Resistance
~NaruSaku(Sasu)~
If we live our life in fear
I’ll wait a thousand years
Just to
see you smile again
[Muse, “Resistance”, from The Resistance,
2009]
Ed era come
svegliarsi ogni mattina da un incubo per iniziarne un
altro.
Era l’aprire gli
occhi, guardare il soffitto bianco e non avere prospettive, né sogni, né
speranze.
Era lo stare minuti
interi ferma e immobile a cercare una ragione per alzarsi dal letto e vivere.
Era lo stare minuti
interi ferma e immobile a scoprire che di motivi, per non lasciarsi morire come
un cane in quel letto, non ce n’erano.
Andava avanti solo
perché era una codarda, perché se avesse avuto un po’ di coraggio, avrebbe
trovato la forza di farla finita da sola.
Eppure, in quel
preciso momento in cui aveva visto il corpo inerme di Shikamaru davanti a lei,
un pensiero fugace le aveva attraversato la mente, come un lampo che aveva
illuminato tutto il buio di quei mesi, un tuono che aveva risvegliato i suoi
sensi e le sue emozioni, soffocate e sepolte dal dolore.
“Se lui dovesse
morire, Ino non me lo perdonerebbe mai.”
Ed era stupido. Era
stupida lei, che sospesa tra la vita e la morte, pensava a ciò che potesse dire
Ino, quando in realtà non le era mai importato in tutta la sua vita. Ma proprio
in quell’istante, con la voce di Tenten che le urlava a metri di distanza, per
la prima volta dopo tanto tempo, aveva trovato un motivo per alzarsi e
combattere. Era una motivazione sciocca, ma era pur sempre
qualcosa.
«PER
CARITA’, ALZATI DA Lì, MALEDIZIONE!»
Fece leva sugli
avambracci, che tremarono per lo sforzo; in lontananza poteva sentire il boato
delle esplosioni, gli alberi che cadevano, la gente che urlava, il fuoco che
avanzava. La terra era fango, viscido e
fastidioso, che la ricopriva tutta, non c’era una sola parte del suo
corpo che non fosse libera da quella melma umidiccia.
No, non ce la
faceva. La testa cominciò a girarle.
«ACCIDENTI
A TE!»
Tenten le si era fatta vicino, la prese malamente per un braccio e la tirò su di
peso, strattonandola come se fosse stata una bambola di pezza, senza alcuna
delicatezza.
«ALZATI
SAKURA, ALZATI! DOBBIAMO PORTARE VIA SHIKAMARU, NON CE LA FACCIO DA
SOLA!»
Tenten riuscì
almeno a farla mettere sulle ginocchia, andando poi in soccorso del compagno
svenuto, provando a risvegliarlo per un minimo di collaborazione, per scappare
da quell’inferno.
Sakura rimase lì,
con le ginocchia che affondavano nel terreno e lo sguardo perso al cielo scuro
della notte. Non vedeva le stelle, solo un nuvolone grigio e immenso che copriva
l’intera foresta; non vedeva vie di scampo, era intrappolata in quel posto e
probabilmente ci avrebbe lasciato anche la vita. Finalmente aveva l’opportunità
di metter fine a quell’esistenza che non aveva più uno scopo, un valore: un
parassita per il mondo, non aveva senso.
Ma non era felice.
Perché non lo era? Era quello che voleva, dunque perché le veniva da
piangere?
«SAKURA! TI PREGO, MUOVITI!»
Tenten tornò da
lei, mettendosi in ginocchio per essere alla sua stessa altezza; le prese le
spalle e cominciò a scuoterla, cercando di risvegliarla da quel torpore, da
quello smarrimento mentale in cui era precipitata.
«Sakura, guardami,
GUARDAMI! Andiamo, dai!
Forza, FORZA!»
E si mise a
piangere, Tenten, proprio come una bambina in preda al panico. Si ritrovava in
quel posto, con i nemici alle calcagna rallentati solo dalle sue bombe, che
erano state piazzate di fretta furia durante la fuga. Erano soli in mezzo a una
foresta a loro sconosciuta, non sapevano nemmeno se quella che avevano
intrapreso era la direzione giusta, potevano andare a finire chissà dove; il
battito cardiaco di Shikamaru era presente, batteva un po’ più lentamente del
normale, ma almeno era vivo.
Per la prima volta
nella sua vita, Tenten ebbe seriamente paura di non farcela. Sentiva la
pressione crescerle dentro, come un mostro che la stava divorando, non aveva più
fiato, annaspava e non riusciva a ragionare. Davanti a lei Sakura la guardava
con occhi vitrei, sporca di fango e sangue, fissava il suo viso senza vederlo
davvero.
«Sakura, ti prego,
ti scongiuro, alzati e aiutami, ti prego!» Singhiozzò come una bambina
abbassando il capo, quasi rassegnata.
Non voleva morire,
era un desiderio così egoistico?
«Io non … non posso
… non ci riesco.» balbettò la kunoichi dai capelli rosa, coprendosi il volto con
le mani.
«Certo che ce la
fai, tutti ce la faremo. Però adesso ti devi alzare, Sakura! Shikamaru ha
bisogno di cure mediche urgenti, dobbiamo portarlo via! Andiamo, ANDIAMO!»
Proprio in quel
momento l’ultima bomba piazzata da Tenten esplose a poche decine di metri da
loro, travolgendole con la sua potenza, facendole rotolare nel fango, graffiate
da pezzi di corteccia e fogliame che erano saltati in
aria.
Tenten sentì il suo
polso sinistro piegarsi innaturalmente sotto il proprio peso. Si era rotto.
Il lato sinistro
del suo corpo era completamente graffiato, il sangue stava cominciando a uscire
lento: le bruciava da morire. Cercò di aprire gli occhi, ma quello che vide
furono solo immagini sfocate; non stava bene, non aveva più la cognizione delle
cose, il dolore fisico che provava era l’unica cosa che aveva in testa. Non
c’erano altri pensieri, non riusciva a formularne.
Sakura, poco più
avanti della compagna, si mise a sedere con fatica, mentre la testa le vorticava
pericolosamente. Avrebbe voluto dormire, addormentarsi e risvegliarsi da
qualsiasi parte, dove non c’erano né ninja, né kunai, bombe, fuoco o qualsiasi
altra cosa che poteva ferirla.
Dal fumo apparve la
sagoma di un uomo alto, massiccio, calvo. Avanzava verso di loro con passo
deciso, sembrava che l’esplosione non lo avesse minimamente
ferito.
Sakura lo vide
dirigersi verso il corpo esamine di Shikamaru; lo osservò dall’alto per alcuni
secondi, prima di sferrargli un calcio in pieno addome, facendogli fare un volo
di alcuni metri. Istintivamente Sakura si portò una mano alla bocca, squittendo
terrorizzata, e cominciò a tremare come una foglia non appena l’uomo avanzò
nella direzione di Tenten.
«Ti prego, lei no!»
riuscì a urlare disperata, sbloccando le lacrime che aveva cercato inutilmente
di trattenere fino ad allora. Ma mai come in quel momento si sentì libera e
felice di piangere.
«Lei no, dici.»
l’uomo voltò il viso verso Sakura, guardandola con astio.
«Voi avete ucciso i
miei uomini; adesso tu preghi perché io risparmi la tua amica…» l’uomo cominciò
ad avanzare verso Sakura, che istintivamente afferrò un kunai e iniziò a
strisciare all’indietro, totalmente terrorizzata.
Non era la paura di
morire, era la paura di soffrire troppo.
«Non te lo hanno
insegnato? Le preghiere non sono altro che parole dette al vento. Non
arriveranno da nessuna parte, da nessun dio.»
Le tirò un ceffone,
colpendola violentemente alla bocca.
Sakura sentì quel
disgustoso sapore ferroso che poteva appartenere solo al sangue: ne odiava la
vista, il sapore, anche l’odore. Eppure era un paradosso sciocco, era un medico
lei.
L’uomo sembrò avere
pietà del suo corpo martoriato, oppure aveva visto lo sguardo di rassegnazione
nei suoi occhi, di chi non aspetta altro che morire una volta per tutte senza
dare spiegazioni. Si allontanò lentamente come si era avvicinato, puntando il
suo sguardo vendicativo su Tenten, che invano cercava di riacquistare il
controllo sugli arti feriti.
L’umiliazione di
Sakura toccò livelli che mai aveva creduto di avere; persino i nemici provavano
disgusto nel toglierle la vita, persino loro trovavano impietoso farle
quell’ingombrante favore. Eppure bastava così poco, un colpo assestato nel punto
giusto.
L’urlo atroce di
Tenten la fece rabbrividire: l’uomo stava calpestando una gamba della ragazza,
che si dimenava come un’anguilla sotto il peso del suo piede. Sakura poteva
vedere il suo ginocchio prendere una curvatura del tutto innaturale; se non
avesse avuto la razionalità e l’esperienza di un medico, probabilmente avrebbe
dato di stomaco.
L’uomo smise la
tortura su Tenten, lasciando la ragazza a singhiozzare per terra, ormai
impossibilitata a muoversi. Li avrebbe uccisi lentamente e con calma, uno per
uno senza che potessero in qualche modo difendersi.
Quel pensiero fece
sentire Sakura come la peggiore delle traditrici: pur di porre fine alla sua
esistenza, avrebbe sacrificato la vita di altri due compagni. Questa non era la
Sakura Haruno che tutta Konoha conosceva e con orrore si rese conto che quella
ragazza non era nemmeno la se stessa con cui aveva vissuto per i ventitré anni
della sua vita.
Prima che potesse
fare o anche solo pensare qualcos’altro, una luce bianca sembrò coprire tutto lo
spazio intorno a loro, come se un ordigno fosse esploso in quel preciso momento
e li stesse tutti mandando all’altro mondo. Però era avvenuto tutto nel
silenzio, era come se il mondo si fosse completamente
zittito.
Quando Sakura
riaprì gli occhi, l’uomo era inchiodato a un albero con il Rasengan puntato a
tre centimetri dalla faccia.
Naruto,
riconoscibilissimo dai polverosi e disordinati capelli biondi, ansimava sotto la
maschera Anbu e Sakura poté solo immaginare lo sguardo furibondo che
probabilmente indossava in quel momento. Intorno a lei si materializzarono altre
quattro persone, tutti con una maschera sul viso e un tatuaggio al braccio
sinistro. Quello che doveva essere Neji (l’Aquila, se ben ricordava) si avvicinò
a Tenten, che era talmente stanca e spossata che aveva chiuso gli occhi e aveva
lasciato che il dolore corrodesse il suo corpo; poco lontano il Cane (Kiba
Inuzuka, di lui era assolutamente certa) cercava di caricarsi sulle spalle
Shikamaru.
«Non ti faccio
fuori perché ordini superiori me lo proibiscono».
Sakura non aveva
mai sentito l’odio nella voce di Naruto, neanche quando si era scontrato
l’ultima volta con Sasuke.
Il Rasengan si
disfece nella mano di Naruto e quello indietreggiò lentamente, lasciando il suo
avversario libero di scappare, se era abbastanza furbo da farlo. Ma quello
rimase immobile, come se stesse valutando seriamente se fosse una cosa giusta
scappare o affrontare i suoi nuovi nemici.
«Tu sei la Volpe.
Si dicono un sacco di cose su di te».
«Scommetto che non
sono cose rassicuranti», fece Naruto in tono minaccioso.
L’uomo sorrise,
voltando le spalle, «Infatti. Sarei uno sciocco ad affrontarti da solo. Per una
volta sceglierò la via della ragione piuttosto che quella dell’orgoglio e me ne
andrò, come mi suggerisce la circostanza».
Con uno scatto
improvviso, l’uomo balzò su un ramo vicino, allontanandosi veloce di albero in
albero; i muscoli di Naruto si distesero e il respiro tornò a farsi regolare, ma
quella calma fu solo momentanea.
«CI HA LASCIATO UNA
BOMBA!»
Neji fece appena in
tempo a urlarlo che un’esplosione violenta li investì in pieno. Sakura non capì
più niente, avvertendo solo qualcosa che le aveva attanagliato la
vita.
Percepiva solo una
gran confusione intorno a sé, parecchi oggetti le andarono a battere addosso,
non aveva più il terreno sotto i piedi, era sballottolata di qua e di
là.
Quando il trambusto
finì, un pesante odoro di polvere da sparo e di bruciato aleggiava tutt’intorno.
Aprì gli occhi e si ritrovò due occhi azzurri che la fissavano dalle due fessure
della maschera della Volpe.
«Stai bene?», le
chiese Naruto, ma non c’era gentilezza nella sua voce, né conforto.
«Non lo
so».
E davvero, Sakura
non lo sapeva se stava bene.
Erano su una rupe a
Est della foresta, a qualche centinaio di metri si innalzava una colonna di fumo
che andava a ingrigire il cielo ancora di più.
Tenten era sulle
spalle di Neji; Shikamaru era sorretto da Kiba e dal Falco (il Falco, il Falco…
era Sai, giusto?). Non riusciva a vedere la maschera del quinto elemento Anbu,
ma dalla corporatura asciutta e l’altezza elevata, probabilmente si trattava di
Shino.
«Diamoci una mossa,
Nara ci sta lasciando…»
Naruto annuì e si
caricò Sakura sulle spalle, senza rivolgerle nessun altro
sguardo.
In due ore,
raggiunsero l’accampamento della Foglia.
«Cosa hai
combinato?»
Era incredibile il
dono di sapere sempre tutto di Ino.
La sua veste da
medic-ninja era ancora macchiata di sangue fresco, ma questo non sembrava
turbare l’amica, che con assoluta normalità si sedette accanto a
Sakura.
L’accampamento
della Foglia era situato su una collinetta erbosa sul confine col Paese della
Pioggia; punto strategico di attacco e di difesa, tirava sempre vento e quella
sera in particolare le folate erano più violente del
solito.
«Ti stai
spettinando, Maialino».
«Allora è falso
quello che si dice in giro. Non sei un morto che cammina, o meglio lo sei ma hai
mantenuto il tuo senso dell’umorismo».
Sakura la ignorò, a
volte Ino con le sue verità scomode era davvero
insopportabile.
«Per una che è
appena scampata alla morte sei piuttosto infelice. Hai qualche peso da
toglierti, Fronte Spaziosa?»
«Come se non lo
sapessi».
«Tenten non ha
mancato di usare un sacco di epiteti davvero originali per apostrofarti, mentre
le rimettevo la gamba a posto. Che ti succede, Sakura?»
Lo voleva sapere
anche lei, cosa le succedeva.
Si voltò verso Ino
e per la prima volta vide negli occhi dell’amica il suo riflesso, il riflesso di
come la vedevano gli altri: una donna sola, triste, che ha perso ogni contatto
con la realtà e cerca disperatamente una buona ragione per andare
avanti.
Aveva voglia di
prendersi a pugni.
«Avrei tanta voglia
di prenderti a sberle, sai? Mi hai riportato Shikamaru in uno stato pietoso», le
disse Ino nascondendo a malapena la collera, «ma credo che i tuoi conflitti
interiori siano una punizione sufficiente, anzi, anche troppo. Tenten ha
bofonchiato parecchie cose, ha detto che non eri tu laggiù nella foresta,
sembrava che ti stessi preparando a morire e avresti lasciato che anche i tuoi
compagni di squadra ti seguissero verso la disfatta.
«Ora, potrei dirti
che sei una sciocca, che Naruto è fuori di sé e che dovresti rivedere le tue
priorità. Ma ci conosciamo da talmente tanto tempo che so per certo che l’unica
cosa di cui hai bisogno è di parlare con qualcuno, perché c’è qualcosa dentro di
te che non ti fa più vivere. Ed è un sentimento che io conosco fin troppo bene,
credimi».
Sakura non era
sicura che Ino conoscesse il suo male; cosa avrebbe mai potuto turbare la serena
esistenza di Ino Yamanaka, che aveva una vita perfetta, uno
pseudo-quasi-fidanzato perfetto, un migliore amico perfetto, una qualsiasi altra
cosa perfetta? Non le andava che una come lei le facesse la
paternale.
«Non credo,
Maialino. Le nostre vite hanno preso strade troppo diverse, dubito che ci sia
qualcosa di analogo che ci faccia sentire più vicine».
Ino sorrise con
amarezza, poggiando il mento sulle ginocchia nude.
«Il senso di colpa
può uccidere, Sakura».
«Non mi sento in
colpa».
«Io credo proprio
di sì, e posso anche dirti riguardo a cosa: la morte di Sasuke. Non male per
un’ochetta bionda, eh?»
Ino adesso rideva,
ma Sakura non ci vide niente di spiritoso.
«Quando morì Asuma,
mi sentii responsabile. Ero un ninja medico e mi morì tra le braccia; mi
martoriai l’anima per mesi, con la ferma convinzione che se fossi stata più in
gamba, Asuma probabilmente ce l’avrebbe fatta. E non ha importanza il fatto che
era stato colpito in punti vitali e che niente sarebbe riuscito a salvarlo: il
senso di colpa mi attanagliava. È il peso che devono portare i sopravvissuti,
per non dimenticare coloro che ci hanno lasciato; non bisogna però che questo ci
rovini.
«So che ti senti in
colpa per la morte di Sasuke, sono la tua migliore amica, c’ero quel giorno, me
lo ricordo. Lo so che in questo momento non riesci a pensare ad altro, credi che
tutto il mondo ce l’abbia con te, Naruto in primis. Ma è sbagliato. Tutto quanto
è sbagliato, questo dolore che senti, questo senso di perdita e di smarrimento
non ti deve sopraffare. Sakura, tu lo devi combattere!»
Non sapeva se era
per le parole dell’amica o per il suo tono gentile, ma deciso allo stesso tempo;
Sakura scoppiò a piangere, prendendosi il volto tra le mani, in un lamento
liberatorio e di frustrazione che trovava per la prima volta
sfogo.
«Non so più cosa
devo fare e per chi lo devo fare…», mormorò disperata.
«Certo che lo sai,
tesoro. Hai momentaneamente perso la bussola del tuo cervello. Cercare di farsi
uccidere per non dover affrontare la realtà è da vigliacchi: tu non sei certo
vigliacca, Sakura. Sei una delle persone più violente e combattive che conosca;
dimentica per un attimo tutto questo mondo, Sasuke, Naruto e tutti gli altri.
Concentrati su te stessa e su quello che hai fatto. Credi di aver agito male,
quel giorno, mettendoti in mezzo allo scontro?»
Sakura negò con la
testa, trattenendosi dall’urlare.
«Allora questo ti
deve bastare».
«Ma gli altri… se
io non…»
«I se e i ma sono la rovina della vita. Devi fare
in modo che le certezze siano gli unici punti fermi della tua esistenza. I dubbi
e le incertezze non ti porteranno mai da nessuna parte».
Contro ogni
previsione, Sakura si sentì calmare.
Ino si alzò,
scuotendosi il sedere dai residui di erba e terra.
«Grazie…» le
mormorò Sakura.
«Non devi
ringraziarmi. Sono le parole che mi disse Shikamaru, quando successe a me. E’
lui il genio, no?»
Sì, era lui il
genio.
E grazie al cielo
quel genio era ancora con loro.
A notte inoltrata,
Sakura si avvicinò alla tenda di Naruto.
Dopo che Ino se
n’era andata, aveva capito gli sguardi ostili che le aveva rivolto il ragazzo
quando era venuto a salvarla; Naruto aveva capito che Sakura stava per toccare
il fondo. Aveva capito che le sarebbe bastato poco per precipitare nella
disperazione totale, era solo questione di tempo. Anche se era una delle persone
più ingenue e ottimiste sulla faccia della terra, Naruto era riuscito a vedere
quello che lei si ostinava a nascondere da un anno a quella parte.
Quando Sakura entrò
nella tenda del ragazzo, lo trovò addormentato nella sua brandina con dei
documenti da parte dell’Hokage abbandonati sul petto, che si alzava a si
abbassava lentamente al ritmo del suo respiro. Aveva il viso graffiato, i
capelli polverosi e disordinati, il sangue secco sugli abiti; eppure la sua
espressione mentre dormiva rimaneva quella di un bambino, di chi trova conforto
e pace solo nei sogni.
Sakura non ebbe le
forze e il coraggio di svegliarlo; avrebbe voluto parlargli subito, scusarsi con
lui per tutto il male che implicitamente gli aveva fatto in quei mesi, ma le
sembrò una cattiveria bella e buona svegliarlo. Con molta cautela si distese al
suo fianco, facendosi posto sulla brandina, attenta a non svegliarlo. Appoggiò
la testa su una sua spalla, osservando la bocca di Naruto semi aperta che
emetteva un lieve russare.
Non le fu difficile
addormentarsi in quella posizione, forse era per la stanchezza della giornata, o
per il pianto della sera, ancora forse per la vicinanza di Naruto che le
trasmetteva sicurezza e riparo: era come tornare nella propria casa accogliente
dopo un lungo viaggio.
Al mattino, nel
momento di dormiveglia in cui la tua mente è attiva ma il tuo corpo si rifiuta
di lavorare, aveva avvertito un braccio di Naruto avvolgerle le spalle.
Si era sempre
chiesta perché il ragazzo si ostinasse a proteggerla e a riverirla nonostante i
modi sgarbati con cui lei lo trattava. In tutti quegli anni Naruto non si era
perso d’animo e aveva fatto finta di non vedere i comportamenti isterici di
Sakura, né i suoi atteggiamenti ostili, né ultimamente le sue intimidazione a
lasciarla in pace.
In quella notte, in
cui avevano solo dormito, Sakura fu sorpresa di aver trovato la risposta. Le era
arrivata all’improvviso, dopo anni che l’aveva cercata
invano.
L’amore che Naruto
provava nei suoi confronti resisteva a tutto il resto.
E lei, sciocca,
sarebbe mai riuscita a ricambiarlo?
«Come ti sei
accorta che Shikamaru era l’uomo per te, dopo tutti questi
anni?»
Ino sembrò valutare
a fondo i suoi ricordi, come a voler sceglierne uno
adatto.
«Una volta l’ho
insultato pesantemente e lui mi ha sorriso. Avevamo sedici
anni».
«E
allora?».
«Allora niente. Che
altro vuoi?».
«Nessun gesto
romantico, nessuna dichiarazione d’amore… niente?».
«Cosa vuoi di più
di un uomo che viene insultato, maltrattato, privato di ogni dignità e che
invece di risponderti a tono ti sorride? Shikamaru aspettava che io ricambiassi
il suo sorriso. Avrebbe aspettato anche cento anni pur di vedermi sorridergli
almeno una volta».
In quell’istante,
Sakura si rese conto che anche lei avrebbe aspettato cento, mille anni nella
speranza che Naruto tornasse a sorriderle, come faceva una
volta.
Note Autrice (che
parolone):
Come spesso accade,
i miei scritti non hanno un filo logico/conduttore, per cui alla fine mi ritrovo
a leggere cose talmente strane che faccio addirittura fatica a credere di averle
scritte io.
Questa fanfiction
non fa eccezione.
Credo di aver
voluto analizzare Sakura. Credo, a grandi linee. Credo.
Sasuke invece è
morto per mia volontà diretta, non certo per esigenze di copione. La speranza è
l’ultima a morire.
Ino è sempre
presente, lo ShikaIno è più che presente ed è l’unica certezza della mia vita in
questo momento.
Ma è quasi
primavera e io ho un mal di testa che non mi abbandona mai, maledetto lui.
Non poniamoci
troppe domande su cosa significhi questa fic e andiamo
avanti.
Elpis
Naruto
© Masashi Kishimoto
Resistance
© Elpis Aldebaran