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Autore: Elpis Aldebaran    24/02/2011    10 recensioni
«Grazie…» le mormorò Sakura.
«Non devi ringraziarmi. Sono le parole che mi disse Shikamaru, quando successe a me. E’ lui il genio, no?»
Sì, era lui il genio.
E grazie al cielo quel genio era ancora con loro.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Tenten | Coppie: Naruto/Sakura, Shikamaru/Ino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden, Dopo la serie
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Resistance

~NaruSaku(Sasu)~

 

 

 

 

 

 

 

If we live our life in fear
I’ll wait a thousand years
Just to see you smile again

[Muse, “Resistance”, from The Resistance, 2009]

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed era come svegliarsi ogni mattina da un incubo per iniziarne un altro.

Era l’aprire gli occhi, guardare il soffitto bianco e non avere prospettive, né sogni, né speranze.

Era lo stare minuti interi ferma e immobile a cercare una ragione per alzarsi dal letto e vivere.

Era lo stare minuti interi ferma e immobile a scoprire che di motivi, per non lasciarsi morire come un cane in quel letto, non ce n’erano.

Andava avanti solo perché era una codarda, perché se avesse avuto un po’ di coraggio, avrebbe trovato la forza di farla finita da sola.

Eppure, in quel preciso momento in cui aveva visto il corpo inerme di Shikamaru davanti a lei, un pensiero fugace le aveva attraversato la mente, come un lampo che aveva illuminato tutto il buio di quei mesi, un tuono che aveva risvegliato i suoi sensi e le sue emozioni, soffocate e sepolte dal dolore.

“Se lui dovesse morire, Ino non me lo perdonerebbe mai.”

Ed era stupido. Era stupida lei, che sospesa tra la vita e la morte, pensava a ciò che potesse dire Ino, quando in realtà non le era mai importato in tutta la sua vita. Ma proprio in quell’istante, con la voce di Tenten che le urlava a metri di distanza, per la prima volta dopo tanto tempo, aveva trovato un motivo per alzarsi e combattere. Era una motivazione sciocca, ma era pur sempre qualcosa.

«PER CARITA’, ALZATI DA Lì, MALEDIZIONE

Fece leva sugli avambracci, che tremarono per lo sforzo; in lontananza poteva sentire il boato delle esplosioni, gli alberi che cadevano, la gente che urlava, il fuoco che avanzava. La terra era fango, viscido e  fastidioso, che la ricopriva tutta, non c’era una sola parte del suo corpo che non fosse libera da quella melma umidiccia.

No, non ce la faceva. La testa cominciò a girarle.

«ACCIDENTI A TE!» Tenten le si era fatta vicino, la prese malamente per un braccio e la tirò su di peso, strattonandola come se fosse stata una bambola di pezza, senza alcuna delicatezza.

«ALZATI SAKURA, ALZATI! DOBBIAMO PORTARE VIA SHIKAMARU, NON CE LA FACCIO DA SOLA

Tenten riuscì almeno a farla mettere sulle ginocchia, andando poi in soccorso del compagno svenuto, provando a risvegliarlo per un minimo di collaborazione, per scappare da quell’inferno.

Sakura rimase lì, con le ginocchia che affondavano nel terreno e lo sguardo perso al cielo scuro della notte. Non vedeva le stelle, solo un nuvolone grigio e immenso che copriva l’intera foresta; non vedeva vie di scampo, era intrappolata in quel posto e probabilmente ci avrebbe lasciato anche la vita. Finalmente aveva l’opportunità di metter fine a quell’esistenza che non aveva più uno scopo, un valore: un parassita per il mondo, non aveva senso.

Ma non era felice. Perché non lo era? Era quello che voleva, dunque perché le veniva da piangere?

«SAKURA!  TI PREGO, MUOVITI!»

Tenten tornò da lei, mettendosi in ginocchio per essere alla sua stessa altezza; le prese le spalle e cominciò a scuoterla, cercando di risvegliarla da quel torpore, da quello smarrimento mentale in cui era precipitata.

«Sakura, guardami, GUARDAMI! Andiamo, dai! Forza, FORZA!»

E si mise a piangere, Tenten, proprio come una bambina in preda al panico. Si ritrovava in quel posto, con i nemici alle calcagna rallentati solo dalle sue bombe, che erano state piazzate di fretta furia durante la fuga. Erano soli in mezzo a una foresta a loro sconosciuta, non sapevano nemmeno se quella che avevano intrapreso era la direzione giusta, potevano andare a finire chissà dove; il battito cardiaco di Shikamaru era presente, batteva un po’ più lentamente del normale, ma almeno era vivo.

Per la prima volta nella sua vita, Tenten ebbe seriamente paura di non farcela. Sentiva la pressione crescerle dentro, come un mostro che la stava divorando, non aveva più fiato, annaspava e non riusciva a ragionare. Davanti a lei Sakura la guardava con occhi vitrei, sporca di fango e sangue, fissava il suo viso senza vederlo davvero.

«Sakura, ti prego, ti scongiuro, alzati e aiutami, ti prego!» Singhiozzò come una bambina abbassando il capo, quasi rassegnata.

Non voleva morire, era un desiderio così egoistico?

«Io non … non posso … non ci riesco.» balbettò la kunoichi dai capelli rosa, coprendosi il volto con le mani.

«Certo che ce la fai, tutti ce la faremo. Però adesso ti devi alzare, Sakura! Shikamaru ha bisogno di cure mediche urgenti, dobbiamo portarlo via! Andiamo, ANDIAMO!»

Proprio in quel momento l’ultima bomba piazzata da Tenten esplose a poche decine di metri da loro, travolgendole con la sua potenza, facendole rotolare nel fango, graffiate da pezzi di corteccia e fogliame che erano saltati in aria.

Tenten sentì il suo polso sinistro piegarsi innaturalmente sotto il proprio peso. Si era rotto.

Il lato sinistro del suo corpo era completamente graffiato, il sangue stava cominciando a uscire lento: le bruciava da morire. Cercò di aprire gli occhi, ma quello che vide furono solo immagini sfocate; non stava bene, non aveva più la cognizione delle cose, il dolore fisico che provava era l’unica cosa che aveva in testa. Non c’erano altri pensieri, non riusciva a formularne.

Sakura, poco più avanti della compagna, si mise a sedere con fatica, mentre la testa le vorticava pericolosamente. Avrebbe voluto dormire, addormentarsi e risvegliarsi da qualsiasi parte, dove non c’erano né ninja, né kunai, bombe, fuoco o qualsiasi altra cosa che poteva ferirla.

Dal fumo apparve la sagoma di un uomo alto, massiccio, calvo. Avanzava verso di loro con passo deciso, sembrava che l’esplosione non lo avesse minimamente ferito.

Sakura lo vide dirigersi verso il corpo esamine di Shikamaru; lo osservò dall’alto per alcuni secondi, prima di sferrargli un calcio in pieno addome, facendogli fare un volo di alcuni metri. Istintivamente Sakura si portò una mano alla bocca, squittendo terrorizzata, e cominciò a tremare come una foglia non appena l’uomo avanzò nella direzione di Tenten.

«Ti prego, lei no!» riuscì a urlare disperata, sbloccando le lacrime che aveva cercato inutilmente di trattenere fino ad allora. Ma mai come in quel momento si sentì libera e felice di piangere.

«Lei no, dici.» l’uomo voltò il viso verso Sakura, guardandola con astio.

«Voi avete ucciso i miei uomini; adesso tu preghi perché io risparmi la tua amica…» l’uomo cominciò ad avanzare verso Sakura, che istintivamente afferrò un kunai e iniziò a strisciare all’indietro, totalmente terrorizzata.

Non era la paura di morire, era la paura di soffrire troppo.

«Non te lo hanno insegnato? Le preghiere non sono altro che parole dette al vento. Non arriveranno da nessuna parte, da nessun dio.»

Le tirò un ceffone, colpendola violentemente alla bocca.

Sakura sentì quel disgustoso sapore ferroso che poteva appartenere solo al sangue: ne odiava la vista, il sapore, anche l’odore. Eppure era un paradosso sciocco, era un medico lei.

L’uomo sembrò avere pietà del suo corpo martoriato, oppure aveva visto lo sguardo di rassegnazione nei suoi occhi, di chi non aspetta altro che morire una volta per tutte senza dare spiegazioni. Si allontanò lentamente come si era avvicinato, puntando il suo sguardo vendicativo su Tenten, che invano cercava di riacquistare il controllo sugli arti feriti.

L’umiliazione di Sakura toccò livelli che mai aveva creduto di avere; persino i nemici provavano disgusto nel toglierle la vita, persino loro trovavano impietoso farle quell’ingombrante favore. Eppure bastava così poco, un colpo assestato nel punto giusto.

L’urlo atroce di Tenten la fece rabbrividire: l’uomo stava calpestando una gamba della ragazza, che si dimenava come un’anguilla sotto il peso del suo piede. Sakura poteva vedere il suo ginocchio prendere una curvatura del tutto innaturale; se non avesse avuto la razionalità e l’esperienza di un medico, probabilmente avrebbe dato di stomaco.

L’uomo smise la tortura su Tenten, lasciando la ragazza a singhiozzare per terra, ormai impossibilitata a muoversi. Li avrebbe uccisi lentamente e con calma, uno per uno senza che potessero in qualche modo difendersi.

Quel pensiero fece sentire Sakura come la peggiore delle traditrici: pur di porre fine alla sua esistenza, avrebbe sacrificato la vita di altri due compagni. Questa non era la Sakura Haruno che tutta Konoha conosceva e con orrore si rese conto che quella ragazza non era nemmeno la se stessa con cui aveva vissuto per i ventitré anni della sua vita.

Prima che potesse fare o anche solo pensare qualcos’altro, una luce bianca sembrò coprire tutto lo spazio intorno a loro, come se un ordigno fosse esploso in quel preciso momento e li stesse tutti mandando all’altro mondo. Però era avvenuto tutto nel silenzio, era come se il mondo si fosse completamente zittito.

Quando Sakura riaprì gli occhi, l’uomo era inchiodato a un albero con il Rasengan puntato a tre centimetri dalla faccia.

Naruto, riconoscibilissimo dai polverosi e disordinati capelli biondi, ansimava sotto la maschera Anbu e Sakura poté solo immaginare lo sguardo furibondo che probabilmente indossava in quel momento. Intorno a lei si materializzarono altre quattro persone, tutti con una maschera sul viso e un tatuaggio al braccio sinistro. Quello che doveva essere Neji (l’Aquila, se ben ricordava) si avvicinò a Tenten, che era talmente stanca e spossata che aveva chiuso gli occhi e aveva lasciato che il dolore corrodesse il suo corpo; poco lontano il Cane (Kiba Inuzuka, di lui era assolutamente certa) cercava di caricarsi sulle spalle Shikamaru.

«Non ti faccio fuori perché ordini superiori me lo proibiscono».

Sakura non aveva mai sentito l’odio nella voce di Naruto, neanche quando si era scontrato l’ultima volta con Sasuke.

Il Rasengan si disfece nella mano di Naruto e quello indietreggiò lentamente, lasciando il suo avversario libero di scappare, se era abbastanza furbo da farlo. Ma quello rimase immobile, come se stesse valutando seriamente se fosse una cosa giusta scappare o affrontare i suoi nuovi nemici.

«Tu sei la Volpe. Si dicono un sacco di cose su di te».

«Scommetto che non sono cose rassicuranti», fece Naruto in tono minaccioso.

L’uomo sorrise, voltando le spalle, «Infatti. Sarei uno sciocco ad affrontarti da solo. Per una volta sceglierò la via della ragione piuttosto che quella dell’orgoglio e me ne andrò, come mi suggerisce la circostanza».

Con uno scatto improvviso, l’uomo balzò su un ramo vicino, allontanandosi veloce di albero in albero; i muscoli di Naruto si distesero e il respiro tornò a farsi regolare, ma quella calma fu solo momentanea.

«CI HA LASCIATO UNA BOMBA

Neji fece appena in tempo a urlarlo che un’esplosione violenta li investì in pieno. Sakura non capì più niente, avvertendo solo qualcosa che le aveva attanagliato la vita.

Percepiva solo una gran confusione intorno a sé, parecchi oggetti le andarono a battere addosso, non aveva più il terreno sotto i piedi, era sballottolata di qua e di là.

Quando il trambusto finì, un pesante odoro di polvere da sparo e di bruciato aleggiava tutt’intorno. Aprì gli occhi e si ritrovò due occhi azzurri che la fissavano dalle due fessure della maschera della Volpe.

«Stai bene?», le chiese Naruto, ma non c’era gentilezza nella sua voce, né conforto.

«Non lo so».

E davvero, Sakura non lo sapeva se stava bene.

Erano su una rupe a Est della foresta, a qualche centinaio di metri si innalzava una colonna di fumo che andava a ingrigire il cielo ancora di più.

Tenten era sulle spalle di Neji; Shikamaru era sorretto da Kiba e dal Falco (il Falco, il Falco… era Sai, giusto?). Non riusciva a vedere la maschera del quinto elemento Anbu, ma dalla corporatura asciutta e l’altezza elevata, probabilmente si trattava di Shino.

«Diamoci una mossa, Nara ci sta lasciando…»

Naruto annuì e si caricò Sakura sulle spalle, senza rivolgerle nessun altro sguardo.

In due ore, raggiunsero l’accampamento della Foglia.

 

«Cosa hai combinato?»

Era incredibile il dono di sapere sempre tutto di Ino.

La sua veste da medic-ninja era ancora macchiata di sangue fresco, ma questo non sembrava turbare l’amica, che con assoluta normalità si sedette accanto a Sakura.

L’accampamento della Foglia era situato su una collinetta erbosa sul confine col Paese della Pioggia; punto strategico di attacco e di difesa, tirava sempre vento e quella sera in particolare le folate erano più violente del solito.

«Ti stai spettinando, Maialino».

«Allora è falso quello che si dice in giro. Non sei un morto che cammina, o meglio lo sei ma hai mantenuto il tuo senso dell’umorismo».

Sakura la ignorò, a volte Ino con le sue verità scomode era davvero insopportabile.

«Per una che è appena scampata alla morte sei piuttosto infelice. Hai qualche peso da toglierti, Fronte Spaziosa?»

«Come se non lo sapessi».

«Tenten non ha mancato di usare un sacco di epiteti davvero originali per apostrofarti, mentre le rimettevo la gamba a posto. Che ti succede, Sakura?»

Lo voleva sapere anche lei, cosa le succedeva.

Si voltò verso Ino e per la prima volta vide negli occhi dell’amica il suo riflesso, il riflesso di come la vedevano gli altri: una donna sola, triste, che ha perso ogni contatto con la realtà e cerca disperatamente una buona ragione per andare avanti.

Aveva voglia di prendersi a pugni.

«Avrei tanta voglia di prenderti a sberle, sai? Mi hai riportato Shikamaru in uno stato pietoso», le disse Ino nascondendo a malapena la collera, «ma credo che i tuoi conflitti interiori siano una punizione sufficiente, anzi, anche troppo. Tenten ha bofonchiato parecchie cose, ha detto che non eri tu laggiù nella foresta, sembrava che ti stessi preparando a morire e avresti lasciato che anche i tuoi compagni di squadra ti seguissero verso la disfatta.

«Ora, potrei dirti che sei una sciocca, che Naruto è fuori di sé e che dovresti rivedere le tue priorità. Ma ci conosciamo da talmente tanto tempo che so per certo che l’unica cosa di cui hai bisogno è di parlare con qualcuno, perché c’è qualcosa dentro di te che non ti fa più vivere. Ed è un sentimento che io conosco fin troppo bene, credimi».

Sakura non era sicura che Ino conoscesse il suo male; cosa avrebbe mai potuto turbare la serena esistenza di Ino Yamanaka, che aveva una vita perfetta, uno pseudo-quasi-fidanzato perfetto, un migliore amico perfetto, una qualsiasi altra cosa perfetta? Non le andava che una come lei le facesse la paternale.

«Non credo, Maialino. Le nostre vite hanno preso strade troppo diverse, dubito che ci sia qualcosa di analogo che ci faccia sentire più vicine».

Ino sorrise con amarezza, poggiando il mento sulle ginocchia nude.

«Il senso di colpa può uccidere, Sakura».

«Non mi sento in colpa».

«Io credo proprio di sì, e posso anche dirti riguardo a cosa: la morte di Sasuke. Non male per un’ochetta bionda, eh?»

Ino adesso rideva, ma Sakura non ci vide niente di spiritoso.

«Quando morì Asuma, mi sentii responsabile. Ero un ninja medico e mi morì tra le braccia; mi martoriai l’anima per mesi, con la ferma convinzione che se fossi stata più in gamba, Asuma probabilmente ce l’avrebbe fatta. E non ha importanza il fatto che era stato colpito in punti vitali e che niente sarebbe riuscito a salvarlo: il senso di colpa mi attanagliava. È il peso che devono portare i sopravvissuti, per non dimenticare coloro che ci hanno lasciato; non bisogna però che questo ci rovini.

«So che ti senti in colpa per la morte di Sasuke, sono la tua migliore amica, c’ero quel giorno, me lo ricordo. Lo so che in questo momento non riesci a pensare ad altro, credi che tutto il mondo ce l’abbia con te, Naruto in primis. Ma è sbagliato. Tutto quanto è sbagliato, questo dolore che senti, questo senso di perdita e di smarrimento non ti deve sopraffare. Sakura, tu lo devi combattere!»

Non sapeva se era per le parole dell’amica o per il suo tono gentile, ma deciso allo stesso tempo; Sakura scoppiò a piangere, prendendosi il volto tra le mani, in un lamento liberatorio e di frustrazione che trovava per la prima volta sfogo.

«Non so più cosa devo fare e per chi lo devo fare…», mormorò disperata.

«Certo che lo sai, tesoro. Hai momentaneamente perso la bussola del tuo cervello. Cercare di farsi uccidere per non dover affrontare la realtà è da vigliacchi: tu non sei certo vigliacca, Sakura. Sei una delle persone più violente e combattive che conosca; dimentica per un attimo tutto questo mondo, Sasuke, Naruto e tutti gli altri. Concentrati su te stessa e su quello che hai fatto. Credi di aver agito male, quel giorno, mettendoti in mezzo allo scontro?»

Sakura negò con la testa, trattenendosi dall’urlare.

«Allora questo ti deve bastare».

«Ma gli altri… se io non…»

«I se e i ma sono la rovina della vita. Devi fare in modo che le certezze siano gli unici punti fermi della tua esistenza. I dubbi e le incertezze non ti porteranno mai da nessuna parte».

Contro ogni previsione, Sakura si sentì calmare.

Ino si alzò, scuotendosi il sedere dai residui di erba e terra.

«Grazie…» le mormorò Sakura.

«Non devi ringraziarmi. Sono le parole che mi disse Shikamaru, quando successe a me. E’ lui il genio, no?»

Sì, era lui il genio.

E grazie al cielo quel genio era ancora con loro.

 

A notte inoltrata, Sakura si avvicinò alla tenda di Naruto.

Dopo che Ino se n’era andata, aveva capito gli sguardi ostili che le aveva rivolto il ragazzo quando era venuto a salvarla; Naruto aveva capito che Sakura stava per toccare il fondo. Aveva capito che le sarebbe bastato poco per precipitare nella disperazione totale, era solo questione di tempo. Anche se era una delle persone più ingenue e ottimiste sulla faccia della terra, Naruto era riuscito a vedere quello che lei si ostinava a nascondere da un anno a quella parte.

Quando Sakura entrò nella tenda del ragazzo, lo trovò addormentato nella sua brandina con dei documenti da parte dell’Hokage abbandonati sul petto, che si alzava a si abbassava lentamente al ritmo del suo respiro. Aveva il viso graffiato, i capelli polverosi e disordinati, il sangue secco sugli abiti; eppure la sua espressione mentre dormiva rimaneva quella di un bambino, di chi trova conforto e pace solo nei sogni.

Sakura non ebbe le forze e il coraggio di svegliarlo; avrebbe voluto parlargli subito, scusarsi con lui per tutto il male che implicitamente gli aveva fatto in quei mesi, ma le sembrò una cattiveria bella e buona svegliarlo. Con molta cautela si distese al suo fianco, facendosi posto sulla brandina, attenta a non svegliarlo. Appoggiò la testa su una sua spalla, osservando la bocca di Naruto semi aperta che emetteva un lieve russare.

Non le fu difficile addormentarsi in quella posizione, forse era per la stanchezza della giornata, o per il pianto della sera, ancora forse per la vicinanza di Naruto che le trasmetteva sicurezza e riparo: era come tornare nella propria casa accogliente dopo un lungo viaggio.

Al mattino, nel momento di dormiveglia in cui la tua mente è attiva ma il tuo corpo si rifiuta di lavorare, aveva avvertito un braccio di Naruto avvolgerle le spalle.

Si era sempre chiesta perché il ragazzo si ostinasse a proteggerla e a riverirla nonostante i modi sgarbati con cui lei lo trattava. In tutti quegli anni Naruto non si era perso d’animo e aveva fatto finta di non vedere i comportamenti isterici di Sakura, né i suoi atteggiamenti ostili, né ultimamente le sue intimidazione a lasciarla in pace.

In quella notte, in cui avevano solo dormito, Sakura fu sorpresa di aver trovato la risposta. Le era arrivata all’improvviso, dopo anni che l’aveva cercata invano.

L’amore che Naruto provava nei suoi confronti resisteva a tutto il resto.

E lei, sciocca, sarebbe mai riuscita a ricambiarlo?

 

«Come ti sei accorta che Shikamaru era l’uomo per te, dopo tutti questi anni?»

Ino sembrò valutare a fondo i suoi ricordi, come a voler sceglierne uno adatto.

«Una volta l’ho insultato pesantemente e lui mi ha sorriso. Avevamo sedici anni».

«E allora?».

«Allora niente. Che altro vuoi?».

«Nessun gesto romantico, nessuna dichiarazione d’amore… niente?».

«Cosa vuoi di più di un uomo che viene insultato, maltrattato, privato di ogni dignità e che invece di risponderti a tono ti sorride? Shikamaru aspettava che io ricambiassi il suo sorriso. Avrebbe aspettato anche cento anni pur di vedermi sorridergli almeno una volta».

 

In quell’istante, Sakura si rese conto che anche lei avrebbe aspettato cento, mille anni nella speranza che Naruto tornasse a sorriderle, come faceva una volta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Autrice (che parolone):

Come spesso accade, i miei scritti non hanno un filo logico/conduttore, per cui alla fine mi ritrovo a leggere cose talmente strane che faccio addirittura fatica a credere di averle scritte io.

Questa fanfiction non fa eccezione.

Credo di aver voluto analizzare Sakura. Credo, a grandi linee. Credo.

Sasuke invece è morto per mia volontà diretta, non certo per esigenze di copione. La speranza è l’ultima a morire.

Ino è sempre presente, lo ShikaIno è più che presente ed è l’unica certezza della mia vita in questo momento.

Ma è quasi primavera e io ho un mal di testa che non mi abbandona mai, maledetto lui.

Non poniamoci troppe domande su cosa significhi questa fic e andiamo avanti.

 

 

 

 

Elpis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Naruto © Masashi Kishimoto

Resistance © Elpis Aldebaran

 

   
 
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