Fanfic su attori > Robert Pattinson
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Autore: Frytty    22/02/2011    4 recensioni
Lei, Cailin, modella affermata.
Lui, Robert, attore.
Si sono amati, ma poi qualcosa è andato storto ed ora non stanno più insieme da sei mesi.
Cosa succederebbe se si incontrassero di nuovo per puro caso e capissero che non si sarebbero mai dovuti separare?
E cosa c'entrano due strani anelli che Cailin ha ricevuto in regalo da una strana maga?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come annunciato sul mio profilo di scrittrice su Facebook, mi accingo ad aggiornare ^^

Un grazie speciale a chi ha commentato, inserito tra le preferite, seguite, da ricordare e a chi ha solo letto *.* ma non avete proprio voglia di lasciarmi un piccolo commentino? *occhi da cucciolo indifeso* xD (scherzo, ovviamente, non obbligo nessuno, io u.u)

Da questo capitolo le cose cominciano a farsi interessanti...

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

Oggi non è che un giorno qualunque

di tutti i giorni che verranno,

ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno

dipende da quello che farai oggi.

Ernest Hemingway

 

Cailin, quella mattina, si era svegliata più tardi del solito. Aveva un giorno libero e aveva deciso di godersi qualche ora in più di sonno, visto che era una settimana che non riusciva a dormire decentemente.

Sbadigliò, come al solito, e si stiracchiò, o meglio, fece stretching mattutino, come lo chiamava Robert, ma d'altronde era sempre stato quello il suo modo di iniziare la giornata e, si sa, le abitudini le si abbandona malvolentieri.

Lanciò un'occhiata alla sveglia esattamente due secondi prima che il suo cellulare iniziasse a squillare e che lei cominciasse a maledirsi in tutte le lingue da lei conosciute-che, per inciso, non erano molte-per averlo dimenticato acceso.

< Ok, sconosciuto, ti dò due secondi per convincermi che hai un buon motivo per telefonarmi, altrimenti riattacco. > Prese un respiro profondo, infastidita dal fatto che chi l'aveva chiamata non avesse neanche il coraggio di farsi riconoscere, adottando un insensato sconosciuto. 

< Cailin, sono Robert e sono nei guai. Senti, è difficile da spiegare adesso, ma dovresti fidarti di me e lasciarmi entrare nel portone, ti prego! > La voce di Robert le suonò ansiosa, preoccupata e supplichevole e, sebbene fosse tentata dal lasciarlo in qualunque sorta di guaio si fosse cacciato, non era ancora una stronza menefreghista e sbuffando agganciò, alzandosi per andare al citofono.

Premette il pulsante che avrebbe aperto il portone principale dell'edificio e cominciò in tutta tranquillità a prepararsi la colazione.

Il campanello suonò due volte proprio quando la caffettiera aveva preso a gorgogliare e a diffondere nella stanza il profumo di caffè e due colpi alla porta, decisi e determinati, la fecero trasalire, sebbene sapesse di chi si trattava.

< Non pretenderai che io ti ospiti, vero? > Proruppe appena aperta la porta, verso uno scarmigliato Robert.

< Tu mi odi e te lo concedo, ma ti prego, ti prego, questo è l'unico posto dove posso stare, perciò, ti prego, non mandarmi via. > Era sporco di terra, aveva i capelli bagnati, i jeans strappati sul ginocchio e un taglio sulla mano.

< Si può sapere che diavolo hai combinato? > Lo apostrofò, spostandosi di lato per farlo entrare e richiudendo la porta l'istante successivo, seguendolo in cucina.

< Non ci crederesti. > Borbottò lui in risposta, accasciandosi su una sedia.

Cailin fece spallucce e prese posto a tavola, cominciando a cospargere una fetta biscottata di marmellata di amarena, la sua preferita.

< Vuoi fare colazione, hai fame? > Sarebbe stato certamente scorretto da parte sua non offrire niente.

Robert scosse la testa e si stropicciò la faccia, con il risultato di sporcarsi ancora di più.

< Puoi fare una doccia, se vuoi. Dovrei avere qualcosa di tuo da qualche parte. > Si alzò e con un sospiro lo precedette verso il bagno, occupandosi poi di entrare nella sua stanza e di rovistare nei cassetti alla ricerca degli indumenti che Robert aveva lasciato da lei e che non si era più preoccupato di andare a riprendere.

Quando rientrò nel bagno con una sua camicia a quadri blu, un jeans, un asciugamano pulito e della biancheria intima, lui era già sotto la doccia e per un istante Cailin rimase affascinata dalle linee sfumate che riusciva ad intravedere attraverso il vetro appannato della doccia.

Non era cambiato molto in quei sei mesi, ma, d'altronde, nemmeno lei lo era. Aveva i soliti capelli castano chiaro che le ricadevano a boccoli sulle spalle, gli stessi occhi azzurri grandi ed espressivi e la stessa corporatura snella, ma atletica e non poté impedirsi di arrossire quando Robert riapparve fuori dalla doccia con solo la testa, le gocce d'acqua che delineavano perfettamente il suo viso leggermente spigoloso e i capelli perfettamente spettinati.

Abbassò lo sguardo e poggiò gli indumenti sul termosifone accanto a lei, prima di uscire silenziosamente, seppur conscia dello sguardo di Robert su di lei.

 

Cailin era così, non chiedeva mai, non si impicciava mai degli affari degli altri e se poteva non esitava certo a difendere un amico in difficoltà, per questo aveva accolto Robert nonostante i loro trascorsi.

Non aveva fatto domande e si era limitata ai suoi soliti modi diretti e concisi e alle sue domande spicce: hai fame? cosa vuoi fare? guardiamo un film?

Avevano deciso di guardare la televisione ed era ormai già sera. Cailin era semi sdraiata sul divano, le gambe strette al petto e il mento sulle ginocchia e lui, seduto sulla poltrona, la osservava, i piccoli frammenti di film che si rispecchiavano negli occhi chiari di lei, affascinandolo.

Per un attimo Robert dimenticò il motivo per il quale si erano lasciati e non ricordò altro che il suo sapore sulle labbra, il modo in cui se le mordeva quando facevano l'amore e il piacere diventava troppo intenso, la limpidezza dei suoi occhi quando le mormorava che l'amava e il sorriso dolce che le si disegnava sulle labbra quando la svegliava con le sue coccole al mattino.

Poi la verità gli si riversò addosso come una cascata di acqua fredda.

Lei lo odiava. Aveva creduto alle parole di Kristen. Si era rifiutata, con tutta la determinazione che le apparteneva, di credere ad una sola delle sue scuse sincere e non aveva versato neanche una lacrima quando gli aveva detto di andare via, il più lontano possibile da lei.

Gli occhi gli si inumidirono al pensiero di quella sera, alle urla e alle porte sbattute e distolse lo sguardo, riposizionandolo sullo schermo della tv.

< Stai ancora sanguinando, lo sai? > Mormorò lei, mordicchiandosi un'unghia: il suo solito modo di fare quando era imbarazzata.

Robert lanciò uno sguardo al taglio che aveva sulla mano e si rese conto solo in quell'istante di quanto bruciasse quell'insulsa, inutile ferita.

< Dovrei avere del disinfettante e qualche cerotto, aspetta. > Si alzò e si diresse in bagno, rovistando per qualche istante nei cassetti e ritornando nel salotto con una bottiglia di disinfettante inutilizzata, dell'ovatta e cerotti di diverse misure.

Con una precisione ed una calma quasi maniacale, imbevette un batuffolo di ovatta con uno spruzzo di disinfettante e gli tamponò la ferita, costringendolo a trattenere il fiato, poi, individuò un cerotto abbastanza grande e lo scartò, poggiandolo delicatamente sul taglio.

< Ecco fatto. > Gli sorrise e si allontanò per rimettere tutto al suo posto, ma lui fu più veloce e la trattenne per un polso.

< Grazie. Di tutto. > Bisbigliò con fare incerto.

Cailin sorrise lieve e si allontanò.

< Allora, vuoi dirmi cosa hai combinato? > Gli domandò quando fu tornata a sedersi sul divano.

< No, credo di no. > Rispose lui, scuotendo la testa.

< Come sarebbe a dire no? Ti sto ospitando in casa mia senza nemmeno sapere perché diavolo sei qui e perché reputi proprio questa casa il posto più sicuro! Se hai ucciso qualcuno ti conviene dirmelo, sai? Non sono affatto disposta a... > Ma la interruppe.

< Stai parlando troppo, Cailin. > Le sorrise e lei arrossì, abbassando la testa.

Già, stava parlando troppo. Peccato che ne fosse lui la causa, perché solo lui riusciva a mandarle così in confusione il cervello, da non farle rendere neanche conto di quello che diceva.

< E comunque, per la cronaca, non ho ucciso nessuno, quindi puoi dormire sonni tranquilli. Diciamo che sono stato inseguito da un'orda di paparazzi e fan impazzite che volevano abusare di me e che per salvarmi sono stato costretto a scavalcare un muretto. > Alzò la mano con fare teatrale, mostrando il cerotto, segno che era stato uno dei mattoni del famoso muretto a tagliarlo.

< Ho quasi rischiato di essere investito, ho travolto un tizio che stava portando dei fiori e sono arrivato qui. > Terminò.

< La tua vita è molto più interessante della mia, lo ammetto. > Rispose lei, gli occhi sbarrati dalla sorpresa.

< Oh, lo credo bene! > Asserì lui.

< E perché sei a New York? > Gli chiese ancora, avida di notizie.

< Sto girando un film, sai, una di quelle cose sdolcinate che tu odi. > La prese in giro, facendole una linguaccia e Cailin, suo malgrado, si ritrovò a sorridere.

< Suppongo che tu sia stanco. Posso cederti il mio letto, se vuoi e io posso dormire qui, sul divano. Hai sicuramente più bisogno tu di un materasso morbido che io. > Si alzò in piedi, seguita a ruota da lui e ponderò la questione.

< Oh, non se ne parla! Non posso privarti del tuo letto! Sono o no un gentleman? Dormirò io sul divano. > Insistette.

< Senti, questa è casa mia e decido io dove far dormire gli ospiti, chiaro? > Precisò, tentando di mettere in campo la sua miglior espressione fredda e convincente.

< Possiamo dormire tutti e due nel tuo letto, no? E' grande abbastanza per entrambi e non sarebbe certo la prima volta, quindi... > Propose lui senza nessuna punta di malizia.

Cailin dovette ammettere che quella era la soluzione migliore: nessuno dei due sarebbe stato costretto ad adattarsi allo spazio ristretto del divano e tutti e due avrebbero dormito sonni tranquilli.

< D'accordo, ma ad una condizione... > Sospirò, prima di essere interrotta.

< Terrò le mani a posto, promesso. Sono un gentleman, io! > Sbuffò lui, seguendola nella sua stanza.

Era tutto esattamente come se lo ricordava: le pareti color indaco, qualche gigantografia di alcuni dei suoi servizi fotografici, il letto dalla testiera in ferro battuto, il comodino pieno di cornici colorate, la specchiera in un angolo con tutte le sue collane e i suoi bracciali, la trousse con i trucchi, una pila di libri ammucchiati accanto alla finestra, l'orsetto di pezza che le aveva regalato al loro primo appuntamento ufficiale in bella mostra tra i cuscini e la famosa parete ricoperta di frasi che Cailin aveva scritto a mano e che aveva arricchito di qualche foto: ce n'era anche una di loro due insieme, lei sulle sue spalle vestita in modo buffo e lui che sorrideva divertito.

< L'hai tenuto. > Prese in mano l'orsetto di peluche, mentre Cailin si affannava a recuperare il suo pigiama, perso nei meandri del suo armadio.

Si voltò appena verso di lui e le scappò un sorriso triste.

< Oh, Penny! Sì, l'ho tenuto, è il mio orsetto preferito. > Rispose, ritornando a rovistare nei cassetti.

Robert accarezzò con un dito la targhetta sul fianco del pupazzo che recitava ancora quest'orsetto è di Cailin e Rob e sorrise appena.

Lo rimise al suo posto e continuò a guardarsi in giro nella stanza, osservando le riviste, per lo più di moda che Cailin conservava per il semplice motivo che aveva prestato il volto a diverse marche importanti, le foto di una Cailin in miniatura, di al massimo quattro anni, che dava da mangiare alle anatre a Central Park, i bracciali tintinnanti sulla specchiera; tutte cose che ricordava alla perfezione e che, probabilmente, non avrebbe mai dimenticato, perché anche se lo nascondeva il più delle volte o tentava di mascherarlo, quella con Cailin era stata una storia importante che probabilmente non sarebbe neanche finita se solo qualcuno si fosse fatto gli affaracci suoi e non avesse avuto il desiderio di scombinare le carte.

Ad attirare la sua attenzione, tuttavia, furono un paio di anelli poggiati quasi a caso sul primo cassetto del comodino accanto al letto, vicino ad una foto che ritraeva Cailin con i genitori e la sorella. Erano bellissimi, incastonati di brillantini e splendenti anche alla debole luce della lampada da notte.

Robert ne prese uno tra le mani e lo studiò, rivolgendo un'occhiata alla proprietaria dell'oggetto che, finalmente, era riuscita nella sua impresa e stava ora cercando di rimettere in ordine i vestiti stropicciati.

Sei mesi, tuttavia, erano tanti e anche se lui non c'era ancora riuscito a rifarsi una vita sentimentale, certo non valeva lo stesso per lei: chi gli assicurava che non avesse trovato qualcun altro con cui condividere il suo tempo, il suo letto e, chissà, magari la vita? Forse quelli non erano altro che gli anelli di fidanzamento.

Suonava strano anche a Robert che un fidanzato ufficiale non si fosse fatto sentire per un'intera giornata, ma per quanto ne sapeva, Cailin poteva anche avergli mandato un messaggio, dicendogli che il suo ex le era appena piombato dentro casa e che lei, generosa, non aveva potuto negargli il suo aiuto.

All'istante, fu come se la bolla di serenità e pace che aveva sempre rappresentato per lui quella camera dalle pareti indaco, si fosse rotta e lui fosse piombato nella sua solita paranoia e nel suo solito cinismo.

Per un attimo gli sembrò anche di avvertire una stretta per niente piacevole all'altezza del petto, quasi una morsa, che lo costrinse a ricadere seduto sul materasso morbido, quell'anello ancora in mano.

Non si era neanche accorto che Cailin, nel frattempo, era andata in bagno a cambiarsi e che era appena rientrata nella stanza con indosso il suo pigiama azzurro a cuoricini bianchi.

< Quello sarebbe il mio lato, in verità. > Gli fece notare, imbarazzata, indicandogli il posto in cui si era seduto.

< Ah, davvero? Sì, ehm... scusa. > Si alzò in fretta e passò dall'altro lato, nascondendo l'oggetto in un pugno.

Cailin scostò delicatamente le coperte e vi si intrufolò sotto, allungando una mano per spegnere la bajour sul comodino.

Robert, intento a sfilarsi i jeans e la camicia, pensò che tanto valeva chiederglielo, perché aveva imparato che arrovellarsi su qualcosa era inutile; avrebbe potuto benissimo farle una semplice quanto diretta domanda e il dubbio sarebbe stato risolto.

Si intrufolò anche lui sotto le coperte, poggiando la schiena contro la testiera del letto e rigirandosi l'anello tra le mani. Cailin gli dava le spalle e se non fosse stato per il suo respiro leggermente accelerato, avrebbe pensato che si fosse già addormentata.

< Allora, non pensavi di dirmelo, vero? > Mormorò.

Cailin si voltò verso di lui, disorientata.

< Dirti cosa? > Chiese.

< Che ti sei fidanzata. > Rispose lui, ovvio.

< Fi-fidanzata?!? Io?!? Non sono affatto fidanzata! > Si mise seduta anche lei e assunse un'espressione imbarazzata e stupita.

< Lo capisco, sai? Insomma, gli ex non sono di certo le prime persone a cui si annuncia qualcosa del genere... > Riprese, abbassando lo sguardo.

< Robert, io non sono affatto fidanzata. Saranno sei mesi che non esco con un individuo di sesso maschile! > Avrebbe dovuto decisamente mordersi la lingua, perché sapeva che quell'affermazione le sarebbe costata cara, specialmente con un tipo come Robert. Non essere uscita con un individuo di sesso opposto per sei mesi, era come voler dire che non l'aveva ancora dimenticato.

< Allora questo cos'è? Uno scherzo? > Le mostrò l'anello, aggressivo.

In realtà i suoi propositi non erano quelli di mettere in atto una scenata, solo che non era riuscito a trattenersi e la morsa al cuore non si era ancora attenuata.

< Tu hai...! Ok, senti, lo so che ti suonerà strano, ma quelli non sono anelli di fidanzamento. Sono uscita con Allison l'altra sera e in metropolitana abbiamo incontrato una strana signora indiana che mi ha dato questi, dicendo che avevo bisogno di risolvere una questione delicata con qualcuno con cui ero stata molto legata in passato. Me li ha praticamente regalati e, sai com'è fatta Allison, no? è fissata con tutte queste cose mistiche e magiche e mi ha convinta ad accettarli, tutto qui. > Fece spallucce, rilassandosi.

< E tu credi davvero che possano aiutarti? > Non se l'era ancora bevuta, ovvio, ma voleva ancora darle una possibilità.

< No, certo che no! Sono arrivata a casa e li ho buttati sul comodino, non ci avevo nemmeno più pensato. > Chiarì, sventolando una mano per intendere che quelle erano tutte un mucchio di sciocchezze.

< E se funzionassero? > Domandò innocentemente.

< Sono soltanto degli stupidi anelli di plastica, Robert! E due anelli non mettono d'accordo le persone. > E lei lo sapeva bene, visto che i suoi avevano divorziato dopo neanche due anni di matrimonio. Lei era piccolissima e non poteva ricordarselo, ma il matrimonio non aveva certo aiutato la mamma e il papà a rimettersi insieme e le fedi erano abbandonate nell'angolo più remoto del vecchio cassettone che la mamma aveva ereditato dalla nonna, come uno spiacevole ricordo.

< Si dice che quando ci si crede davvero, nelle cose, queste si avverino. > Sentenziò, sicuro, sorridendole.

< Ma io non ci credo. > Ripeté Cailin.

< Neanche io, ma potremmo provare. Chi ti dice che quella donna non stesse parlando proprio di me? > La sfidò, infilandosi l'anello all'anulare e abbandonando la mano sul lenzuolo.

< Noi non abbiamo litigato! > Si tirò indietro a quell'affermazione di Robert e lo osservò con cipiglio severo.

< Beh, se non sbaglio, non solo abbiamo litigato, mi hai anche dato uno schiaffo e un calcio nelle parti intime. > Le ricordò, assottigliando lo sguardo.

Cailin arrossì, forse perché credeva che lui non se la ricordasse più quell'orrenda serata. Non aveva mai litigato così furiosamente con nessuno, nemmeno con sua sorella da bambine.

< Ok, d'accordo, abbiamo litigato e ti ho picchiato, ma te lo meritavi! > Si difese.

< Sai che non è così, Cailin. Non me lo meritavo affatto. Non hai voluto credermi e hai preferito dar retta a Kristen. Come hai anche solo potuto pensare che ti avevo tradita con una delle tue migliori amiche, come? Io ti amavo e lo sai questo. > Tutta la rabbia che si era tenuto dentro per quegli interminabili sei mesi, venne fuori e lui non riuscì più a trattenersi.

Cailin rimase in silenzio; non aveva molto da dire e, in ogni caso, non avrebbe saputo come difendersi. Si limitò ad abbassare lo sguardo e a torturare il lenzuolo con le dita, in difficoltà.

< Allora, non vuoi provarlo? > Le chiese lui dopo interminabili minuti, indicandole l'anello.

Cailin lo fissò negli occhi per un istante e poi si sporse verso il comodino per afferrare l'anello gemello, infilandoselo al dito.

< Beh, ora possiamo ritornare a dormire, no? > Si intrufolò di nuovo sotto le coperte e gli diede le spalle.

Robert fece lo stesso, voltandosi dalla sua parte e osservandole i capelli, più chiari di come ricordava.

Aveva voglia di stringerla, di stringerla e di non lasciarla scappare, di stringerla e di dirle che in quei sei mesi, lui non l'aveva affatto dimenticata e che non era riuscito più a fare l'amore con nessuna così come lo faceva con lei, ma si limitò a chiudere gli occhi e a lasciarsi trascinare dall'oblio.

 

 

 

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