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Autore: _Fedra_    25/02/2011    1 recensioni
Qualcosa di strano sta accadendo nella vita di Cate Mantis, da una misteriosa bambina che sembra provenire direttamente da un altro mondo a un'inquietante signora bianca che afferma di conoscere molte cose su di lei. Tutto ciò l'avvicina sempre più al mondo di Narnia, una dimensione parallela nella quale ella virà la più grande avventura della sua vita, insieme a un amico decisamente inaspettato! p.s. questa fanfiction è stata tradotta in inglese sul sito Fanfiction.net con il titolo "The last passsage".
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edmund Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The passage'
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 Fu quando alzai lo sguardo e vidi le lunghe ombre bluastre allungarsi sui prati che capii che stava scendendo la sera e che era giunto il momento di rientrare, cosa che sinceramente non mi andava affatto. Mi alzai di malavoglia e ciondolai verso l’accampamento che sorgeva alle mie spalle, sotto il cielo ormai di un azzurro cupo, privo di sole. Il buon odore di zuppa messa sul fuoco e carne alla griglia mi venne dolcemente incontro, consolando la mia malinconia con la prospettiva di una cena deliziosa. Stavo già pregustando le dolcezze della buona cucina narniana, quando una figuretta grassoccia vestita di azzurro mi corse incontro dalle prime tende, urlando di gioia e tuffandosi tra le mie braccia con una forza impensabile per una bambina così piccola.
 

“Cate!” gridò Lucy. “Oh, Cate, sapessi cos’è successo! Non ti hanno attaccata i lupi, vero?”.
“I lupi? Lucy, di che cosa stai parlando?”.
“Mentre eri via, io e Susan siamo state aggredite da due lupi che ci stavano seguendo da giorni! Per fortuna è arrivato Peter e ci ha salvate!” spiegò la bambina a velocità record, lasciandomi a un tempo sorpresa e spaventata. “Ma ora stiamo tutti bene. Anzi, la sai la novità? Edmund è tornato!”.
Fui immediatamente presa da una sensazione sgradevole. “Edmund…?” balbettai ancora più allibita.
“E’ qui!” strillò Lucy allargando ancora di più il suo sorrisone. “I soldati di Aslan hanno seguito uno dei lupi e l’hanno trovato!”.
“Ah”. Si vedeva proprio che sprizzavo entusiasmo da tutti i pori.
“Non vieni a salutarlo?”.
Ecco, me l’aspettavo una simile domanda. Col cavolo che ci sarei andata!
“Mi dispiace, Lu,” mi scusai facendo le spallucce “ma non credo di sentirmi molto bene. E’ stata una giornata molto lunga e sono a dir poco travolta. Non credo farei una buona impressione a tutti voi e non sono in vena di figuracce, così conciata. Magari domattina, va bene?”.
Lucy assunse un’aria profondamente implorante, spalancando i suoi enormi occhioni azzurri proprio come il Gatto con gli Stivali, in un modo che avrebbe intenerito persino la Strega Bianca, ma non me! Povera Lu, ma cosa potevo farci io se aveva un fratello così odioso.
“Scusami, tesoro” ripetei dolcemente, stampandole un bacio sulla nuca. “Davvero, sto poco bene”.
“Domani verrai, non è vero?” mi implorò la bambina.
“Domani” risposi io, sperando che ciò bastasse a tenerla buona almeno per la nottata.
La mia risposta sembrò sortire l’effetto desiderato, perché la piccola accennò a esultare, gridando: “Allora buonanotte, Cate!” e correndo via, verso il resto dell’accampamento.
“Buonanotte, Lucy” risposi io in tono tutt’altro che convincente, avviandomi poi verso la mia tenda, anche se in quel momento avrei preferito di gran lunga pernottare in un dormitorio comune. C’era poco da stare tranquilli, con un criminale del genere in libera uscita per il campo!
 
Quella notte, dormii tre ore scarse, la spada stretta convulsamente al petto e una candela rigorosamente accesa, rischiando di mandare a fuoco tutto alla mia minima distrazione, ma non volevo dare al nemico la soddisfazione di sorprendermi nel sonno. Non mi preoccupavo tanto di quell’essere spregevole di Edmund Pevensie, che secondo me sapeva sì e no camminare autonomamente (oltre che a mangiare), ma dei suoi amichetti là fuori. Possibile che se lo fossero lasciati sfuggire così facilmente? E se fosse stata una trappola e quell’idiota li avesse condotti fino al campo? In tal caso, bel macello per noi e soluzione di tutti i problemi da parte del nemico. Cercai disperatamente di non pensare a quella simpatica prospettiva, stringendo ancora più forte la spada a me. Avrei venduto cara la pelle, questo era più che certo! Altro che femminuccia da quattro soldi! Finalmente, il sonno pose definitivamente fine alle mie spaventose fantasie, coronandosi di incubi che mi tennero così impegnata, che neanche le cannonate sarebbero state in grado di svegliarmi.
 
Il mattino seguente mi svegliai decisamente tardi per i miei gusti, quando il sole era già alto da un pezzo e la temperatura si era fatta calda e accogliente. Mi tirai su a sedere con la testa che mi pulsava dolorosamente, rivestendomi distrattamente e legandomi i capelli castani in un coda bassa, poi uscii dalla tenda, avviandomi al rigagnolo d’acqua che scorreva poco lontano per lavarmi il viso e le labbra secche. Il piacere delle fredde goccioline d’acqua mi allontanò momentaneamente dalle mie preoccupazioni, fino a quando non alzai involontariamente il capo verso la cima della collina. Soffocai a fatica un gemito. Lui era là, davanti ad Aslan, un’aria remissiva e innocente che sembrava miracolosamente pervaderlo da capo a piedi, come un ragazzino troppo cresciuto che sta ricevendo la ramanzina da un genitore. Soffocai a fatica l’istinto di andare fin lassù per riempirlo di botte e mi voltai di scatto, avviandomi a grandi passi nella mia tenda, decisa a non uscirvi più per nessuna ragione. Non so per quanto tempo rimasi lì dentro a rimuginare pensieri omicidi, più simile a una pentola a pressione che a una ragazzina di quattordici anni; l’unica cosa certa era che la cosa non durò meno di un paio d’ore, fino a quando un rumore di passi timidi e impacciati sopraggiunse dinanzi alla tenda, scostando il drappo che fungeva da porta senza stare a fare troppo cerimonie.
Saltai su come se fosse appena entrato un serpente velenoso, stringendo convulsamente la spada nella mano destra.
Edmund Pevensie mi lanciò un sorriso carico di imbarazzo, scostandosi nervosamente un ciuffo di capelli neri dalla faccia. “Ehm, ciao” mi salutò, le mani nelle tasche e l’aria colpevole.
Io gli lanciai un’occhiata carica di tutto l’odio che avevo in corpo. Non riuscivo a credere che un ragazzo della mia età sapesse comportarsi da bambino di cinque anni in quel modo così patetico. “Ciao” risposi con freddezza.
“Temo che chiederti scusa non basta, vero?”.
“Infatti no”.
Cadde un silenzio imbarazzato, in cui nessuno di noi sembrava voler parlare, entrambi incapaci di trovare un modo per cominciare e sciogliere definitivamente quella tensione carica d’imbarazzo che era calata fra di noi.
“Mi dispiace” disse a un certo punto Edmund.
Fu sufficiente per farmi esplodere. “Mi dispiace?” sbottai. “MI DISPIACE? Prima fai in modo di farmi ammazzare da quella matta psicolabile e poi te ne esci con mi dispiace? Ma hai la minima idea di quello che hai fatto, piccolo bugiardo? Giocare in questo modo con la vita di una persona che si era mostrata gentile con te, che aveva cercato di aiutarti anche se eri stato tu stesso a dirmi di non farlo, perché credevo di aver visto nei tuoi occhi qualcosa che non c’era, ma nonostante tutto io mi fidavo di te, ti consideravo un amico! E tu? Mi hai tradita come se niente fosse! Devi solo vergognarti, sei un mostro!”.
“Hai ragione ad arrabbiarti, scusa” borbottò il ragazzo, lo sguardo basso e le mani affondate nelle tasche. “Ma non avevo altra scelta” aggiunse poi, sollevando improvvisamente gli occhi su di me. Soffocai a stento un sussulto. “Se non l’avessi fermata, la Strega Bianca ti avrebbe trasformata in una statua, come fa sempre con i suoi prigionieri. Credimi, ha tentato di farlo anche con me, la notte scorsa. Se invece fossi caduta di sotto…beh, ammetto che non è stato proprio il modo migliore per mandarti via, ma avevo visto da tempo gli arbusti e sapevo che avrebbero attutito il colpo”.
“E perché loro non se ne sono accorti, me lo spieghi?”.
“I nostri nemici sono tipi pratici e in quel momento pensavano solo a farti fuori. Spero solo che non ti sia fata troppo male, ma ribadisco che come statua saresti decisamente peggio”.
Mi sentii avvampare, fissandolo con un’espressione indecifrabile. Non riuscivo a credere a una parola di quello che stava dicendo. Lui che salvava me?
“Non riesco a fidarmi di te” risposi schiettamente.
Edmund accennò a un gesto che pareva di assenso. “Posso capirlo. Neanch’io lo farei,, fossi in te” disse piano. Incredibile a dirsi, ma sembrava davvero dispiaciuto.
“Perché sei tornato?” domandai.
“Non è stata una mia scelta. Sono stato salvato. Penso sia stato un miracolo giunto proprio all’ultimo istante, perché quando sono entrati nell’accampamento mi stavano uccidendo”.
“Cosa? Dopo che gli hai fatto un favore?” chiesi in tono sarcastico.
Edmund fece una smorfia. “Con i miei fratelli al campo di Aslan, l’unico modo per impedire alla profezia di avverarsi è evitare che si congiungano tutti e quattro” rispose amareggiato. “Così aveva mandato il suo nano a tagliarmi la gola, mentre lei progettava di attaccare voi una volta sbarazzatasi di me”.
Notai il taglio che aveva sul labbro, segno tangibile della colluttazione. Rabbrividii involontariamente.
“Dunque te la sei vista brutta” commentai acida.
“Diciamo che non vado matto per i palazzi di ghiaccio e le donne che si divertono a pietrificare la gente, no” rispose il ragazzo.
“E Aslan cosa dice?”.
“Dice che non potevo farci nulla. E’ stata un’esperienza che mi ha aiutato a diventare forte. Così la prossima volta starò più attento a non ferire chi mi sta intorno. Magari sono persone che mi vogliono davvero bene”.
Quella frase mi fece sorridere involontariamente. Eccola di nuovo, quella luce che per un attimo mi era sembrato di scorgere nei suoi occhi neri la notte in cui ci eravamo incontrati.
“Io non te ne voglio neanche un po’, sappilo” lo presi in  giro.
“Peccato” rispose lui fingendosi offeso. “Per un attimo avevo pensato che potessimo diventare buoni amici”.
Io scoppiai a ridere di gusto. “Beh, potremmo sempre diventarlo, no?” dissi senza più un briciolo di rabbia nella voce.
Mi chinai accanto al mio giaciglio ed estrassi un paio di fette di pane e la marmellata che mi aveva portato la Signora Castoro la sera prima, nascoste nella bisaccia.
“Tieni” dissi, offrendogliele. “Non è molto come pasto, ma non ho niente di meglio da offrire a un estraneo che si intrufola nella mia tenda senza permesso”.
Edmund mi ringraziò sorridendo e afferrò la sua fetta di pane, addentandola con l’aria di uno che non mangia da giorni.
“Credo che la mia cucina sia leggermente migliore di quella della Strega Bianca” commentai mordendo la mia razione.
“Decisamente” fece eco Edmund con la bocca piena.
Scoppiai a ridere ancora una volta, quella vista era troppo buffa. “Spero che almeno la marmellata ti faccia diventare più buono” commentai.
“Ma io sono buono! Ma nessuno mi dà mai l’occasione per dimostrarlo! Sono tutti troppo impegnati a darmi dello stupido!” si difese il ragazzo inarcando le sopracciglia nere, subito sulla difensiva.
“Io non credo che sei stupido” mi affrettai a precisare. “Ti capisco, Ed. Tu non sai quanto”.
“Anche tu hai dei fratelli che ti considerano una superficiale?” domandò Edmund facendosi interessato.
“Solo un fratello più piccolo. Ma lui, come del resto i miei genitori, non sono quasi mai a casa. Non parlo con nessuno e quel poco che ci vediamo lo passo a sentirli parlare di quello che fanno e non fanno, ignorando praticamente tutto della mia vita, eccetto le cose che non vanno, quelle si ricordano sempre di rinfacciarmele”.
“Sei una ragazza molto sola, quindi”.
“Sì. In una grande città, non c’è molto spazio per le persone piccole come me”.
 “Capisco” annuì Edmund. “Neanch’io frequento molte persone. Anzi, a dire il vero, neanche una”.
“Perché?”.
“Semplicemente non le trovo interessanti” fu la semplice risposta.
Scossi il capo divertita. “Non credo che il mio tempo ti piacerebbe” scherzai.
“Perché? Io penso che un’era valga l’altra” commentò il ragazzo. “Basta che ci siano sempre buone cose da mangiare, naturalmente”.
“Oh, beh, di certo a Roma non muori di fame”.
E cominciai a fargli una rapida panoramica dei posti che avevo scoperto in centro negli ultimi mesi, quando faceva freddo e non mi andava di rifugiarmi nella mia grande casa gelida, attratta dal buon profumo di pane e pizza appena sfornati che fuoriuscivano dai negozi delle strette viuzze del ghetto, mescolandosi con l’odore umido della pioggia in un unico, inebriante elisir di lunga vita fra dolci e focacce. Inutile dire che in meno di cinque minuti Edmund mi implorò letteralmente in ginocchio di portarlo a Roma un giorno di questi. Io gli risposi che, se solo fosse stato possibile, ce lo avrei portato anche subito.
Una volta finita la colazione, decidemmo di fare un giro fuori. La giornata era particolarmente calda e il sole picchiava forte sulla testa.
“Era ora che l’inverno finisse” commentai mentre avanzavamo verso la vallata che mi aveva vista così triste il giorno precedente.
“Da me era estate” disse il ragazzo.
“A Roma, invece, era quasi Natale” risposi io.
“Sai, io credo che non sia così impossibile vincere la Strega” aggiunse lui con decisione. “Insomma, ho avvertito una certa differenza fra lei e Aslan. E’ come se Aslan fosse…la cosa giusta, ecco la prima cosa che ho pensato quando mi sono trovato per la prima volta di fronte a lui. E’strano, è come se tutto fosse parte di lui in questo mondo, come se la vita di Narnia partisse direttamente dentro di lui”.
“Ma tu sai chi è Aslan?” domandai a quel punto.
Edmund alzò le spalle. “Sinceramente non lo so” rispose. “E’ qualcosa che non riesco a definire”.
“Tu hai paura?”.
“Un po’. Ma non vi abbandonerò, stai tranquilla. Sono pur sempre un principe!”.
“Ehi, non montarti tanto la testa con questa storia dell’eroe” lo canzonai io.
“Ma sul serio!” si schermì il ragazzo. “Peter da solo non basterà mai a proteggere Susan, Lucy…e te, naturalmente!”.
Io arrossii violentemente. “Guarda che so benissimo cavarmela da sola!” protestai. “Pensavo ci fossi arrivato da solo!”.
“Ma sei pur sempre una donna!” si difese Edmund.
Io feci una smorfia furbetta. “Mai sottovalutare l’avversario”.
Detto questo, raccolsi un lungo ramo da terra e lo spezzai in due, gettando l’altra estremità al ragazzo.
“In guardia!” esclamai in tono di sfida.
“Non farmi ridere! Questa non è roba da femmine!” disse Edmund perplesso.
“Guarda che il mio mito è Zorro! Oh, dimenticavo, tu non hai la minima idea di chi sia, ma comunque non è un tipo che passa i pomeriggi a sorseggiare tè nel suo salotto!”.
“Ma…”.
“Che fai? Paura?”.
Ecco, avevo colto nel segno.
“Poi non dire che ti ho fatto male” disse il ragazzo un attimo prima di gettarsi contro di me e di incrociare i nostri bastoni come se fossero spade.
Ammetto che all’epoca la nostra scherma era decisamente rudimentale, più simile a quella che ci immaginavamo dai libri e dai film che più amavamo, ma ciò non offuscava affatto il nostro entusiasmo, sfidandoci a vicenda con una tenacia e coraggio che avrebbero lasciato perplesso Jack Sparrow in persona. Alla fine, Edmund riuscì a spezzare in due il mio bastone, puntandomi il suo fra le scapole.
“Allora, ti arrendi?” domandò, pregustando la vittoria.
“Col cavolo!” risposi io, prendendo a fargli il solletico alla pancia a tradimento.
Edmund soffocò a stento una risata e mi strappò con un solo gesto il laccio che mi legava i capelli, facendomeli ricadere disordinatamente sulle spalle e scompigliandomeli tutti con la mano libera. Io urlai e mi lanciai al suo inseguimento per i prati, cercando di farmi restituire il laccetto che teneva apposta fuori dalla mia portata, scatenando una lotta furibonda che lasciò decisamente perplessi tutti quelli che ci stavano a osservare in lontananza, ormai convinti che la nostra salute mentale fosse completamente andata. Infine, ci accasciammo stravolti sul prato, io che stringevo trionfante il mio laccetto nel palmo della mano, ovviamente senza dare accenno a smettere di ridere.
“Sai, tu mi sorprendi ogni minuto di più!” commentò a un certo punto Edmund. “Non pensavo che voi femmine foste così incredibili!”.
“Ma noi lo siamo!” risposi io, lasciandomi accarezzare dalla luce del sole.
“Mah, non è che abbia incontrato delle grandi cime fra di voi” proseguì lui risoluto. “Di solito, quelle come te pensano solo al trucco e al vestito bello, ai party e agli uomini danarosi, con l’unica prospettiva di mettere su una famiglia di ragazzini pestiferi e urlanti…”.
“Guarda che il discorso è lo stesso che facevi prima riguardo i tuoi fratelli” lo corressi io. “Noi donne non siamo tutte stupide o frivole, ma per colpa dei pregiudizi di voi uomini siamo state costrette a diventarlo. Ma ti assicuro che ogni donna al mondo darebbe chissà che cosa per essere considerata qualcosa di più, perché lo siamo e io te l’ho appena dimostrato. Non è così, Edmund?”.
Il ragazzo fece una smorfia, lanciandomi una lunga occhiata che lasciava trapelare perfettamente che, nonostante non lo avrebbe mai ammesso, in cuor suo ammetteva che avevo ragione. Sorrisi tra me e me, divertendomi a osservare il sole che giocava sul suo viso, colorandogli appena il lungo naso diafano cosparso di efelidi e dorandogli i ciuffi di capelli neri e i profondi occhi vispi. Era bello sapere che sapeva anche sorridere. Ed era ancora più bello sapere che non era un ragazzo cattivo.
“Sai una cosa? Basta che non ti arrabbi” mi domandò a un certo punto mentre prendevamo la tintarella distesi sul prato.
“Dimmi, Ed” lo esortai io.
“Potresti ripetermi il tuo nome? Non riesco proprio a ricordarlo...”.
 
 
 Ma buonasera!
Piaciuta la sorpresa? Oggi proprio non riuscivo a studiare, quindi ho pensato bene di scrivere questo capitolo che sto attendendo con ansia quanto voi (immagino già l'urlodi trionfo di La_la nel leggere questo capitolo ^^).

Dunque, finalmente il nostro "eroe" è tornato al campo e ha fatto pace con Cate. E, nonostante io qui sia di tutt'altro umore, posso dire di essere riuscita a scrivere comunque una scena abbastanza tenera, che penso abbia portato il buon umore generale.

Spero che le vostre attese siano state soddisfatte!! :)

Con un caloroso bentornato a Edmund, me ne ritorno quindi a studiare, pronta a regfalarvi presto un altro capitolo (Avvertenze: premunirsi contro la Befana per la settimana prossima, in particolar modo nel finesettimana).

Un bacio a tutti (anche ai miei lettori "invisibili", che leggono e non commentano mai, tanto lo so che ci siete!) e come sempre un grandissimo saluto a sawadee e La_la.

A presto!!!!!

 
 

   
 
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