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Autore: Emilastra    19/02/2011    0 recensioni
"All'inizio il signore degli Esseri,
creò gli uomini e le donne e stabilì,
in forma di comandamenti esposti in centomila capitoli,
alcune norme per regolare la loro esistenza secondo
Dharma, Artha e Kama.
Alcuni di questi comandamenti,
precisamente quelli che trattavano del Dharma,
furono scritti separatamente da Swayambhu Manu."
Genere: Avventura, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Desclaimer:Questa storia, non è a scopo di lucro. I personaggi sono maggiorenni e  non sono miei, ma di Kazuya Minekura. Ogni fatto e/o riferimento alla vita reale, è puramente casuale.

Capitolo 1

"Sanzo" traduzione in giapponese di Sanzang; "Hōshi" (法師, letteralmente "maestro del Dharma"?) è il nome con cui si indicava un monaco buddhista itinerante.(1)
"All'inizio il signore degli Esseri, creò gli uomini e le donne e stabilì, in forma di comandamenti esposti in centomila capitoli, alcune norme per regolare la loro esistenza secondo Dharma, Artha e Kama. Alcuni di questi comandamenti, precisamente quelli che trattavano del Dharma, furono scritti separatamente  da Swayambhu Manu."(2)
Nel Buddhismo, Dharma indica gli insegnamenti del Buddha, a partire dall'origine del duḥkha (la sofferenza), la pratica di tali insegnamenti, la via verso l' Illuminazione e di conseguenza il Buddhismo stesso.(3)

***

Se avesse saputo il contenuto della lettera, e quindi delle conseguenze che la lettura di essa stavano per creare, forse avrebbe lasciato perdere. Forse si sarebbe piegato alla giusta e saggia mente, ed avrebbe gettato la busta tra le altre carte. Ma il cuore l'aveva colpito e domato, annebbiando la mente e dimenticando la facilità nello sparire del figlio. Così aveva  aperto la busta, afferrando saldamente il tagliacarte dall'impugnatura in ebano e la lama in argento invecchiato. S'era chiesto più di una volta, se in realtà non fosse soltanto un coltellaccio di metallo, coperto da foglie d'argento, in realtà non seppe nemmeno perchè quel pensiero gli stesse balenando in quel momento. S'alzò dalla poltrona e raggiunse la porta d'ingresso assicurandosi che nessuno fosse dietro essa. Solo Yaone aspettava, immobile, sulla panchetta contro la parete. Leggeva il giornale del mattino, ma per Komyo non era un problema la sua presenza. Yaone, l'avvocato ufficiale di famiglia, era l'unica in fondo a conoscenza di tutta la faccenda e di tutta la situazione familiare. Era stata lei ad occuparsi sin dall'inizio del figlio e seppure parlasse poco, riusciva ad ostentare in qualsiasi momento volesse un'aria sana, tranquilla e felice. Una gentilezza fuori luogo per un'avvocatessa. Yaone alzò lo sguardo verso Komyo, il quale rimase ancora incerto sull'uscio. La donna, chiusa in un tailleur semplice e nero, dalle calze trasparenti ed i tacchetti bassi, agitò la coda  morbida che le scivolò dalla spalla alla schiena. Poi sorrise umilmente, sfogliando il giornale.
"Non l'ha ancora aperta?" Domandò, scostando gli occhi dall'ingresso dello studio alle notizie inerenti lo sport.
Komyo sorrise di rimando. Anche lui, sembrava avere il dono di sorridere sempre, senza crucciarsi mai troppo sui problemi. Forse per questo aveva preferito lei, uno spirito affine a cui aggrapparsi nei momenti più bui, ma il rapporto non era mai sfociato in niente di serio. Komyo era un uomo di chiesa, e seppure avesse uno spropositato amore verso tutte le creature dell'universo, comunque non s'era mai interessato all'amor carnale.
"No, non ancora. E qualcosa mi dice che non dovrei leggerla, ma sai da quant'è che non ho notizie di Sanzo, vero?"
Yaone annuì, sfoggiando l'ennesimo sorriso comprensivo, mentre s'alzava dalla panchetta, lasciando il giornale come una specie di segna posto.
"Le preparo il Thè, padre..." Pronunciò con cameratesco affetto. Si piegò debolmente in avanti in un cortese e regale saluto e sparì in una delle numerose porte del lungo corridoio del tempio.
Komyo la fissò camminare prima di chiudere la porta dello studio. Tornò alla sedia e notò solo in quel momento che aveva tenuto il tagliacarte sempre nella mano sinistra, e la lettera nella destra. Sospirò quindi, come in una strana forma di autoincoraggiamento e tagliò il lato destro e corto del rettangolo cartaceo, sfilò la lettera piegata in quattro e l'aprì.  La scrittura era curata e pulita, e da quel che ricordava Sanzo aveva sempre avuto un comportamento da uomo fuori dal tempo. Sorrise entusiasta, Komyo, convinto che fosse davvero Sanzo a scrivere. Pregustò il momento della lettura. La gioia prese il sopravvento ed il tagliacarte gli cadde dalle mani, graffiando il pavimento di legno. Poco contava, in quel momento.
S'alzò dalla poltrona e s'avvicinò alla grande portafinestra che dava sul balconcino dello studio, inforcò un paio di occhialetti, presi da sopra la scrivania e prese a leggere. Se vi fossero stati testimoni, al momento della lettura, forse qualcuno avrebbe finalmente visto, per la prima volta, il volto di Komyo contratto dal dolore e dal dispiacere. Sgranò gli occhi, il labbrò inferiore tremò  mentre un'accenno di lacrime sembrava stare per esplodere. Corse alla scrivania, dove aveva lasciato la busta, l'aprì squarciandola di netto e qualcosa di piccolo e violaceo volò per terra, rimbalzando un paio di volte sul pavimento, rimanendo poi immobile ai piedi di Komyo, il quale fissò inorridito l'oggetto. L'anulare di una mano destra.
L'uomo annaspò, mentre il cuore prendeva a battere frenetico. Cercò di raggiungere la porta ma presto la vista prese ad annebbiarsi, ed il petto a pulsare violentemente. Scivolò per terra, e nel tentativo di non cedere al dolore, tirò giù con se un vaso di vetro, il quale si frantumò in mille pezzi. Si tagliò le mani e piccole tracce di sangue presero a sporcare il pavimento di legno.
Caddè a pancia in giù. La faccia contro il suolo, forse rompendosi il naso.
Komyo Sanzo Hoshi, morì d'infarto a 58 anni nell'umile studio del proprio tempio.

***
Il telefono squillò, violentando il sonno propizio dei coniugi Cho. Hakkai, il marito, nonchè investigatore privato ad Osaka, grugnì infastidito da quell'intrusione inaspettata nei loro sogni. Kana, piuttosto, si alzò lentamente, senza nemmeno farsi troppe domande, scivolando verso la cucina, poco distante dalla camera da letto. Hakkai faticò a smuoversi dalle coperte calde, ma comunque cedette alla sua diligente professione e rispose al telefono, portandosi seduto sul bordo del letto.
"Pronto..?" La voce uscì rauca e stanca, come se quel pronto, non fosse rivolto a chi v'era dall'altro capo del telefono, ma a se stesso. Forse non era davvero pronto, prima gli ci sarebbero voluti un paio di caffè.
"Fai le valige, dai un bacio a tua moglie e raggiungi l'aereoporto, dobbiamo partire subito."
"Chinyiso, ho sonno per gli scherzi telefonici e domani mattina avevo intenzione di portare Kana a vedere la fioritura dei ciliegi..."
"Nessuno scherzo, Cho, abbiamo due biglietti prenotati all'Osaka Kansai International, ci aspetta una scena del crimine a Partinico, Sicilia e ci aspettano non poche ore di volo, pensi ti farei scherzi telefonici?" Shignazzò malignamente il collega di Hakkai, il quale in un primo momento sbuffò, poi cercò d'essere lucido, analizzando la frase appena sentita da quel crudele oggetto che l'aveva strappato dal mondo dei sogni.
"Sicilia? Che c'entriamo noi, con la Sicilia?"
"Hai presente Shigeo Mito(4)?"
"Si, il musicista?"
"Esattamente, ha chiamato al nostro studio poco fa, dice che hanno ammazzato un suo caro amico originario di Osaka che si era trasferito in Sicilia a quanto pare per pregare e distaccarsi dal mondo... stronzate da preti..."
Cho mugugnò qualcosa d'incomprensivo, stiracchiandosi dolorante.
"Bè, insomma, i biglietti li paga lui, la retribuzione in denaro è ottima quindi... mi passi a prendere tu?"
Hakkai sbadigliò malamente, stropicciandosi mezzo lato della faccia, con la mano libera dalla cornetta, mentre Kana gli porgeva comprensiva una tazza fumante di caffè.
"Si... dammi mezzora e sono lì..." Riagganciò malamente osservando la moglie, poco felice. Per quanto non avesse sentito tutta la spiegazione, solo il fatto d'avere sentito la parola Sicilia, le lasciava intendere che il giorno dopo non sarebbe andati a vedere la fioritura dei ciliegi.
Hakkai sospirò.
"Mi dispiace..." Mormorò profondamente affranto, ma Kana fece spallucce, baciò la fronte del marito e prese ad allestire la valigia. Hakkai bevve il suo caffè velocemente. Come se quei risvegli bruschi l'avessero portato a berlo, così tanto volte, che ormai non percepiva più il calore bollente della bevanda. Si fiondò in bagno, quindi, e dopo meno di venti minuti, baciò le labbra della moglie, afferrò le chiavi della macchina e partì per l'aereoporto.

Lirin, era una simpatica donna, i cui ormoni forse s'erano svegliati troppo tardi. Piccola, minuta, dal seno prosperoso, sembrava uscita da qualche gioco con le amiche in cui bisogna truccarsi da grande e fingersi la mamma. Hakkai e Chinyiso fissarono Lirin, la quale si presentò con una stretta di mano energica che risvegliò i due investigatori, troppo stanchi per rendersi conto che il lungo viaggio era finito. La donna era l'interprete. Originaria di Sakai, città situata nella prefettura di Osaka ed amica, anch'ella, del defunto prete, era laureata in psicologia infantile. Appena venuta a conoscenza dell'accaduto, s'era fiondata lì ed aveva avvertito il noto musicista. Non s'era mai fidata troppo della polizia in generale, per cui era stata lei a pregare Shigeo Mito di ingaggiare un investigatore privato. O comunque fu questa la versione che diede ai due mentre raggiungevano in taxi il luogo del delitto.
Hakkai e Chinyiso erano atterrati a Trapani. Tramite macchina, Partinico distava meno di quaranta minuti dall'aeroporto, per cui ebbero il tempo di riposare o quanto meno di chiudere gli occhi per un breve periodo. E seppure Lirin continuasse a parlare ed a spiegare la situazione non sembrò infastidire i due. Soprattutto Hakkai, il quale per quanto ostentasse una certa stanchezza, a giudicare dalle occhiaie violacee ed il volto pallido, comunque aveva scelto quella professione perchè sin da piccolo gli erano piaciuti i rompicapo. Per questo, lungo il viaggio, segnò mentalmente tutti nomi dei paesi scritti sui cartelloni autostradali. Erano pur sempre in un luogo sconosciuto. Di quelli che si aspettava un giorno di vedere, in compagnia della moglie, per qualche bel viaggio in vacanza. Di certo non a causa d'un omicidio. Vero era, però, che nessuno aveva pronunciato la parola Omicidio. Sapevano semplicemente che questo prete era morto. Fissò il collega, interessato a fotografare i paesaggi Siciliani. Chinyiso ed Hakkai, erano stati compagni al liceo e colleghi all'università. S'erano persi di vista durante il tirocinio, ma s'erano ritrovati in un bar una sera d'inverno. Lì avevano deciso di aprire lo studio privato. I casi, erano arrivati subito, e pian piano, stavano avendo una certa fama ad Osaka. L'accoppiata, in realtà, era strana ma infallibile proprio per la diversità dei due caratteri. Hakkai era un tipo mite, ma machiavellico ed ogni caso era sempre seguito con distacco ma ossessiva curiosità.
Chinyiso piuttosto, era un tipo scostante e fondamentalmente egoista. La sua mente essenzialmente diabolica, lo portava ad essere una persona spesso crudele ma per questo riusciva a vedere della gente il lato peggiore e quindi capire della scena del crimine il lato più raccapricciante, sia dei gesti che dell'animo umano. In pratica, se Hakkai capiva il meccanismo con cui era stata uccisa persona X ma non riusciva a spiegarsi il movente, Chinyiso entrava in campo e trovava sempre una motivazione atroce, che poi alla fine rispecchiava la realtà. Per il resto, non erano grandi amici. Colleghi, affiatati sul piano lavorativo, ma Hakkai non sarebbe mai uscito con lui a bere in un Pub. Per certi versi, Cho provava una forma di disgusto verso il collega, non aveva mai saputo il motivo, però non gli aveva mai ispirato chissà quanto fiducia. Ma allora, perchè s'era messo in affari con lui? Forse proprio per il lato cinico di Chinyiso, al quale non interessava davvero la professione in se, quanto i soldi. Ad Hakkai, bastava avere la sua parte, anche minima, di retribuzione. Per il resto necessitava semplicemente di giocare a fare il detective e seguire la propria vita in tranquillità.
"Ecco, siamo quasi arrivati.." Lirin additò una distesa desolata, su cui serpeggiavano strade diroccate con palizzate vecchie ed arrugginite, che forse servivano da divisori nel territorio. Una grande casa bianca, svettava nel cielo azzurro. Un cancello di ferro, ormai arrugginito e due palme centenarie, smosse dal vento leggero di Aprile. Attorno, qualche ulivo, alberi d'arance ed alberi di limone.
"Credevo si trattasse di un tempio..." Arguì subito Hakkai, una volta scesi dall'auto. E notò immediatamente come la temperatura fosse decisamente differente da Osaka. Non c'era caldo, ma l'umidità era svanita, lontana. Soltanto un vento secco  gli scompigliava i capelli neri.
"Infatti lo è..." rispose prontamente Lirin, avviandosi al cancello. Due strisce gialle, segnavano il divieto d'ingresso. La polizia era già stata lì, lasciando il tempio intatto. Erano già passati due giorni dall'omicidio. "... ma Komyo non ha mai voluto costruire un tempio in tipico stile Giapponese, a quanto pare non credeva nella sacralità della struttura, quanto in quella dello spirito... Infatti il palazzo non è nemmeno benedetto, è stato ristrutturato attorno al 2005, ma solo all'interno, all'esterno per tutti sembrava solo una vecchia casa abbandonata.."
Hakkai aggrottò le sopracciglia osservando il collega, il quale sorrise, come se già avesse compreso l'intero misfatto.
"Com' è morto? L'autopsia è già stata eseguita?" Chinyiso s'umettò viscidamente le labbra mentre seguivano Lirin sino all'ingresso del tempio. Una grande porta in legno di quercia, alta all'incirca tre metri, con strane iscrizioni incise nel legno, si presentò agli occhi dei tre.
"Il medico legale se ne sta occupando in questo momento, ma dai primi accertamenti, a quanto sembra, Komyo è deceduto per arresto cardiaco.."
"Un infarto?" Cho fissò stranito la donna e lei, di rimando, sembrò non capire quello sguardo. "Se è stato solo un infarto, perchè ci avete chiamati?" Domandò poco convinto. Strappato dalla moglie e dal proprio letto solo per un malore biologico?
"Ahm, seguitemi..." Lirin e i due investigatori, superarono l'ingresso, addentrandosi nella struttura del tempio, che per quanto grande potesse sembrare all'esterno, in realtà era stato diviso in modo tale da non esserci nessun ambiente che superasse i 20 mq.
Sette rampe di scale salivano in direzioni diverse. Loro imboccarono quella all'estrema destra. Il tempio si divideva in tre piani, ed ogni piano sembrava uguale all'altro. Un lungo corridoio e tante stanze, quindi tante porte.  Hakkai si ritrovò a pensare che forse anche ogni stanza doveva essere uguale all'altra. Quando raggiunsero lo studio del prete, la luce gli aggredì gli occhi. Una porta finestra prendeva quasi tutta la parete destra della stanza. La sagoma di Komyo era stata disegnata a terra col gesso, attorno ad essa pezzi di vetro, di un vaso rotto, qualche traccia di sangue e vicino la scrivania stava un tagliacarte. Hakkai aggrottò le sopracciglia nel notare un dito umano, vicino allo stesso tagliacarte.
"A quanto pare c'è stata un'aggressione..." Pronunciò l'uomo sposato e Lirin annuì, come per motivare la domanda precedentemente posta. "Il dito è della vittima?"
"No..." Mormorò Lirin. "...ma gli esami non sono ancora stati fatti, hanno semplicemente preso le impronte ed hanno rimesso il dito nel posto in cui era..." Spiegò concitata.
Hakkai si mosse per la stanza, analizzando la situazione e poi parlò.
"Quindi... in teoria, qualcuno è entrato nella stanza, lui e Komyo hanno avuto una specie di colluttazione. Komyo, magari per l'età, magari per lo spavento gli prende un infarto..."
"Ma magari nel tentativo di difendersi taglia un dito al suo aggressore con il tagliacarte?" Azzardò immediatamente Chinyiso.
"Aveva parenti?"Domandò quest'ultimo, distraendo quindi Hakkai dalla sua solita analisi della stanza. Osservò Lirin la quale annuì.
"A quanto pare, aveva un figlio, ma di lui non si ha più traccia dal 2003.. la polizia ha cercato di rintracciarlo, ma da quel che so, l'ultima volta è stato visto ad Osaka, quando frequentava il liceo, ma quando Komyo si è trasferito qui, lui è sparito nel nulla.. Shigeo afferma che possa essere mort..." S'interruppe, il cellulare vibrava nella tasca dei jeans. Lo afferrò distratta, rispondendo alla chiamata.
"Si, sono io... si, sono qui con me..." Camminava parlando. "Cosa? Allora è vivo... Si, riferirò subito, grazie Shigeo, ti farò sapere..."
Hakkai e Chiyiso si fissaro titubanti prima di rivolgersi alla donna, la quale sgranò gli occhi cercando le parole giuste. "Hanno scoperto di chi è il dito..." Deglutì, facendo fatica. In realtà non seppe nemmeno lei il perchè. Forse per il semplice fatto che per lei non aveva alcun senso tutto ciò. "... Genjo Sanzo Hoshi... Il figlio di Komyo..."

Continua...



Fonti di ricerca per la storia: Wikipedia (1 - 3 - 4); Kamasutra a cura di Richard Francis Burton e Forster Arbuthnot (2); Atlante Geografico.

Shigeo Mito: Musicista nato ad Osaka e spostatosi in Europa a Madrid. E' un liutista, tiorbista e vihuelista giapponese. Perchè ho scelto lui, come tramite? Perchè è un personaggio che esiste davvero, rende la storia un pò più reale, per quanto in realtà sia pura immaginazione e soprattutto ha studiato il Vihuela (italianizzato: viella). E' il nome di un antico strumento musicale della famiglia dei liuti, apparso in Spagna. Il termine identifica in particolare la cosiddetta vihuela de mano distinta dalla vihuela de arco, sinonimo della viola da gamba o della viella medievale. Analogamente alla chitarra alla quale assomiglia, si suona pizzicando le corde con le dita. Diciamo che trovo affascinante l'idea di Komyo che suona uno strumento simile. E' complicato ma in futuro, capirete.

Note dell'autrice: Allora, spero il primo capito sia risultato interessante per le lettrici di Efp. Partendo dal presupposto che solitamente quando penso ad una storia, solitamente butto giù le prima immagini che mi passano per la testa, senza riflettere troppo sullo svolgersi della storia, e forse per questo non concludo mai granchè. In questo caso, tutto è partito da una scaletta. Cioè, mi sono messa a tavolino e mi sono chiesta: come si scrive una storia interessante? Partendo dall'inizio senza sapere la fine? Oppure scrivendo la fine e ponendosi delle domande, sul perchè accade quel qualcosa?
In pratica, prima di buttare giù, questo primo capitolo, ho scritto la storia a parte, analizzando personaggio per personaggio, chiedendomi perchè si sarebbe dovuto trovare lì, e perchè una certa situazione si sarebbe dovuto svolgere in quel modo e devo essere sincera, sono entusiasta del lavoro che ho scritto PRIMA del capitolo UNO. In pratica, la storia già è finita, ora devo semplicemente renderla interessante e snodare, punto per punto, aggiungendo descrizioni e scegliendo come presentare i vari avvenimenti. Perchè dico ciè? Perchè sto tentando una via un pò più ricercata del modo di scrivere.  Per il resto, spero la trama vi abbia un pò incuriosito :) sarò felice di rispondere a qualsiasi dubbio o consiglio sia positivo che negativo.
Baci. Emilastra.

  
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