Finalmente riesco ad aggiornare questa raccolta (e stavolta il
capitolo va quasi più sul malinconico oltre che
sull'introspettivo)!
Che ci crediate o meno, l'ispirazione mi è giunta ascoltando
“welcome to the jungle” dei Guns and Roses e da li
mi sono
immaginata una metropolitana piena di gente con Szayel che da quasi
di matto per lo stress.
Inoltre, potreste trovare Ulquiorra più
“chiacchierone” del
solito ma è giustificato a livelli di trama (quando vuole
Aporro è
davvero insidioso). Per il resto, nella storia sono presenti dei
termini portoghesi, di seguito vi mostro la traduzione (ho usato
google per scrivere in portoghese, per cui affidabilità
zero). Ps:
la storia è collegata a “old job” che vi
consiglio di leggere
prima di addentrarvi in questa per non rovinarvi la sorpresa XD
“Vou fazer-lhe um pouco mal. A criança
não foi filmado bem” =
“farò un po' male. Il bambino non si è
girato bene”
Senhores =
Signori
criança = bambino
Desculpa me = Perdonatemi
3° il silenzio è il suono più forte.
“Welcome
to the jungle
We've got fun n' games...”
La fastidiosa vibrazione
del cellulare all'interno della tasca
interna del suo gilè, misto ad una vocina stridula della
suoneria
che accompagnava ogni scossa, portò il tutto a far sbuffare
Szayel
Aporro Grantz per la noia dell'ennesimo squillo ricevuto.
Estrasse dall'indumento squisitamente retrò –
simile a quello di
un funzionario postale del vecchio West seppur molto più
elegante e
costoso – il piccolo cellulare argentato,
trovandosi a
ringhiare sottilmente per l'ennesimo squillo a vuoto che veniva dal
suo laboratorio.
Quei figli di buona donna pareva che appena trovavano un topo
in laboratorio, si alzavano in piedi sulle sedie terrorizzati
anziché
pensare a come affrontare il problema.
Scorse rapidamente – sistemandosi la candida montatura degli
occhiali sul naso – il numero di chi lo aveva imprudentemente
chiamato, scorgendo però che i suoi sottoposti erano
abbastanza
furbi, a quanto pare, per usare il telefono aziendale in modo da non
farsi beccare e massacrare da lui.
Che infami. Era già abbastanza degradante per lui dover
prendere la
metropolitana di primo mattino perchè – tu guarda
un po' – la
sua auto aveva subito un guasto improvviso da dover essere portata
via con il carro attrezzi fin dal meccanico, poi se ci si mettevano
anche quei dannati neo laureati raccomandati da papà allora
stava a
posto.
Volendo magari, avrebbe potuto chiedere a suo fratello Yylfort di
dargli uno strappo sino a dove lavorava lui – Las Noches non
era
poi così irraggiungibile. E Aizen sama avrebbe compreso un
suo
ritardo – ma era la forte insofferenza che Aporro nutriva per
i
propri familiari a farlo desistere nel chiedere un favore simile.
L'alternativa era di prendere un taxi – ma con i suoi orari
era più
facile che beccasse costantemente traffico – oppure come in
quel
caso la sudicia metropolitana con il suo adorabile repertorio di casi
umani, anche se era un mezzo veloce e non conosceva ritardi.
Guardandosi attorno con circospezione misto a diffidenza, dovette
constatare come il vagone che aveva scelto per una rapida corsa fosse
pieno di gentaglia di ogni tipo.
Gente di varie etnie e alcuni dalla scarsa igiene, portavano una
strana cappa viziata per tutta la lunghezza della metro. Decisamente
nauseabondo per lui, ben preoccupato di arrivare al lavoro con un
simile olezzo.
“Welcome
to the jungle
We take it day by day
If you want it you're gonna
bleed...”
Stavolta –
per l'ennesimo squillo di un cellulare appena deposto nella tasca
interna del gilè – ebbe davvero una forte scossa
di nervosismo,
che portò il povero Grantz ad estrarre con rabbia, stavolta
deciso a
rispondere a quei bastardi, un telefono che vibrava e cantava con
nervosi.
Tuttavia, forse
mettendoci troppo impeto teatrale nell'estrarre l'oggetto –
manualità poco considerata dai restanti passeggeri troppo
presi a
guardare il vuoto – si ritrovò ad urtare senza
farlo apposta un
passeggero in piedi dietro di lui.
Il vagone non
era eccessivamente affollato da non respirare ma si contavano
comunque parecchie persone in piedi. Senza volerlo quindi, dette una
gomitata alla scapola di un individuo non in vista, portandogli una
nota di sorpresa oltre che di stress aggiuntivo.
Seccante.
Decisamente molto secante per lui che aveva già i nervi a
fior di
pelle, determinato a tutti i costi di dirgliene quattro al barbone
distratto.
Ma quando si
voltò verso l'attentatore dei propri fragili filamenti
nervosi,
Aporro dovette abbandonare una espressione sottilmente truce per far
spazio a quella inusuale della sorpresa, alla vista di un volto a lui
noto in mezzo a tutta quella marmaglia. Le iridi ambrate
letteralmente si sgranarono dalla sorpresa, alla vista di quello che
era un suo pallido collega di lavoro.
“Ulquiorra...?
Ma sei davvero tu?”
una domanda
forse un po' banale – a detta di entrambi – ma
ampiamente
giustificata dallo stress di ritrovarsi in una metropolitana lercia e
da una mattinata tutt'altro che piacevole.
“Si... –
disse laconico l'uomo spintonato – sono io...”
di Ulquiorra
Shiffer non si sapeva molto. Era decisamente poco loquace e la sua
pausa pranzo se la passava spesso – se non sempre –
nel suo
ufficio di contabilità.
Era uomo di
fiducia di Aizen Sosuke quindi si, di lui lo scienziato poteva
fidarsi sufficientemente. Se non altro se era il capo a scegliere i
suoi adepti, non correva il rischio di incappare in autentiche
nullità.
Aveva sentito
addirittura strane voce su di lui, che lo volevano come ginecologo
in un passato ormai remoto e dimenticato. Come potesse uno come lui,
con quella faccia che aveva tra l'altro, essere un dottore
specializzato in ginecologia, per il Grantz era un mezzo mistero ed
era alla stregua di una stupida leggenda. Anche se un certo giro di
fauna femminile attorno al suo tetro ufficio l'aveva
comunque
vista.
Deglutì quasi
divertito per quell'ultimo pensiero che gli sfiorò la testa,
sistemandosi gli occhiali sul naso e porgendogli una nuova domanda
dettata da semplice curiosità.
“Ma dimmi un
po', come mai a prendere la metropolitana pure tu? Anche a te la
macchina si è rott-”
“La macchina
io non ce l'ho”
a Szayel Aporro
non piaceva affatto essere interrotto all'improvviso, per questo
inclinò il mezzo sorrisetto di prima a mo di smorfia
contrariata per
la laconica – quanto secca – risposta del collega
ben aggrappato
al suo palo in ghisa e ben concentrato a mantenere l'equilibrio agli
scossoni del vagone.
Liquidò infine
il tutto con uno sbuffo annoiato, notando la scarsa attitudine del
collega a interazioni umane. Non che questo fosse un male,
però quel
suo atteggiamento rischiava di essere piuttosto equivoco e
maleducato.
“Oh via
Ulquiorra... Non c'è bisogno di essere così rudi
tra colleghi”
poteva anche
suonare come beffarda la battuta del Grantz. Ma Ulquiorra Schiffer si
trattenne per se una risposta che voleva un secco “noi non
siamo
colleghi” perchè – purtroppo –
lo erano eccome.
Si limitò a
chiudere gli occhi con profonda pazienza, notando che la reazione
aveva comunque attirato lieve ilarità nell'interlocutore
poco
voluto.
E Aporro era
desideroso di saperne di più su quell'individuo
così dannatamente
riservato, che era quasi naturale che gli stimolasse una certa
curiosità.
Ulquiorra era
un individuo che, con i suoi modi di fare quasi bruschi e un tenore
di vita misterioso, aveva attirato su di sé parecchi
pettegolezzi –
c'è chi addirittura lo volesse coinquilino di due lesbiche e
spesso
spettatore dei loro giochi – ma a parte
certe chiacchiere da
“bar” lo scienziato doveva ammetterlo che un certo
fascino lo
esercitava eccome su di lui.
Oh per carità,
non in quel senso specifico quanto alla sua stessa
figura e
impostazione. Per tale motivo ecco che si ritrovava a studiarlo
attentamente da capo a piedi, guardandolo bene come era impacchettato
nel suo completo da ufficio sobrio e quasi anonimo, come se avesse di
fronte uno dei suoi tenti esperimenti – o cavie –
deciso a
entrare più in sincronia con lui e vedere di farci altre
chiacchiere
aggiuntive.
“Comunque,
devi ammettere che su di te è stato costruito un vero e
proprio
mito. Insomma, trovo piuttosto affascinante la figura di te che un
tempo era un prode ginecologo che ora agisce nell'ombra come-”
“Scempiaggini
e basta, Szayel...”
Aporro sorrise
alle parole di Ulquiorra, aggiungendoci con più pacatezza la
parte
finale del suo discorso “Un po' come Batman...
non trovi
anche tu?”
Stranamente,
non si scompose più di tanto per la secca interruzione del
contabile
ma anzi, ne trasse profondo piacere nel fare quelle insinuazioni
aggiungendoci pure la metafora del supereroe che agisce con il favore
delle tenebre per fare giustizia.
“Se hai
finito con il darmi noia, sarebbe il caso di rispondere a quel tuo
cellulare”
con sommo
disprezzo dello scienziato – che ben tradì il
nervoso con una
smorfia di puro odio – il cellulare dentro il taschino del
gilè si
era messo a suonare nuovamente con la solita musichetta di rito.
Addirittura,
qualcuno iniziò ad alzare la testa per l'ennesimo trillo
caduto a
vuoto, con tutta probabilità ormai annoiato di quella
canzoncina
roca e fastidiosa.
“Ehi Deejay,
cambia disco!” consigliò qualcuno da stare in
fondo al vagone e
non in vista per sommo dispiacere di Aporro.
Se avesse avuto
sotto il suo furente sguardo il ragazzino che aveva consigliato di
cambiare suoneria, gli avrebbe sicuramente iniettato del cortisone
negli occhi.
Niente invece,
si ritrovò a sbuffare annoiato e a riporre l'oggetto nella
sua tasca
nascosta – non lo spegneva perchè se telefonava
l'ufficio di Aizen
sama era finito – e a indirizzare uno sguardo su Shiffer che
ora
era tornato a non guardare nessuno esattamente come
prima.
Peccato di non
essere riuscito a estrapolargli qualcosa di più,
perchè gli sarebbe
piaciuto davvero tanto fare una analisi del soggetto e vedere se si
tradiva in qualche modo.
Non ci avrebbe
mai sperato, ma la tanto opportunità di osservarlo meglio ci
fu
eccome.
Subito dopo
aver riposto il noioso cellulare argentato nel taschino foderato di
seta, ci furono un paio di grida attutite provenienti in volo dal
vagone successivo a dove si trovavano entrambi.
Szayel inarcò
un sopracciglio per tutto quel fastidioso chiasso, mentre Ulquiorra
si limitò ad indirizzare le proprie iridi smeraldine verso
la fonte
del suono. Alcuni rumori strani – forse di tafferugli tra
donne –
si erano sentiti già prima che lo scienziato spintonasse il
pallido
collega. Ma ora i rumori erano decisamente molesti.
Tanto da
attirare svariate teste di passeggeri dallo sguardo vacuo fino a quel
momento, ora attenti ad osservare l'anonima porta di collegamento tra
un vagone e l'altro.
“Santo cielo
– brontolò un Grantz passandosi una mano tra i
capelli delicati –
ma che diavolo hanno da urlare? La parola civiltà non la
conoscono?”
prendere la
metropolitana era snervante. La gente era oltremodo maleducata e poco
conscia di sapere che cos'è l'igiene personale. E poi
questo,
schiamazzi ad oltranza.
In definitiva,
Aporro si stava seriamente pentendo di aver preso quel mezzo di
spostamento che gli stava dando una grandissima noia.
Solo la
presenza di Ulquiorra salvava dalla situazione, in tutti i sensi
possibili.
Perchè poco
dopo la domanda del giovane dottore seccato, qualcuno ebbe la
magnanimità di rispondere al suo quesito. Rendendo piuttosto
interessante la situazione.
“No, ecco –
un tizio che si trovava vicino alla porta si voltò verso
Szayel,
dandogli risposta – pare che una donna stia per partorire
e
nessuno sappia cosa fare...”
“Uff... Ma tu
guarda che situazione noiosa – roteò gli occhi
seccato anche da
quell'inconveniente che sapeva di grottesco, accorgendosi
però solo
all'ultimo che il collega al suo fianco non c'era più
– eh?
Ulquiorra ma dove vai?”
dire che fu un
fulmine fu davvero poco, perchè tosto il collega contabile
– senza
minimamente tradire alcuna emozione sul volto pallido e indifferente
– si affrettò a guadagnare la porta di
collegamento facendosi
strada in modo fluido tra la calca di gente.
Seguito a breve
da un Grantz velatamente interessato a quella sua reazione strana
–
dire che gli era spuntato un sorrisetto soddisfatto alla vista della
fuga di Schiffer era poco – varcarono quasi spalla a spalla
una
porta arrugginita solo per andare incontro ad un vagone ove le urla
femminili di una donna in evidente stato di travaglio, si perdevano
con la calca di gente simile ad un impenetrabile muro che separava i
due dalla scena grottesca in atto.
A Szayel
pizzicarono le narici, per quello che era l'inequivocabile odore di
liquido amniotico e sangue.
“E allora
dottore – fece improvvisamente lui ma con fare serio e non
più
mellifluo – adesso che si fa?!”
l'esperto qui a
quanto pare era lo stesso Ulquiorra in persona – e ormai
quelle che
circolavano su di lui non erano affatto dicerie – che non
stette li
poi ad indugiare più di tanto, facendosi ancora largo tra la
folla
fino ad arrivare ad un gruppetto di tre donne di cui una, seduta su
di una panca, era in evidente travaglio.
Le due – di
origine ispanica a quanto pare – tentavano di consolare la
più
giovane asciugandole la fronte colma di sudore con dei fazzoletti,
scostandole anche i capelli neri come l'ebano per darle più
respiro
mentre questa ormai allo stremo si limitava a pregare e a urlare
–
a tratti – nel tentativo di spingere via quel figlio che non
ne
voleva sapere di andarsene dall'utero materno.
Arrivato infine
davanti alle due donne più anziane, Ulquiorra si
destreggiò in un
amabile spagnolo per farsi spiegare dalle due il punto della
situazione.
Altra cosa che
sorprese lo scienziato, fu di scoprire che il collega conoscesse lo
spagnolo. Lo osservò con una punta di interesse
massaggiandosi il
mento nel vedere come, oltretutto, riuscisse a comunicare con calma
con le due donne disperate, per poi attingere dalla propria
ventiquattro ore delle salviettine umide che mai come in quel momento
potevano essere utili.
Prima di usarle
però, si tolse la giacca e si sollevò
accuratamente le maniche
della candida camicia, in gesti precisi e calcolati, di chi ben
sapeva cosa fare.
“Tieni –
disse infine, lanciando il pacco delle salviette a Szayel prima di
chinarsi in ginocchio dinnanzi alla partoriente – evitiamo
che
questa spazzatura che ci circonda causi altri
danni...”
“Uhm... non
sapevo che conoscessi lo spagnolo” borbottò lo
scienziato nel
mentre che si sollevava anch'egli le maniche della camicia prima di
usare le preziose salviette igieniche.
“Infatti non
è spagnolo – replicò uno Schiffer ora
con le mani in mezzo alle
gambe di una donna quasi spaventata dall'avvento di un pallido omino
– è portoghese, queste donne parlano-”
“Ok, ok... –
sbuffò spazientito e di rimando, un Aporro che si
apprestò ad
andare vicino ad un improvvisato ginecologo – vediamo di far
nascere questo bambino. Ne ho piene le scatole di tutte queste
urla”
La ragazza –
Aporro le avrebbe dato si e no sulla ventina d'anni e non era affatto
di sgradevole aspetto – ebbe quasi l'impulso di chiudere di
scatto
le gambe alle dita del dottore che si infilarono dentro di lei,
confortata però giusto in tempo dalle parenti che le
spiegarono la
situazione. Trovandosi per questo a deglutire confusa, guardando
attentamente i due uomini. Obbedendo al dottore chino dinnanzi a lei.
“Vou
fazer-lhe um pouco mal. A criança não foi filmado
bem”
le parole
uscirono fluide dalla bocca di un uomo dal sorprendente sguardo
freddo, togliendole ogni voglia di polemizzare limitandosi ad annuire
frettolosamente.
Szayel già se
lo immaginava, sarebbe stato un viaggio ancor più infernale
del previsto.
[…]
“Ah...
Ulquiorra, aspetta!”
allungando il
passo sullo stradello piastrellato di finta pietra antica, Szayel
Aporro Grantz si apprestò a raggiungere il silenzioso
collega ormai
prossimo ad entrare per la porta a vetro scorrevole che portava a Las
Noches. Era una mattina come tante si potrebbe bellamente aggiungere
– con svariato via vai di dipendenti e altre persone dalla
struttura – eppure c'era innegabilmente qualcosa di diverso.
A sentirsi
nominare da quella voce suadente, ad Ulquiorra partì
l'istinto –
poi soppresso per motivi di educazione – di allungare il
passo ed
entrare nella struttura farmaceutica in modo da non doversi fermare a
parlare con lui.
Invece rimase
fermo dov'era e si girò appena per osservare un collega di
lavoro
raggiungerlo smagliante e un poco malizioso.
“Grantz...
Che cosa vuoi?”
laconico come
sempre – quasi apatico per un occhio poco attento –
il giovane
uomo scrutò senza reale emozione lo scienziato appena
sopraggiunto
avvolto da un completo color prugna. Elegante vero, ma per il
contabile era un indumento a dir poco eccentrico.
“A-ah... Non
fare il finto tonto – fece Szayel aggiustandosi gli occhiali
sul
naso con uno sguardo quasi maligno in volto – dimentichi il
nostro
lavoro di squadra dell'altro ieri? Oppure hai forse la memoria corta,
collega?”
“A che serve
ricordarlo?” in quel mentre Schiffer si voltò
verso l'entrata
degli uffici a meno di tre metri da lui, quasi in procinto di
riprendere la camminata.
“Beh, non
saprei – Aporro iniziò a camminare lentamente di
fianco al collega
silenzioso, cercando di estrapolargli qualche emozione –
abbiamo
fatto nascere un bambino e tu sapevi cosa fare... Molto strano che un
contabile sappia cosa fare!”
Concluse con
una mezza risata divertita, al ricordo di due giorni fa e della
ragazza in travaglio dentro a quel sudicio vagone.
In realtà,
strafottenza a parte, doveva ammettere che era stata una esperienza
per lui a dir poco inusuale.
Aveva certo
profonda conoscenza del corpo umano, ma non possedeva la stessa
esperienza sul campo di Ulquiorra nel mettere al mondo una creatura.
Non lo avrebbe
ammesso davanti a nessuno ma nel momento esatto in cui avvolse il
bambino allungatogli da Schiffer in una candida sciarpa –
gentilmente offerta da una studentessa che aveva offerto il suo
patetico aiuto – percepì
chiaramente un brivido scendergli
giù per la schiena.
Non era
abituato a tenere in braccio un bambino – anzi, mai preso in
braccio neanche uno – e tutto era successo così in
fretta che
nell'esatto momento in cui lo aveva accolto tra le braccia per
permettere a Schiffer di tagliargli il cordone ombelicale, tutte le
sue strafottenti certezze caddero giù e si sentì
come perso – o
inadeguato – per un gesto tra i più naturali al
mondo.
Naturali per
tutti meno che per lui.
Per tal motivo
si affrettò a dare il marmocchio sporco di sangue ad una
madre
esausta ma al contempo felice, decidendo di togliersi dai piedi il
prima possibile imitato senza manco farlo apposta da un Ulquiorra
impassibile.
Questo
comunque, non trapelò affatto nello sguardo arrogante dello
scienziato, ben scrutato da un contabile che sapeva il fatto suo.
“Hm... non
potrei dire la stessa cosa di te”
una battuta
sibillina che in un primo momento Szayel affatto capì,
buttandola
brevemente sul ridere. Continuando a rigirare il coltello nella piaga
“Sono
sorpreso che tu abbia deciso di cambiare mestiere, tutto qui. Anche
perchè hai dimostrato di avere i nervi saldi anche in
situazioni
simili... Dovevi essere il più bravo nel tuo corso, dico
bene?”
“Io sono
il più bravo, Szayel. A differenza tua che non sai mantenere
un
briciolo di sangue freddo”
Ok, ora stava
iniziando ad esagerare. Una simile arroganza neppure lui riusciva ad
accettarla seppur da un dottore degno di nota. Pertanto, lo sguardo
di Aporro si assottigliò colmo di nervosi poco trattenuta,
cercando
di scrutare al meglio l'impassibile maschera di un compagno di
squadra poco incline a tale squadra.
“Sai... Credo
di non capirti affa-”
“Che cosa hai
provato a prenderlo in braccio?”
Silenzio.
Gli occhi
ambrati dell'interpellato si sgranarono in un misto di shock e ira
pronta ad esplodere, nell'incontrare le iridi di un freddo verde
assassino di Ulquiorra che, non ricevendo la risposta che voleva
–
e fin troppo semplice da rispondere per lui –
abbassò le palpebre
per contenere pazienza e rispondergli in modo flemmatico.
“Te lo dico
io, hai provato umanità. Ne sei
consapevole di questo?”
Evidentemente
lo scienziato non aveva prestato attenzione all'attento sguardo del
ginecologo, che si era posato brevemente su di lui nell'atto di
preparare il bambino per darlo finalmente alla madre. La
determinazione e l'arroganza che avevano contraddistinto il Grantz
durante tutta l'operazione, andò brevemente a puttane quando
i suoi
occhi si scontrarono con quelli grandi e dilatati del neonato.
Una mera
frazione di secondo che non sfuggì ad un Ulquiorra ben
attento. Ed
era un momento che lo stesso giovane uomo bollava come
“debolezza”
in tutti i sensi.
“Il
silenzio è il suono più forte...
Szayel”
Gli seccava
dargli in qualche modo ragione, perchè era assolutamente
sicuro
che il suo prolungato silenzio non era una risposta
alla
sfacciata mezza domanda del contabile.
“Senhores...
senhores! Posso disturbarvi...?!”
il clima di
palpabile tensione tra i due dottori, che si scrutavano attentamente
negli occhi come due predatori che si studiavano l'un l'altro, venne
improvvisamente interrotto da una tremolante voce di donna ormai
prossima ad avvicinarsi a loro.
Come colti
dalla sorpresa, entrambi gli uomini ebbero come una sorta di
rimembranza nel sentire quella timida voce di donna che ad ogni lento
passo si apprestava a raggiungere i due uomini pronti, forse, a
percuotersi con le rispettive valigette.
Quando poi
Szayel Aporro e Ulquiorra si voltarono finalmente sulla figura che
stava percorrendo il vialetto semi trafficato per andare loro vicino,
si ricordarono di chi fosse quella minuta figura.
Era la donna
che due giorni fa non era riuscita ad aspettare la fermata della
metro per partorire. Era quella, che senza l'aiuto dei due uomini
avrebbe visto la propria situazione aggravarsi maggiormente.
In principio
non l'avevano riconosciuta subito. Sul vagone aveva un aspetto
decisamente disastrato, mentre ora decisamente più in forma
e con in
braccio – avvolto da un candido lenzuolino – la sua
creatura
tranquillamente persa nel mondo dei sogni.
“Ah, tu
sei...”
“... La
ragazza dell'altra volta” concluse lo scienziato al posto del
lento
contabile.
Passandosi una
mano tra i capelli e studiando attentamente la ragazza dalla pelle
ambrata che sorrideva loro timidamente.
“Si ecco...
Qualcuno nel treno vi ha riconosciuto – indirizzò
gli occhi neri
verso un Aporro decisamente più famoso in città
di un collega poco
chiacchierone – e mi è stato detto dove lavoravate
e... Io...
Desculpa me! Volevo solo ringraziarvi per avermi
aiutato”
ci fu un
proverbiale silenzio alle parole di una neo mamma che non sapeva se
mettersi a ridere dalla gioia oppure scappare via per aver fatto una
brutta figura con gente piuttosto importante nella città in
cui era
appena giunta.
Quello di nome
Szayel Aporro Grantz la scrutava attentamente e dall'alto in basso,
mentre il dottore che l'aveva assistita con maggiore
intensità si
limitò ad un impercettibile segno di
“si” con la testa.
“Non
sarei qui ad abbracciare il mio criança
se non fosse stato per voi due. V-vorrei ringraziarvi se
possibile...”
era una
situazione un po' imbarazzante e pareva che i due uomini non avessero
minimamente compreso cosa lei – la giovane donna senza nome
–
volesse dire con il ringraziarli.
Tuttavia ci
arrivò per primo Ulquiorra – forse
perchè più abituato a simili
manifestazioni dato il suo precedente lavoro, a detta di una facile
conclusione di Aporro – che come mosso da empatia
aprì lievemente
la braccia per accogliere il timido abbraccio della neo mamma, che
con pargolo tenuto su con un solo braccio impiegò l'altro
per
cingere l'esile schiena del contabile.
Dopo un rapido
bacio a fior di guancia ad un impassibile Schiffer – che
ancora una
volta si limitò ad annuirle in silenzio –
toccò alla volta di
Szayel stesso.
Al dottore
quasi venne un colpo nel vedersi la ragazza davanti che – in
poche
frazioni di secondo – lo aveva abbracciato nell'esatto modo
in cui
aveva abbracciato Ulquiorra.
Un
insolito tocco che lo portò in principio ad irrigidirsi per
quei due
corpi che premevano contro il suo – come un vago timore
istintivo
che quel bambolotto di carne potesse in qualche modo rompersi
per il troppo stringersi addosso – che tuttavia
ricambiò con una
lieve goffaggine dando piccole pacche consolatorie alla schiena della
giovane.
Quando infine,
per sommo sollievo di Szayel, la neo mamma lo liberò per
salutarli
un'ultima volta andando infine a ricongiungersi alle due donne
–
con tutte probabilità le stesse dell'altra volta –
che
l'aspettavano vicino alla strada, lo scienziato deglutì
appena
posando un breve sguardo su un contabile che segnava un
impercettibile sorriso agli angoli della bocca.
Seppur
impercettibile e seppur ben nascosto, lo scienziato se ne accorse
eccome sorridendo quasi maligno nel vedere la sua di debolezza.
“Ma cosa vedo
mai... ? Dell'umanità sul volto di Schiffer? Oppure era una
contrazione nervosa?!”
il
cambiamento repentino del pallido uomo ci fu eccome, e il lieve
sorriso scomparve del tutto tornando a fare spazio ad una espressione
quanto meno seria.
“Scempiaggini”
decretò infine quello, decidendosi finalmente di avviarsi al
lavoro.
“Non mi hai
ancora detto perchè hai abbandonato il tuo vecchio mestiere,
caro
Ulquiorra. O devo dedurre che questa è una rimembranza
dolorosa per
te? Eppure su quella donna hai dato il massimo...”
avrebbe
volentieri voluto vedere una qualche espressione risentita sul volto
impassibile del caro
collega, giusto per vendicarsi di prima. Aveva osato metterlo in
difficoltà e la cosa decisamente lo indisponeva.
Szayel odiava
sentirsi a disagio in qualunque situazione. Ed era quella che lui
definiva una grandissima debolezza.
Anche se
il più delle volte, quel “disagio” era
più riferibile ad una
umanità
quasi bandita dalla sua ragione di folle scienziato in ascesa, ed era
un qualcosa che Ulquiorra conosceva dannatamente bene.
Più di quanto
lo stesso Grantz potesse immaginare.
“Hai mai
fatto tirocinio nel pronto soccorso d'urgenza?”
“Ma che
domande! Certo che l'ho fatto! Ed è stata una situazione
spiacevole
sotto ogni punto di vista – Aporro rabbrividì un
poco nel
rimembrare il breve tirocinio fatto nell'ospedale della
città,
decisamente poco consono ad un uomo di scienza come lui –
grandissima disorganizzazione e casi assurdi che di umano avevano ben
poco e... Oh...” gli occhi ambrati gli si spalancarono quasi
avvolti dalla sorpresa, nel comprendere molto lentamente la risposta
alla sibillina domanda di Ulquiorra.
“Ti
sei
risposto da solo, Szayel”
era disdicevole
per il capo supremo del reparto scientifico cadere in una gaffe del
genere. A non riuscire lontanamente a capire le motivazioni che
avevano spinto Schiffer a mollare tutto per dedicarsi a qualcosa che
decimasse i rapporti umani quasi a zero.
La caduta
precoce del contabile poco chiacchierone, era stata in una
umanità
che non era riuscito – al tempo che fu – a tenere a
bada e a non
farsi condizionare.
Szayel a quel
punto poteva solo immaginare che cosa fosse passato sotto gli occhi
di un giovanotto con magari tanti bei propositi per il futuro, fino a
spingerlo a cambiare totalmente mestiere.
A Szayel Aporro
le violenze gratuite sulle donne non piacevano neanche un po'. Non
erano nel suo stile onestamente parlando, e le bollava come
comportamenti tipici di individui rozzi che non hanno una minima idea
di come prendere l'universo femminile e comunicarci.
Per Szayel, la
violenza era accettabile solo se vi era voluta complicità da
parte
della compagna – e per istinto il suo pensiero
andò ad una Cirucci
Tunderwitch attualmente a casa sua – lasciando perdere tutti
gli
altri scenari possibili squallidi e degradanti.
Lentamente
quindi, capì ciò che il silenzioso contabile
aveva sempre – sino
all'ultimo momento – evitato di esternare, dandosi
mentalmente
dell'idiota per non esserci arrivato prima. Per non aver compreso
quei suoi silenzi più forti di qualsiasi altro rumore.
Umanità
infine, che uccide sul nascere ogni buon proposito e che per alcuni
individui è bene abbandonare se si vuole lavorare
egregiamente. Pena
un fallimento epico come quello di Ulquiorra.
E Szayel di
certo come lui non voleva finirci, con lo spettro di una professione
abbandonata tra mille rimpianti e disgusti vari, arrivando sempre a
rimpiangerla magari in modo sottile e malinconia.
Pertanto,
mormorò un rammaricato “capisco” ad un
collega che non aveva più
nulla da aggiungere, decidendosi infine di seguirlo fin dentro le
porte scorrevoli di vetro blindato e finalmente dedicarsi al suo
lavoro inumano.