Eravamo sbandati, senza un posto
dove andare, e non avevamo niente con noi tranne che un po’ di cibo rubato in
una capanna e due spade. Prendemmo la via dei boschi, sperando di trovare un
paese più grande, dove amgari ci avrebbero fatto
restare, due paia di braccia in più per il lavoro sono
sempre gradite. Ma da quelle parti i villaggi erano
tutti molto piccoli, e la gente non si fidava dei forestieri, soprattutto in
quei giorni di battaglia. Così fummo costretti a vagare per parecchie
settimane, i viveri che avevamo con noi erano finiti
velocemente e ci nutrivamo solo di bacche, radici e di qualche cosa che
elemosinavamo di tanto in tanto, e che non serviva a calmarci la fame. Una sera
vedemmo passare due monaci che trascinavano un carro colmo di doni, in mezzo ai
quali c’era un mucchio di cibo. Io ed Onigumo architettamo velocemente un piano, e ci lanciammo sui
monaci con le spade sguainate, urlando come pazzi: quelli si spaventarono a
morte e fuggirono di corsa, lasciandoci il carro. Ma
mentre io mangiavo a quattro palmenti Onigumo
sembrava restio a sfamarsi.
“Che
hai? Perché non mangi?” chiesi.
“Mi vergogno” rispose “questo è
cibo rubato”
“E
allora? Se non lo mangi tu, andrà a male e non servirà
lo stesso a nessuno. Tanto vale che ti sazi tu”
Continuava ad essere esitante, ma
alla fine la fame lo vinse e mangiò anche lui, non meno di me. Fu il nostro
primo furto, ma non l’ultimo.
Spesso nei nostri vagabondaggi ci imbattevamo in cadaveri di soldati. La guerra civile era
ripresa più dura che mai, ed io ero contento di non
rischiare la vita in quelle battaglie. Tuttavia il pericolo c’era per tutti,
noi compresi, perché quel susseguirsi di morti e devastazioni aveva attirato sul paese frotte di demoni, come mai prima.
Noi però non ne avevamo ancora incontrati, e quando
trovavamo dei cadaveri li frugavamo per vedere se avevano ancora addosso
qualcosa di valore. Inizialmente Onigumo non voleva
fare lo sciacallo, ma alla fine riuscii a convincerlo. Ma un giorno, mentre
ripulivamo i cadaveri di una battaglia recente, fummo accerchiati da una banda di uomini armati. Non erano soldati, però. Mentre li guardavamo, spaventati a morte, quello che era il
loro capo avanzò verso di noi.
“Bene, bene, bene” disse “due
mocciosi che frugano le carogne dei soldati. Consola
pensare che ci sia qualcuno peggiore di noi”
I suoi uomini scoppiarono a
ridere. Io strinsi i pugni, adirato per l’insulto, ma vidi che Onigumo chinava la testa.
“Cari ragazzi” riprese quel tizio
“non sapete che non si ruba ai morti?” Ai vivi sì, e noi lo sosteniamo con
forza, ma ai morti… un po’ di rispetto. Dovremo punirvi”
“Provaci” dissi io con tono di
sfida. Due di quei briganti mi si avvicinarono, ma io sguainai la katana e la puntai verso di loro, tenendoli a distanza. Anche Onigumo, che era chiaramente
terrorizzato, impugnò la sua arma e si portò al mio fianco.
Il capo della banda sorrise.
“Interessante” disse
“I mocciosi hanno coraggio. Ragazzi, fate un po’ di pratica con questi
due”
A quelle parole i briganti si
lanciarono contro di noi. Erano molti e noi solo due, ma avevamo il vantaggio di essere più veloci, e la disperazione ci faceva lottare
come belve. Riuscimmo a tenerli a bada per una decina di minuti, ma era chiaro
che non optevamo resistere ancora a lungo. Allora
pensai che se fossi riuscito ad uccidere il loro capo
forse gli altri si sarebbero spaventati e ci avrebbero lasciato stare, così
menai alcuni fendenti per farmi strada, e mi misi a correre verso di lui. Ma uno dei suoi uomini mi colpì alla spalla destra con la
lancia, e caddi faccia a terra. Uno dei suoi briganti poggiò il piede sulla mia
testa e alzò la spada per colpirmi, ma Onigumo con
uno scatto improvviso lo trafisse da parte a parte.
A quel punto potevamo dirci finiti. I briganti ci circondarono di nuovo, e stavolta in assetto da combattimento, così che non eravamo più in grado di colpirli. Lentamente si avvicinarono, timorosi dopo la morte del loro compagno. Al margine della scena, il loro capo continuava a sorridere. Ma mentre stavano per sferrare l’attacco definitivo, un urlo stridulo fendette l’aria.