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Autore: hotaru    25/02/2011    2 recensioni
Prequel de “Die Uhr- L'orologio”
“Mio zio costruisce carillon per passione, non per lavoro” precisò Win “Pensate che ne aveva addirittura fatto uno per mia zia, quando erano fidanzati. E' di sicuro nascosto da qualche parte: la zia Eliza lo custodisce come una reliquia."
Storia di un carillon: come nacque, a cosa portò, come fu perso e poi ritrovato.
[Rod/Liza, a chi ha orecchie per intendere]
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
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2- Refoli di cenere Refoli di cenere


"... conosciuto con il nome di Alchimista di Fuoco."

(Roy Mustang, episodio 5)


Rod si stava rendendo conto di trovarsi di fronte al problema più grosso che si fosse mai trovato ad affrontare. Un problema che non capiva nemmeno, perché era tutto totalmente assurdo.
Sospirò, guardandosi attorno e facendo tanto d'occhi quando si accorse di essere solo. Perso nei suoi pensieri, non si era nemmeno accorto di stare camminando senza più nessuno accanto.
- Ehi, che stai facendo? - Elias si era fermato qualche metro indietro, e ovviamente Schwarz Hayah era rimasto al suo fianco. Pensare che l'aveva trovato lui, quel cane – Elias! -.
- Eh? - anche lui sembrava essersi estraniato dal mondo, perché quasi sobbalzò quando l'amico lo chiamò – Ah, sì... arrivo! -.
Nel frattempo Rod l'aveva raggiunto, lanciando un'occhiata perplessa alla vetrina che l'altro stava guardando.
- Ti interessa questa roba? - chiese con una smorfia.
- Cosa? No, certo che no – si affrettò a mentire Eliza, arrossendo leggermente: non poteva permettersi di mostrargli certi lati di sé, non se voleva mantenere una certa reputazione. Lanciò un'ultima occhiata agli abiti da sera, alle giacche e alle gonne esposti in vetrina: sarebbe rimasta ore ad osservarne il taglio perfetto, a studiare le cuciture minute di quei vestiti di alta sartoria, ma non era quello il momento – Forza, andiamo -.
Rod avrebbe voluto ribattere qualcosa, magari prenderlo un po' in giro per quel suo inaspettato “lato femminile”, ma quando gli passò talmente vicino che sarebbe riuscito a contargli i capelli sulla nuca, rimase per un momento senza fiato.
- Beh, che ti prende? - domandò Eliza, quando lo sguardo le cadde sulla giacca che il suo amico era solito portare – Che hai fatto ai bottoni? -.
- Eh? Ah... - in effetti aveva avuto un piccolo “scontro” con altri ragazzi del quartiere. Non si era tirato indietro, ma i suoi abiti ne avevano un po' risentito: qualche bottone penzolava floscio, i fili tirati e quasi strappati – Niente di che... anche se non piacerà a mia madre -.
In effetti l'ultima volta l'aveva minacciato di farlo andare in giro senza pantaloni, e pensare che era arrivato a casa con un danno molto minore di quello: una semplice cucitura sdrucita, nient'altro. Non osava immaginare come l'avrebbe presa stavolta.
- Vieni – Eliza, dopo un'occhiata critica ai suoi bottoni, si voltò nella direzione da cui venivano, Schwarz Hayah subito pronto a seguirla – Forza -.
Rod non aveva idea di cosa volesse fare, ma qualunque cosa potesse ritardare il suo ritorno a casa era ben accolta.
La seguì, ripercorrendo a ritroso la strada che avevano fatto, fino a casa Hochwald.


Era la prima volta che Rod ci entrava, a dire il vero. La prima cosa che lo sorprese fu l'enorme quantità di libri accumulata ovunque, oltre al fatto che non sembrava ci vivesse esattamente qualcuno. L'unica stanza un po' più luminosa e accogliente era la cucina, dov'era seduto adesso. Elias gli aveva detto di aspettarlo lì mentre cercava il filo necessario a riattaccargli i bottoni- anche se non aveva ancora capito come potesse esserne capace- e ora si stava guardando un po' attorno, accarezzando piano le orecchie di Schwarz Hayah.
A un tratto il cane voltò il muso, alzandosi e uscendo nel corridoio, come se avesse sentito qualcosa.
- Ehi, dove vai? Vieni qui! - lo chiamò Rod, seguendolo.
Lo vide infilarsi in una porta socchiusa, e non ci pensò due volte ad andargli dietro. Si ritrovò in una stanza piuttosto buia e polverosa, la cui unica luce proveniva da una finestra dai vetri opachi e cadeva su una scrivania traboccante di fogli. Vide Schwarz Hayah seduto proprio lì accanto, accarezzato meccanicamente da un uomo chino sui libri. Doveva essere uno studioso della legge, pensò Rod, perché aveva lunghi riccioli sulle tempie e il capo coperto dalla kippah, oltre che il talled (¹) a coprirgli le spalle.
Il ragazzo rimase ad osservarlo per qualche istante, quasi chiedendosi se fosse reale, finché quell'uomo sembrò infine notarlo. Dopo avergli lanciato un'occhiata indifferente gli disse qualcosa, che tuttavia Rod non capì.
- Scusi, come ha detto? Potrebbe ripetere? -.
L'uomo ripeté ma, anche se parlava una lingua che somigliava in qualche modo al tedesco, Rod non riuscì a capirlo.
- Ma lei chi... -.
- Ah, sei qui – Elias comparve improvvisamente accanto a lui, con ago e filo tra le mani, per poi rivolgersi a quell'uomo e dirgli qualcosa nella sua stessa lingua.
Lui annuì, dicendole di nuovo qualcosa che Rod non capì e tornando ai propri libri senza più degnarli di un'occhiata.
- Vieni – Elias lo tirò per un braccio, riportando in corridoio un Roderich ancora piuttosto sorpreso.
- Ma chi è? -.
- Mio padre – rispose semplicemente il suo amico.
- E... in che lingua parla? -.
- Yiddish (²) – disse Elias, lanciandogli un'occhiata perplessa – Non lo conosci? -.
- Beh, no... la mia famiglia non segue molto la tradizione. A casa parliamo solo tedesco -.
- Davvero? - il suo amico sembrava davvero sorpreso – Comunque mi ha chiesto di accendere la stufa. Non è che puoi pensarci tu, mentre attacco i bottoni? -.
- Eh? Ah, sì... sì, va bene -.
- Si trova nella stanza qui accanto, la accendiamo solo di tanto in tanto per tenerla attiva. La legna la trovi tutta lì -.
- D'accordo – entrò nella stanza indicatagli da Elias, mentre lui tornava evidentemente a dedicarsi alla sua giacca.
Non gli interessava più sapere come facesse un ragazzo della sua età ad essere capace di attaccare un bottone, come non gli sembrava più tanto strana una famiglia in cui si parlasse solo yiddish. Ora come ora, aveva un problema decisamente più grosso da risolvere.

Sua madre non lo lasciava nemmeno avvicinare a quegli affari, non dopo che aveva seriamente rischiato di dar fuoco alla sua cucina. Non credeva di essere molto portato, ma insomma: se non ci provava non avrebbe mai imparato, no?
Fu con tale convinzione che aprì lo sportello di una bella e grande stufa in maiolica, riempiendola dei ceppi di legno che trovò lì accanto.

- Che stai combinando? - la voce esterrefatta di Elias lo fece sobbalzare e, anche se sapeva di essere nel torto, mise su un certo broncio.
- Accendo la stufa, no? -.
- Così? - Eliza non credeva ai propri occhi, ma da una famiglia di ebrei che non parlava nemmeno yiddish forse c'era da aspettarsi questo e altro.
- Senti, se c'è un metodo ortodosso per accendere il fuoco, io non lo conosco – confessò Rod, tenendo la testa bassa.
- Allora te lo insegno io – fece Eliza senza perdersi d'animo. Si accucciò davanti allo sportello della stufa, proprio accanto a lui, tirando fuori qualche ceppo di troppo.
Allungandosi, prese dalla cassa qualche pezzo di legno più piccolo, assieme a dei ramoscelli sottili. Dispose per bene la legna, aggiungendo poi della carta perché si alimentasse un po' all'inizio, e accese il fuoco.
Poi si sporse leggermente per gettare i ceppi di troppo nella cassa della legna, appoggiandosi un po' a Rod per non perdere l'equilibrio. Lui sentì improvvisamente un gran caldo, e non per il timido fuocherello che stava iniziando a divampare.
- Hai visto come ho fatto? - iniziò a spiegargli tranquillamente Elias, accucciato al suo fianco – Devi  disporre la legna in modo che il fuoco “respiri”, ossia che l'aria possa alimentar... mi stai ascoltando? -.
Si voltò all'improvviso, e nel trovarselo a una spanna di distanza Rod sussultò.
- Non guardare me, guarda il fuoco -.
- S-sì – bofonchiò Rod, costringendosi a portare lo sguardo sulle fiamme. Elias seguitò a parlare di “legna ben disposta” e “ossigeno che alimenta le fiamme”, ma lui non lo ascoltava più. Si era perso un'altra volta in quello che era diventato il suo problema più grande, perlomeno da quando aveva conosciuto quello strano ragazzino che sapeva attaccare bottoni e si rifiutava di fare la pipì nel fiume.
Si lambiccava giorno e notte con domande che rimanevano immancabilmente senza risposta. Ad esempio, non capiva perché ogni tanto si ritrovasse a pensare che gli sarebbe piaciuto toccare quei corti capelli biondi, un po' più lunghi nei ciuffi ai lati del viso. Non capiva perché gli piacesse tanto la forma del suo naso. Non capiva nemmeno perché la notasse, la forma del suo naso, quando non sarebbe dovuto importargliene niente, e in quei momenti sentiva le mani sudate come non mai.
Non capiva o si rifiutava di capire, perché l'unica risposta a tutto ciò era che gli piacesse quello che era ormai diventato il suo migliore amico. Elias. Un ragazzo.
Ci mancò poco che si mettesse a sbattere la testa contro la maiolica della stufa, anche se stava iniziando a scottare.
- Fatto – fece Elias, riscuotendolo dalle sue preoccupazioni – La tua giacca è a posto, vieni -.
Si alzò e uscì dalla stanza, seguito da Rod che, lasciate le sue elucubrazioni, si sentì nuovamente incuriosito dalla vita di quella strana famiglia.
- Senti, ma... tua madre dov'è? -.
- Mia madre? - domandò l'altro, sorpreso.
- Sì... com'è che sai usare ago e filo? Non lo fa lei? -.
Eliza scosse la testa.
- A dire il vero non ne ho idea, ma in ogni caso non è qui -.
- Vuoi dire che è... -.
- No, non è morta – lo anticipò lei – Se n'è andata anni fa. Lei e mio padre hanno divorziato, o almeno credo. Sai, non me lo ricordo molto bene, ero piccolo... ma da allora ho imparato ad arrangiarmi -.
Nel frattempo erano tornati in cucina, dove Rod si rimise addosso la giacca.
- E tuo padre? - domandò poi, osservando per la prima volta i punti minuti e precisi con cui erano stati riattaccati i bottoni.
- Lui studia -.
- Non lavora? - chiese Rod senza peli sulla lingua, sorpreso.
- Lo studio è un lavoro – replicò l'altro, serio.
- Sì, ma... - forse era il caso che stesse zitto. Elias gli aveva appena risistemato la giacca- salvandolo dalle punizioni di sua madre-, mentre lui aveva solamente rischiato di ingolfargli la stufa – Hai ragione -.
- Bene, usciamo? - propose Elias, dando un'occhiata alla luce calante del pomeriggio – Devo andare a comprare della farina e un po' di mandorle, vieni con me? -.


Circa una settimana dopo Rod si presentò a casa Hochwald subito dopo la scuola, giusto mentre Elias finiva di sparecchiare dopo il pranzo. Non gli sembrava più tanto strano che il suo amico si occupasse di certe faccende: capiva bene che, senza sua madre, parecchi compiti ricadessero su di lui.
- Devo dirti un segreto – gli rivelò.
- Un segreto? - fece l'altro.
Rod annuì:
- Vieni con me -.
Uscirono in strada e, dopo qualche vicolo, Elias si ritrovò in una via poco affollata che non conosceva. Rod fece ancora qualche passo, per poi fermarsi davanti alla bottega di un orologiaio.
- È tuo cognato? - domandò Eliza, anche se non ne era sicura: il nome sull'insegna diceva “Von Armstark”, ma le sembrava che Rod una volta le avesse detto un cognome diverso...
- No, lui vive e lavora in un altro quartiere – rispose infatti l'altro – Vieni -.
Aprì la porta del negozio, facendo suonare il campanello posto sopra lo stipite, ed entrò prima che Eliza potesse dirgli qualcosa. Lei non ebbe quindi altra scelta che seguirlo, come sempre.
- Sono io, signore! - fece Rod, perfettamente a suo agio in quel posto.
Era una bottega poco illuminata ma accogliente, anche se c'era un po' di confusione: diversi orologi a pendolo tappezzavano le pareti, per non parlare degli orologi da tavolo, intarsiati o meno, che riempivano gli scaffali.
- Ah, Roderich! Vieni, vieni! - rispose una voce sconosciuta ma profonda dall'angolo più remoto del locale.
Rod si voltò verso Elias, facendogli cenno di seguirlo, e si inoltrò in quello che doveva essere il retrobottega. Nell'andargli dietro, Eliza poté notare su un tavolo diversi oggetti che non sembravano semplicemente degli orologi, anche se avevano un quadrante e delle lancette: erano delle forme più diverse, andavano dalla giostra alla carrozza, dal cavallo bianco a...
- Eccoti qui! Mi stavo chiedendo quando saresti venuto! - tuonò la voce possente di prima, ora molto più forte. Eliza vide che apparteneva ad un vero e proprio armadio umano, come non ne aveva mai visti: un uomo enorme, sulla cinquantina, che sembrava riempire l'intero e angusto spazio del retrobottega.
Rod lo salutò cordialmente, per poi presentare il suo accompagnatore:
- Lui è il mio amico Elias -.
L'uomo squadrò l'amico un po' perplesso, ma alla fine sorrise divertito, porgendogli una mano grande quanto un badile:
- È un piacere. Alexander Ludwig von Armstark, per servirti -.
I folti  mustacchi biondi sembrarono inarcarsi verso l'alto, mentre sorrideva, ed Eliza sorrise a sua volta mentre ricambiava la stretta. Davvero un bel posto e un signore simpatico, ma...
- Quale sarebbe il segreto di cui parlavi? - chiese, rivolta a Rod.
- Oh, vedo che l'hai rivelato a qualcuno! - tuonò Von Armstark – Dev'essere un tipo fidato, questo Elias -.
Mise un po' troppa enfasi sul suo nome, ma non commentò ulteriormente, cosa di cui Eliza fu grata.
- Beh, hai visto la bottega, no? - fece Rod – Cosa c'era? -.
- Orologi – rispose lei.
- Non solo -.
- Oh, ma forse non ha fatto in tempo a... - stava per intervenire Von Armstark, ma Eliza lo precedette:
- Erano... carillon? - tentò, intuendo in quel momento cosa fossero quegli orologi dalle forme così particolari.
- Esatto – annuì Rod, per poi rivolgersi all'uomo: - È come un falco, non gli sfugge mai niente -.
- Ho notato – convenne l'orologiaio, con uno sguardo di apprezzamento a Eliza.
- E il segreto quale sarebbe? - insistette lei. Poteva anche avere l'occhio di un falco, ma non aveva ancora imparato a leggere nel pensiero.
- Che il signor Von Armstark ha promesso di insegnarmi a costruirli – rivelò finalmente Rod, con malcelata soddisfazione.
No, adesso che le sfuggiva qualcosa.
- Gli orologi? O i... -.
- Carillon. No, niente orologi – precisò Rod.
Eliza dovette fare una faccia decisamente perplessa, perché Von Armstark scoppiò a ridere: una risata che sembrò far tremare l'intera bottega, e poco mancò che i cucù uscissero dai loro rifugi e le sveglie si mettessero a suonare.
- Beh? Cos'è quella faccia? - chiese Rod al suo amico.
- È che... non sembri il tipo – rispose diplomaticamente Eliza.
- È quello che gli ho detto anch'io – le diede ragione Von Armstark – Ma a quanto sembra le apparenze ci hanno ingannato ancora una volta! -.     
- Ma... perché vorresti imparare a costruire carillon? - chiese Eliza, ancora poco convinta.
Rod scrollò le spalle.
- Perché mi piace – rispose semplicemente – Non è una ragione sufficiente? -.
In effetti per lui poteva anche esserla.
- E... perché sarebbe un segreto? - fece ancora Eliza.
Von Armstark scoppiò a ridere un'altra volta, e stavolta la sua risata sembrò l'ululato di un lupo.
Rod gli lanciò un'occhiata un po' seccata, ma non osò dire niente all'uomo che aveva accettato di prenderlo come “apprendista” a tempo perso, oltretutto gratuitamente.
- Beh... eviterei di dirlo a casa – rispose laconico. Non tanto per suo padre, ma se pensava a come avrebbe reagito sua madre... gli veniva il mal di pancia.
- Va bene – sorrise Eliza – Ho capito -.
Rod annuì, per poi guardare di sottecchi l'orologiaio, come a dire: “Ha visto?”.
- Vedo che te li scegli bene gli amici – approvò infatti Von Armstark, asciugandosi le lacrime provocate dalle risate – Mi fa piacere -.
- Quindi... adesso starai qui? - Eliza tirò fuori quelle parole a fatica, ma si costrinse a farlo.
- Come? -.
- Nel tuo tempo libero... immagino che sarai impegnato – accennò al tavolo, agli strumenti e a tutta la bottega attorno a loro - … no? -.
Dopo tutta la fatica che aveva fatto. Ma non importava.
- E io che pensavo che mi conoscessi bene – commentò inaspettatamente Rod – Credi che potrei rimanere concentrato su una cosa sola per tutto quel tempo? Per chi mi hai preso? -.
Eliza non osò credere alle proprie orecchie. Voleva dire che non sarebbe rimasta di nuovo sola?
- Devo anche giocare, io -.
Si ritrovò a sorridere di sollievo senza nemmeno rendersene conto. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse affezionata a quel ragazzo che non sembrava avere alcuna preoccupazione al mondo, a differenza di lei.
- Comunque sia, Roderich, in effetti ti servirebbe un posto dove tenere legno, metallo e strumenti, perlomeno quando avrai imparato un po' – intervenne Von Armstark – E se a casa non vuoi dire niente... -.
- Puoi tenerli da me – lo interruppe d'un tratto Eliza, e Rod le lanciò un'occhiata sorpresa.
- Come? Davvero? -.
- Certo. Hai visto, no, che mio padre sta sempre nella stessa camera? Non ci saranno problemi se usi un'altra stanza -.
- Sentito, Rod? Un laboratorio tutto per te! -.
- Beh... grazie – era la prima volta che gli vedeva un sorriso simile. Non beffardo, non ironico e nemmeno sarcastico: il sorriso della gratitudine, rivolto solamente a lei.
- Non c'è di che -.

Quando uscirono, a Eliza non sembrò vero che la sua recita avesse retto anche in quella situazione. Nel salutarli, il signor Von Armstark le aveva sorriso in modo quasi complice: aveva capito, eppure non aveva detto una parola. Quale adulto fa una cosa del genere?
- Bel tipo, non è vero? - fece Rod dopo un po' – Non lo direbbe nessuno che in realtà soffre parecchio -.
- E per cosa? -.
- Per una ferita al piede riportata in guerra da giovane (³): un colpo di spada, credo. È rimasto zoppo, e gli fa ancora parecchio male -.
- Non l'avrei mai detto, è così gioviale... - commentò Eliza – Senti, ma discende per caso da qualche famiglia nobile? Con un cognome del genere... -.
- Sì, mi pare che i suoi fossero dei baroni. Decaduti, però -.
- Caspita -.
- Tornando a noi, dicevi davvero? Mi lascerai usare una stanza di casa tua come... beh, chiamarlo “laboratorio” è un po' prematuro, ma... -.
- Certo che dicevo sul serio – fece Eliza.
- Già – Rod sembrò ricordarsi con chi stava parlando – Tu non scherzi mai -.
Ad Eliza quella sembrò più che altro un'accusa.
- Non è affatto vero -.
- Sì, invece -.
- No -.
- D'accordo, allora proviamo: fa' una battuta -.
- Una battuta? Adesso? -.
- No, domani! Certo che devi farla adesso: che ne so, una barzelletta, o un gioco di parole... io sono un asso in queste cose -.
- Forse perché sono le uniche cose che ti riescono – ipotizzò Eliza.
- Ecco, bravo: questa era una battuta -.
- Ma io parlavo seriamente -.
Rod si grattò la testa, arruffandosi la zazzera nera.
- Vabbè, lasciamo perdere. Piuttosto, devo ancora ringraziarti per la faccenda dei bottoni: grazie a te mi è andata bene, non oso nemmeno pensare alla punizione che mi sarei beccato altrimenti -.
- La sai una cosa? A dire il vero penso che non ti farebbe male essere punito, una volta ogni tanto -.
Rod le lanciò un'occhiata bieca.
- Spero che almeno questa sia una battuta -.
- Può darsi – rise Eliza.


In realtà Rod era molto più diligente di quanto lui stesso ammettesse, perlomeno finché una cosa lo appassionava sul serio. Si mise d'impegno a seguire le indicazioni del signor Von Armstark, passando da lui buona parte del suo tempo libero, ma senza dimenticare il suo amico. Portò legno e altri strumenti nella stanza che Eliza gli aveva consentito di usare, dove poteva lavorare indisturbato quanto voleva. All'inizio era un po' nervoso per la presenza, costante e silenziosa, del signor Hochwald al di là del corridoio, ma ci fece l'abitudine.
Più di una volta, se Elias non lo avesse avvertito in tempo, avrebbe perfino fatto tardi a cena.
Fu la mattina di un giorno festivo, mentre era impegnato con le delicate piastrine di un meccanismo, che Elias fece capolino dalla soglia per dirgli che si assentava un attimo. Lui annuì, concentrato sul proprio lavoro, e non lo sentì nemmeno quando chiuse la porta di casa, tallonato da Schwarz Hayah.
Ma dopo un po', forse appena una manciata di minuti più tardi, udì la voce di qualcuno: l'aveva sentita una sola volta, ma doveva essere per forza il padre di Elias che chiamava.
Pensò di andare a riferirgli che suo figlio non c'era, ma sarebbe tornato presto. Tuttavia, quanto fu nella stanza in cui quell'uomo se ne stava sommerso dai libri, capì che evidentemente il padre di Elias voleva che lui facesse qualcosa.
- Io... non parlo yiddish – tentò di spiegargli Rod, ma l'uomo continuò imperterrito ad esporgli la propria richiesta.
Ora, anche se Rod non sapeva una parola di quella lingua, era comunque dotato di un buon intuito e gli sembrò che le frase pronunciata dall'uomo fosse molto simile a quella che aveva rivolto ad Elias l'altra volta.
- La stufa? - chiese, accennando alla stanza accanto, e l'uomo annuì – Vuole che la accenda? -.
Altro cenno del capo.
- Beh... d'accordo -.
Uscì in corridoio con la sensazione di aver appena avuto una conversazione piuttosto surreale, ma perlomeno si erano capiti.
Entrò nella stanza con la stufa in maiolica, trovandosi di fronte a due casse diverse piene di legna. In fondo Elias gliel'aveva spiegato l'altra volta come fare, no?


Quando Eliza rientrò dalla sua commissione assieme a Schwarz Hayah, pensò che fosse scoppiato un incendio. Il corridoio era come immerso in una strana foschia un po' puzzolente, che le pizzicava il naso.
- Ma cosa...? - prima di andare ad avvertire suo padre, però, volle sincerarsi di cosa stesse veramente accadendo, e cercò di capire da dove venisse tutto quel fumo.
Dalla stanza con la stufa in maiolica.

- Senti, me l'ha chiesto tuo padre! - protestò Rod quando Elias piombò nella stanza, tossendo per tutto il fumo che c'era.
- Ma se non parli nemmeno yiddish! -.
- Ci siamo capiti lo stesso – assicurò Rod, chiedendosi cosa diavolo fosse andato storto questa volta.
- Ma che legna hai usato? - domandò Eliza.
- Questa – rispose Rod, indicando la cassa da cui aveva attinto.
- Non ti sei accorto che era umida? - fece lei, allibita.
- Ma il fuoco asciuga, no? -.
- Per accenderlo serve legna secca. Era nell'altra cassa! Ecco perché c'è tutto questo fumo! - Eliza corse ad aprire una finestra, anche se ci sarebbe voluto un bel po' per far tornare quella stanza alla normalità.
Poi si dedicò finalmente alla stufa, cercando di respirare il meno possibile e tentando di soffocare con la cenere le poche fiammelle che avevano attecchito sul legno umido.
Tossendo e con le lacrime agli occhi, Eliza riuscì infine a spegnere tutto, lasciandosi poi cadere col sedere a terra. Vide Rod accanto a sé, sporco del pulviscolo di quel fumo nero quanto lei, entrambi col fiato corto.
Si guardarono per un istante, mezzi straniti, e prima di rendersene conto scoppiarono a ridere, con la tosse che si mescolava alle risate. Avrebbe dovuto dirgliene quattro, ma per la prima volta in vita sua si ritrovò a ridere talmente forte che dovette tenersi la pancia perché le faceva quasi male.
Sentiva la gola e il naso bruciare per il fumo respirato, e si rese conto in quel momento che, se qualche mese prima non avesse visto un certo cagnolino per la strada, non si sarebbe mai ritrovata a ridere così.
Rod, dal canto suo, era ben lungi dal sentirsi in colpa per l'ennesima sconfitta subita dalla stufa. Pur ridendo a crepapelle, era totalmente perso a guardare lo spettacolo più unico che raro di Elias che si sbellicava dalle risate, e in quel momento non poté fare a meno di pensare che fosse estremamente... carino. Anche con i capelli biondi sbiaditi dalla cenere, anche se gli colava un po' il naso per tutto il fumo respirato.
E prima che potesse rendersi conto di cosa stava facendo, si sporse e appoggiò le labbra sulle sue, premendo un po'. Avevano un sapore e un odore terribili, ma a dire il vero Rod non riusciva a capire se quelle che sapevano di bruciato e di cenere fossero le labbra che stava baciando o le proprie. Erano anche leggermente screpolate, ma gli piacquero enormemente. Gli piacquero così tanto che, quando venne colpito con violenza sull'orecchio, per un momento non capì cos'era successo.
- Ehi, che ti prende? - domandò stordito, tenendosi con una mano l'orecchio che ronzava.
- A me? - rispose Eliza con voce gutturale, le cui guance sporche di cenere si erano colorate di rosso acceso. Quel colore ardente sotto il grigio sporco le faceva sembrare quasi due pezzi di brace – Sei impazzito? -.
In effetti era una domanda più che legittima, ma Rod si indispettì per quella reazione che trovava un pochino esagerata.
- Datti una calmata, non è successo niente -.
Fino a quel momento non aveva mai visto Elias arrabbiarsi sul serio, ma ebbe abbastanza buon senso da capire che era appena successo.
- Stupido. Sei solo uno stupido -.
- Senti, mi dispiace per la stufa... -.
- Non è la stufa il problema! - gridò Eliza con veemenza.
- Ehi, abbassa un po' i toni! Da quando hai una voce così acuta? -.
- Da sempre! -.
- Beh, se è così non me n'ero mai accorto! - ribatté lui.
- Non è colpa mia se non ci senti... - Eliza abbassò notevolmente la voce, quasi in un sussurro - … e nemmeno ci vedi -.
- Cosa vorresti dire, scusa? -.
Eliza stava per replicare qualcosa, quando sentì suo padre chiamarla e dirle di smetterla con quella baraonda. Rod ovviamente non comprese una parola, ma aveva abbastanza orecchio da intuire quando un adulto lo stesse sgridando.
Senza dire niente si alzò e andò nella stanza che usava come “laboratorio”, dove raccattò tutto quello che riuscì a tenere in mano, legno e strumenti compresi. Poi si diresse deciso verso l'uscita, senza salutare e lanciando solo una breve occhiata a Schwarz Hayah, che gli uggiolò dietro finché non si fu chiuso la pesante porta alle spalle.


Rod aveva sempre saputo di essere un tipo terribilmente ostinato, ma non pensava che Elias lo fosse altrettanto. Dopo una settimana era anche disposto a dimenticare ogni cosa, preferendo sorvolare sul bacio che aveva dato al suo migliore amico. Era più importante che si facesse vivo.
Aspettò e aspettò, innervosendosi tanto che accettò addirittura di fare una commissione per sua madre: pensò che magari, sulla via del ritorno, poteva anche fare un salto a casa di Elias. Era stufo di aspettare i suoi comodi.
Mentre la moglie del macellaio pesava la carne che le aveva chiesto, la sentì attaccare bottone come al solito. Ma lui non era sua madre, e non aveva alcuna intenzione di prestare orecchio ai suoi sciocchi pettegolezzi; non ne aveva alcuna intenzione finché non la udì pronunciare chiaramente il nome “Hochwald”.
- Eh, è un vero peccato... soprattutto per quella povera bambina... -.
- Scusi, come ha detto? -.
- Hochwald – ripeté la donna – Di certo non lo conoscevi: quell'uomo era sempre rintanato in casa, non doveva starci molto con la testa... -.
- Perché “stava”? -.
La donna terminò di pesargli la carne, cominciando ad avvolgerla nella carta.
- È morto qualche giorno fa- riposi in pace- ma in circostanze piuttosto misteriose... - si interruppe, forse ricordandosi che stava parlando con un ragazzino.
- E suo figlio? - chiese subito Rod, non credendo alle proprie orecchie: il signor Hochwald era morto? Com'era possibile?
- Quale figlio? - domandò la donna, sbattendo i piccoli occhietti miopi – Hochwald aveva solo una bambina, che a quanto so è stata mandata a vivere da alcuni parenti in campagna, fuori Berlino... -.
Gli disse il prezzo da pagare, mentre Rod la guardava stranito: quella donna era sempre stata un po' svampita, ma ora pensò che dovesse seriamente avere una rotella fuori posto. Come si poteva scambiare Elias per una femmina?
Tuttavia, in quanto a notizie, era più affidabile del principale quotidiano di Berlino. Pagò e prese la sua carne, uscendo da quel negozio il più in fretta possibile.
Percorse il resto della strada quasi correndo, infischiandosene del fatto che sua madre gli aveva detto di tornare subito a casa. Quando arrivò davanti alla porta degli Hochwald aveva ormai il fiatone, ma non gli importava. Provò a bussare; non gli aprì nessuno. Gli scuri delle finestre erano serrati, e il batacchio della porta rimbombava a vuoto.
- Ehi, ragazzo! Falla finita, lì non ci abita più nessuno! -.
Fu un passante occasionale a lanciargli quella voce, un tizio che nemmeno conosceva. Era così, dunque: suo padre era morto ed Elias se n'era andato. Se n'era andato probabilmente assieme a Schwarz Hayah, senza dirgli niente.
Diede un ultimo colpo al batacchio, sbattendolo talmente forte che sperò di aver lasciato un solco nel legno della porta.
Se ne andò infine per la sua strada, voltandosi di tanto in tanto verso quella casa ormai vuota, calciando rabbioso ogni singolo sasso che trovò.






(¹) Kippah: copricapo ebraico simile a uno zucchetto
Talled: scialle ebraico sfrangiato, in tessuto bianco con fasce più scure
(²) Lingua germanica con contaminazioni slave, parlata soprattutto dagli ebrei dell'Europa orientale
(³) La guerra franco-prussiana (1870-1871)



Avete notato il piccolo riferimento ad un certo colonnello che non può usare la sua alchimia nei giorni di pioggia ma- accidenti!- ogni tanto se ne scorda?
Anche la battuta “Penso che non ti farebbe male essere punito, una volta ogni tanto” l'ho presa da una puntata dell'anime. Inoltre spero che abbiate apprezzato l'entrata in scena di un altro personaggio di nostra conoscenza. ^^
Vi avverto già che tra questo e il prossimo capitolo c'è uno scarto di diversi anni... tanto per attutire un po' la sorpresa.


Rispondendo alle recensioni:
Shatzy: spero che questa storia sia all'altezza delle tue aspettative, perché so quanto tieni al Roy/Ai... comunque no, non ho letto il manga né visto la serie Brotherhood. Magari prima o poi lo farò, è che devo prima fare pace con la grafica: non so, mi sembra che quella della seconda serie l'abbiano fatta "al risparmio". Una volta mi sono imbattuta in un episodio, durante un combattimento, e devo dire che rispetto ai movimenti, alle inquadrature della prima serie faceva un po' pena: se mi metto a paragonarle, mi viene da piangere. Mi sa che a questo punto faccio prima a leggere il manga.
Per quanto riguarda “Regentage”: sono contenta che sia passato il fatto che i due fratelli devono ormai iniziare a considerare questo mondo come il proprio. È un percorso lento, ma inevitabile. La coppia... oh, lo so che è strana; l'ho fatto apposta. ^^ Eppure, man mano che ne scrivevo, mi piacevano sempre di più: ha quel non so che di “risarcimento” per qualcosa che si è perduto, ma incredibilmente beffardo, come è sempre stato il destino con Ed e Al. Comunque ho intenzione di scriverne ancora, e non è detto che a tutti piaccia, tranquilla.
Per l'OOC di questa storia... boh, io aspetterei: se alla fine sarai ancora dell'idea di toglierlo, sarò pronta ad obbedire! ^^
MusaTalia: eh già, "galeotto fu il cane"! La madre di Rod ti sembrerà forse una terrorista, ma riguardando un po' la prima serie di FMA ogni tanto mi imbattevo nei siparietti comici fra Ed e Mustang, così mi son detta: "Visto che il colonnello ha fatto tanto penare Ed, diamogli una madre che faccia penare lui!". Vedi, si tratta di scambio equivalente anche qui. ù_ù
Il finale di questo capitolo sembra lasci forse le cose un po' in sospeso, ma non temere: si rivedranno presto (ovviamente, perché se no la storia non va avanti).
Rain e Ren: sì, hai proprio ragione: ci vogliono la sottigliezza e l'acume di Eliza per completare alla perfezione il carattere impetuoso di Rod. Mi piace il termine “stramba” amicizia, perché in effetti è proprio quello che è; eppure è dalle “stramberie” che arrivano le cose migliori.
Sono davvero contenta che il primo capitolo ti sia piaciuto! ^^ Spero di essere all'altezza di questa storia, e vedrai che la scoperta della vera natura di Eliza sarà piuttosto... improvvisa. ^^
   
 
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