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Autore: JuliaSnape    21/02/2011    6 recensioni
Non era più un avvocato, era passato un anno da quando gli avevano tolto il distintivo.
Non aveva più una casa, era stato costretto a venderla e trasferirsi nell'Agenzia per saldare i debiti.
Non aveva più amici, li aveva allontanati tutti.
Non era più solo, era diventato padre e aveva trovato un motivo, un valido motivo, per andare avanti.
Quando Phoenix sembra iniziare a riacquistare il suo precario equilibrio nel mondo la visita di un'assistente sociale rischierà di fargli perdere tutto quello per cui si era fatto forza ed era andato avanti fino a quel momento...sua figlia.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Phoenix Wright, Trucy Wright
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Somebody who need your love 

 

Erano le dieci e mezza della mattina, ma dal silenzio che aleggiava all’interno dell’Agenzia Vattelapesca o Nuovi Talenti Wright sembrava fosse ancora notte fonda invece che giorno inoltrato, l’unico rumore udibile nella stanza principale dell’appartamento era lo scorrere dell’acqua che andava a posarsi sul terriccio già bagnato, Phoenix stava innaffiando Charley e appena ebbe finito si sdraiò stancamente sul divano lì vicino. 
La giornata precedente era stata particolarmente lunga e faticosa, perfino Trucy che di solito era iperattiva dalle prime luci dell’alba, mentre la sera faceva il possibile per rimandare il momento di andare a letto, aveva ceduto alla stanchezza e stava ancora dormendo nella stanza accanto nonostante l’ora.
L’uomo si rigirò alla ricerca di una posizione più confortevole e quando la ebbe trovata si abbassò il cappello blu sugli occhi,  sebbene durante la notte si fosse riposato era ancora molto stanco. Stava per cedere alle braccia di Morfeo, quando dei battiti ripetuti alla porta lo fecero destare. L’agenzia di solito apriva alle undici e dato che nessuno era a conoscenza della sua permanenza lì ed era certo di non avere tantomeno appuntamenti, decise di ignorare il suono sperando che il visitatore se andasse senza disturbare ulteriormente il suo sonno.

Speranza vana dato che la porta venne colpita nuovamente. Sospirando l’uomo si alzò e dopo essersi stiracchiato andò ad aprire all’ospite che si rivelò essere una donna di mezza età con dei profondi occhi verdi, coperti da una montatura rosa, e dei capelli rossi raccolti in un’acconciatura elaborata.

“Il signor Wright?”

“In persona, come posso esserle utile?”

La donna diede un rapida occhiata all’uomo che aveva saputo abbinare una felpa grigia con un paio di sandali, per non parlare dell’eccentrico berretto blu, quasi a dubitare di quanto avesse appena affermato.

“Bene signor Wright, il mio nome è Gabrielle Dlihc, assistente sociale, sono venuta per parlare della bambina che ha adottato, la signorina Enigmar.”

“Trucy.”

“Come prego?”

“Mia figlia, si chiama Trucy.” Sottolineò l’uomo.

“Oh sì, Trucy, ovviamente. Allora posso entrare?”
Phoenix si fece da parte per far entrare la donna mentre milioni di pensieri iniziavano a farsi largo nella sua mente sul motivo della visita della donna.

“Scusi se sono venuta a quest’ora, non era mia intenzione disturbarvi, matrovarvi non è stato semplice, sono stata al suo vecchio indirizzo e mi hanno detto che non abitavate più lì… quindi è qui che vivete ora?” Chiese esaminando l’ampia stanza dov’erano ammucchiati oggetti di diverse fattezze.

“Sì, ci siamo trasferiti oggi e come può notare lei stessa dobbiamo finire di sistemare le varie cose.”

La donna annuì solenne. “Di che si occupa al momento signor Wright?”

“Suono musica dal vivo in un locale qui vicino…”

“Che tipo di strumento?”

“Pianoforte.”

“Capisco, invece dov’è la signorina Eni…-notò lo sguardo dell’uomo- Trucy?”

“Sta dormendo nell’altra stanza.”

“Non crede sia ora di svegliarla? A che ora è andata a dormire?”

Gli chiese alzando un sopracciglio. L’uomo alzò le spalle. “Si è stancata molto ieri e ha faticato a prendere sonno, infatti si è addormentata più tardi del solito…”

Non si fermò a specificare ‘quanto’ più tardi, abitualmente Trucy andava a letto verso le dieci, dieci e un quarto, ma a volte, soprattutto i primi tempi, era successo anche a mezzanotte o l’una mezza, tutto dipendeva se aveva o meno incubi. Quelli infatti, oltre a svegliarla, le impedivano anche di addormentarsi serenamente facendole avere paura di prendere sonno. Ormai però era parecchio tempo che non ne aveva, constatò Phoenix sentendosi felice, le era stato accanto e le aveva permesso di dormigli vicino tutte le volte che era capitato ne avesse uno, fino a quando, all’ennesimo incubo, la piccola aveva preso coraggio e deciso di raccontargli cosa sognava ogni volta. Lui l’aveva rassicurata promettendogli che ci sarebbe sempre stato e da allora aveva iniziato a dormire tranquilla.

 “D’accordo, senta signor Wright, non so se lei sia a conoscenza del motivo della mia visita…”

Phoenix si riscosse dai suoi pensieri sentendo la frase lasciata appositamente in sospeso dalla donna, al che l’ex avvocato prese un respiro più lungo degli altri e la guardò serio.

“L’ascolto.”


Nel frattempo che i due parlavano Trucy si era svegliata attratta dal rumore del vociare confuso proveniente dalla stanza accanto, con chi stava parlando suo padre?
Solo il giorno prima, mentre facevano posto per i pochi mobili che avrebbero portato nell’agenzia con l’imminente trasloco, lo aveva trovato a parlare con Charley mentre gli dava l’acqua, ma la bambina non gli aveva dato un grande peso, in fondo capitava anche a lei di parlare con il suo manichino magico, ma possibile che suo padre possedesse un qualcosa simile a Mr. Cappello e non le avesse detto niente? Incuriosita si alzò dal letto e si avvicinò silenziosamente alla porta che aprì leggermente creando un piccolo spiraglio, dal quale riusciva a vedere l’uomo che in quel momento si trovava di spalle.

“Quindi…Per questo è venuta qui?”  

“Sì…”
la piccola maga sentì che era stata una voce femminile a rispondergli e sebbene non riuscisse a vedere la donna, un grande sorriso le si dipinse in voltò, forse suo padre le stava trovando una nuova mamma! Si avvicinò ancora di più alla fessura.

“La signorina Enigmar non è mia figlia. Un anno è stato più che sufficiente, non voglio più prendermi cura di lei.”
Aveva parlato con una voce atona e seria che non gli apparteneva, seguì un silenzio rumoroso.

Trucy, che nel frattempo era rimasta come pietrificata, trovò la forza di chiudersi la porta alle spalle senza far rumore e vi si poggiò contro sedendosi sul freddo pavimento, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Una fitta lancinante le stringeva lo stomaco. Aveva creduto che il suo nuovo papà…che il signor Wright, era così che lo doveva chiamare, le volesse bene anche se non era realmente sua figlia o una vera parente…si era illusa di aver trovato una nuova famiglia...aveva sperato che tutte le parole e le promesse dell’uomo fossero vere…aveva pregato inutilmente.
Mentre si teneva le mani sul volto per asciugare le lacrime che scendevano copiose e soffocare i singhiozzi poteva sentire che i due nella accanto avevano ripreso a parlare animatamente, tuttavia non riusciva a capire cosa si dicessero, nella sua mente rimbombavano le parole dell’uomo che continuavano a graffiarle il cuore: “Non è mia figlia.”

*

“Allora ci vediamo questo pomeriggio, verso le cinque e mezza?”

“Perfetto.”

“Signor Wright, mi scusi per prima, ma il fatto è che… non tutti la pensano come lei sfortunatamente.”

L’uomo annuì abbassandosi il cappello sugli occhi . “Non si preoccupi, ci vediamo dopo allora.”

“D’accordo, arrivederci.”

“Arrivederci.”
E la porta si chiuse.

Phoenix sospirò pensando all’incontro appena avvenuto e lanciò uno sguardo al piccolo calendario con Sbirotto (regalo di Natale di Gumshoe) appoggiato sul tavolino, sorrise leggendo la data: era passato un anno. Era già trascorso un anno da quando era entrata nella sua vita cambiandola per sempre, sapeva di aver perso molte cose, ma allo stesso tempo era consapevole di aver trovato molto, molto di più. Gli era stato tolto ingiustamente il distintivo e di conseguenza non era più un avvocato, i soldi scarseggiavano, i pochi risparmi che aveva saputo mettere da parte durante quegli anni di duro lavoro erano finiti velocemente e per pagare le spese e saldare i debiti che si erano venuti a creare, si era visto costretto a vendere il suo vecchio monolocale trasferendosi nell’agenzia insieme alla figlia. Inoltre sebbene avesse da poco iniziato la sua nuova ‘carriera da pianista’ temeva che nemmeno quella sarebbe bastata per tirare avanti.

Ultimamente viveva con l’irrequietezza di trovarsi sempre con l’acqua alla gola, aveva paura di non fare abbastanza e che non sarebbe riuscito a darletutto ciò di cui aveva bisogno.
A lei che, a parte sporadiche volte, non chiedeva mai niente per se, a lei che gli rimaneva vicino malgrado tutto, a lei che era sempre lì con un grande sorriso solo per lui, a lei che lo abbracciava e chiamava papà. Se aveva trovato la forza di ricominciare e continuava ad andare avanti nonostante tutto era proprio per lei.
Trucy era la sua ancora di salvataggio o ‘lampadina’, come la chiamava lui stesso proprio perché aveva portato una nuova luce nella sua vita; per lei avrebbe fatto qualunque cosa.

Dopo aver dato un’occhiata all’orologio, l’uomo si diresse davanti la porta della stanza dove bussò dolcemente.

“Trucy tesoro, svegliati che è ora di alzarsi.”
Come risposta udì dei suoni indistinti dai quali suppose che la sua bambina si stava svegliando; così, conoscendo i suoi tempi, decise che nel frattempo si sarebbe concesso una doccia.
Pose sul tavolo una tazza blu accompagnata da un cartone di latte e dei biscotti, comprati con una promozione, che posizionò in modo che formassero un sorriso, infine soddisfatto del suo ‘estro artistico’ entrò in bagno.

La doccia durò una ventina di minuti, la potenza del getto d’acqua che s’infrangeva sui suoi capelli (che si erano allungati nonostante non si notassero perché solitamente nascosti sotto il cappello) aveva il potere di conferire a Phoenix un senso di quiete e tranquillità che raramente riusciva a trovare. Era forse quella la sensazione a cui accennava Maya quando gli raccontava delle sue sessioni di meditazione sotto le cascate di Kurain? Già, Maya…grazie alle lettere che aveva ricevuto sapeva che ora stava studiando seriamente per diventare Maestra e la piccola Pearl l’aiutava con i vari compiti, lui le aveva risposto scrivendogli che lì tutto procedeva normalmente: l’agenzia veniva tenuta in ordine (il bagno in modo particolare), Charley veniva innaffiato regolarmente e stava bene, di clienti nemmeno l’ombra, questo implicava che si sarebbe potuto prendere una pausa per riprendersi dai vari casi (soprattutto d’omicidio!)affrontati fino a quel momento e che avrebbe finalmente trovato il tempo per mettere apposto i vari fascicoli lasciati incompiuti, ma soprattutto che appena avesse potuto la sarebbe andata a trovare…quella sua lettera risaliva all’anno precedente, prima che fosse radiato dall’albo, prima che perdesse il suo lavoro e vocazione, prima che diventasse padre.

Nonostante il tempo che passava inesorabile Maya non l’aveva abbandonato, lettere, chiamate, messaggi, aveva fatto il possibile per mantenersi in contatto, ma lui d’altra parte aveva tagliato i ponti, cestinava le missive, staccava il telefono, insomma la ignorava. Non lo faceva con cattiveria, anzi questo lo faceva soffrire enormemente però voleva chiudere con il passato e lei era una parte, seppur piacevole di esso. Solo quando la ragazza, all’ennesimo messaggio, gli scrisse che sarebbe venuta a trovarlo in agenzia perché si stava preoccupando della sua indifferenza Phoenix si decise a fare qualcosa. La chiamò sul cellulare e, con una voce che la donna non gli seppe riconoscere come quella del suo Nick, le disse di non preoccuparsi perché lui stava bene, ma voleva essere lasciato solo. Maya naturalmente aveva insistito per sapere cos’era successo, per capire cos’era accaduto al Nick che lei conosceva e a cui voleva bene, era arrivata a chiederglielo in lacrime, ma l’uomo d’altra parte le aveva risposto che quel ‘Nick’ non esisteva più e aveva riagganciato.

Phoenix si odiava per quella conversazione avuta il mese prima in un mercoledì mattina mentre Trucy era a scuola, ma non poteva fare altro. Maya sarebbe rimasta troppo amareggiata nello scoprire che non era più un avvocato e lui non voleva vederla stare male a causa sua, non voleva deluderla. Certo, in quel modo l’aveva fatta soffrire lo stesso, ma non era la stessa cosa, ora lo poteva anche odiare però almeno non sapeva e questo in qualche modo distorto, era una sorta di rassicurazione.
Una volta che si fu vestito, Phoenix uscì dal bagno asciugandosi i capelli con un asciugamano e si guardò intorno alla ricerca della piccola maga in rosa che però non trovò. Possibile che non si fosse ancora svegliata? Aprì la porta della camera dove l’aveva lasciata la sera precedente.

“Trucy?” La stanza era vuota. L’uomo si grattò la testa ancora bagnata e tornò nella stanza principale.

“Trucy, dove sei?” La richiamò preoccupato entrando nell’ultima stanza dell’appartamento dove il giorno prima avevano posto disordinatamente la maggior parte dei loro averi, ma anche lì della figlia non vi era traccia.

Sebbene si fosse appena cambiato Phoenix sentì la maglietta incollarsi al suo corpo, stava sudando freddo.

Ricontrollò velocemente in tutte le stanze continuando a chiamarla, ma senza ottenere risposta; sconvolto aprì con foga la porta ed entrò nel bagno pensando che era l’unico posto dove non aveva controllato, ma invece della piccola maga ad aspettarlo trovò un pezzo si sapone che gli si infilò sotto il piede e lo fece scivolare.
Phoenix era senza dubbio sfortunato per molti punti di vista, ma sebbene gli capitasse frequentemente di avere degli incidenti di quel tipo doveva anche riconoscere che non si faceva mai veramente male e anche stavolta infatti dovette ringraziare Mia (o quale altro spirito lo aveva preso in simpatia e lo proteggeva) per non aver battuto la testa.
Dopo essersi alzato con fatica si diresse in cucina per prendere un bicchiere d’acqua e riprendersi dallo spavento della caduta, probabilmente Trucy si stava solo nascondendo per giocare o esercitarsi, in fondo era una maga nel vero senso della parola, doveva stare tranquillo ricontrollare l’agenzia con maggiore attenzione e l’avrebbe trovata.

Mentre beveva notò che il tavolo dove aveva lasciato la colazione alla bambina portava un cambiamento, anzi due. Il sorriso costruito con i biscotti che aveva composto con tanta cura era stato rovesciato andando a formare una faccia triste e proprio lì accanto era posto un biglietto. Phoenix lo prese in mano e dopo averlo letto (fortunatamente aveva appena mandato giù l’acqua, altrimenti si sarebbe strozzato) s’infilò il cappellino e corse fuori dall’agenzia come se ne valesse la propria vita.

Il biglietto caduto accanto al vaso di Charley recitava:

Grazie per avermi tenuta fino a oggi signor Wright, mi dispiace di esserle diventata un peso, ma se non mi vuole è giusto che io me ne vada.
Trucy Enigmar
 
Continua… 




 


L'angolo di Charley Nick Trucy Julia 

Oltre ringraziare tutti quelli che sono arrivati fin qui (ed invitarvi a recensire per dirmi cosa ne pensate, sia che siano critiche che lodi ^^) vorrei dedicare questa storia a delle persone speciali:
-Al mio amato gruppo italiano di roleplayer su facebook (A chi interessasse io sono Trucy XD la mia preferita **), che ringrazio per le chiacchierate e le fantastiche ruolate ♥
(Un saluto speciale al nostro Nick che mi ha dato l'idea della lampadina, a zio Lampone che c'è sempre per ascoltarmi e Maya che mi deve ancora una cena da Eldoon)

-Alla combriccola dell'aula creativa nei giorni dello studente o le 'fumettiste', come le chiamo io :) composto da: Dafne, Aurora, Irene, Giulia, Flavia e Leila (sperando di non dimenticare nessuno, non è cattiveria, ma sono le 3 del mattino o.O) ♥ 

-E infine a Claudia e Rebecca a cui voglio tanto bene  ♥  

A presto con la seconda parte! Mi raccomando recensite ;D

Aa♥   mi limitemimi

  
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