Capitolo
25
Never ever changed – Epilogue
Jeremy uscì dalla camera
degli ospiti, che avevano deciso di utilizzare per il tentativo di
trasformazione inversa, e guardò Bill e Noemi con un sorriso.
«È tutto pronto», disse.
Bill deglutì e si
voltò verso Alisha, che si gettò fra le sue
braccia e lo strinse forte.
Avevano già parlato molto, nelle ore precedenti, su cosa
sarebbe potuto accadere dopo l’esperimento e si erano
ripromessi che comunque sarebbero andate le cose, sarebbero rimasti
insieme. E Alisha aveva già deciso, segretamente, che se gli
occhi di Bill non si fossero più riaperti anche i suoi si
sarebbero chiusi una volta per tutte.
Noemi, stretta fra le braccia di Tom, aveva una fottuta paura, ma come aveva sempre fatto avrebbe lottato e l’avrebbe fatto per lui, quella volta, perché era con lui che voleva stare, vampira o umana che fosse, e avrebbe fatto di tutto per riaprire gli occhi, in un modo o nell’altro.
«Torna», le sussurrò all’orecchio.
«E tu non frignare come una donnicciola».
Si guardarono in viso con l’accenno di un sorriso e si baciarono, poi le loro mani si separarono e Noemi raggiunse e strinse quella di Bill, tesa verso di lei come per condividere con lei la forza, il coraggio e mostrare solidarietà a chi stava per affrontare la sua stessa prova.
Jeremy li fece entrare nella stanza senza permettere a Tom, Alisha, Georg e Gustav di sbirciare all’interno. Chissà quali strani marchingegni c’erano, per essere così top secret.
La porta si chiuse di fronte ai
loro occhi ed ognuno di loro prese posto, seduti sulle sedie del tavolo
in salotto che i vampiri avevano trasportato di sopra, proprio come se
quello fosse il corridoio d’un ospedale.
Alisha si appoggiò alla spalla di Tom con il viso,
stringendosi convulsamente l’anello col cuore di rubino fra
le dita, e lui le accarezzò i capelli, cercando di
confortarla quando anche lui avrebbe voluto il conforto di qualcuno.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Georg gli tirò un
pugnetto sulla spalla e gli sorrise.
«Andrà tutto bene, vedrai», gli disse. «Anche perché Bill non lascerebbe mai i Tokio Hotel senza un cantante».
«E Noemi non è proprio il tipo da lasciarsi sconfiggere da un antidoto, non hai di che temere», aggiunse Gustav, annuendo.
«Grazie ragazzi», mormorò, commosso.
Ma, nonostante il supporto degli
amici, l’ansia non smise di divorargli lo stomaco, mentre il
tempo scorreva e la porta davanti a loro continuava a rimanere chiusa.
Fu quasi costretto dal proprio cervello ad alzarsi per andare a fumarsi
una sigaretta, come se quello fosse il diversivo adatto per sfuggire
per qualche minuto al terribile stress a cui quei due discendenti lo
stavano sottoponendo.
Uscì nella terrazza e, seduto sul parapetto, con lo sguardo
assorto rivolto verso la città, vide Adam. Si
avvicinò e si accese la sigaretta, fece il primo tiro ed
osservò il fumo disperdersi nell’aria.
«Che cosa farai, ora?», gli chiese ad un certo punto, rompendo il silenzio.
«Non lo so», rispose il vampiro.
«Uhm…». Si schiarì la voce e, arrossendo leggermente, si sforzò parecchio per pronunciare quelle parole che mai e poi mai si sarebbe immaginato di dovergli dire: «Grazie, per aver salvato Noemi».
«Prego».
E il silenzio li avvolse di nuovo, ma rimasero vicini ancora per un po’, godendo semplicemente della compagnia dell’altro.
Intanto, al piano superiore, Jeremy ed Eugene uscirono dalla stanza e Alisha scattò in piedi, gli occhi spalancati e le mani strette al petto, in pensiero.
«Ci vorrà un po’ di tempo prima che si risveglino», spiegò Eugene.
Sempre
se si
risveglino, pensò
lei, deglutendo il grande nodo che le si era formato in gola.
«Grazie mille», disse solamente, porgendo loro la
mano.
«Per favore, non ringraziarci di aver ucciso due fratelli», fece una smorfia Jeremy. «Soprattutto la pivellina… Avrebbe fatto strada, invece…». Le strinse la mano per qualche secondo, poi si voltò e scese le scale.
«Scusalo», le disse Eugene con un sorriso cordiale, mentre le stringeva la mano. «Non è mai contento, quando avvengono questi… sprechi».
«Sì, in qualche modo posso capirlo», rispose, annuendo a testa bassa. «Vi accompagno alla porta».
Scesero al piano inferiore e Jeremy
aveva già indossato il proprio soprabito nero. Eugene lo
imitò e poco prima di uscire dall’appartamento si
voltò verso Alisha e le posò una mano sulla
spalla.
«Ricordi quando hai detto di non poter più essere
trasformata in un essere umano perché è passato
troppo tempo? Beh, con questo antidoto sarebbe sicuramente un suicidio,
ma ne stiamo studiando un altro che permetta di riportare le cellule al
loro stato originale, proprio come prima di essere state vampirizzate.
Siamo ancora all’inizio, ma, chissà…
fra qualche anno…». Le sorrise.
«È stato un piacere conoscerti, Alisha. Prenditi
cura di te».
Detto questo uscì e raggiunse Jeremy, che si era
già avviato giù per le scale.
Alisha, sbigottita da quella
rivelazione e alla possibilità che forse, prima o poi,
sarebbe esistito un antidoto anche per lei, rimase per diversi minuti
immobile sulla soglia, tenendo aperta la porta con una mano, lo sguardo
vacuo puntato di fronte a sé.
Una mano si posò sulla sua spalla e la costrinse a girarsi:
Tom.
«Tutto bene?», le chiese, le sopracciglia aggrottate.
«Sì, credo di sì», mormorò.
Le ore passarono lente, inesorabili, fino a quando non calò la notte e Alisha aprì di scatto gli occhi all’udire una pulsazione che, per quanto affaticata, lottava per cercare di essere regolare.
«Che è successo?», domandò Tom, allarmato.
«Bill», farfugliò. «Bill!».
Si alzò di scatto ed
entrò nella camera in cui riposava: era sdraiato sul letto e
notò subito il calore che lo invadeva, la sua pelle che
aveva ripreso un po’ di colore, il sangue che nelle sue vene
aveva iniziato a scorrere di nuovo e quelle pulsazioni, quella melodia
alle sue orecchie, quel tum-tum che le era tanto familiare e che le era
tanto mancato: il suo cuore che aveva ricominciato a battere.
Fu come se anche il suo riprendesse vita, talmente si sentiva felice.
Il suo Bill era tornato e si sarebbe messa a piangere dalla gioia, se
ne fosse stata in grado.
Le palpebre di Bill si mossero
impercettibilmente e trattenne il respiro fino a quando non vide i suoi
occhi sorriderle e lacrimare. Aprì la bocca, forse per dirle
qualcosa, ma lei gli posò un dito sulle labbra, trovandole
di nuovo morbidissime e calde.
«Shhh. Ti amo».
E l’ultima cosa che Bill sentì, prima di richiudere gli occhi, vinti dalla stanchezza, fu il sorriso di Alisha appoggiarsi sul suo, appena accennato.
Tom, intanto, era entrato nella
stanza e, dopo essersi accertato che Bill stesse bene, si era
avvicinato al letto su cui riposava Noemi, ancora bianca ed immobile
come una statua di marmo. Il cuore gli si spezzò nel petto e
le strinse la mano gelata nella sua.
«Sono una donnicciola», le sussurrò,
asciugandosi gli occhi con il braccio. Poi si voltò verso
Alisha, che si era girata verso il corpo della piccola vampira ed aveva
assunto un’espressione addolorata.
«Alisha…», la supplicò con lo
sguardo, ma lei scosse il capo e lo strinse in un forte abbraccio.
«Dalle ancora un po’ di tempo», lo incoraggiò, sfregandogli la schiena.
*
{Sei l'aria per me (sei l'aria
per me)
Tu sei dentro me (tu sei dentro me)
Ti respiro per sentire che ci sei
Non ti lascerò (non ti lascerò)
Mi confonderò (mi confonderò)
Siamo buio e luce per l'eternità,
per la vita che verrà}
«Sei insopportabile, ecco cosa sei!», gridò, incrociando le braccia al petto e sbuffando.
«Ah sì, è questo che pensi di me?!».
«Sì!».
«Beh… okay!».
Rimasero diversi secondi senza rivolgersi né lo sguardo né la parola.
Bill e Alisha si scambiarono
un’occhiata consapevole e sorrisero, iniziando a contare con
le dita, senza farsi vedere dai due.
Meno tre, meno due, meno
uno…
«Lo so, qualche volta so essere davvero fastidioso», ammise Tom. «Solo che non voglio le manchi niente…».
«Sei un perfetto papà, Tomi, ma non pensi che un pony sia un tantino eccessivo?», ribatté Noemi, guardandolo amorevole.
«Forse hai ragione», annuì. Poi, con il labbrino, le chiese: «Davvero sono insopportabile?».
«No che non lo sei, scusami se te l’ho detto. Pace?».
«Pace sia!», gridò e si avventò sulle sue labbra, sotto gli sguardi ancora una volta complici di Bill e Alisha: come avevano predetto, non avevano resistito più di tre secondi nemmeno quella volta.
Alisha sorrise, ricordando tutto quello che era successo anni prima e come tutto si fosse sistemato per il meglio, proprio come uno dei lieto fine da romanzo che piacevano tanto a Bill.
L’attesa aveva ripagato
del tutto Tom, che quando si era svegliato si era ritrovato una
bellissima Noemi al suo fianco, che lo guardava con gli occhi lucidi e
gli accarezzava la guancia senza farlo rabbrividire.
Alla fine era tornata umana anche lei, anche se c’era voluto
un giorno in più rispetto a Bill, chissà per
quale motivo, e ora quei due erano ufficialmente fidanzati da ormai sei
anni e avevano dato alla luce Vicky, una creaturina di quattro,
bellissima.
In quel momento la creaturina in questione, uno scricciolo dai capelli castani e gli occhi nocciola, in una salopette di jeans, schizzò in salotto e si fermò proprio di fronte ad Alisha, mostrandole i palmi aperti delle manine.
«Guarda, zia! Ho lavato le mani, adesso posso avere la torta?».
«Ma certo, tesoro!».
«Ma come, non aspettiamo Georg, Monika e Gustav?», chiese Noemi.
Alisha guardò Vicky alzando un sopracciglio e sorrise, poi si inginocchiò per guardarla negli occhi. «Che dici, li aspettiamo, quei ritardatari?».
«Uhm… no», Vicky scosse il capo, ridacchiando.
«Sentito? La principessa
ha deciso che non li aspettiamo», disse Alisha piccata; la
prese in braccio senza alcun minimo sforzo e la portò con
sé in cucina, spupazzandosela tutta. Era un po’
come una figlia per lei, che purtroppo non aveva mai potuto assaporare
la gioia di essere mamma.
Ma, chissà, nulla era da dare per scontato. Avevano ancora
tempo di fronte a loro…
«Io ne voglio una fetta enorme!», urlò Bill, eccitato come un bambino, sedendosi accanto alla piccola Vicky.
«Vacci piano Bill, che da quando sei tornato umano non hai fatto altro che mangiare. Sei ingrassato, sai?», lo rimbeccò Tom.
«Meglio così», disse Alisha con un sorriso. «Aveva bisogno di mettere un po’ di carne su quelle ossa».
«Carne», mugolò Bill, coprendosi il viso con le mani.
«Ops, scusa amore. Non l’ho fatto apposta», ridacchiò.
Bill era tornato umano più in fretta rispetto a Noemi, ma l’esperimento aveva avuto un effetto collaterale su di lui, in quanto da allora non aveva potuto fare a meno della carne, specialmente quella al sangue. Era qualcosa, l’essere carnivoro, che ormai aveva nel DNA e fargli mangiare di nuovo verdure era diventata una vera e propria sfida.
«Un anno di duro lavoro per diventare vegetariano buttato nel cesso», disse amareggiato Tom, scuotendo il capo e sedendosi a capotavola.
«Su Tom, non è mica colpa sua», disse Noemi, portandosi i capelli dietro le spalle e rivelando il tatuaggio sul collo che raffigurava una bocca con tanto di canini, che si era fatta fare poco tempo dopo essere ritornata umana, come ricordo di quel periodo vissuto da essere immortale. «Ci sei tu che mangi verdure per tutti e due».
«Giusto», ridacchiò Alisha, dando anche a lui la propria fetta di torta.
Una volta che tutti furono serviti, Alisha si mise seduta all’altro capo del tavolo, di fronte a Tom, che le sorrise complimentandosi per la torta che era davvero ottima.
«Ne vuoi un pezzetto, zia?», le chiese Vicky, avvicinandole alla bocca la forchetta su cui era infilzato un pezzo di marzapane e panna.
«Mi piacerebbe molto, tesoro».
«Uffa, voi vampiri vi perdete un sacco di cose buone».
«Eh sì, hai proprio ragione. Mangiala tu per me, okay?».
«Okay!», sorrise raggiante, riempiendosi la bocca e pasticciandosi il viso di panna.
Avevano deciso di non avere segreti con Vicky, anche perché era molto intelligente e aveva giurato solennemente di non dire niente a nessuno. Ma, anche se l’avesse detto a qualcuno, chi le avrebbe creduto? Era solo una bambina!
Alisha, dunque, era ancora una
vampira, ma non smetteva di sperare che un giorno anche lei sarebbe
ritornata umana e avrebbe avuto la possibilità di godersi la
vita che fino ad allora non era stata in grado di vivere di persona.
Sognava ardentemente di diventare mamma, di faticare per tirar su i
propri figli e per fare le faccende domestiche, di sentire la fronte
scottare a causa della febbre, di riuscire a commuoversi e a piangere,
di guardarsi allo specchio e vedere la prima ruga, di trovare il primo
capello bianco, di provare gli acciacchi della vecchiaia…
Sognava la maggior parte delle cose che le donne normali non avrebbero
per nulla al mondo desiderato, ma che a lei mancavano terribilmente.
Aveva preso la laurea in medicina
ed ora lavorava, specialmente di notte, in modo tale che il tempo che
aveva a disposizione non andasse buttato e servisse a qualcosa, come
infermiera di pronto soccorso. (Inoltre, grazie al suo lavoro aveva
sempre a disposizione sangue con cui sfamarsi senza fare del male a
nessuno).
E, intanto che aspettava che quell’antidoto si sviluppasse e
si perfezionasse, si teneva sempre in contatto con Eugene, con il quale
aveva instaurato quella che si poteva definire una solida amicizia.
Lui, però, non le aveva mai detto della fine che aveva fatto
Adam, né lei ne aveva mai parlato con lui, come se dare
fiato a quelle parole fosse un sacrilegio.
Aveva anche cercato di essere amica
di Adam, di farlo partecipare il più possibile, di farlo
sentire parte della sua famiglia, ma… aveva deciso di
lasciarli, di lasciarla.
Ricordava perfettamente il giorno in cui l’aveva realizzato.
Erano già un paio di settimane che non si faceva sentire,
che non rispondeva né ai suoi messaggi né alle
sue chiamate, che era sparito dalla circolazione, e quella gelida
mattina d’inverno, dopo un’intensa nevicata durata
tutta la notte, era uscita per andare a prendere la colazione ai
ragazzi, con i quali divideva ancora l’appartamento, e aveva
trovato nella cassetta delle lettere una lettera scritta di pugno dallo
stesso Adam, indirizzata a lei. Ne ricordava ancora perfettamente il
contenuto, l’aveva letta decine e decine di volte,
trattenendo il fiato.
Cara
Alisha,
amore
e vita mia, posso solo immaginare il dolore che ti sto facendo provare
in questo momento, mentre leggi queste mie ultime parole.
Voglio solo farti sapere che me ne sono andato sorridendo, ricordando i
nostri momenti migliori insieme e non devi soffrire a causa mia, o
questo mi seguirà fino all’inferno.
Quando hai preferito Bill a me non me ne capacitavo, non riuscivo a
capire perché… Ma è bastato stare un
giorno fra voi, nella vostra famiglia, perché è
questa l’impressione che date a chi guarda da fuori, e ho
capito tutto quanto.
L’amore che provavi e che provi tutt’ora per lui
è reale, palpabile, vivo… tanto che, guardandovi,
mi sentivo felice anche io, in qualche strano modo.
Spero che lui riesca a darti tutto quello che desideri, come mi sono
sempre impegnato di fare io, e spero che nonostante la mia scomparsa
lui non si dimentichi il mio avvertimento.
Addio,
Alisha.
Tuo, per sempre,
Adam
La sua vita si era spenta e dal
quel giorno aveva guardato il mondo sapendo che lui non c’era
più e aveva sentito un grande vuoto dentro di lei, come se
le mancasse un pezzo.
Ricordando le sue parole si era sentita infelice, perché lui
aveva detto di aver visto la loro famiglia come “chi
guarda da fuori”,
senza sapere, in realtà, che nella famiglia di Alisha
c’era un posto anche per lui e ci aveva anche provato ad
inserirlo, con scarsi risultati.
Lentamente, il vuoto della sua scomparsa era stato riempito dall’affetto, se non dall’amore vero e proprio, e dalla vicinanza di Bill, di Tom, di Noemi, di Georg, di Monika, di Gustav ed infine di Vicky. Ma sapeva che una cicatrice, sul suo cuore fermo, ci sarebbe sempre stata e le avrebbe ricordato, in ogni momento, che lui c’era stato e c’era ancora.
«A che cosa stai pensando?», le chiese Bill ad un certo punto, guardandola negli occhi ed accarezzandole, forse nemmeno senza accorgersene, l’anello nel quale era incastonato il cuore di rubino che portava al dito da quando Bill gliel’aveva ri-regalato.
Alisha si fece scappare una risata e gli pulì la bocca sporca di panna con un tovagliolo. Stava per rispondere, quando il campanello trillò e dovette alzarsi per andare ad aprire.
«Saranno arrivati, finalmente!», disse Tom, stiracchiandosi le braccia.
«Sì», mormorò Alisha, che però, mentre si avvicinava alla porta, si accorse che dietro di essa c’erano solo due respiri e per di più un solo cuore.
Il colpo più duro fu
percepire una fragranza nell’aria, una fragranza che
conosceva bene, così bene che si sentì male
dentro, come se si stesse accartocciando su se stessa nella
consapevolezza che stava iniziando a perdere colpi. Non poteva essere
lui, era impossibile…
Ma quando aprì la porta dovette ricredersi,
perché lui era lì, gli occhi verdi che
splendevano e il sorriso sulle labbra, quel sorriso che fu come un
colpo nello stomaco.
«Adam», farfugliò e si gettò fra le sue braccia, avvolgendo le proprie intorno al suo collo. Era lì, era lì con lei e la stava abbracciando forte, stringendola al proprio petto.
«Zia, chi è?», chiese Vicky, zampettando nell’ingresso con dietro suo padre, sua madre e suo zio.
«Ciao piccola», la salutò una donna che era sempre stata al fianco di Adam ma che Alisha non aveva per nulla considerato da quando aveva rincontrato il viso del proprio ex che credeva di aver perso per sempre. Si inginocchiò e le accarezzò i capelli, sorridendo.
«Brenda?», chiese Tom, incredulo e alquanto confuso.
«Ciao Tom», rispose la donna solare.
«La conosci?», chiese Noemi al proprio uomo, con un tono di voce neutrale e gli occhi da assassina.
«Sì, era la receptionist dell’albergo in cui abbiamo incontrato Alisha per la prima volta… Era la mia compagna di squadra!».
Bill, impalato sulla soglia della
cucina, non sapeva più che cosa guardare: la sua fidanzata
che era ancora abbracciata ad Adam oppure la donna di nome Brenda che
dopo anni ed anni da quella storia era ritornata? Decise di optare per
la seconda, sperando che successivamente Alisha gli avesse riconosciuto
una certa maturità.
«Allora esistevi davvero, non eri una fantasia di mio
fratello!», gridò.
«Certo che no», dissero in coro i due, per poi guardarsi e sorridere.
{E guardo il sole andarsene,
lasciare il posto a stelle che
per un istante si dispongono per te
Mai, vorrei che non fisse mai
e se ti sfioro per un attimo dimmi che sarà per sempre
Tu sei la parte più incredibile di me}
Aveva creduto per tutti quegli anni
che Adam fosse morto e rivederlo sano e salvo e soprattutto sorridente
le aveva fatto un certo effetto, ma era felicissima.
Aveva voluto sapere tutta la storia e lui gliel’aveva
raccontata più che volentieri, scusandosi se aveva tardato
tanto nel ritornare e nel farle sapere che ora aveva iniziato una nuova
vita, proprio come aveva fatto lei.
Aveva avuto davvero tutte le
intenzioni del mondo di perdere la vita, ma una volta lì, ad
un passo dal raggiungere il proprio obbiettivo, aveva avuto paura,
paura come un bambino ed era andato via, per riflettere. Era ritornato
a New York, nello stesso hotel in cui avevano incontrato i Tokio Hotel
ed era stato lì che aveva incontrato di nuovo Brenda.
Avevano iniziato a salutarsi, a sorridersi, a chiacchierare e pian
piano si erano innamorati. Adam aveva capito quello che Alisha aveva
passato e aveva provato tutte quelle sensazioni sulla propria pelle,
trovandole devastanti e allo stesso tempo magnifiche. Comprendendole.
Aveva iniziato a vivere in modo
diverso da quando stava con lei ed ora nemmeno lui uccideva le persone,
si accontentava di quanto bastava e il resto glielo offriva Brenda, con
il suo amore e la sua presenza sempre costante al suo fianco.
In quegli anni avevano viaggiato tanto, avevano girato mezzo mondo e
Adam le aveva fatto da guida, visto che la maggior parte dei posti che
visitavano li aveva già visti. Ma ogni luogo vissuto con lei
era diverso, un’avventura continua e amava, amava
profondamente, ogni attimo passato con lei accanto.
Sentiva finalmente di aver trovato un posto al mondo, nel quale
apparteneva veramente, e tutto era così chiaro…
Ora avevano un senso vero, i suoi giorni.
Alisha sorrise, portando lo sguardo sulla città di fronte a sé, quando Bill le posò le mani sui fianchi e le donò un morbido bacio sul collo. Poi le avvolse la vita con le braccia e respirò profondamente con il viso fra i suoi capelli biondi, appoggiandosi a lei con il corpo.
«Ah, prima che mi dimentichi», esordì Bill, alternando le parole ai baci sulla sua nuca. «Mamma ci ha invitati all’ennesimo pranzo e io ho ceduto. Ormai è arrivato il momento di dirglielo».
«È proprio necessario?», mugugnò lei. «Quando l’abbiamo detto a Monika è svenuta, ti ricordi?».
Bill ridacchiò. «Sì, mi ricordo. Ma è davvero necessario, non possiamo continuare a rimandare ogni pranzo ed ogni cena a cui ci invita. E poi sai che non sono capace di mentirle come si deve, chissà che cosa si è già immaginata…».
«Meglio non saperlo». Risero insieme.
Alisha si voltò, posando
le mani sul cornicione della terrazza, e gli sorrise con tenerezza
spostandogli un ciuffo di capelli neri dagli occhi.
«Non è ora di tagliarli un
po’?», gli chiese.
Bill sbuffò, roteando gli occhi al cielo. «Decido io quando è ora di tagliarli, sono i miei capelli! Quando sono diventato un vampiro ho avuto una paura tremenda di non poter cambiare più pettinatura, sai?».
«Spaventoso», sussurrò divertita, avvicinandosi alle sue labbra.
Sorrise e le sfiorò la bocca con la sua. «Terrificante».
«Zio, zia! Che cosa state facendo?!», chiese Vicky, comparendo magicamente in mezzo a loro con il suo visetto paffuto e curioso. Dietro di loro, Tom e Noemi ridacchiarono. C’era di sicuro il loro zampino dietro tutto quello.
«Non è affatto divertente», disse Bill, portandosi le mani sui fianchi e alzando il nasino all’insù.
«Oh, secondo me sì, lo è», ridacchiò Tom.
«Non fare il dispettoso, amore», lo rimbeccò Noemi, nonostante anche lei trattenesse a stento le risate.
Alisha guardò tutti i componenti della propria famiglia, compresi Adam e Brenda che guardavano la scena dal salotto, seduti sul divano, piuttosto divertiti, e Gustav, Georg, Monika e il frutto del loro amore Caroline, che alla fine erano arrivati, e sorrise.
«Sapete a cosa stavo pensando prima?», domandò, attirando l’attenzione su di sé.
«A che cosa?», chiese di rimando Bill.
«A quanto sono stata fortunata nel capitare in una famiglia come questa. Vi amo tutti quanti, indistintamente».
Tom sorrise, orgoglioso, e avvolse le spalle della sua Noemi, che si era lasciata andare alla commozione.
«Anche noi ti amiamo, zia!», gridò Vicky, abbandonando la propria compagna di giochi di un anno più grande per saltellare da lei con le braccia rivolte verso il cielo per farsi prendere in braccio. Alisha la tirò su e la bambina le strinse il collo in un abbraccio.
«Grazie, piccolina», ricambiò l’abbraccio, affondando il viso fra i suoi capelli mossi.
Bill, però, aveva incrociato le braccia al petto e aveva messo il broncio.
Tom sospirò e roteò gli occhi al cielo. «E ora che cosa c’è?».
«Alisha ama voi e me allo stesso modo! È un’ingiustizia! Dovrebbe amare di più me, io sono più importante!», mugugnò, rosso come un peperone.
Noemi, Alisha, Tom, Vicky,
Caroline, Monika, Gustav, Georg, Adam e Brenda si guardarono e
scoppiarono a ridere, riuscendo a coinvolgere anche lo stesso Bill.
Alisha lo abbracciò, stringendosi a lui con un braccio,
poiché con l’altro reggeva Vicky, e
pensò che il suo Bill, dentro, non sarebbe mai
e poi mai cambiato. E
così nemmeno Tom, né Noemi, né Adam,
né Georg, né Monika, né Caroline,
né Gustav, né Vicky, né Brenda.
E andava bene così, perché ora tutto aveva finalmente un senso.
{Siamo due universi che si
incontrano a metà
Siamo buio e luce, per la vita che verrà}
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Ho passato davvero momenti bellissimi con questa storia, momenti
d'inferno perché non riuscivo ad andare avanti, momenti di
tristezza infinita perché le stesse cose che scrivevo mi
facevano piangere. Mi mancheranno tutti i miei personaggi, mi
mancherà postare i nuovi capitoli, mi mancherà
leggere le vostre recensioni che mi hanno fatto sorridere, ridere, a
volte anche commuovere e gonfiare il mio cuore (ma anche il mio ego xD)
di gioia.
Ringrazio chi ha letto soltanto, chi ha lasciato qualche recensione,
chi ha inserito la storia fra le preferite, le seguite, fra quelle da
ricordare... Vi devo davvero tutto! :D
Un "Thank you" anche al mio fratellino, Davide, che ogni volta che
passava in corridoio e mi vedeva intenta a scrivere questa storia si
metteva dietro di me e mi prendeva in giro per le battute super
sdolcinate xD
E uno enorme alla persona che ormai conosce in anteprima tutti i miei
lavori e che mi sprona sempre ad andare avanti, che mi incoraggia, ma
anche che mi critica e che mi prende in giro quando qualcosa
è assurdo o campato per aria xD Grazie Ales (alias Utopy),
I love you soooooo much *___* <3
E poi boh, non so xD Se ho
dimenticato qualcuno, lo ringrazio :)
Spero di rivedervi tutti alla prossima FF che partorirà la
mia mente insana (e magari anche fra le recensioni di questo capitolo
*.*)!
Con affetto, vostra
_Pulse_