dei Genesis “Into Too Deep” che sfrutto come apertura e chiusura di questa introspezione.
E ora mi chiederete: perchè su Nakeem? Il perchè non lo so, però mi sembrava quello più adatto a vedere la situazione dato che lui era – nel passato – un Gillian dall'aspetto non molto dissimile a quello di un menos.
Spero possa piacervi! Buona lettura!


Tutto il tempo sono stato in perlustrazione, con nessun posto in cui correre, ha iniziato a farmi pensare.
Chiedendomi cosa potevo fare della mia vita, e chi stavo aspettando


Non sono poi così difficili da scorgere nel bel mezzo del deserto.
I menos grande, nel loro lento incedere per quella fine sabbia bianca – calda la notte e fredda di giorno – trascinano i loro mantelli neri come la pece e inchiodati alle loro spalle, facendosi spesso sentire per i boati delle loro voci tutt'altro che muliebri.
Nell'Hueco Mundo sono quelle creature che vagano per il deserto senza avere una idea ben chiara in testa se non quella totale – quasi comunitaria come un branco di formiche – che di cibarsi dei propri simili senza ormai sapere il perchè di tale cannibalismo.
A vederli, spesso se si resta immobili su di una duna, è come notare una marea nera con grottesche teste ciondolanti fatte di un osso simile alla ceramica, di quelle maschere portate dai medici veneziani al tempo dell'atroce peste che devastava la laguna nei tempi d'oro della Repubblica.
E poi sono lenti e goffi.
Ciondolano le loro teste ad ogni solerte passo fatto strisciando i piedi nascosti dai mantelli neri, su di una fine sabbia composta principalmente dalle ossa di altri menos che hanno avuto la sfortuna di non vivere molto a lungo.
Sono anche spaventosi.
Ricordano l'uomo nero delle favole orribili raccontate ai bambini per mettere loro paura, affinchè si tengano lontano dagli individui inaffidabili e rimangano stretti alle sottane delle loro madri.
Spaventosi più per aspetto che per la loro indole, talmente sono mossi dall'istinto che ogni loro azione non rasenta nulla della follia umana che li ha contraddistinti – magari – in vita mortale.
Poi, a parte questi aspetti che si fermano alla loro andatura ciondolante e sommessa, come quella di pellegrini diretti verso un luogo sacro, c'è un altro aspetto che non si ferma alla loro sola apparenza fisica.
Sempre standosene su di una duna, a guardarli danno quasi un sentore malinconico con il loro pellegrinaggio senza fine e senza motivo.
Forse è questo il loro aspetto che è più difficile da assimilare oltre che il più verosimile. Perchè non si può non provare una certa ansia – cosa provata da ogni abitante dell'Hueco Mundo non abbastanza forte – nell'osservare questi cumuli di particelle spirituali che senza un solo, dannatissimo, briciolo di coscienza, pascolano tranquillamente per il purgatorio infinito.
La coscienza, ecco cosa manca loro.

Dall'alto della duna su cui si era posato da poco – come a voler sfuggire a quel destino triste e indissolubile – Nakeem Greendina osservava i suoi stessi fratelli in un silenzio quasi istintivamente voluto per rispetto della loro sorte.
Ciò che lo portava a differenziarsi da loro, che pur sempre erano come lui di dimensioni mastodontiche e avvolti da mantelli neri, stava sostanzialmente – oltre che per la maschera totalmente differente – in quel barlume chiamato coscienza.
La psiche che ben è considerata da tutti gli abitanti di quel mondo un bene inestimabile – e che si portano a macellarsi tra loro pur di mantenerla intatta e non divenire così spettri neri senza ragione – ed era bizzarro ma pure Nakeem la possedeva.
Ed era strano, se non buffo, che un individuo così anonimo come lui fosse riuscito a trattenerla a se con così tanta forza nonostante il peso di tante anime mangiate.
Piegandosi di trenta gradi sulla lunga schiena senza spina dorsale, scrutò attentamente il gruppo che aveva deciso di abbandonare stufo che nessuno di loro gli rivolgesse la parola. In principio non aveva compreso che ciò che lo differenziava dagli altri menos era la sua stessa psiche. Il suo intelletto superiore al loro. Poi una volta compreso, perchè voler per forza restare?
No, era meglio andarsene. E scrutandoli dall'alto della duna facevano un certo effetto.
Se ne sorprese, ma dalla sua grossa maschera simile ad un volto umano, fuoriuscì un sospiro basso e sommesso.
Era... Triste guardarli. Era spaventoso pensare che si potrebbe diventare come loro – senza cervello – se non si ha modo di sfruttare il “dono” che è stato fatto.
Il dono di Nakeem era di essere differente da tutti gli altri, di avere una chance che forse se fosse riuscito a coltivare al meglio il prezioso seme offerto dalla Santa Madre, sarebbe arrivato in alto.

C'era una cosa però che doveva riconoscere – e non solo lui – a quelle nere creature. I menos avevano fede.
Una grandissima fede verso Incubadora e per ciò che era – ed è – stata per tutte le creature del deserto, portando questo bagaglio istintivo di conoscenza a pregarla in un modo tutto loro.
È la fede a muoverli.
E se per gli shinigami Incubadora è solo un mostro leggendario, per l'Hueco Mundo rappresenta la massima divinità in carica.
L'arcaica leggenda di una creatura di cui non si conosce il vero aspetto fisico – c'è chi dice che fosse bellissima, altri che era simile ad una Venere preistorica ed altri ancora un mostro orribile – che giunta per prima in quelle sabbie senza tempo decise li di farvi dimora. E di divorare chiunque osasse incontrarla.
Custoditi all'interno del suo ventre mai sazio, le anime si accumulavano – fondendosi tra loro dando così lentamente vita ad una nuova razza – fino a diventare una situazione esasperante da portarla ad esplodere a quell'anomala gravidanza.
Vasto Lorde. La progenie di Incubadora.
Ecco a cosa aspiravano gli abitanti del purgatorio. Ecco a cosa aspirava Greendina.
Mentre il resto del popolo, i menos senza ragione, non rimaneva che pregare e sopperire così ad una malinconia che forse magari la percepivano, ma che con tutta probabilità non comprendevano appieno.
Un istinto strano il loro, che li portava a pregare in sincronia, sbattendo i denti tra loro e procurando così dei suoni secchi e sordi, accompagnati dal dondolio sommesso della testa come se stessero recitando un mantra.
Poi a tratti le teste si innalzano verso la luna di Artemide, e ululano brevemente ad ogni tot di schiocchi e dondolii.
E camminano. Camminano come un branco di fenicotteri quando si mettono a pregare.
A differenza loro Nakeem aveva smesso di pregare nell'esatto momento in cui aveva capito che non serviva a nulla.
Non che fosse una creatura di poca fede, tutt'altro, però lui il suo dono l'aveva già ottenuto. Ed ora quindi, non restava che avanzare altrove in cerca di una guida che lo portasse a far prosperare tale dono.
In silenzio e molto lentamente infine, decise di scendere oltre la duna che aveva scalato, per lasciarsi finalmente alle spalle un branco di malinconici spaventapasseri e alla loro fede di trovare uno scopo.

[…]

di ruderi l'Hueco Mundo ne è pieno.
Rovine di palazzi e città, da tempo immane dimenticate e seppellite dal deserto di ossa e da leggende lontane. Antichi splendori di un passato dimenticato, ora recanti il segno annoiato di molti arrancar che distruggono quei capolavori perduti, oppure rovinati dalla fede ogni qual volta si incontri la statua della Dea dal volto talmente levigato dalle tante carezze dei suoi figli devoti, da essere irriconoscibile.
È strano passarci in mezzo però. Passare in silenzio per quelle rovine levigate dal tempo senza che il suo mantello nero come la notte vada ad incastrarsi tra le colonne lisce e ciclopiche.
Greendina deduce in silenzio che quello doveva essere stato un posto piuttosto importante in un tempo molto lontano o forse al di fuori del deserto stesso.
Forse quelle rovine ci erano finite li con la stessa volontà che ha un hollow di finirci. Per istinto magari. Magari in cerca di uno scopo.
Paura forse?
La paura è un elemento naturale nella vita di ogni creatura esistente. Anche per gli arrancar – di cui ne faceva ampiamente parte ormai – che seppur più evoluti di un hollow restavano esseri piegati dalla paura.
Tale ragionamento al neo arrancar di classe Gillian non piace neanche un po'. Lo porta a sbuffare per un'ansia crescente e a decidersi ad allungare il passo per raggiungere il deserto più vasto e non pensare nel silenzio più assoluto al domani.
In quel mentre però che si allontana da quella città senza vita, il Gillian viene colto da una strana sensazione.
È come sentirsi formicolare tutte le interiora nel percepire qualcosa nell'aria, portandolo a guardarsi intorno con fare nervoso e indeciso se passare ad una ritirata o affrontare chiunque si celasse in quelle rovine.
Il reiatsu degli altri individui si fa sentire come un formicolio. Nakeem è abbastanza saggio da capire che ci sono almeno quattro individui – piuttosto potenti tra l'altro – a pochi metri da lui raggruppati assieme e forse non consci della sua presenza.
I casi quindi sono due, o ci si allontana da quei ruderi nel modo più discreto possibile, oppure colti dalla curiosità si cercava di capire cosa questi individui stessero combinando.

In entrambi i casi comunque, era il fattore istintivo che spronava il Gillian a prendere una decisione.
E stranamente, il nero fantasma optò in silenzio per la seconda opzione.
La loro aura era aggressiva ma non minacciosa. Anche se non li vedeva sentiva che non erano un drappello di arrancar affamati in cerca di loro simili come, ad esempio, lo era lui. Forse, magari, si sperava, erano solo dei pellegrini in sosta in quel luogo.

A passi sottili sulla candida superficie della strada avvolta dalla sabbia, ad ogni colpo di tallone accolto da piccoli tonfi attutiti, il Gillian annusò l'aria fino a raggiungere l'origine di cotanto fetore.
L'unico edificio che pare ancora intatto è semi nascosto dalle rovine di altre costruzioni e quindi quasi impossibile da vedere se non ad un esame attento.

Nakeem ci prova a dargli una datazione storica. Ne osserva le semplici e severe architetture senza però comprendere a quale epoca umana appartenga.
Lì il fetore è quasi insopportabile. L'aura di questi quattro individui è così intensa che ad una prima volta può anche far storcere il naso. Nel suo caso invece, solo battere i denti tra loro in un modo un po' sommesso. Quasi stesse recitando una preghiera.
Li batte mentre scruta attraverso una finestra ad arco con i vetri ancora intatti dalle perfette geometrie esagonali. Oltre la fievole luce offerta dalla luna che filtra tra i finestroni solo il nulla, in aggiunta a svariate cataste di oggetti lasciati li a prendere la sabbia.
Svolta l'angolo del grande edificio in cerca di più indizi. L'odore è pungente ma già inizia ad abituarsi a quella forza che per lui è spaventosa.
Appena svoltato tale angolo incontra delle macerie che gli bloccano un po' il passaggio. Una parte del muro – massiccio e austero – era crollato con lo scorrere del tempo, lasciando così intravedere il suo interno fatto da un'ampia camerata dai soffitti ad arco incrociato.
Un edificio abbastanza mastodontico da permettergli di gironzolare in piedi e non piegato, in un buio appena rischiarato dalla falce lunare.
Nakeem sente l'odore ma non vede nessuno. Solo oggetti di piccole dimensioni che cozzano contro la sua persona ad ogni suo movimento.
Ciò lo porta a sbuffare un po' seccato, decidendosi alla fine di vedere che cosa sono quei piccoli rettangolini polverosi.
Si piega in avanti come un devoto davanti alla statua di un santo, tanto lento che sembra la parodia di un albero che cade. E poi vede, con le orbite vuote della sua maschera, ciò che ha fino a quel momento intralciato il suo cammino.
Uuh...”
Istintivamente si ritrova a mormorare un mugugno indistinto in una sorta di impeto eccitato, come quello di una sorpresa appena ricevuta, nello scorgere quello che è un libro sotto il suo sguardo, aperto ad una indefinita pagina in una calligrafia fitta e ricercata.
Libri.
Quel luogo ne è pieno.
Tomi dalle pagine ingiallite, dalle lingue a lui ignote e dalle rilegature rovinate dal tempo ma che, però, non può negare loro un certo fascino.
In Nakeem sorge uno strano senso di frustrazione nel vedere quei piccoli – per lui si intende – libricini che tanto avrebbero da insegnargli ma che purtroppo nulla possono fare.
Non ad un totale analfabeta.
Con la sua evoluzione la psiche non ha perso la facoltà di pensare e di provare emozioni. La voglia che lo sta potando a fremere in quel momento, non si limita unicamente al desiderio di avere una guida davanti ai propri passi, ma anche di conoscerla meglio attraverso questi manufatti sbiaditi dal tempo.
Decisamente una situazione frustrante.

Ma mai come quella di essersi momentaneamente distratto nella sua ricerca di simili, venendo colto alla sprovvista da un sommesso – quanto voluto – colpetto di tosse.
Un suono che lo porta istintivamente a voltarsi verso la propria destra, in modo veloce e repentino, scorgendo nella penombra rischiarata dalla luce lunare, una figura sottile avvolta da candide scaglie ossee.
Un Adjucas.
Un individuo più potente di lui che se ne stava seduto su delle macerie con fare tranquillo, tenendo tra le sottili dita uno di quei tomi impietosamente lasciati li a marcire.
“Buon salve straniero”
la voce del gigantesco essere simile ad un insetto è vellutata oltre che un pelo strafottente. Da oltre la grata che nasconde il suo volto, Nakeem intravede due occhi che lo scrutano attento.
Non sembra aggressivo.
“Buon salve” si limita a mormorare il Gillian. Solo perchè sono arrancar non significa che non si conoscano le buone maniere.
Il basso saluto di Nakeem viene accolto con gesto positivo dall'arrancar senza nome, deciso a continuare la conversazione.
“Sembra che questo luogo abbia attirato anche te, quindi non sei come gli altri menos... Piacciono anche a te i libri?”
da oltre l'individuo che parla intanto, il Gillian scruta finalmente tra le colonne distrutte il resto del suo gruppo.
Un toro dalla folta criniera dorata – intento a masticare delle pagine dando non poco fastidio a Nakeem – un gigante dal mantello di un rosso infuocato e infine un individuo piuttosto grande intento a guardarsi in giro con noia.
In quel breve lasso di tempo però, non ricevendo risposta da un Gillian intento ad osservare il restante gruppo, il gigantesco insetto a capo di quello sparuto gruppo di arrancar sbuffò paziente.
“Mi chiamo Shawlong Koufang. E questi che vedi sono i miei compagni, ossia – tese il braccio con il libro in mano verso di loro, iniziando a citare i loro nomi – Yylfort Grantz... Quello che si sta deliziando dei libri. Poi abbiamo Edorad Liones... Adorabilmente intento a non fare nulla – il primo ad essere citato mormorò una mezza imprecazione al capo, mentre l'altro dalla pelliccia rossa salutò con un cenno della mano il fantasma nero – ed infine mio caro sconosciuto, abbiamo D-Roy Linker che ci delizia con il suo guardarsi in giro... Ora, alla base di questo, hai un nome pellegrino?”
Non sembravano realmente interessati a lui. Se non altro non per mangiarselo.
Poteva benissimo entrare a far parte del loro gruppo così come poteva anche stare li con loro a sostare – magari raccontandosi qualche storia – e poi proseguire per la propria strada.
Invece, il fantasma nero volle dare loro le proprie generalità sorprendendoli un po' tutti.
“Nakeem Greendina”

[…]

I menos non sono difficili da scorgere nel deserto.
Anche a distanza di parecchie iarde si possono vedere camminare come pellegrini senza meta unicamente aggrappati ad una fede istintiva e forse poco nota.
Forse, sono ciò che di più vicino è alla vera e primordiale natura di Incubadora.
Forse, i loro canti simili a lamenti, ripercorrono la voce della Dea nelle sue ultime ore di vita.
Forse, le loro membra nere e il loro insaziabile appetito, sono ciò che rimane dell'infinita fame del mostro che ha generato i Vasto Lorde nel suo orrido parto, lasciando a terra drappelli neri come i loro manti senza fine.
Alla fine sono solo leggende. E quelli restano creature senza guida.
Nakeem e compagni però, la loro guida l'hanno trovata. A camminare nel deserto alla fine si riesce sempre a trovare qualcosa.

Ohi, se non riuscite a starmi dietro andate a quel paese!”
davanti al suo drappello di uomini, Grimmjow Jaegerjaquez li incita a stare al suo passo tenendo un tono di voce schietto e le mani rigorosamente all'interno delle tasche dei candidi hakama.
La sua voce stentorea va a interrompere il chiacchiericcio divertito dei suoi uomini, richiamandoli all'ordine che solerti eseguono.
Incrociano giusto brevemente lo sguardo del loro capo – del re che si è voltato giusto quell'attimo per ammonire i suoi sudditi – prima di annuire convinti e ad allungare il passo sulla duna di sabbia solcata dalle loro orme.
Greendina è l'ultimo a chiudere la fila dei sudditi di Grimmjow, limitandosi unicamente ad annuirgli con un cenno della testa.
Il neo Espada sbuffa ai suoi stupidi uomini, ritornandosene a camminare per il deserto in ufficiosa perlustrazione del regno che gli è stato affidato.
Di passeggiate nel mezzo del deserto, allora come adesso, ne avevano fatte parecchie. I passi restano ma le motivazioni cambiano sempre.
Se prima era la fame, la ricerca di una guida e soprattutto la paura a muoverli, ora che avevano raggiunto uno stadio evolutivo da rendere orgogliosa la Dea che ha dato loro una chance in più era più che altro la volontà di seguire una guida che desse loro un motivo valido per vivere.
Ora, che Greendina si sentisse comunque ormai “realizzato” come il resto dei suoi consolidati compagni, gli rimaneva sempre il dubbio che per Grimmjow fosse oltremodo altrettanto.
Era un leader forte ma allo stesso tempo spesso indecifrabile. Combatteva sempre come se si trattasse sempre dell'ultima sua battaglia, non prendendosi mai troppa cura dei suoi uomini perchè, dopotutto, a stargli vicino erano comunque consapevoli dei rischi che correvano.
Che fosse magari mosso dalla “fede” come i menos?
Era un azzardo ma non si poteva mai dire. Grimmjow disprezzava quelle creature e di rimando anche i suoi uomini non potevano che concordare.

“Ehi... Aspettate!”
il gesto di un “alt” improvviso fatto a palmo aperto, viene immediatamente rispettato dai sudditi di Grimmjow non appena giunti sulla cima di una morbida duna.
Alcuni mormorii si perdono al vento lieve e gelido che soffia per la valle, per l'improvviso stop dettato da un sire che guarda lontano.
Nakeem, a differenza dei suoi fratelli, è il primo a capire il perchè Jaegerjaquez si sia improvvisamente fermato. E a ruota anche D-Roy, Yylfort, Edorad e Shawlong compiono il gesto di seguire lo sguardo azzurro dell'Espada.
Menos.
I goffi fantasmi neri pascolavano nella valle sottostante come tanti pellegrini, ciondolando le loro teste e battendo i denti ad un ritmo ipnotico al ritmo di una preghiera a loro ignota.
Sono tanti e sembrano un tappeto nero che si muove verso nord, senza avere una vaga idea di dove andare.
Grimmjow e il suo gruppo li osservano nel più tombale dei silenzi, accantonando ogni sorriso strafottente e battuta irriverente, per osservarli nell'esatto modo in cui si guarda la tomba di bambini senza nome. In un rigoroso silenzio, che sfiora quasi la malinconia e il rispetto.
C'è un silenzio quasi innaturale – per non dire irriconoscibile – nel gruppo dello strafottente guerriero. Persino lui stesso non può non aggrottare le sopracciglia e arricciare l'angolo di un labbro per una lieve smorfia istintiva nel vederli.
Si respira un sentimento che sfiora quasi la paura arcaica, nell'attimo in cui si realizza quanto abbiano rischiato di essere come loro. Senza cervello, senza pensiero, senza uno scopo.
“Su... Andiamo, non c'è nulla da vedere qui”
persino il tono di voce del re si fa più basso e quasi riluttante, nel mentre che ritorna a camminare senza guardare i suoi uomini se non la sabbia che calpesta.
Da quasi fastidio, persino per lo stesso Nakeem che comunque ha sempre tenuto fuori simili pensieri, sapere di aver ingenuamente viaggiato con simili creature per un deserto di cui non si conosce nulla se non la sua triste leggenda. Da sui nervi perchè ora che sono creature evolute si ha l'inconscio desiderio di voler essere – nella credenza di essere comunque nel giusto – qualcosa di assolutamente diverso da quello che è la triste natura di hollow.

Poi, quando infine si ritorna a camminare seguendo un Grimmjow che a testa bassa cammina con passo spavaldo giù per la collina di fine sabbia biancastra, il chiacchiericcio riprende come prima incurante dei sentimenti cupi che aveva colto tutti quanti.
E nel mentre che il gruppo di Vasto Lorde se ne va via per la sua strada, i menos continuano a pregare una guida che non arriverà mai.

Sembra che ho passato troppo tempo. Solo pensando a me stesso
Adesso voglio passare la mia vita solo curandomi di qualcun altro.


- - - - - -

Ps: la leggenda di Incubadora (dallo spagnolo “incubatrice”) me la sono inventata io di sana pianta. Non vi sono riferimenti al manga di ciò e non viene detto nulla sui menos grande di quel che ho detto, a parte che sono creature senza psiche (quindi è tutto a libera interpretazione del lettore).
Tutti gli altri personaggi invece, appartengono a Tite Kubo.

   
 
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