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Autore: _Mary    18/02/2011    6 recensioni
Se Helena fosse stata viva, forse avrebbe sentito freddo. Il corridoio non era riscaldato, le pietre del pavimento erano quasi ghiacciate, ed il respiro dell’inverno era gelido. Forse si sarebbe strofinata le mani ed avrebbe incrociato le braccia al petto, in un abbraccio solitario che avrebbe potuto scaldarla fino a quando non fosse arrivata nelle vicinanze di un fuoco. Ma tutto quello che le sue dita sottili potevano toccare, era il nulla di un’esistenza a metà, tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Prima classificata allo 'Spettri Contest' indetto da _Madduz_ sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'Puzzle'
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DISCLAIMER: i personaggi di questa fanfiction appartengono a JK Rowling. La storia non ha scopo di lucro.

 

 

 

 

Polvere

 

 

 

Pioveva. Pioveva da giorni, ormai, ed il ticchettio dell’acqua contro le pareti del castello era diventato una dolce ninnananna per chiunque lo abitasse. Una litania dolce, che poteva farsi più forte, nel silenzio che inondava i corridoi durante le ore di lezione, o più fioca, nel pomeriggio, o quando gli studenti tornavano nelle proprie sale comuni.

Le nubi filtravano una luce grigiastra, che le gocce di pioggia, scorrendo sulla superficie liscia della vetrata, spezzavano ed intrappolavano nei loro riflessi.

Se Helena fosse stata viva, forse avrebbe sentito freddo. Il corridoio non era riscaldato, le pietre del pavimento erano quasi ghiacciate, ed il respiro dell’inverno era gelido. Forse si sarebbe strofinata le mani ed avrebbe incrociato le braccia al petto, in un abbraccio solitario che avrebbe potuto scaldarla fino a quando non fosse arrivata nelle vicinanze di un fuoco. Ma tutto quello che le sue dita sottili potevano toccare, era il nulla di un’esistenza a metà, tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Un’altra goccia scivolò giù dalla finestra. Helena, vicino al muro, la seguì con lo sguardo, serrando la mascella ed assottigliando gli occhi.

Non era ancora arrivato. Perché ci stava mettendo tanto?

Aveva imparato presto che avere l’eternità davanti a sé rendeva pazienti. Un fantasma non aveva problemi ad aspettare qualcuno per una, due, tre ore, rimanendo fermo in un punto quasi perfettamente immobile, mentre i rumori che non gli interessavano gli scorrevano addosso insieme a pensieri su cui avrebbe avuto l’eternità per rimuginare. Era un po’ come gettare la spugna, diventare un fantasma, perché quando il tempo si dilatava all’infinito e non c’erano più cose da fare, ci si cominciava a trascinare stancamente, un giorno dietro l’altro, a guardare la pioggia cadere senza poterla sentire sulla propria pelle, o ad invidiare il calore di un bacio, il tocco gentile di una mano, il profumo di un uomo. Si viveva a metà, o forse anche di meno, intrappolati in quel limbo per un tempo troppo lungo per poter essere anche solo pensato.

Helena odiava quell’esistenza, ed odiava se stessa per averla scelta. Troppe volte aveva desiderato di poter tornare indietro, di poter semplicemente morire.

Era intelligente. I pochi che le rivolgevano la parola lo capivano subito, e le portavano rispetto.

Era bella. Era più bella di molte delle ragazzine che vedeva passare per quei corridoi. Era stata desiderabile, desiderata, fino a quando la morte non l’aveva sorpresa in una foresta albanese. E sapeva di essere ammirata anche in quel momento, pur essendo solamente un’ombra.

Era stata anche invidiata. Ed in quel momento, si ritrovava a desiderare di barattare tutto quello che aveva per un corpo, uno qualsiasi, e per la vita.

Helena non aveva mai avuto problemi ad aspettare, né si era trovata in una situazione simile, fino a quando non aveva conosciuto lui.

Perché ogni volta che doveva aspettarlo, era come attraversare una lenta agonia fatta di dubbi e paure. Helena sapeva che, prima o poi, l’avrebbe lasciata sola. Per quel motivo, ogni volta che lo salutava, lo faceva come se fosse l’ultima.

« Spero di non averti fatto aspettare troppo ».

Helena alzò lo sguardo, mentre sentiva il suo respiro accelerare nella pallida imitazione di un batticuore da ragazza viva. Inarcò le sopracciglia, voltandosi.

« Dipende da cosa intendi per ‘Troppo’. Per i miei canoni, mezz’ora è decisamente ‘Troppo’ ».

Il ragazzo si fermò, infilando le mani nelle tasche della divisa.

Quelle mani per una cui carezza Helena avrebbe venduto la sua anima cristallizzata.

« Sono stato trattenuto » si limitò a replicare.

« Sei trattenuto spesso, ultimamente » ribatté Helena. « E non penso che sia per gli esami o per le lezioni ».

L’altro sorrise, e a Helena sembrò di scorgere una scintilla di malizia nel suo sguardo. Avrebbe voluto poterlo fare ingelosire, poterlo condizionare, poter prendere possesso dei suoi pensieri come lui aveva fatto. Avrebbe voluto che anche lui le pensasse continuamente, come succedeva a lei, durante le ore in cui si trascinava per Hogwarts senza la sua compagnia.

Avrebbe voluto maledirsi per quella sorta di incantesimo che le aveva gettato addosso, e che le aveva fatto ricordare cosa significasse essere viva quando non aveva più un corpo per esserlo realmente. Avrebbe voluto potersene liberare, perché lei per prima sapeva che era qualcosa di sbagliato, quasi malato.

Eppure, non avrebbe mai trovato la forza per farlo, soffocata dal piacere che quelle attese e quelle angosce le provocavano, mentre si beava di quelle schermaglie e di quei giochi di allusioni e ripicche che non aveva potuto conoscere da viva.

Le piaceva poterlo fare da morta.

« Infatti. Sto facendo delle... ricerche. La sete di conoscenza non è qualcosa che ha sempre caratterizzato anche te? » rispose lui, con un mezzo ghigno.

« La sete di conoscenza è qualcosa che ha sempre caratterizzato i Corvonero, non i Serpeverde » disse Helena, avvicinandoglisi.

Il ragazzo sembrò avere il pudore di abbassare lo sguardo. Helena fece vagare ancora una volta il suo sul volto dell’altro, sulle sue labbra.

Quelle labbra per cui Helena avrebbe venduto la sua eternità già scritta.

« Ad ogni modo, quella sete non mi ha portata molto lontano, non credi? » concluse amaramente.

Il ragazzo non rispose, alzando di nuovo lo sguardo.

Helena distolse il suo: non aveva mai amato mostrarsi debole, o vulnerabile in qualche modo. Non voleva che lui notasse nella sua voce più di una nota malinconica, eco di un rimpianto covato per secoli.

« Ti ha portata molto più lontano di altri... » soffiò il ragazzo, quasi dolcemente.

Helena si sentì attraversare da una fitta di dolore.

Era intelligente, era bella, era desiderata. E non poteva neanche essere toccata da lui.

Si limitò a rivolgergli un mezzo sorriso.

« Certamente, mi ha portata in Albania » rispose ironicamente.

Vide l’altro chinare il capo da un lato, perplesso. Sorrise di nuovo, scuotendo la testa.

« Mi ha portata a rubare il diadema di mia madre e a morire in una foresta sconosciuta, uccisa dall’uomo che mia madre aveva mandato a cercarmi... Dimmi, cosa mi ha portato di buono? »

Il ragazzo rimase in silenzio, osservandola attentamente. Helena strinse un lembo del suo vestito, cercando di calmarsi.

Era intelligente, era bella, era desiderata. E non poteva neanche toccarlo.

« Oh, come sono stata ricompensata, quando quel vile mi ha uccisa! Il diadema di mia madre non è servito a proteggermi in quella maledetta foresta, ed io sono qui ad invidiare ogni patetica ragazzina in grado di dare o ricevere un abbraccio! »

Gli voltò le spalle, avvicinandosi di nuovo alla finestra. Se avesse potuto, sarebbe scoppiata a piangere. Se avesse potuto, avrebbe preso a calci i banchi e le sedie di quell’aula vuota.

Ma se avesse potuto, avrebbe significato che possedeva ancora un corpo, e allora probabilmente non avrebbe sentito la necessità di farlo.

Un corpo per amare, per essere amata, per essere ammirata.

Il ragazzo non disse niente. Helena lo sentì soltando avvicinarsi alle sue spalle e, facendo attenzione a non attraversarla, posare una rosa sul davanzale della finestra.

« Vorrei anche io che le cose fossero diverse, Helena » mormorò al suo orecchio. « Vorrei che chi è immortale come te potesse prendere in mano questa rosa che sono costretto a posare qui. È anche per questo che sto facendo quelle ricerche ».

Helena sgranò gli occhi, voltandosi verso di lui. Lo guardò, e le sembrò di vederlo stranamente emozionato, una scintilla che non conosceva nel suo sguardo.

« Stai cercando il modo di rendermi il corpo? » chiese, confusa. Tom sorrise, e lei, senza sapere perché, ebbe paura.

Tom sorrise di più, e Helena vide una brama nei suoi occhi che non avrebbe mai creduto possibile per un ragazzo della sua età – per quel ragazzo che aveva davanti, che aveva conosciuto negli ultimi mesi, che l’aveva affascinata, incantata, ammaliata. Le sembrò che il suo sorriso gridasse ‘Vittoria’, e si chiese cosa questo potesse significare.

In fondo al cuore, intuì che per lei era finita.

« Ovviamente no, mia dolce Helena. Non ho tempo per queste cose tanto inutili ».

Helena si irrigidì, indietreggiando. Le sembrò di essere vittima di un capogiro, cosa impossibile, ma istintivamente cercò di appoggiarsi al muro dell’aula, per trovare sostegno contro quelle parole che sembravano uscite da labbra che non conosceva.

Inutili? Gli aveva donato i suoi pensieri ed i suoi segreti. Inutili? Gli aveva mostrato il suo cuore, nel palmo di una mano. Inutili? Lui l’aveva sempre ascoltata, compresa, consolata.

Inutili?

Il sorriso di Tom sembrava prendersi gioco di lei, mentre Helena mormorava, senza voce: « Inutili? »

Tom rise. La sua era una risata che Helena non riconosceva, né voleva riconoscere.

Si chiese cosa stesse succedendo. Per un istante, arrivò a pensare che Tom stesse male, o che qualcuno gli avesse lanciato una fattura.

Ipotizzare quelle cose era molto più semplice che ascoltare quella risata senza saperla spiegare.

Ma Tom rideva, e rideva, e sembrava quasi che non avrebbe smesso mai più. Il suono della sua risata fece finalmente aprire gli occhi a Helena, che fu tentata di richiuderli, ma non poté: quella risata le era entrata dentro, l’aveva ferita, e le aveva gelato un cuore che era già morto da tempo.

« Voi fantasmi siete tutti così patetici? » chiese Tom, allargando le braccia, calmandosi. « Certo che sì, i tuoi drammi sono inutili. Ma non preoccuparti » proseguì, andando verso la porta. « Tu mi sei stata molto utile ».

« Tom, cosa stai dicendo? » chiese Helena, incapace di muoversi, sforzandosi di dare un senso a quello che stava ascoltando. Non ci riusciva. Non poteva credere che Tom stesse dicendo quello che temeva.

Non poteva credere che Tom l’avesse soltanto presa in giro.

Il ragazzo aprì la porta, poi si voltò verso di lei.

« Io voglio sapere, Helena. E trovo che l’immortalità sia qualcosa di terribilmente affascinante: mi è davvero servito parlare con te, ma non penso che ci vedremo mai più ».

Helena rimase in silenzio, mentre lui usciva, voltandole le spalle. Quando ebbe varcato la soglia dell’aula, lo chiamò.

« Fermati, Tom. Dove vai? »

Se fosse stata viva, si sarebbe sentita il cuore in gola. Se fosse stata viva, si sarebbe precipitata a trattenerlo, vedendolo allontanarsi in quel modo, senza degnarla di uno sguardo.

Ma non lo era, e si limitò a quelle parole.

Rimase lì, ferma accanto a quella finestra, a guardare la porta oltre la quale era sparito. Non arrivò nessuna risposta.

Incapace di fare altro, si limitò a ripetere sempre le stesse domande, con voce via via più fioca e tremula.

Tom, dove sei andato?

Tom, dove hai portato le mie illusioni?

Tom, perché?

 

 

*

 

 

Helena si era recata lì ogni pomeriggio, da quel giorno. Erano passati anni, eppure lei aveva continuato ad andare lì, vicino a quella finestra, a guardare attraverso quel vetro appannato dagli anni.

Aveva continuato ad aspettare, rifiutandosi di credere che quello che aveva vissuto fosse stato solamente un sogno al quale lei, illusa, si era abbandonata, senza il coraggio di aprire gli occhi ed affrontare la realtà.

Senza sapere perché lui fosse arrivato a quel punto, e senza sapere perché lei glielo avesse permesso.

Non aveva più visto Tom. Da quel giorno, l’aveva sempre ignorata quando si incrociavano nei corridoi, e scacciata quando lo implorava di fermarsi a parlarle.

Si chiedeva cosa fosse cambiato, quel pomeriggio. Cosa avesse fatto per far decidere a Tom di gettare la maschera. Per anni si era chiusa in un silenzio disilluso, rifiutandosi di condividere nuovamente una parte qualsiasi della sua anima, delle sue speranze, dei suoi dolori, con qualcuno che potesse strapparle il cuore più di quanto non avesse già fatto il suo assassino.

Per anni, era rimasta a guardare i resti di quella rosa, ormai seccatasi e ridottasi ad uno stelo. I petali erano diventati polvere, solo le spine erano rimaste lì, lo scheletro del periodo più felice della sua non-esistenza.

Eppure, Helena non riusciva a smettere di fissarle, di provare a toccarle e a buttarle giù dal davanzale, per provare un’ultima volta l’effimero piacere di un dispetto di cui nessuno si sarebbe curato.

Un giorno, trovò la finestra aperta. Quando abbassò lo sguardo sul davanzale, vide che non c’era più niente. Nell’aula abbandonata e pericolante era evidentemente entrato qualcuno, a privarla anche dell’ultima cosa che la rendeva cosciente dello scorrere del tempo.

Il cielo plumbeo annunciava tempesta. Le chiome degli alberi della foresta erano scosse dal vento.

Fu allora che Helena capì.

Era stato il vento aveva disperso la polvere ed i miseri resti di quelli che, una volta, erano stati i suoi sogni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Emh. Se siete arrivati qui vuol dire che siete riusciti a superare la fase ‘Ma che razza di pairing è?!’, quindi posso complimentarmi con voi per la vostra apertura mentale – sperando che non siate arrivati fin qui con l’intento di tirarmi i pomodori. In quel caso, umh, lo spazio recensioni è a vostra disposizione.
Il fatto è che la frase dei Doni pronunciata dalla Dama a proposito di Voldemort, ‘Sembrava capire’, mi ha dato da pensare. Non sapevo se segnalare il What if?, ma alla fine ho deciso di farlo.

Questa fic si è classificata prima allo Spettri Contest indetto da _Madduz_ sul forum di EFP, vincendo inoltre i premi giuria e caratterizzazione.
Ringrazio la giudiciaH per il gentilissimo giudizio – mi offro di pagare la terapia post-lettura anche a te! -, e mi complimento con le altre partecipanti *________*

 

Prima classificata – Polvere - _Mary
 
Grammatica:9.86/10
Stile e lessico:10/10
IC:10/10
Originalità:20/20
Giudizio personale:5/5
Punti bonus:4/4
 
Totale: 58.86/59
 
Io non ho veramente parole per questa storia. Ti dico solo che sono rimasta incollata allo schermo dall’inizio alla fine, senza staccare lo sguardo un attimo. È un vortice di emozioni, di paure, di rimpianto.. Appena ho capito chi era il secondo protagonista sono rimasta di stucco, lo confesso. E continuando a leggere lo stupore si è trasformato in un enorme sorriso. È un pairing azzeccatissimo per come lo hai trattato, hai veramente ricostruito quei momenti che la cara vecchia zia Row ha tralasciato. Ma la cosa che mi ha colpita più che qualsiasi altra è la tua capacità straordinaria di entrare nei pensieri della Dama. Ogni sfumatura del suo carattere emerge alla perfezione ed è analizzata con cura.
È davvero una Shot splendida. Nella grammatica ho trovato un paio di virgole di troppo e un piccolo errore di distrazione, nulla di più. Lo stile è curato, scorrevole e coinvolgente. Non c’è una sola frase che non mi sia piaciuta, cara.
Ti faccio davvero i miei complimenti più sentiti, ancora una volta mi hai fatto amare il tuo modo di scrivere. Grazie per aver partecipato.

 

 

Premio Giuria: “Polvere” di Mary. Perché sei riuscita più di ogni altro a farmi entrare nel cuore il personaggio difficile della Dama insieme al su amore impossibile.
 
Premio Caratterizzazione
: Mary “Polvere”. Perché la tua Dama è impeccabile nel suo altezzoso illudersi e rimpiangere.


   
 
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