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Autore: Liy    04/03/2011    2 recensioni
Un frammento differente.
Uno in cui gli omicidi legati alla leggenda della Strega di Rokkenjima non sono mai accaduti.
Nessuno è morto. La Strega non esiste. La magia non esiste.
[Spoiler ep8][BatoBea][AU-scolastica]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ange Ushiromiya, Battler Ushiromiya, Beatrice Ushiromiya, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The first of many lies

Chapter VII: I won't accept that!

 

13 Febbraio 1987

Tornando a casa da scuola quella sera, Beatrice declinò la solita offerta di Battler di andare a casa con lui e si chiuse in cucina. Non era mai stata un portento ai fornelli, anzi. Nonostante tutto, però, si mise d'impegno e si rimboccò le maniche, il grembiule indosso e legato ben stretto alla vita per evitare di sporcarsi. Con il ricettario alla mano, studiò diverse ricette per fare del cioccolato e, per l'ennesima volta da quando si trovava lì, desiderò avere Ronove al suo fianco.

Esattamente come la prima volta che aveva fatto del cioccolato per Battler, fu un disastro; la cucina non sembrava più una cucina, ma un campo di battaglia che era appena stato bombardato da una potente e devastante forza. Per quanto provasse, riusciva solo a ottenere qualsiasi cosa all'infuori del normale cioccolato a cui mirava.

Per quell'anno, almeno in quel frammento, desiderava fare un regalo a Battler per San Valentino. Ma tutto ciò che riusciva a fare era produrre quella specie di poltiglia informe. Che non aveva sicuramente un bell'aspetto. E nemmeno un buon sapore. Era solo buona da buttare.

Nonostante tutto, però, non si diede per vinta e spinta dalla forza di volontà provò e riprovò più volte finché, verso tarda sera, non appoggiò per qualche secondo il capo sul tavolo e si addormentò sul cioccolato che le era caduto dal pentolino.

Russava sonoramente, il cucchiaio ancora stretto tra la dita, quando improvvisamente suonò il campanello di casa sua. Quel suono la risvegliò all'istante, facendola balzare in piedi e quasi capitombolare in terra.

S'affrettò verso la porta trascinando i piedi sul pavimento, i capelli un disastro, il volto per metà ricoperto da cioccolato rappreso e il grembiule indosso che non era più bianco. E quando aprì l'uscio e Battler la vide, per poco non si spaventò, viste le condizioni pietose in cui si era ridotta.

“Be-Beato...? Che ti è successo?”, la fissava sbalordito, cercando di trattenere le risa.

“Eh?”, fu la sola domanda di lei, dimentica del suo aspetto in quell'istante.

“Sei un po' sporca. Si può sapere che è successo?”

Battler si fece strada in casa sua, entrando senza chiedere permesso e scansando di lato la ragazza. Beato lo guardava ancora un po' perplessa e, quando lo vide dirigersi verso la cucina, si ricordò improvvisamente del cioccolato che aveva provato a fare – quel povero cioccolato che, piuttosto che finire di nuovo fra le sue mani, aveva deciso di esplodere insudiciando le parenti.

“N-non andare di là!”, lo afferrò per una manica, strattonandolo, “Battler!”

“Beato.”
Si era voltato a guardarla, serio in volto come non era mai stato.

“Ba-Battler...? Non a-andare...”

“Hai tutta la faccia sporca”, le disse, interrompendola e passandole un dito sulla guancia completamente ricoperta di cioccolato. “Vedi?”

La mostrò il dito sorridendo e senza pensarci due volte lo mise in bocca.

Beato lo fissò speranzosa, puro dubbio e attesa in volto mentre aspettava con ansia una reazione qualsiasi da parte del ragazzo – un complimento, un altro sorriso... o un pallore marcato accompagnato da uno svenimento, magari. E quell'ultima idea le parve la più probabile quando il ragazzo rimase muto davanti a lei, gli occhi chiusi ed il dito ancora tra le labbra. Le sembra quasi che avesse smesso di respirare.

“Ba-Battler...?”, domandò preoccupata, afferrandogli una manica e tirandola appena, sperando in una sua reazione. “Ba-”

E contro ogni sua aspettativa, lui le carezzò la testa, ghignando appena.

I capelli già in disordine s'arruffarono ulteriormente e, fra sé e sé, Beato maledì quella mano.

“Mh... Potevi fare di meglio, Beato. Però... suppongo che questo sia il massimo che possa fare una tsundere come te~ eeeh~? Ihihi~!”

A quella frase, nella mente della ragazza iniziarono a formarsi varie idee su diversi modi in cui avrebbe potuto farlo soffrire – magari, includendo anche del cioccolato bollente. Avrebbe potuto fingere d'inciampare e...

“Idiota. Fattelo te allora.”

“Nah”, scosse la testa, puntandole un dito contro il petto, “a San Valentino sono le ragazze che preparano del cioccolato per NOI! Ricambierò fra un mese.”

“Nessuno mi obbliga a farlo per TE.”

“Ma io so che lo stai facendo per me~”

“N-non è vero...!”

 

Battler si lasciò andare sul divanetto esausto, sprofondando fra quei cuscini profumati.

Chiuse gli occhi, appoggiando il capo contro la stoffa morbida e levandosi di dosso il grembiule – in modo piuttosto impacciato e, si disse, forse avrebbe dovuto toglierlo prima di sdraiarsi.

“Già stancooo~?”

La voce di Beato lo risvegliò dal suo temporaneo torpore, facendolo quasi cadere a terra.

Nonostante la ragazza sembrasse cantare piuttosto che parlare, certe volte, i suoi toni non cessavano mai di farlo trasalire.

“Sì. Cucinare con te non è un'esperienza per nulla rilassante.”

“Oooh~ crudeeeeleee~! Gyahahahaha!”

Si sedette sul bordo del divanetto, accanto a lui, e lo guardò sorridendo lascivamente. Erano entrambi un po' sporchi di cioccolato in viso – Beato ne aveva un po' addirittura sui capelli – e i grembiuli erano talmente ricoperti da quel dolce che non ne riconoscevano quasi più il colore originale.

“Cooomunque”, iniziò la ragazza, dondolando i piedi avanti e indietro, “come mai sei venuto qui? E' tardi.”

“Non sei venuta a casa mia oggi e... volevo controllare che stessi bene”, lo disse chiudendo gli occhi e voltandosi per darle la schiena. Si raggomitolò sul quel piccolo divanetto, stretto fra il cuscini e Beato, che lo osservava divertita.

“Allora ti preoccupi per me, eeeh~?”

“N-no. Ovvio che no. Perché dovrei?”

“Baaatleeer~”

Uno sbuffò, e si voltò a guardarla stizzito.

“Va bene. Mi preoccupo, e con questo?”, aria di sfida negli occhi e pure imbarazzo dipinto in volto mentre si grattava una guancia con l'indice, tenendo gli occhi ancora chiusi.

“Aaah~ e poi sarei io la tsun~dere~!”, scandì bene l'ultima parola, ghignando e allungando una mano verso Battler. “E Kyrie-san dubito ti abbia lasciato uscire di casa a quest'ora... sei scappato senza di nulla a nessuno?” Gli passò l'indice sotto il mento, costringendolo ad aprire gli occhi quando ritrovò il volto di lei così vicino al suo.

Sembrava pronta a morderlo, con quel sorriso a trentadue denti stampato in volto... un sorriso completamente inquietante e che avrebbe preferito non rivedere – anche se, in tutta sincerità, preferiva quello allo sguardo triste che ogni tanto le deformava gli altrimenti dolci contorni del viso.

“Accettalo, Ushiromiya Battler. Tu sei più tsundere di me.”

“Ah, è inutile! E' tutto inutile! Non lo accetterò mai!”

 

Quella notte, Battler rimase a dormire su quel divano.

Quando s'accorse che s'era addormentato, Beato gli posò addosso una coperta, sorridendo appena e lasciando il cioccolato che gli aveva preparato – anche se avevano partecipato entrambi alla sua fase di produzione – ben avvolto in un pacchetto sopra il basso tavolino del salotto. Gli spostò qualche ciuffo dalla fronte e vi posò un leggero bacio.

“Buon San Valentino, Battler.”

E si sedette accanto a lui, sprofondando in un sonno buio e tranquillo.

 

14 Febbraio 1987

Se Beato considerò fare del cioccolato a mano difficile, dovette ammettere alla fine di quella giornata che tenere lontane da Battler le altre ragazze lo fu ancora di più.

Lo seguì ovunque, aspettandolo anche fuori dai bagni, e monitorò ogni suo spostamento.

Non lo lasciò solo un attimo e lanciò una quantità mortale di occhiatacce durante quelle poche ore di scuola.

Il ragazzo s'era limitato a ridere del suo comportamento, dicendole che era infantile e, durante la pausa pranzo, che lui non era suo e che, quindi, voleva e aveva il diritto di ricevere il cioccolato anche da altre ragazze. A quella affermazione, Beato si limitò a fissare il proprio bento per diversi minuti, ingoiando il cibo di malavoglia e sperando che i compagni di classe smettessero di guardarli e ridere di loro (perché Battler doveva sempre urlare certe cose, invece di dirle con un tono di voce normale?).

Mancavano dieci minuti alla fine delle lezioni quando Beato iniziò a credere di poter tirare finalmente un respiro di sollievo. Respiro che, tuttavia, non tirò quando all'uscita di scuola scorse tre ragazze con tanto di pacchetti in mano che facevano segno a Battler d'avvicinarsi. S'aggrappò al suo braccio e il ragazzo la trascinò per tutto il cortile, finché non raggiunse le tre studentesse che li fissavano stranite.

“M-mi avete chiamato...?”, domandò Battler cercando di staccarsi Beato dal braccio che, nel frattempo, lo fissava con sguardo omicida.

“S-sì... Ushiromiya-san”, una delle tre rispose arrossendo e abbassando lo sguardo, imbarazzata.

“Abbi-abbiamo fatto questi per te...”, e allungarono i pacchetti verso di lui, invitandolo ad afferrarli.

Lasciando andare improvvisamente il braccio del povero Battler, Beato scattò in avanti e si frappose fra quest'ultimo e le ragazze, fissando le tre malcapitate con aria di sfida, il ghignò che la contraddistingueva ben stampato in volto.

“Eeehi, ragazzine~! Battler è di mia proprietà, quindi niente cioccolato per lui!”

Le guardava dall'alto in basso, mettendo loro inquietudine.

“U-Ushiromiya-san... no-non sapevamo avessi una ragazza...”

“Ehi, ehi, Beato!”, fu il suo turno d'afferrarle il braccio e, velocemente, la obbligò a voltarsi, “Ti ho già detto che non sono tuo!”

“Sì che lo sei! S-sei il mio mobile...!”

“Mo-mobile!? Stai decisamente dicendo più stronzate del solito.”

“B-Battler...!!”

Beato lo guardava stizzita, indecisa se saltargli addosso e costringerlo ad ammettere che lui era suo o scappare, fingendosi offesa e sperando che il ragazzo l'avrebbe seguita.

“Non fate caso a lei”, la spinse da parte, sorridendo alle tre ragazzine che, a loro volta, gli mostrarono tre splendidi sorrisi. Gli tesero nuovamente i pacchetti colorati pieni di fiocchetti, sperando che li avrebbe accolti e graditi. Ma, senza alcun preavviso, Battler si sentì tirare per la cravatta e le labbra di Beato incontrarono le sue. Con gli occhi spalancati per la sorpresa, il ragazzo cercò d'allontanarla da sé, afferrandola per le spalle e spingendola via – con poca convinzione, però.

Le tre ragazze li fissarono un po' deluse e, riponendo i pacchetti nello zaino, s'allontanarono chiedendo scusa per il disturbo, i capi rivolti verso il basso. Battler avrebbe voluto fermarle e chieder loro scusa per il comportamento di Beato... tuttavia, in quel momento, decise che poteva anche lasciarle andare. Si sarebbe scusato con loro un altro giorno... forse. O forse le avrebbe ringraziate.

“Mh”, sentì Beato sussurrare qualcosa sulle sue labbra e s'accorse solo in quel momento che aveva risposto a quel bacio che non aveva cercato e che era arrivato del tutto inaspettato.

“Adesso sei mio”, gli disse, allontanandosi di poco da lui e prendendo fiato. Era completamente rossa in volto, segno che quel gesto le era costato molto – l'essere così tsundere aveva i suoi lati negativi. Iniziò a stropicciarsi la gonna, la frangia davanti agli occhi che le nascondeva il volto in parte alla vista.

“I-idiota...”, fu l'unica risposta di Battler, decisamente in imbarazzo mentre si grattava la testa e distoglieva lo sguardo da lei. Gli tremava quasi la voce – anche se non riuscì a capire se fosse a causa dell'imbarazzo o... d'altro.

“Su... torniamo a casa.”

Le raccolse la borsa da terra e si incamminò per strada, senza aspettarla. Beato s'accostò a lui quasi automaticamente, fissando ininterrottamente il terreno – gli occhi smarriti fra gli svariati sassolini e le crepe nell'asfalto. E poi, lentamente... allungò una mano verso quella di Battler, inizialmente sfiorandola e poi afferrandola con decisione.

Rimase sorpresa nel sentirlo stringerle le dita e alzò gli occhi verso di lui in quel momento, speranzosa e con gli occhi lucidi.

Non la guardava ancora: aveva il capo rivolto verso il cielo, le gote ancora arrossate.

“Vi-vieni a casa mia anche oggi, vero...?”, le domandò, lasciandole andare per un attimo la mano, afferrandola di nuovo praticamente subito ed intrecciando le dita con le sue.

Un gesto così semplice... eppure sentì qualcosa prendere velocemente forma dentro di lei. Qualcosa che un tempo aveva conosciuto ed odiato, qualcosa per cui aveva sofferto.

Beato sorrise, una dolce calore diffuso nel petto mentre rispondeva debolmente.

“Certo...”

   
 
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