Prologo
23 febbraio 2007
Quando
scoprii di essere una strega ne fui immediatamente felice. Avevo visto
tantissimi film e letto tantissimi libri sull’argomento e mi
sembrava una cosa
fantastica. Era come essere stata catapultata improvvisamente a casa
delle
sorelle Halliwell. Immaginavo come sarebbe stata la mia vita, i ragazzi
che
avrei conquistato grazie al noto fascino che acquista la ragazza della
porta
accanto quando diventa anche misteriosa, sempre impegnata e sfuggente.
Pensai
addirittura a un costume da supereroina ma, almeno a quello, il mio
buonsenso
disse di no. Ero così eccitata che volevo correre da Ally,
la mia migliore
amica, ma mia madre mi bloccò immediatamente.
“Rachel,
non ci pensare neanche! Non hai idea dei guai che potresti causare a te
stessa
e a lei!” mi rimproverò bruscamente. Era seduta
sul letto della mia stanza,
proprio di fronte a me. Prima di iniziare a parlarmi aveva chiuso la
porta
gesto di cui non compresi il motivo, in fondo eravamo sole in casa. Chi
avrebbe
potuto sentirci?
“Rachel
… ” continuò, cercando di reprimere la
rabbia che provava nei miei confronti,
forse per via della mia ingenuità. “Rachel,
tesoro, quello che sto cercando di
dirti è che la magia è pericolosa, soprattutto in
mani inesperte come le tue”.
Sorrisi
e le dissi: “Lo so mamma, non ti devi preoccupare,
seguirò tutte le regole che
mi darai, non farò del male a nessuno e
…” M’interrupe come se sapesse
già cosa avrei detto.
“Rachel,
tu non dovrai usare i tuoi poteri per nessun motivo. Dovrai
semplicemente
dimenticarti di averli” disse con un tono che non ammetteva
repliche.
Non
riuscivo a credere alle sue parole, non riuscivo a spiegarmi cosa
stesse
succedendo. Mi strinse le mani tra le sue e la guardai negli occhi.
Aveva
un’espressione serissima e gli occhi lucidi, ma sembrava
capire ciò che stavo
pensando, cosi riprese, con più calma: “Tesoro,
adesso ascoltami attentamente.
La magia è pericolosa, non è facile imparare a
controllarla e anche quando ci
si riesce, c’è sempre il rischio di cacciarsi in
qualche guaio o di ferire
altre persone. Ti prego, chiudiamo qui il discorso”
lasciò le mie mani e
abbassò lo sguardo mentre riprendeva a giocherellare con la
fede nuziale, come
fa sempre quando è nervosa.
“Allora
perché mi hai detto tutto questo? Perché mi hai
detto che sono una strega se
non posso neanche usare i miei poteri?” Non riuscivo a capire
e, nonostante mia
madre fosse visibilmente turbata, non riuscivo a smettere di farmi e di
farle
mille domande.
Alzò
gli occhi al cielo e, dopo aver tratto un lungo respiro, mi rispose.
“Per
quello che è successo stamattina, per il vaso e
perché non volevo che avessi
paura. Scoprire i propri poteri e capire di non poterli controllare
è
terrificante, non volevo che ti succedesse. Tutto qui.”
“E
se invece ci riuscissi? A controllarli, intendo.” le chiesi
temendo di ricevere
un secco no e altri rimproveri.
Lei
fece una lunga pausa prima di rispondermi. La osservai giocherellare
ancora con
la fede, guardai le sue occhiaie e mi chiesi come mai non avessi notato
prima
quanto fosse stanca. Mi sembrò anche più magra,
più tesa, ma pensavo sempre si
trattasse del lavoro, invece iniziai a pensare che fosse per me, per i
miei
cambiamenti. Li aveva previsti? Certo che li aveva previsti,
d’altronde era una
strega anche lei e probabilmente aveva già vissuto quello
che stavo vivendo io
in quel momento.
“Mamma
…” provai a dirle qualcosa, ma si alzò
di scatto e uscì dalla stanza. Non
sapevo bene cosa fare, se seguirla o aspettare lì. Sarebbe
tornata o si sarebbe
chiusa nella sua stanza? La sentii mentre apriva la porta della stanza
da
letto, la sentii armeggiare con dei cassetti o degli sportelli e poi la
sentii
richiudersi la porta alle spalle. Dopo pochi istanti era di nuovo
davanti a me.
Io non mi ero mossa, ero rimasta lì sul letto con le gambe
incrociate e lo
sguardo di chi non ricorda neanche più il proprio nome.
Si
avvicinò e mi porse un quaderno dalla copertina rigida
bianca, senza
decorazioni o disegni. Sulla copertina c’era solo una data,
scritta con un
pennarello blu, 1983-1984. Era il suo diario.
“E’
il mio diario” mi disse quando lo presi tra le mani.
“L’avevo
capito” risposi senza voler essere sarcastica o offensiva, ma
ben conscia del
tono sarcastico e offensivo che avevo appena usato. Non riuscii proprio ad evitarlo.
Rimase
in piedi davanti a me nonostante i miei ripetuti cenni per invitarla a
sedersi.
“Leggilo,
ti aiuterà a schiarirti le idee, a capire cosa dovrai
affrontare. Poi deciderai
cosa fare e ne parleremo insieme. Ti chiedo solo di leggerlo molto
attentamente
e di … cercare di capire” s’interruppe
per guardare l’orologio che aveva al
polso. “Be’ devo andare a cucinare qualcosa per
stasera, ti chiamo quando è
pronto.”
Annuii
cercando di sorridere in modo convincente, ma non credo di aver fatto
un buon
lavoro al riguardo. Non sono mai stata brava a fingere, quindi i miei
sorrisi
finti sono sempre stati molto inquietanti e poco convincenti.
Quando
mia madre chiuse la porta, dopo essere uscita dalla mia stanza, accesi
lo
stereo senza preoccuparmi di quale CD ci fosse dentro e mi sdraiai sul
letto
per leggere comodamente il suo diario. In quel momento
l’unica cosa cui
riuscivo a pensare era: “Speriamo
che non
ci siano scene di sesso!”
Messaggio di Anya: Grazie in
anticipo,
“Fa’
qualcosa” le dissi. Non era un ordine, ma non era neanche una
richiesta gentile
e educata, non c’era nessun per
favore
sottinteso e il tono della mia voce era totalmente privo di qualsiasi
sfumatura. Un automa sarebbe sembrato più umano di me, in
quel momento.
“Che
vuoi dire?” chiese lei fingendo di non capire a cosa mi
riferissi.
“Lo
sai” mi limitai a rispondere.
Mi
guardò per pochi secondi, io non ricambiai lo sguardo. Si
girò, si mise a
sedere sul bordo del letto, aprì il primo cassetto del
comodino e ne estrasse
una scatolina di legno che sembrava essere stata acquistata a un
mercatino
delle pulci. Anzi, ero sicura al 90% che provenisse dal mercatino
organizzato
l’estate precedente dalla signora Maple, una nostra vicina di
casa, un’arzilla
vecchietta con abiti colorati e una casa piena di libri di tutti i
generi.
“Eccolo.”
Mia madre mi porse la scatola e mi misi a sedere in modo da poter
appoggiare la
schiena alla spalliera del letto. La aprii e ne tirai fuori un
braccialetto. La
guardai in attesa di una spiegazione.
“Mettilo
al polso, reciterò un incantesimo e i tuoi poteri saranno
bloccati” mi spiegò.
“E
se si dovesse rompere?”
“Non
è possibile. Solo un altro incantesimo può
rompere questo bracciale e
restituirti i tuoi poteri” mi spiegò. Avrebbe
potuto insegnarmi tanto, ma non
ero neanche minimamente intenzionata a imparare.
“Perfetto”
commentai guardandolo.
“Posso
spezzare l’incantesimo quando vuoi” mi
rassicurò mia madre.
“Non
m'interessa, fallo e basta”.
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Ciao a tutti e grazie per
aver letto questo breve prologo. Sono qui per rubarvi pochi minuti e
per chiedervi tanti, tantissimi consigli. Ho deciso di pubblicare
questa fanfiction perché voglio migliorare il mio modo di
scrivere e di raccontare storie, per questo vi prego di darmi tutti i
consigli che vi vengono in mente. Fatemi notare i miei errori.
Anya.