Nota:
storia che partecipa alla Sfida n°10 “Severus
a San Valentino” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/)
Disclaimer:
I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì,
prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
I
personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà
ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre
altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa
storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna
violazione del copyright è pertanto intesa.
Illusione
Quello era
sempre stato un giorno del tutto particolare per lui, c’era ancora un freddo
pungente che arrivava fino alle ossa, ma un sole splendente riusciva a scaldare
debolmente quella porzione di Scozia.
Severus
camminava a passo veloce lungo il sentiero che conduceva al Castello, guardava
furtivo gli studenti intorno a se e ogni tanto una smorfia di disgusto gli
piegava le labbra, quando alcune coppie si scambiavano pacchetti su pacchetti o
gruppi di ragazzine idiote urlavano al passaggio del ragazzo di turno.
Il
mantello fluttuava leggiadro seguendo la sua andatura, ogni tanto, quando
cambiava leggermente direzione, si avvinghiava alle gambe come un serpente sulla
preda.
La sua
camminata era decisa e fiera, e la sua espressione non tradiva nessun cedimento,
ma i suoi occhi mostravano chiaramente che qualcosa si stava agitando dentro di
lui, qualcosa che solo in quel giorno rinasceva nella sua mente e lo faceva
cedere ai ricordi e al dolore.
Arrivò al
portone principale e lo spalancò quasi con rabbia, non poteva permettersi alcun
cedimento. Salì le scale a gran velocità, mentre gli studenti si spostavano,
impauriti dalle occhiatacce che riservava loro il professore.
Fuori da
un’aula c’erano alcune studentesse che stavano parlando tra di loro
raccontandosi cosa avrebbero fatto quel pomeriggio.
- Mi ha
chiesto di uscire! Ci avreste mai creduto? – urlò una di loro alle amiche che
la guardavano sorridenti, poi si accorsero della presenza di Piton e il sorriso
scomparve mentre il professore si limitò ad inarcare un sopracciglio, ma
qualcosa ormai si era insinuata nella sua mente.
A quel pensiero
il suo sguardo parve illuminarsi, si morse un labbro per ricacciarlo, ma non ci
riuscì, ormai si era impossessato della sua mente.
Il ricordo
di quel giorno di tanti anni fa gli si fece chiaro nella mente producendogli una
forte morsa allo stomaco.
Il ricordo
di quando Lily era corsa verso di lui con quel suo sorriso che sapeva quietare
la più furiosa delle tempeste, quei suoi bellissimi capelli rossi che
fluttuavano nell’aria formando volute che nemmeno in natura vi erano di così
perfette.
“Mi ha
chiesto di uscire, Sev!” gli aveva detto quel giorno e il suo cuore si era
fermato per qualche istante e il respiro si era bloccato di colpo.
Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma in
cuor mio avevo sperato che lei si sarebbe resa conto che Potter fosse solo un
idiota.
Ma lei era innamorata, e quando si è innamorati,
non c’è difetto che tenga perché si trasforma in una speciale unicità che
emerge prepotente.
Ed io non avrei mai potuto contrastare il suo
amore, me ne ero reso conto da tempo ormai.
Ero rassegnato ad un’esistenza di solitudine.
Se nemmeno lei che conosceva ogni cosa di me, mi
aveva voluto, nessuna lo avrebbe mai fatto.
L’Amore non mi appartiene.
Odiava
quel giorno più d’ogni altro, sembrava che tutto e tutti si fossero uniti per
fargli perdere il controllo.
E ci
stavano riuscendo.
Tutta
quella momentanea felicità nell’aria lo rendeva nervoso, e quand’era in quello
stato non riusciva a controllarsi perfettamente e tutti quei ricordi e pensieri
di certo non aiutavano.
“Severus,
divertiti anche tu per una buona volta.” gli aveva detto il vecchio Preside e
lui per tutta risposta era uscito dal suo ufficio sbattendo la porta.
Divertirsi?
Come avrebbe mai potuto divertirsi in un giorno in cui nell’aria sembrava
esserci soltanto amore, quando lui non lo aveva da tanto tempo… non lo aveva
mai avuto.
Vedere
coppie che amoreggiavano non era per niente di aiuto, persino Hagrid con Madame
Maxime si scambiavano sguardi languidi, e questo lo faceva sentire ancora più
furioso, una certa invidia gli stava salendo, sentiva un brivido attraversargli
la schiena.
Era
impensabile che lui provasse simili sensazioni quando aveva cercato tutta la
vita di reprimere ogni emozione. Era davvero assurdo che un qualunque giorno
dell’anno facesse crollare il muro che si era costruito attorno così bene.
Che ne sapevano quegli stolti di cosa era
l’amore, stupidi ragazzini interessati solo alle cose materiali!
Ma chi ero io per giudicare queste persone? Io
ero lo stolto che non riusciva a farsi una ragione che il suo amore non c’era
più, dissipato come una goccia d’acqua dolce in un salato oceano sconfinato.
Com’era difficile guardarla e non poterla
toccare, vedere un sorriso sulle sue labbra che non era mai mio.
Sentire il suo profumo nell’aria e non poter
sfiorare la sua pelle ad occhi chiusi.
Ad occhi chiusi mi beavo della sua figura,
immaginandola mentre si avvicinava per baciarmi, mentre le sue dita toccavano
il mio viso.
La osservavo mentre camminava per i corridoi e
il mio cuore piangeva perché non potevo abbracciarla.
Ogni volta che i miei occhi incontravano i suoi,
la mia anima sanguinava al solo pensiero che quegli sguardi che riservava a lui
non mi sarebbero mai appartenuti.
Era
esausto, tutte quelle immagini che gli si manifestavano davanti agli occhi, gli
stavano mozzando il fiato, le gambe stavano quasi per cedere sotto il peso di
quelle insopportabili visioni.
Stupido
giorno dell’anno che gli stava facendo perdere il controllo.
Non aveva
mai capito quell’insensata festa Babbana, in cui tutti si scoprivano innamorati
e per questo si facevano stupidi regali. Che senso aveva tutto quel consumismo
ipocrita che era fatto solamente per vendere finti sentimenti, a quelli veri
non sarebbe bastato un giorno l’anno, ma serviva tutta una vita.
Forse la
sua era solo invidia perché era sempre rimasto a guardare gli amori degli altri
che nascevano e si sviluppavano.
Uno soffio
rassegnato gli uscì dalle labbra, doveva assolutamente isolarsi, stare in
solitudine senza più vedere tutto quello, magari la sua mente avrebbe smesso di
mostrargli quei ricordi dolorosi.
Ormai
viveva d’apparenza, e la sua stava venendo meno.
La volevo.
Volevo sentire il suo corpo sotto il mio, il suo
respiro sulla mia pelle, avere i suoi capelli tra le dita e assaporarne il
dolce profumo.
Il suo sorriso era un candido bagliore nelle mie
cupe giornate, mi bastava vederla per essere felice, mi bastava sentire la sua
voce per avvertire la pace avvolgermi lo spirito.
Quante volte avevo sognato di fare l’amore con
lei e mi ero svegliato sentendomi sporco. Mi vergognavo di quello, ma non
potevo farci nulla, non avevo la forza di resistere.
Avevo provato a non dormire, ma non era servito
a nulla, la vedevo sempre nuda nei miei pensieri, avevo provato a torturare la
mia mente, ma continuava ad apparire nei miei sogni.
Non avrei mai potuto averla e così mi
accontentavo delle fantasie.
Tutti quei
pensieri lo stavano distruggendo e la strada che lo separava dalla sua
destinazione era diventata infinita, più affrettava il passo e più si allungava
sotto i suoi piedi.
Non
mancava molto, ma la pietra che lastricava i corridoi spariva in un punto
lontanissimo, credeva di avere le allucinazioni. Scosse la testa per un istante
come per togliersi un velo che non gli permetteva di vedere bene, ma il
pavimento continuava a sparire all’orizzonte.
Richiuse
gli occhi con rabbia e con altrettanta furia li riaprì sperando che la vista
fosse tornata normale, ma non fu così. Aumentò di molto l’andatura e quando
scorse la meta tanto agognata vi si gettò con impeto facendo sbattere la porta
sul muro.
Si chiuse
la porta alle spalle, lasciandosi cadere a terra, stremato da tutto
quell’afflusso di pensieri. Tutto quel vortice di emozioni era stato più
doloroso e sfiancante di una Cruciatus.
Quei ricordi
erano stati così nitidi che accennò appena un sorriso mentre alcune lacrime sfuggivano
al suo controllo.
La stanza
era avvolta nell’oscurità più totale, nessun uomo avrebbe potuto camminare in
quel buio senza cadere a terra o senza andare contro un muro, ma non Severus.
Lui conosceva ogni centimetro di quell’ambiente, ogni anno tornava lì e nessun
anfratto aveva segreti per lui. Si muoveva come se stesse su un prato in piena
luce.
Avanzò
verso il centro, strattonò il pesante drappo nero e, formulato un incantesimo,
si lasciò trasportare dalle immagini che gli si mostravano davanti, le stesse
ogni anno.
***
Nella
stanza tutto era buio, c’era silenzio, rotto per qualche istante da alcuni movimenti
della persona che gli era accanto.
Sorrise
appena nel vederla dormire tranquilla.
Fuori la
neve continuava a scendere, fiocchi candidi e puri cadevano lenti, danzavano
come piume sospinte da una leggere brezza, quella che ti dava brividi freddi
sotto un rovente sole d’estate.
Gli stessi
brividi che gli passavano al ricordo di ciò che aveva vissuto.
Era tutto
bianco fuori.
Come il
vestito che aveva indossato.
Il vestito
che non riusciva a guardare senza che una lacrima gli sfuggisse.
Gli
sembrava troppo irreale quello che aveva passato: loro due insieme per sempre.
Vedeva lei
nel letto e l’abito ancora appeso all’armadio: piangeva.
Piangeva
lacrime d’amore.
Piangeva
per il ricordo felice.
La
primavera era arrivata ormai da tempo e l’aria si era riempita di quei colori e
profumi tipici della stagione.
Una coppia
di uccellini cantava felice sul ramo di un albero, erano così vicini che sembrava
quasi si baciassero, facevano tenerezza nel loro cinguettare d’affetto.
L’uomo pensò
ad una coppia di giovani amanti e sorrise.
Un sorriso
dolce il suo.
Era bella
in quel suo abito bianco, così elegante e così a suo agio, quei suoi capelli
rossi appena disordinati di notti insonni e agitate, notti abbracciati e mai
stanchi l’uno dell’altra.
L’aveva
guardata con quel suo sguardo colmo di amore e di passione, ma aveva abbassato
gli occhi appena in tempo per non far vedere una lacrima che stava scendendo
lenta: una lacrima d’affetto.
Lui invece
indossava un abito Babbano da cerimonia, era la prima volta che ne indossava
uno ed era terribilmente impacciato, fissava una cravatta senza sapere bene
cosa farne, voleva essere perfetto, quel giorno doveva essere perfetto, e
niente e nessuno gli avrebbe rovinato i piani, tanto meno uno stupido pezzo di
stoffa.
Ormai
mancava pochissimo e avrebbe finalmente coronato il suo sogno d’amore, il sogno
al quale aveva smesso di credere da tempo perché in cuor suo era convinto che
lei amasse il suo rivale Grifondoro, che lui fosse solamente un amico.
Invece le
era corsa incontro quasi arrabbiata perché lui non si era ancora dichiarato,
aveva aspettato a lungo, ma lui niente, ostinato nella sua certezza che lei non
lo amasse, non le aveva detto nulla.
Così una
sera gli aveva confessato il suo amore, in modo duro ma dolce, e il suo cuore
si era improvvisamente fermato. Era rimasto immobile a fissarla, senza fiato,
il corpo che si era fatto all'improvviso pesante e si era dovuto appoggiare
alla parete per non cadere a terra.
Adesso era
lì, davanti ad uno specchio a sistemarsi la cravatta, si sentiva ridicolo, ma
era talmente felice che tutto il mondo sarebbe rimasto fuori, esistevano
soltanto loro due.
Avrebbe
voluto vederla in quel suo abito bianco che le faceva risaltare i suoi
meravigliosi occhi verdi, avrebbe voluto baciarla in quell’istante, ma una
stupida tradizione Babbana gli impediva di vedere la sposa prima della
cerimonia.
Ormai era
arrivata l’ora di andare in chiesa e Severus si sentiva sempre più agitato,
aveva combattuto Maghi Oscuri, commesso le peggiori atrocità, ma tremava di
fronte all’idea di dover dividere la vita con una donna, con la sua Lily.
Sarebbe
stato in grado di proteggerla?
Sarebbe
riuscito a darle la vita che meritava?
Era
inutile farsi quelle domande, lei era sua ormai, e lo sarebbe stata per sempre.
Era lì,
immobile sull’altare ad attendere la sua sposa, c’erano pochi invitati,
pochissimi, solamente i testimoni, ma loro non avevano bisogno di nessuno, il
loro amore avrebbe colmato qualsiasi cosa.
Una dolce
melodia di violini si diffuse per la navata della chiesa, seguita dal dolce
suono di una chitarra che donava un senso di quiete alla chiesa.
Sentiva
dei passi accennati venire da lontano, stava per arrivare sulle note di una
chitarra, stava percorrendo la strada che la separava da lui.
Vide il
suo sorriso splendente e il suono dei violini si fece più alto, ad accompagnare
la dolcezza di quel viso che solo lui avrebbe baciato.
♫So
close no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trust in who we are
And nothing else matters ♫
Camminava
lentamente verso l’altare, il suo sguardo fisso agli occhi di Severus che
sembrava la stesse vedendo per la prima volta, aveva un bustino bianco che le
fasciava i seni e quasi invidiava quel coprispalle di seta che le toccava la
morbida pelle, la gonna le ricadeva fino ai piedi facendo risaltare i fianchi
sinuosi della donna. Avrebbe voluto correre verso di lei e abbracciarla, ma era
troppo teso anche solo per muovere un muscolo, così rimase bloccato a
guardarla.
♫ Never
opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don't just say
And nothing else matters ♫
I violini
continuavano a suonare e una voce accompagnava i passi della sposa. Le corde
vibravano e i lembi del vestito di Lily sembravano danzare sulle note di quella
musica, era una visione bellissima per Severus.
Il bouquet s’intonava
perfettamente a lei, gli steli verdi come i suoi meravigliosi occhi e il rosso
delle rose andava a completare la sfumatura dei suoi capelli che ondeggiavano
appena, mossi da un alito di vento proveniente dal portone della chiesa.
Era tutto
perfetto, loro due, la musica, non serviva nient’altro, non servivano parole
perché quello che c’era nei loro sguardi raccontava di interi mondi nascosti.
♫ Trust
I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters ♫
Non c’era nulla in
quella piccola chiesetta, solamente un uomo e una donna che si sarebbero
giurati amore eterno, nessun dolore nei loro cuori, nessuna lacrima sui loro
visi, non sarebbero stati mai soli perché si sarebbero completati a vicenda.
Ormai era quasi
arrivata a fianco di Severus che l’attendeva con il cuore in gola che batteva
furiosamente, le labbra si erano fatte secche, il viso non tradiva nessuna
emozione, ma gli occhi emanavano una luce del tutto particolare, una luce molto
più intensa di quando l’aveva vista per la prima volta da dietro un cespuglio.
Allora era solo un bambino coperto di stracci, adesso era un uomo, un uomo con
un triste passato alle spalle, ma grazie a lei avrebbe vissuto un felice futuro
colmo d’amore.
Tese la mano per
aiutarla a salire un gradino mentre ammirava il suo dolce sorriso.
♫(Never
care for what they say
Never care for games they play) [1]
Never care for what they do
Never care for what they know
But I know ♫
In quanti si erano
opposti a quel matrimonio, in molti avevano cercato di farle cambiare idea, ma
a lei non interessava quello che dicevano o pensavano gli altri, lei amava
Severus e quella era la sua unica certezza.
Il suono di archi
si stava facendo sempre più forte mentre i due sposi pronunciavano il loro sì davanti al sacerdote, la chitarra
accompagnava i loro sguardi mentre si giuravano amore eterno.
Quando i loro
volti erano vicinissimi tutte le parole insensate che gli erano state rivolte,
svanirono all’istante dalle loro menti.
♫ So
close no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trust in who we are
And nothing else matters ♫
La baciò con
impeto sentendola finalmente sua, mentre il cuore batteva forte al ritmo di una
batteria che echeggiava nella chiesa, sembrava volerlo spingere a non fermarsi
mai.
Non avrebbe voluto
fermarsi mai.
Averla tra le
braccia era il più bel regalo che potesse ricevere, le sue labbra erano un
dolce miele da mettere su un cuore amaro, i suoi occhi erano stati una scossa
che lo aveva risvegliato da un torpore che era durato troppo a lungo.
La amava.
La amava e
nient’altro aveva importanza.
♫Never care for what they do
Never care for what they know
But I know ♫[2]
Uscirono
dalla chiesa felici, mano nella mano, sotto un caldo sole di primavera che
rendeva i capelli rossi di Lily ancora più luminosi. Lei corse verso un prato
poco lontano e Severus rimase immobile a guardarla mentre si allontanava, una
splendente stella bianca in un manto verde smeraldo, come i suoi occhi.
***
Rimise il
drappo nero al suo posto e tutto svanì.
Dell’amore
e della passione rimase soltanto l’illusione, l’illusione di un desiderio di
eterni momenti di felicità che mai avrebbe vissuto.
Quello
specchio era la sua droga e la sua maledizione, il suo appuntamento annuale al
quale non poteva mancare, non poteva farne a meno, quelle immagini lo avrebbero
reso felice per un tempo troppo inconsistente, mentre il dolore che avrebbe
provato dopo sarebbe rimasto per sempre a ricordargli che nella sua vita non
c’era spazio per la gioia e per l’amore. Era la vita che si era scelto e doveva
tenersela cercando di andare avanti nel migliore dei modi, cercando di espiare
le sue colpe e i suoi errori.
Tutti
gli anni si sentiva un macigno sul cuore che solo l’andare in quella stanza
riusciva a disintegrare, ma si sentiva sporco, sentiva di insudiciare la
memoria di Lily, la sua amata Lily che non sarebbe mai stata sua, soltanto
nell’illusione di finte immagini.
Perché? Perché ogni anno dovevo tornare qui
a torturarmi?
Perché?
Mi causava nient’altro che dolore rivedere
quelle immagini, eppure mi facevano felice per qualche istante, qualche minuto
ad osservare quella che sarebbe potuta essere la mia vita.
Come sei idiota, Severus, nasconderti
dietro una finzione per sfuggire dalla misera realtà. Sei un codardo, Severus,
un codardo che cerca una mera felicità in uno specchio invece di farsi una
ragione che lei non sarebbe mai potuta essere tua.
In
fondo lo sapeva di essere un codardo, non riusciva ad accettare che lui non era
fatto per amare, non si meritava di essere amato, ma ogni anno qualcosa lo
richiamava in quella stanza, davanti a quello specchio per bearsi di una vita
che non gli sarebbe mai appartenuta.
Si
accontentava di quello, ma ogni anno ne soffriva piangendo nel silenzio
dell’oscurità che lo avvolgeva nuovamente ogni volta che usciva da quella
stanza.
Un’oscurità
che diveniva luce ogni San Valentino.
Un
fuoco fasullo, immobile, fatto solo di colori, ma che non riscaldava.
E il
cuore di Severus non aveva bisogno di essere illuminato, ma di essere
riscaldato.
Piangeva,
le lacrime gli rigavano il pallido volto, teso e scavato più che mai, mentre i
singhiozzi rompevano il silenzio di quella stanza, non c’erano violini ma
gemiti, non c’era la melodia di una chitarra, ma lo stridente lamento di
un’anima ferita, il suo cuore non andava al ritmo di una batteria, ma si era
nuovamente relegato nel suono del silenzio e nel dolore.
Uscì da
lì e tornò a vivere nell’illusione e nella sua triste vita di sempre.
[1] Queste due righe della canzone appartengono alla seconda parte del brano, ma siccome è uguale alla prima parte tranne che per quelle due righe in più, ho lasciato solo la prima inserendo quei due versi.
[2] “Nothing Else Matter” dei Metallica, ascoltatela perché è bellissima ;)