Eloïse
Quando si ama, la natura non è più un mistero.
.
(A
De la Tour Chembley)
Un corvo
era appallottolato sopra la lapide.
I grandi occhi color ocra scrutavano il
paesaggio con attenzione, spostandosi da destra a sinistra come se fossero
agitati da qualcosa o come se si aspettassero qualche movimento fuori
dall'ordinario.
Camminai lentamente verso il punto esatto in cui si trovava,
facendo attenzione a non fare troppo rumore. Avevo sempre paura di spaventarlo,
nonostante fossero passati mesi.
Non staccando gli occhi dai suoi mi chinai
lentamente sulla lapide, posando un mazzo di girasoli accanto ad essa.
Nell'alzarmi lentamente con il busto sorrisi, avvicinando la mano tremante verso
il suo piccolo corpo. Nel toccargli le penne lo vidi indietreggiare con le zampe
lunghe e guardarmi più all'erta di prima.
«Ehi, sono io» sussurrai, sfiorando
con l'indice l'ala destra, come se si trattasse di una mano.
Quel pensiero mi
provocò una stretta al ventre ma cercai di non pensarci e mi sedetti vicino a
lui, con la schiena che poggiava sulla roccia della lapide. Dopo qualche secondo
il corvo venne a posarsi sulla mia spalla, come faceva sempre, ed iniziò a
picchiettare lentamente sulla mia spalla.
Risi quando con il becco sfiorò il
collo e lo scansai di poco «lo sai che soffro il solletico!» guardai i suoi
grandi occhi che sembravano quasi sorridermi.
''Stupido Jude, i corvi non
ridono'' mi maledissi all'istante ed alzai gli occhi al cielo, per evitare
nuovamente il contatto con i suoi.
I fiocchi di neve cadevano con lentezza,
posandosi a terra per poi sciogliersi quasi nello stesso istante in cui
sfioravano il terreno. Pian piano che il tempo avanzava si fecero più numerosi
ma non sentii freddo. Per me, irlandese di nascita, le nevicate di Cherbourg
erano frizzanti cadute di batuffoli di neve. Ero abituato a ben altro. Il freddo
a Dublino era micidiale, in particolare se non si avevano le condizioni
necessarie per affrontarlo. Mio fratello da piccolo aveva perso due orecchie,
mio padre era morto proprio a casa di una delle tante nevicate e c'era mancato
poco che anche io non morissi.
''Forse sarebbe stato meglio morire all'età di
cinque anni'' lasciai che la neve mi sfiorasse il viso ''ora sarei lì con lei,
in cielo...se davvero esiste un cielo''.
Ero arrivato anche a dubitare della
mia religione, tutto per colpa di quelle stesse persone che avevo supportato per
anni. Avevo tradito persino la mia nazione per seguire le imprese di Carlo Magno
e la sua religione, avevo tradito la mia famiglia, i miei amici, la mia stessa
vita. Ero diventato un altro per quel Dio benevolo che si trovava là in cielo e
per quel re che si era presentato come un eroe paragonabile a Cesare dell'antica
Roma.
Ma quello stesso Dio e quel Re mi avevano privato della cosa più
importante.
Lei: Eloïse.
Ricordavo ancora il suo sorriso candido, la sua
carnagione pallida e quei grandi occhi neri che parevano pozzi nella quale
sprofondare.
Io ci ero sprofondato, in pieno.
Lei, con un solo sguardo, mi
aveva conquistato, trascinandomi nella via della perdizione. Ero rimasto in
Francia solo per lei, avevo continuato a combattere per rimanerle accanto
nonostante il breve ripensamento che avevo avuto per ritornare in patria. Ma
lei, con quella sua voce cristallina e quel suo tocco delicato, mi aveva fatto
desistere. Quel giorno avevo pianto, le avevo parlato dei capelli ricci di mia
madre, della voce profonda del mio vecchio insegnante d'armi e le avevo
riportato una descrizione dettagliata del mio piccolo villaggio, affermando che
mi mancava più di ogni altra cosa. Ma era stata una bugia e lei lo aveva capito.
Si era avvicinata a me, con le guance arrossate che la facevano sembrare ancora
più bella, e mi aveva domandato «ti manca più di un bacio di una donna?»
Le
avevo risposto che non poteva mancarmi nessun bacio, perché il suo ancora non lo
avevo ancora ricevuto.
Avevamo fatto l'amore quella notte, in quella
squallida capanna tra mille altri soldati. Lei, una semplice contadina di
campagna, ed io, un soldato irlandese che non aveva niente a che fare con quella
guerra.
Dopo quella notte ce ne erano state altre ma sempre più disperate.
Una volta che i soldati feriti si sarebbero ripresi avremmo dovuto abbandonare
il villaggio ed io, forse, non l'avrei più rivista. Eppure il destino aveva
preferito che non si presentasse quell'occasione e la fece morire prima.
Fu
un soldato ad ucciderla.
Un uomo dei nostri,
un cristiano, un fratello.
In uno scatto d'ira perché
lei si era rifiutata di concedersi a lui ed io, con quello stesso scatto di
rabbia, gli avevo aperto la gola in due. Vederla a terra, gocciolante sangue,
con quelle labbra carnose e rosse ancora aperte per lo stupore, mi aveva fatto
dimenticare perché mi trovassi lì, per cosa e chi stessi combattendo.
Mi ero
dimenticato di me stesso, di tutti quei valori che avevo difeso anche a costo di
abbandonare la mia casa. Avevo perso lei, il valore più grande. Lei che mi aveva
aiutato a continuare a combattere.
Ma combattere per cosa?
Per una
nazione? Per una religione? O semplicemente per la gloria?
''Ti amo, Eloïse''
mi asciugai una lacrima con la manica sudicia e strinsi i denti ''ti amo perché
tu incarnavi tutto ciò che stavo cercando. Eri il vento della libertà, un
sorriso innocente, una sprizzata di gioia. Ed ora non ci sei più''.
Avevo
portato il suo corpo nella foresta dove ci eravamo incontrati per la prima
volta. Io ero ferito insieme ad altri soldati e lei era venuta a soccorrerci in
compagnia di altri abitanti del villaggio che erano stati attirati dalle urla.
Ci avevano soccorso e ospitato per più di un mese, prima di riacquistare le
forze per unirci agli altri franchi nella battaglia contro i sassoni.
Sul suo
corpo freddo si erano posati batuffoli di neve che l'avevano ricoperta quasi del
tutto. Io ero rimasto lì, con ancora il sangue del mio compagno sulle dita.
L'avevo sfiorata con quel sangue, l'avevo baciata stringendole con forza la mano
nella speranza che quel calore la facesse tornare in vita.
Poi un corvo si
era posato sul suo viso ma con delicatezza. L'avevo riconosciuto a causa di un
piccolo taglio all'altezza dell'occhio. Era stata lei a presentarmelo, con quel
suo sguardo eccitato. Mi aveva detto che era il suo migliore amico, da quando
era piccola, e si chiamava Willy. Avevo riso vedendola accarezzare quell'animale
e le avevo chiesto come avesse fatto ad addomesticarlo ma lei mi aveva guardato
male, stringendo le labbra in un modo che avevo imparato ad amare.
«Io non ho
addomesticato nessuno, Jude!» aveva esclamato, lasciando che il corvo si posasse
sulla sua spalla e mi osservasse con quello sguardo freddo «la mia famiglia ha
un rapporto speciale con i corvi. Ma tu cosa ne puoi capire? Sei al servizio di
un Dio che neanche si manifesta a te. Come fai a credere in qualcosa di così
distante dalla tua realtà?» il corvo sembrava quasi aver sentito quelle parole e
era volato via dalla sua spalla, prendendo a volarmi attorno «invece impara a
guardare la natura. Lì si trova la verità, sta dentro di noi» nel dire quelle
parole si era sfiorata il petto, con gli occhi lucidi.
Non le avevo creduto
quel giorno, non le avevo creduto neanche il giorno seguente e, quando era
morta, mi ero chiesto come avesse fatto la natura che lei tanto decantava a
privare il mondo di una tale creatura.
Però il giorno dopo avevo trovato quel
corvo ad aspettarmi con i suoi grandi occhi gialli, il piccolo taglio
all'altezza di quello destro e un aria curiosa. Lo avevo scansato via con
rabbia, non volendo averci niente a che fare.
Mi ricordava Eloïse e le sue
pazze idee.
Mi ricordava la sofferenza e la voglia di morire.
Eppure quel
corvo non aveva capito il mio rifiuto e aveva continuato a seguirmi per giorni
interi. Mi aveva perseguitato persino in battaglia, al gelo nelle caverne, fuori
dalle osterie. Vedendo che però il mio rifiuto nei suoi confronti non accennava
ad andarsene, una sera se ne era andato, offeso. Non lo avevo più rivisto fino
al giorno in cui ero andato a far visita alla tomba di Eloïse. Lo avevo trovato
appallottolato sopra di essa e mi aveva fissato a lungo, all'erta. Quella prima
volta avevo fatto finta di niente ma, per tutte le successive, mi era risultato
difficile non notare la sua presenza.
Eppure ci misi fin troppo a capire cosa
stava a significare.
Lentamente mi voltai verso di lui, ritornando con la
mente al presente. Mi stava fissando, come faceva da più di due anni, con uno
sguardo profondo e intelligente.
«Ti amo Eloïse» sorrisi e
scansai di poco il capo, in modo da permettergli di riposarsi sulla mia
spalla.
Lei lo fece e rimanemmo così tutta la notte.
Questa
One Shot è stata scritta per un contest nella quale dovevo utilizzare delle
immagini date. Avrò cambiato idea un miliardo di volte ma alla fine
l'effetto non mi dispiace, anche se non ha molto senso ò.ò Certamente non
ha nessuna pretesa. Ho preferito fare qualcosa di leggero, l'ho sentita in
questo modo ^^
Per
ultima cosa volevo dire che non ho scusanti per l'aggiornamento della
mia storia "Vai...e non
voltarti indietro". Non avendo scusanti non so neanche cosa dire, può
darsi che tra qualche settimana riuscirò ad aggiornarla, sicuramente prima di un
mese XD (ok, speriamo...)
Un bacio
a chiunque leggerà e commenterà <3