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Autore: dreamer_is    26/02/2011    2 recensioni
E la pioggia continua a cadere, sembra che le nuvole abbiano accumulato troppa acqua per potersi fermare anche solo un istante.
Spero solo che l’arcobaleno sorga presto. Che salvi la notte e combatta con l’alba. Perché l’alba è indiscreta, rivela tutto.
La notte no.
Che salvi la notte e combatta l’alba.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono a dir poco imperdonabile lo so...
Diciamo che è colpa di un miserevole cavo che ho rotto dopo una settimana senza pc e...
Ho dovuto comprare un pc nuovo...
Ed ho impiegato mesi per sceglierne uno che mi piacesse...
Però ora ho un bellissimo portatile blu:D
Lo so, non vi interessa...Per cui vi lascio al capitolo! ^^

 


Capitolo 8

 

“Hai paura?”
Sgranai gli occhi.
“Paura?”
“Sì, hai paura?”
Ci riflettei per un po’, ma tutto ciò che provavo era confusione.
“Non saprei…sono a dir poco confusa…”rivelai.
Abbozzò un sorriso.
“Quindi non hai paura di me?”
La osservai per qualche istante, cercando di essere sincera, soprattutto con me stessa.
“Mmh…non credo.”
Il suo sorriso si allargò un po’.
“Bene.”
…non sapevo davvero cosa fare…soprattutto, non sapevo cosa avevo fatto…o cosa avrei fatto…
“Gradite un drink?”un ragazzo in smoking da lavoro si sporse verso di noi con un vassoio pieno di bicchieri dallo stelo lungo ripieni di liquido azzurro, con una fetta di lime incastrata al bordo.
“Certo”rispose lei afferrandone uno.
Io tentennai, non avevo mai bevuto alcool. Una volta avevo assaggiato la birra da Marco, ma non mi era piaciuta per niente.
“Ne prende uno anche lei” ammiccò, e me ne porse uno.
“Veramente non sono certa che mi piaccia” dissi appena il cameriere si diresse a un altro tavolo.
“Assaggialo, è molto buono.”
Vide che non accennavo sorsi e sospirò.
“Si chiama Angelo azzurro, si mettono i cubetti di ghiaccio nello shaker, poi Gin, Cointreau e Blu Curaçao, shakeri per 1 minuto, versi in un bicchiere martini ed hai fatto.”
Rimasi sorpresa “Però, ne sai di cose.”
Sorrise compiaciuta ”Queste sì…sai com’è, faccio l’alberghiero…”
“Allora posso fidarmi.”
“Suppongo di sì.”
Titubai ancora e avvicinai piano il bicchiere alle labbra.
“Guarda che non morde, eh!”scoppiò a ridere.
Restai concentrata sul liquido azzurro e ne presi una goccia.
“Ma così non assapori nulla!” Protestò. “Un bel sorso, su!”
Inspirai e buttai giù mezzo bicchiere.
Sentii la faringe andare a fuoco e per la prima volta distinsi ogni organo del mio apparato digerente. Sbarrai gli occhi, incredula, mentre lei rideva di gusto.
Posai il bicchiere sul tavolino come se fosse un insetto schifoso.
No, non mi piaceva l’alcool, per niente.
“Non ti piace?”
“Credo proprio di no”dissi, sbattendo gli occhi come se l’alcool fosse finito anche lì.
Mi sorrise e prese un altro sorso dal suo.
La guardavo curiosa, forse di conoscere la sua mossa successiva, forse semplicemente per capire come potesse sopportare tanto bruciore.
 “Forse perché è alquanto potente…sai, si chiama Angelo Azzurro perché ogni suo sorso ti permette di volare.”
“Ah beh, avvertirmi no?”
“Ma così non lo avresti mai assaggiato.”
“Certo che sì,” incrocio le braccia sul petto, “qualcuno non molto tempo fa mi ha fatto comprendere che è solo provando cose nuove che si ha la possibilità di trovarne di speciali.”
Sollevò gli angoli della bocca e si avvicinò al mio orecchio, spostando i miei capelli: “Quindi non avresti problemi a provare qualcosa di davvero nuovo.”
Mi allontanai un po’…tutta quell’intimità non era esattamente ciò che desideravo…
“Ma allora non sei coerente”poggia di nuovo le labbra sul bordo del bicchiere.
Alzo un sopracciglio.
Questa passione per le sfide non mi porterà certamente nulla di buono, ne sono cosciente…
“Tu cosa proporresti?”chiedo, tastando il terreno.
“Beh…passeggiata sulla spiaggia?”
“Ottima idea, questa musica mi sta assordando!”
Mi voltai, Fabrizio si stava puntellando allo schienale del divanetto. Gli sorrisi, al tempo stesso grata, imbarazzata ed irritata. Lo so, lo so. Non sono normale.
“Guarda che è David Guetta, non ti permettere” asserì lei convinta.
“Eh già, è David Guetta”le feci il verso io.
Scoppiammo a ridere, poi Eleonora si alzò in piedi e mi tese la mano. La guardai perplessa, così rispose“Non dovevamo andare in spiaggia?”
Sorrisi in risposta, afferrando le mani di entrambi e trascinandoli verso la distesa delle minuscole pietre grigie.
Quando arrivammo alla linea di confine tra sabbia e cemento ci sfilammo le scarpe e, dopo un po’ di indecisione, le lasciammo lì per avere le mani più libere.
Iniziai a correre, assaporando la sabbia che si sgretolava sotto i miei piedi, le piccole dunette che ora curvavano la superficie densa come burro…
Sentii un piccolo grido e mi voltai: Eleonora era praticamente  sdraiata sulla rena, prona, cercando di togliere i sassolini umidi dalla faccia con le mani ricoperte dagli stessi.
Io e Fabrizio la raggiungemmo, ridendo. Tentammo di tirarla su, ma con assurde manovre cademmo anche noi e iniziammo, con tecniche da contorsionisti, a rotolare il più lontani possibile per tirarci manciate di sassolini.
Ridevamo come bambini ed effettivamente sembravamo ubriachi o drogati da chissà quale sostanza…
Iniziammo a giocare ad acchiapparella, rialzo su piccoli rilievi creati sull’arena poco prima di essere afferrati, tocca-tocca rifilandoci i materiali più assurdi, color-color, finché non ci ritrovammo col fiatone e le gambe pronte a cedere da un momento all’altro.
“Assurdo”esclamai, le mani appoggiate alle ginocchia, lo sguardo sulla massa nera che ci accompagnava con lenti sbuffi.
“Cosa?”chiesero in coro Fabrizio ed Eleonora.
Sorridemmo e proseguii.
“Da piccoli potevamo stare per interi pomeriggi a correre e guardaci ora: col fiatone e talmente stanchi da doverci sedere…”
“Tutta colpa dello studio”asserì seria Eleonora.
“Guardate che siete voi a stare col fiatone, mica io!”
Ci girammo verso di lui, incredule e scettiche.
“Dico sul serio: il vostro problema è che non fate sport.”
Dopo esserci scoccate un’occhiata d’intesa, ci gettammo su di lui e iniziammo a sotterrarlo nella sabbia, gettandogli la sabbia sui vestiti, i capelli, le orecchie…
Alla fine ci sollevò, nemmeno fosse dotato di fossa ercolina, e...beh diciamo che suppongo l’intenzione fosse buttarci in acqua, ma crollò miseramente a pochi passi dalla partenza.
Alla fine ci abbandonammo supini, i capelli tanto erano andati…
All together now iniziò a squillare allegramente dalla tasca di Fabrizio.
“Giulio?”chise, portandoselo all’orecchio.
“Sì, sì.”
Rimise il telefono in tasca e ci annunciò che erano le 11 e mezza e doveva aprire la torta e i regali perché c’era gente che stava per andarsene.
Tornammo al locale pieni di sassolini ovunque, i vestiti sgualciti, i capelli in disordine…gli occhi luminosi.
Giulio e la signora Dongi ci guardarono come se fossimo appena usciti da chissà quale manicomio e ci spedirono al bagno per essere “ordinati e presentabili” per le foto.
Ci dividemmo e…beh, la mia visione allo specchio non fu esattamente brillante.
Eleonora recuperò una specie di beauty-case dalla pochette in denim e in pochi minuti sembrava essere passata sotto il torchio di chissà quale famoso truccatore.  Io ero semplicemente riuscita a rimuovere un po’ di sabbia dai vestiti e i ricci castano-ramati.
“Vuoi un po’ di eyeliner?”chiese passandomi un pennellino nero.
“Ehm…”lo presi tra le dita e lo impugnai, incerta.
Alzò un sopracciglio e propose di aiutarmi.
“Davvero?”risposi, con più emozione di un assetato in mezzo al Sahara.
Sorrise maliziosamente.
“A una sola condizione.”
“Quale?”
“Sperimenta.”
“Scusa?”
“Sperimenta. Anche me, intendo.”
La guardai attenta, poi chiesi: “Ma perché sei tanto interessata a me?”
“Non dirmi che tu non lo sei.”
Tentennai.
“Non…non lo so…Ma non mi hai risposto.”
Frugò nella borsetta e cacciò fuori un pennellone e un recipiente dalla forma strana. Svitò il tappo e intinse il pennello in una specie di polvere beige, poi lo rivolse verso il mio viso.
“Beh…non sei affatto comune…e questo mi attrae. Sì, suppongo sia per questo. Allora, accetti?”
Esitai ancora, poi... beh supposi che sperimentare non era poi questo inferno. La parola no faceva comunque parte del mio vocabolario ed ero capace di usarla al momento opportuno.
“Accetto.”
Sorrise.
Poi spostò piano i capelli dal mio viso e lo spolverò con il pennello. Mi ordinò di chiudere gli occhi, poi di aprirli. Mi sentivo un po’ come una bambola, ma… per una volta non era tanto male.
Poi mi ordinò di guardarmi allo specchio…beh ero irriconoscibile.
“Allora, che ne dici?”
“Non sono io”risposi, sbattendo le mie ciglia diventate chilometriche.
Sorrise e con un dito sfiorò il mio mento facendomi voltare verso di lei.
“Sei uno schianto” decise dopo avermi scrutato per bene”ma…boh, forse non sei abituata a vederti così.”
Arrossii, poi scossi il capo e concessi di nuovo alla frangia di calare sulla fronte.
“Grazie”sussurrai, mentre lei riponeva il un lungo tubetto nero nella pochette.
Sorrise, poi si sporse verso di me. Riuscivo a sentire il suo respiro, il suo profumo congiungersi col mio, la distanza tra i nostri volti che si riduceva sempre di più.
La stessa sensazione di prima mi attraversò di nuovo, potente. Mi avvicinai anch’io, ma lei si bloccò. Restammo così, a pochi millimetri, a respirarci, per un tempo che mi parve eterno.
Poi riportò le labbra al mio orecchio, sussurrò che era ora di andare e mi condusse, intontita, fuori.
“Sai,” rimuginai mentre ci avvicinavamo alla terrazza, “credo che ti chiamerò l’Angelo azzurro.”
Mi guardò e sorrise.
 

  
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