Non so il perchè mi sia venuta in mente questa oneshot. Ma
ripensando più attentamente ai menos, non ho potuto fare a
meno di
provare malinconia. C'è chi se lo scorda ma quelli non sono
semplici
“mostri” quanto anime di persone che sono diventate
così per una
serie di sfortunati eventi.
E no, non me la sento di dire che sono “brutti mostri e
cattivi”
perchè: primo non è mai stato detto dall'autore
che gli hollow sono
malvagi (solo istintivi), secondo sarebbe troppo facile una simile
interpretazione. Comunque, sono stata ispirata da alcune parti della
canzone dei Genesis “Into Too Deep”
che sfrutto come
apertura e chiusura di questa introspezione.
E ora mi chiederete: perchè su Nakeem? Il perchè
non lo so, però
mi sembrava quello più adatto a vedere la situazione dato
che lui
era – nel passato – un Gillian dall'aspetto non
molto dissimile a
quello di un menos.
Spero possa piacervi! Buona lettura!
Tutto il
tempo sono stato in perlustrazione, con nessun posto in cui correre,
ha iniziato a farmi pensare.
Chiedendomi
cosa potevo fare della mia vita, e chi stavo aspettando
Non sono poi così
difficili da scorgere nel bel mezzo del deserto.
I menos grande, nel loro
lento incedere per quella fine sabbia bianca – calda la notte
e
fredda di giorno – trascinano i loro mantelli neri come la
pece e
inchiodati alle loro spalle, facendosi spesso sentire per i boati
delle loro voci tutt'altro che muliebri.
Nell'Hueco Mundo sono
quelle creature che vagano per il deserto senza avere una idea ben
chiara in testa se non quella totale – quasi comunitaria come
un
branco di formiche – che di cibarsi dei propri simili senza
ormai
sapere il perchè di tale cannibalismo.
A vederli, spesso se si
resta immobili su di una duna, è come notare una marea nera
con
grottesche teste ciondolanti fatte di un osso simile alla ceramica,
di quelle maschere portate dai medici veneziani al tempo dell'atroce
peste che devastava la laguna nei tempi d'oro della Repubblica.
E poi sono lenti e goffi.
Ciondolano le loro teste
ad ogni solerte passo fatto strisciando i piedi nascosti dai mantelli
neri, su di una fine sabbia composta principalmente dalle ossa di
altri menos che hanno avuto la sfortuna di non vivere molto a lungo.
Sono anche spaventosi.
Ricordano l'uomo nero
delle favole orribili raccontate ai bambini per mettere loro paura,
affinchè si tengano lontano dagli individui inaffidabili e
rimangano
stretti alle sottane delle loro madri.
Spaventosi più per
aspetto che per la loro indole, talmente sono mossi dall'istinto che
ogni loro azione non rasenta nulla della follia umana che li ha
contraddistinti – magari – in vita mortale.
Poi, a parte questi
aspetti che si fermano alla loro andatura ciondolante e sommessa,
come quella di pellegrini diretti verso un luogo sacro, c'è
un altro
aspetto che non si ferma alla loro sola apparenza fisica.
Sempre standosene su di
una duna, a guardarli danno quasi un sentore malinconico con il loro
pellegrinaggio senza fine e senza motivo.
Forse è questo il loro
aspetto che è più difficile da assimilare oltre
che il più
verosimile. Perchè non si può non provare una
certa ansia – cosa
provata da ogni abitante dell'Hueco Mundo non abbastanza forte
–
nell'osservare questi cumuli di particelle spirituali che senza un
solo, dannatissimo, briciolo di coscienza,
pascolano tranquillamente per il purgatorio infinito.
La coscienza, ecco cosa
manca loro.
Dall'alto della duna su
cui si era posato da poco – come a voler sfuggire a quel
destino
triste e indissolubile – Nakeem Greendina osservava i suoi
stessi
fratelli in un silenzio quasi istintivamente voluto per rispetto
della loro sorte.
Ciò che lo portava a
differenziarsi da loro, che pur sempre erano come lui di dimensioni
mastodontiche e avvolti da mantelli neri, stava sostanzialmente
–
oltre che per la maschera totalmente differente – in quel
barlume
chiamato coscienza.
La psiche che ben è
considerata da tutti gli abitanti di quel mondo un bene inestimabile
– e che si portano a macellarsi tra loro pur di mantenerla
intatta
e non divenire così spettri neri senza ragione –
ed era bizzarro
ma pure Nakeem la possedeva.
Ed era strano, se non
buffo, che un individuo così anonimo
come lui fosse riuscito
a trattenerla a se con così tanta forza nonostante il peso
di tante
anime mangiate.
Piegandosi di trenta gradi
sulla lunga schiena senza spina dorsale, scrutò attentamente
il
gruppo che aveva deciso di abbandonare stufo che nessuno di loro gli
rivolgesse la parola. In principio non aveva compreso che
ciò che lo
differenziava dagli altri menos era la sua stessa psiche. Il suo
intelletto superiore al loro. Poi una volta compreso, perchè
voler
per forza restare?
No, era meglio andarsene.
E scrutandoli dall'alto della duna facevano un certo effetto.
Se ne sorprese, ma dalla
sua grossa maschera simile ad un volto umano, fuoriuscì un
sospiro
basso e sommesso.
Era... Triste guardarli.
Era spaventoso pensare che si potrebbe diventare come loro –
senza
cervello – se non si ha modo di sfruttare il
“dono” che è
stato fatto.
Il dono di Nakeem era di
essere differente da tutti gli altri, di avere una chance che forse
se fosse riuscito a coltivare al meglio il prezioso seme offerto
dalla Santa Madre, sarebbe arrivato in alto.
C'era una cosa però che
doveva riconoscere – e non solo lui – a quelle nere
creature. I
menos avevano fede.
Una grandissima fede verso
Incubadora e per ciò che era –
ed è – stata per tutte le
creature del deserto, portando questo bagaglio istintivo
di
conoscenza a pregarla in un modo tutto loro.
È la fede a muoverli.
E se per gli shinigami
Incubadora è solo un mostro leggendario, per l'Hueco Mundo
rappresenta la massima divinità in carica.
L'arcaica leggenda di una
creatura di cui non si conosce il vero aspetto fisico –
c'è chi
dice che fosse bellissima, altri che era simile ad una Venere
preistorica ed altri ancora un mostro orribile – che giunta
per
prima in quelle sabbie senza tempo decise li di farvi dimora. E di
divorare chiunque osasse incontrarla.
Custoditi all'interno del
suo ventre mai sazio, le anime si accumulavano – fondendosi
tra
loro dando così lentamente vita ad una nuova razza
– fino a
diventare una situazione esasperante da portarla ad esplodere a
quell'anomala gravidanza.
Vasto Lorde. La progenie
di Incubadora.
Ecco a cosa aspiravano gli
abitanti del purgatorio. Ecco a cosa aspirava Greendina.
Mentre il resto del
popolo, i menos senza ragione, non rimaneva che pregare e sopperire
così ad una malinconia che forse magari la percepivano, ma
che con
tutta probabilità non comprendevano appieno.
Un istinto strano il loro,
che li portava a pregare in sincronia, sbattendo i denti tra loro e
procurando così dei suoni secchi e sordi, accompagnati dal
dondolio
sommesso della testa come se stessero recitando un mantra.
Poi a tratti le teste si
innalzano verso la luna di Artemide, e ululano brevemente ad ogni tot
di schiocchi e dondolii.
E camminano. Camminano
come un branco di fenicotteri quando si mettono a pregare.
A differenza loro Nakeem
aveva smesso di pregare nell'esatto momento in cui aveva capito che
non serviva a nulla.
Non che fosse una creatura
di poca fede, tutt'altro, però lui il suo dono l'aveva
già
ottenuto. Ed ora quindi, non restava che avanzare altrove in cerca di
una guida che lo portasse a far prosperare tale
dono.
In silenzio e molto
lentamente infine, decise di scendere oltre la duna che aveva
scalato, per lasciarsi finalmente alle spalle un branco di
malinconici spaventapasseri e alla loro fede di trovare uno scopo.
[…]
di ruderi l'Hueco Mundo ne
è pieno.
Rovine di palazzi e città,
da tempo immane dimenticate e seppellite dal deserto di ossa e da
leggende lontane. Antichi splendori di un passato dimenticato, ora
recanti il segno annoiato di molti arrancar che distruggono quei
capolavori perduti, oppure rovinati dalla fede ogni qual volta si
incontri la statua della Dea dal volto talmente levigato dalle tante
carezze dei suoi figli devoti, da essere irriconoscibile.
È strano passarci in
mezzo però. Passare in silenzio per quelle rovine levigate
dal tempo
senza che il suo mantello nero come la notte vada ad incastrarsi tra
le colonne lisce e ciclopiche.
Greendina deduce in
silenzio che quello doveva essere stato un posto piuttosto importante
in un tempo molto lontano o forse al di fuori del deserto stesso.
Forse quelle rovine ci
erano finite li con la stessa volontà che ha un hollow di
finirci.
Per istinto magari. Magari in cerca di uno scopo.
Paura forse?
La paura è un elemento
naturale nella vita di ogni creatura esistente. Anche per gli
arrancar – di cui ne faceva ampiamente parte ormai
– che seppur
più evoluti di un hollow restavano esseri piegati dalla
paura.
Tale ragionamento al neo
arrancar di classe Gillian non piace neanche un po'. Lo porta a
sbuffare per un'ansia crescente e a decidersi ad allungare il passo
per raggiungere il deserto più vasto e non pensare nel
silenzio più
assoluto al domani.
In quel mentre però che
si allontana da quella città senza vita, il Gillian viene
colto da
una strana sensazione.
È come sentirsi
formicolare tutte le interiora nel percepire qualcosa nell'aria,
portandolo a guardarsi intorno con fare nervoso e indeciso se passare
ad una ritirata o affrontare chiunque si celasse in quelle rovine.
Il reiatsu degli altri
individui si fa sentire come un formicolio. Nakeem è
abbastanza
saggio da capire che ci sono almeno quattro individui –
piuttosto
potenti tra l'altro – a pochi metri da lui raggruppati
assieme e
forse non consci della sua presenza.
I casi quindi sono due, o
ci si allontana da quei ruderi nel modo più discreto
possibile,
oppure colti dalla curiosità si cercava di capire cosa
questi
individui stessero combinando.
In entrambi i casi
comunque, era il fattore istintivo che spronava il Gillian a prendere
una decisione.
E stranamente, il nero
fantasma optò in silenzio per la seconda opzione.
La loro aura era
aggressiva ma non minacciosa. Anche se non li vedeva sentiva che non
erano un drappello di arrancar affamati in cerca di loro simili come,
ad esempio, lo era lui. Forse, magari, si sperava, erano solo dei
pellegrini in sosta in quel luogo.
A passi sottili sulla
candida superficie della strada avvolta dalla sabbia, ad ogni colpo
di tallone accolto da piccoli tonfi attutiti, il Gillian
annusò
l'aria fino a raggiungere l'origine di cotanto fetore.
L'unico edificio che pare
ancora intatto è semi nascosto dalle rovine di altre
costruzioni e
quindi quasi impossibile da vedere se non ad un esame attento.
Nakeem ci prova a dargli
una datazione storica. Ne osserva le semplici e severe architetture
senza però comprendere a quale epoca umana appartenga.
Lì il fetore è quasi
insopportabile. L'aura di questi quattro individui è
così intensa
che ad una prima volta può anche far storcere il naso. Nel
suo caso
invece, solo battere i denti tra loro in un modo un po' sommesso.
Quasi stesse recitando una preghiera.
Li batte mentre scruta
attraverso una finestra ad arco con i vetri ancora intatti dalle
perfette geometrie esagonali. Oltre la fievole luce offerta dalla
luna che filtra tra i finestroni solo il nulla, in aggiunta a
svariate cataste di oggetti lasciati li a prendere la sabbia.
Svolta l'angolo del grande
edificio in cerca di più indizi. L'odore è
pungente ma già inizia
ad abituarsi a quella forza che per lui è spaventosa.
Appena svoltato tale
angolo incontra delle macerie che gli bloccano un po' il passaggio.
Una parte del muro – massiccio e austero – era
crollato con lo
scorrere del tempo, lasciando così intravedere il suo
interno fatto
da un'ampia camerata dai soffitti ad arco incrociato.
Un edificio abbastanza
mastodontico da permettergli di gironzolare in piedi e non piegato,
in un buio appena rischiarato dalla falce lunare.
Nakeem sente l'odore ma
non vede nessuno. Solo oggetti di piccole dimensioni che cozzano
contro la sua persona ad ogni suo movimento.
Ciò lo porta a sbuffare
un po' seccato, decidendosi alla fine di vedere che cosa sono quei
piccoli rettangolini polverosi.
Si piega in avanti come un
devoto davanti alla statua di un santo, tanto lento che sembra la
parodia di un albero che cade. E poi vede, con le orbite vuote della
sua maschera, ciò che ha fino a quel momento intralciato il
suo
cammino.
“Uuh...”
Istintivamente si ritrova
a mormorare un mugugno indistinto in una sorta di impeto eccitato,
come quello di una sorpresa appena ricevuta, nello scorgere quello
che è un libro sotto il suo sguardo, aperto ad una
indefinita pagina
in una calligrafia fitta e ricercata.
Libri.
Quel luogo ne è pieno.
Tomi dalle pagine
ingiallite, dalle lingue a lui ignote e dalle rilegature rovinate dal
tempo ma che, però, non può negare loro un certo
fascino.
In Nakeem sorge uno strano
senso di frustrazione nel vedere quei piccoli – per lui si
intende
– libricini che tanto avrebbero da insegnargli ma che
purtroppo
nulla possono fare.
Non ad un totale
analfabeta.
Con la sua evoluzione la
psiche non ha perso la facoltà di pensare e di provare
emozioni. La
voglia che lo sta potando a fremere in quel momento, non si limita
unicamente al desiderio di avere una guida davanti ai propri passi,
ma anche di conoscerla meglio attraverso questi
manufatti
sbiaditi dal tempo.
Decisamente una situazione
frustrante.
Ma mai come quella di
essersi momentaneamente distratto nella sua ricerca di simili,
venendo colto alla sprovvista da un sommesso – quanto voluto
–
colpetto di tosse.
Un suono che lo porta
istintivamente a voltarsi verso la propria destra, in modo veloce e
repentino, scorgendo nella penombra rischiarata dalla luce lunare,
una figura sottile avvolta da candide scaglie ossee.
Un Adjucas.
Un individuo più potente
di lui che se ne stava seduto su delle macerie con fare tranquillo,
tenendo tra le sottili dita uno di quei tomi impietosamente lasciati
li a marcire.
“Buon salve straniero”
la voce del gigantesco
essere simile ad un insetto è vellutata oltre che un pelo
strafottente. Da oltre la grata che nasconde il suo volto, Nakeem
intravede due occhi che lo scrutano attento.
Non sembra aggressivo.
“Buon salve” si limita
a mormorare il Gillian. Solo perchè sono arrancar non
significa che
non si conoscano le buone maniere.
Il basso saluto di Nakeem
viene accolto con gesto positivo dall'arrancar senza nome, deciso a
continuare la conversazione.
“Sembra che questo luogo
abbia attirato anche te, quindi non sei come gli altri menos...
Piacciono anche a te i libri?”
da oltre l'individuo che
parla intanto, il Gillian scruta finalmente tra le colonne distrutte
il resto del suo gruppo.
Un toro dalla folta
criniera dorata – intento a masticare delle pagine dando non
poco
fastidio a Nakeem – un gigante dal mantello di un rosso
infuocato e
infine un individuo piuttosto grande intento a guardarsi in giro
con noia.
In quel breve lasso di
tempo però, non ricevendo risposta da un Gillian intento ad
osservare il restante gruppo, il gigantesco insetto a capo di quello
sparuto gruppo di arrancar sbuffò
paziente.
“Mi chiamo Shawlong
Koufang. E questi che vedi sono i miei compagni, ossia – tese
il
braccio con il libro in mano verso di loro, iniziando a citare i loro
nomi – Yylfort Grantz... Quello che si sta deliziando
dei
libri. Poi abbiamo Edorad Liones... Adorabilmente
intento a
non fare nulla – il primo ad essere citato mormorò
una mezza
imprecazione al capo, mentre l'altro dalla pelliccia rossa
salutò
con un cenno della mano il fantasma nero – ed infine mio caro
sconosciuto, abbiamo D-Roy Linker che ci delizia con il suo guardarsi
in giro... Ora, alla base di questo, hai un nome pellegrino?”
Non sembravano realmente
interessati a lui. Se non altro non per mangiarselo.
Poteva benissimo entrare a
far parte del loro gruppo così come poteva anche stare li
con loro a
sostare – magari raccontandosi qualche storia – e
poi proseguire
per la propria strada.
Invece, il fantasma nero
volle dare loro le proprie generalità sorprendendoli un po'
tutti.
“Nakeem Greendina”
[…]
I menos non sono difficili
da scorgere nel deserto.
Anche a distanza di
parecchie iarde si possono vedere camminare come pellegrini senza
meta unicamente aggrappati ad una fede istintiva e forse poco nota.
Forse, sono ciò che di
più vicino è alla vera e primordiale natura di
Incubadora.
Forse, i loro canti simili
a lamenti, ripercorrono la voce della Dea nelle sue ultime ore di
vita.
Forse, le loro membra nere
e il loro insaziabile appetito, sono ciò che rimane
dell'infinita
fame del mostro che ha generato i Vasto Lorde nel suo orrido parto,
lasciando a terra drappelli neri come i loro manti senza fine.
Alla fine sono solo
leggende. E quelli restano creature senza guida.
Nakeem e compagni però,
la loro guida l'hanno trovata. A camminare nel deserto alla fine si
riesce sempre a trovare qualcosa.
“Ohi,
se non riuscite
a starmi dietro andate a quel paese!”
davanti al suo drappello
di uomini, Grimmjow Jaegerjaquez li incita a stare al suo passo
tenendo un tono di voce schietto e le mani rigorosamente all'interno
delle tasche dei candidi hakama.
La sua voce stentorea va a
interrompere il chiacchiericcio divertito dei suoi uomini,
richiamandoli all'ordine che solerti eseguono.
Incrociano giusto
brevemente lo sguardo del loro capo – del re che si
è voltato
giusto quell'attimo per ammonire i suoi sudditi – prima di
annuire
convinti e ad allungare il passo sulla duna di sabbia solcata dalle
loro orme.
Greendina è l'ultimo a
chiudere la fila dei sudditi di Grimmjow, limitandosi unicamente ad
annuirgli con un cenno della testa.
Il neo Espada sbuffa ai
suoi stupidi uomini, ritornandosene a camminare per il deserto in
ufficiosa perlustrazione del regno che gli è stato affidato.
Di passeggiate nel mezzo
del deserto, allora come adesso, ne avevano fatte parecchie. I passi
restano ma le motivazioni cambiano sempre.
Se prima era la fame, la
ricerca di una guida e soprattutto la paura a muoverli, ora che
avevano raggiunto uno stadio evolutivo da rendere orgogliosa la Dea
che ha dato loro una chance in più era più che
altro la volontà di
seguire una guida che desse loro un motivo valido per vivere.
Ora, che Greendina si
sentisse comunque ormai “realizzato” come il resto
dei suoi
consolidati compagni, gli rimaneva sempre il dubbio che per Grimmjow
fosse oltremodo altrettanto.
Era un leader forte ma
allo stesso tempo spesso indecifrabile. Combatteva sempre come se si
trattasse sempre dell'ultima sua battaglia, non prendendosi mai
troppa cura dei suoi uomini perchè, dopotutto, a stargli
vicino
erano comunque consapevoli dei rischi che correvano.
Che fosse magari mosso
dalla “fede” come i menos?
Era un azzardo ma non si
poteva mai dire. Grimmjow disprezzava quelle creature e di rimando
anche i suoi uomini non potevano che concordare.
“Ehi... Aspettate!”
il gesto di un “alt”
improvviso fatto a palmo aperto, viene immediatamente rispettato dai
sudditi di Grimmjow non appena giunti sulla cima di una morbida
duna.
Alcuni mormorii si perdono
al vento lieve e gelido che soffia per la valle, per l'improvviso
stop dettato da un sire che guarda lontano.
Nakeem, a differenza dei
suoi fratelli, è il primo a capire il perchè
Jaegerjaquez si sia
improvvisamente fermato. E a ruota anche D-Roy, Yylfort, Edorad e
Shawlong compiono il gesto di seguire lo sguardo azzurro dell'Espada.
Menos.
I goffi fantasmi neri
pascolavano nella valle sottostante come tanti pellegrini,
ciondolando le loro teste e battendo i denti ad un ritmo ipnotico al
ritmo di una preghiera a loro ignota.
Sono tanti e sembrano un
tappeto nero che si muove verso nord, senza avere una vaga idea di
dove andare.
Grimmjow e il suo gruppo
li osservano nel più tombale dei silenzi, accantonando ogni
sorriso
strafottente e battuta irriverente, per osservarli nell'esatto modo
in cui si guarda la tomba di bambini senza nome. In un rigoroso
silenzio, che sfiora quasi la malinconia e il rispetto.
C'è un silenzio quasi
innaturale – per non dire irriconoscibile – nel
gruppo dello
strafottente guerriero. Persino lui stesso non può non
aggrottare le
sopracciglia e arricciare l'angolo di un labbro per una lieve smorfia
istintiva nel vederli.
Si respira un sentimento
che sfiora quasi la paura arcaica, nell'attimo in cui si realizza
quanto abbiano rischiato di essere come loro. Senza cervello, senza
pensiero, senza uno scopo.
“Su... Andiamo, non c'è
nulla da vedere qui”
persino il tono di voce
del re si fa più basso e quasi riluttante, nel mentre che
ritorna a
camminare senza guardare i suoi uomini se non la sabbia che calpesta.
Da quasi fastidio, persino
per lo stesso Nakeem che comunque ha sempre tenuto fuori simili
pensieri, sapere di aver ingenuamente viaggiato con simili creature
per un deserto di cui non si conosce nulla se non la sua triste
leggenda. Da sui nervi perchè ora che sono creature evolute
si ha
l'inconscio desiderio di voler essere – nella credenza di
essere
comunque nel giusto – qualcosa di assolutamente diverso da
quello
che è la triste natura di hollow.
Poi, quando infine si
ritorna a camminare seguendo un Grimmjow che a testa bassa cammina
con passo spavaldo giù per la collina di fine sabbia
biancastra, il
chiacchiericcio riprende come prima incurante dei sentimenti cupi che
aveva colto tutti quanti.
E nel mentre che il gruppo
di Vasto Lorde se ne va via per la sua strada, i menos continuano a
pregare una guida che non arriverà mai.
Sembra che
ho passato troppo tempo. Solo pensando a me stesso
Adesso voglio
passare la mia vita solo curandomi di qualcun altro.
- - - - - -
Ps: la leggenda di
Incubadora (dallo spagnolo “incubatrice”) me la
sono inventata io di sana pianta. Non vi sono riferimenti al manga di
ciò e non viene detto nulla sui menos grande di quel che ho
detto, a
parte che sono creature senza psiche (quindi è tutto a
libera
interpretazione del lettore).
Tutti gli altri personaggi invece, appartengono a Tite Kubo.