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Autore: thewhitelady    04/03/2011    1 recensioni
- Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi - Liam Keeran.
- Questo è solo la Genesi, dobbiamoa ncroa passare per il Levitico,l'esodo e il Deuteronomio prima d'arrivare a qualcosa - Eneas Clayton
Storia di una caccia al tesoro che si trasforma tra inseguimenti e una rapina in un museo in pericoloso gioco mortale. Storia di come un uomo scopre di essere ciò ch ha sempre combatutto, e della redenzione di un altro. Storia di due amici. Il tutto girando il mondo tra Inghilterra, europa dell'Est e estremo Oriente.
La mia prima storia, recensite ma soprattutto buon divertimento! :D
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hello! Se sei arrivato sino a qui vuol dire che sei arrivato alla fine, e presumibilmente hai letto pure gli scorsi capitoli. Essendo questo l'ultimo mi farebbe molto piacere ricevere la tua opinione anche solo sull'intera storia! Grazie e buona lettura!
The White Lady


Il tempo che fino a quel momento gli sembrava quasi scomparso, aveva lasciato come scia, il solo segno del suo ormai lontano passaggio una sottile bruma. Questa congelava ogni frammento d’immagine che vedeva, ed ognuna gli si imprimeva a fuoco nella memoria, nell’anima: le decine di figurine nere che si avvicendavano, tutte nello stesso punto, le betulle spoglie con i loro rami esangui protesi all’infinito, cupe sentinelle in una giornata fantasma. A incorniciare tutto era la pioggia, con la sua opprimente onnipresenza, abituale, silenziosa testimone nel più oscuro e misterioso dei giorni.
A poco a poco come la folla scemava via dal cimitero, cominciò a prendere coscienza di quel che succedeva, a svegliarsi dal coma profondo che in quei giorni lo aveva avvolto, l’unica possibile protezione contro la malinconia e il vuoto insaziabile che lo assaliva in profondi tremiti, purtroppo già conosciuti. Continuò a fissare da lontano quel puntino marrone, posto sotto una quercia dall’aria stanca e affaticata almeno quanto la sua, lo guardò senza battere ciglio finché non sentì dolere gli occhi.
L’attenzione da quel fulcro fu distolta solo per un attimo quando vide del movimento ai lati del suo campo visivo. Non si voltò, né fece caso a chi fosse. Non importava, poteva essere la morte stessa che gli veniva a fare visita, ma quella ormai, si disse, non poteva più fargli niente. Strinse il bordo della panchina e osservò la bara che veniva calata nella fossa. Poi qualcosa si frappose fra lui e quello che ormai era diventato un rituale che conosceva fin troppo bene. Ma sta volta era diverso, nel feretro c’era lui o comunque quanto ne era rimasto.
Dan Fang vestiva molto di rado elegantemente, eppure in quel genere di occasioni era sempre il più accurato: completo blu scuro appena gessato, giacca dal bavero corto, camicia bianca con riga sottile celeste accompagnata da cravatta Regimental con nodo St. Andrew.
Si era fermato davanti a lui a bloccargli la visuale. Keeran mosse la mano convulsamente, come per scacciare una mosca alquanto fastidiosa, ma quello rimase immobile.
Voleva la sua attenzione. Alzò lo sguardo a fissare Fang in volto, portava ancora il braccio sinistro fasciato per colpa della lussazione alla spalla ed una ingessatura al polso. Entrambi messi vicini tra ossa rotte e medicamenti vari potevano sembrare due evasi da terapia intensiva. Ma la sua attenzione fu catturata dagli occhi dell’uomo, solitamente di un verde brillante che esprimeva intelligenza e gioia del vivere, erano invece quasi grigi come se qualcuno avesse spento la lampadina che da dietro li illuminava. Anche se molto più probabilmente era il riflesso della luce.
- Non ti ho visto alla funzione, insomma ti capisco. Odio anch’io i funerali in cui a dispiacersi sono pochi e a sbadigliare in troppi…Non hai voglia di parlare e lo so. Ma mi metto qui comunque, tanto per riconfermare il mio status symbol di persona più inopportuna della storia – parlò con un filo di voce, tanto che quasi il suono delle parole venne cancellato dal rumore della pioggia. Poi chiuse l’ombrello e aggiunse
– Addio al completo di Hugo Boss, ma almeno ci bagnamo in due –
Si sedette accanto a Keeran, e stettero in silenzio per alcuni minuti, poi scrollando la testa Fang iniziò a parlare – Non ti dirò che ti capisco, che so cosa provi, perché sparerei una cazzata. Perciò non andrò per il sottile: è morta, Dio mio, è morta tra le tue braccia! C’ero anche io! Lei è morta e non tornerà, ma tu sei capace di resistere, in ogni caso, con la bonaccia e la tempesta –
- Probabilmente dovrei stare zitto, ma ti dico un’ultima cosa – sorrise amaramente – Una sera di circa quindici anni fa, era proprio un settembre come questo, terribilmente piovoso e con un tempo infame. Ero arrabbiato con il mondo intero, ma un uomo mi disse una delle cose che più hanno influenzato la mia vita negli anni a venire, quell’uomo era tuo padre Liam. Tu non c’eri, ti aveva mandato a prendere non so che cosa… Mi fece un bel discorso, di quelli rimpinzati di bei sentimenti e grossi paroloni, poi però vide che non lo ascoltavo e così scoppiò in un imprecazione tremenda, lui così candido, forse l’unico irlandese che non si sia mai accalorato in vita sua, aveva fatto tremare le fondamenta della casa. Poi cominciò a dirmi: ‘ Sai Danny io spero tutto il meglio del mondo per te, sei un grande puoi fare quello che ti pare: sei geniale, un’intelligenza fuori dal comune la tua e poi nelle dita hai la musica. Certo ti sono capitate sfighe che non augurerei neppure al mio nemico peggiore. Però tutto serve nella vita, niente è da buttare o da rinnegare; spero che ti capiti un po’ di tutto, spero davvero che tu troverai le lacrime sia per le cose belle che per quelle brutte. Perché alla fine troverai sempre l’allegria, questo certo non vale per tutti, ma per te sì. Tu stesso sei l’allegria, vedi Dio provvede ’ - disse con quel suo tono, un po’ tipico, di quando è veramente serio e convinto.
Keeran rise amaramente, cinico ancor meglio; una fossetta gli rigò il viso inasprendolo, si voltò verso l’amico e dopo aver fatto un ampio gesto con il braccio fino ad arrivare a indicare il cimitero disse – Dio provvede, eh? Ma bene ed allora questo è il risultato! Certo però non voglio lasciargli tutto il merito, infondo è colpa pure mia e di Poole –.
Fang scosse piano la testa, vedeva quella maschera e non riconosceva l’amico, il gelo che normalmente era confinato nella parte più profonda dei suoi occhi s’era ora diffuso a tutto il volto spaventosamente segnato.
Keeran prese il gesto di Fang come un diniego, perciò riprese – Dove lo vedi? Dimmelo, dove lo vedi? Dimmelo perché abbia anch’io a rallegrarmi della novità! Lo vedi nelle azioni che questo mondo scellerato compie? O forse, ho capito: nel sostantivo che hai per cognome, una parola presa a caso dal vocabolario! Che Dio è mai questo? E noi uomini che lo incolpiamo siamo pure peggio. Che ironia il cane che si rincorre la coda… -.
- Sì sai che ti dico, lo vedo pure lì perché ho la stramaledetta fortuna d’essere vivo, perché oramai ho rischiato così tante volte la pelle in situazioni estreme che mi viene difficile pensare che sia solo fortuna o merito mio. Io sono un ingegnere, le ho studiate ’ste cose e non credo nel calcolo delle probabilità, nel caso, perché è impensabile il credere d’esserci per la stessa motivazione per cui esiste i caffè macchiato e non! – esclamò, e se si fosse pure dubitato del vero fervore che animava quelle sue parole, si sarebbe trovata una conferma nelle sue movenze.
Poi soggiunse – Le cose accadono, io non ti posso dire il perché Lyn sia morta oppure come mai sono orfano. La ragione forse verrà più avanti, ma di certo non la capirai chiudendoti nel silenzio o peggio… -. Keeran sapeva che erano vere quelle parole, non avrebbe certo replicato dicendo che lui che ne sapeva, Lyn non era la sua fidanzata, ma solo perchè vedeva il viso emaciato di Fang. Soffriva pure lui.
- Tu in Dio non ci credi più, però… - stava cominciando a dire Fang quando Keeran intervenne brusco – Io ci credo ancora, vedi, è proprio questo il problema… - fece un lungo sospiro, raccolse una manciata di sassolini dal ghiaietto che stava per terra e cominciò a lanciarli; quando li ebbe finiti tutti, si voltò ancora a guardare Fang, gli occhi grigi che bucavano l’atmosfera – Sai, avrei preferito che mio padre avesse detto a me quella frase. Pazienza, un ricordo in meno –.
Fang contraccambiò con stessa intensità, l’iride verde che sembrava riprendere un po’ del colorito d’un tempo - Io sono la prova vivente di due cose: la prima è che l’uomo è diretto discendente delle scimmie e la seconda, la più importante è che solo noi decidiamo da che parte deve andare la nostra vita. Noi siamo gli autori del domani. Non possiamo lamentarci di niente, anche perché soddisfatti o no, qui non ci rimborsa mai nessuno – cercò di sdrammatizzare, la mano che tormentando l’orlo della giacca tradiva l’inquietudine.
Scrutò l’intera figura dell’amico, poi giunse al viso, rigido, scolpito, dall’espressione non traspariva la benché minima emozione sembrava completamente distaccato. Solo la mascella leggermente contratta e il pomo d’Adamo che fremeva impercettibilmente, lasciavano presagire il dolore interno che provava ed a cui nessuno mai sarebbe stato reso partecipe. Era nella sua natura allo stesso tempo orgogliosa e schiva. Lo sapeva fin troppo bene.
Fang capì che la conversazione stava per giungere al termine perciò si sbrigò a dire un ultima cosa – Ti posso dare un consiglio? Quando abbiamo ancora la fortuna di essere qui, non dovresti divorarti l’anima. Va be’ che al giorno d’oggi non va più così di moda avere un cuore o almeno la gente non si sforza nell’ostentarlo -.
Keeran girò in torno lo sguardo, le palpebre che si muovevano convulse per scorgere oltre la cortina di fitta pioggerellina. – Ora mi rimane una cosa sola da fare – mormorò fiocamente, le parole faticarono ad arrivare all’orecchio di Fang che subito si sentì ghiacciare il sangue che solo poco prima era stato magma. Cosa voleva dire quella frase?
Ormai non poteva più dire o fare nient’altro che potesse anche solo minimamente esser utile a Keeran, la sua parte l’aveva portata a termine, dopo si sarebbe dovuto vedere e già aveva il presentimento che i mesi a venire sarebbero stati duri. Solo non capiva come potesse esser andata a finire così, infondo erano solo due veterani del rischio in cerca d’un po’ di divertimento.
Fang si alzò, aprì l’ombrello. Fece un mezzo saluto militare e si rigirò, ma Keeran prontamente gli afferrò l’avambraccio – Lunedì, dai questa a Clayton - gli disse consegnandogli una busta sigillata un po’ malconcia per via dell’acqua. Fang strinse le labbra e assentì – Non venirmi a cercare, torno nello Yorkshire a sistemare un paio di cose, starò via qualche mese… James infondo aveva ragione, io sono identico a lui – pronunciò quelle parole come una mite sentenza, a cui non erano ammesse contraddizioni. Infine l’altro se ne andò. A Keeran era parso che le sue labbra avessero detto qualcosa: “ Guardati, non sei tu ”.
Keeran lo guardò scomparire avvolto nel banco di nebbia; sgranchì il collo piegandolo all’indietro, quindi si ritrovò a fissare il cielo plumbeo e offuscato dalle nuvole, malgrado il progredire della giornata il tempo non appariva intenzionato a cambiare. Di colpo fu assalìto da una gran rabbia, nei due giorni precedenti aveva provato una moltitudine di emozioni e stati d’animo, passava da un inconsistente nichilismo a stati di incontrollabile sconforto. Invece in quel preciso istante, era arrabbiato con se stesso perché non riusciva nemmeno a versare una lacrima, a disperarsi, ad essere sopraffatto da quella grandezza di pensieri ed impressioni che incessantemente lo attorniavano, una cortina incorruttibile che lo divideva dalla triste realtà. Si torturava all’idea di non riuscire a trovare uno sbocco reale per il vuoto che aveva dentro, aveva il cuore di pietra, pensò, se non riusciva neppure a piangere la persona che più in assoluto era riuscita a riempire la sua vita
Una vecchia deformazione professionale, capita… rifletté, cercando in quella frase sarcastica la ragione per cui stava accadendo tutto quello.
Quando si riprese poco dopo Keeran si alzò a sua volta. Infilò le mani in tasca, quella mattina faceva un freddo da lupi e malgrado fossero soltanto i primi di settembre. L’autunno era già presente nell’aria tagliente che penetrava fin nelle ossa, stritolando le membra in una gelida morsa che gli faceva pensare che a quel momento non ci sarebbe mai stata una fine. Scrollò la testa cercando di riacquisire un po’ di lucidità e si mise in cammino lungo il viale.
Per ritornare sulla strada principale della città bisognava per forza passare vicino alla nodosa quercia centenaria e quindi vicino a dove era stato sepolto poco prima il feretro. Ci passò accanto per guardare quel punto, un ultima volta, sapeva che non si sarebbe mai più voltato a guardarlo, non vi sarebbe mai più tornato in quel luogo per nulla al mondo. Al collo teneva la catenella argentea che era appartenuta a Poole, sentiva battere la chiave fredda sul petto; si passò una mano trai capelli provando a risistemarli, si sfregò gli occhi per scacciare via quei pensieri. Infine riprese a camminare lungo il ghiaietto, in fondo era sempre bastato a se stesso, quella volta non sarebbe cambiato niente, si disse, ce l’avrebbe potuta fare ancora da solo. Come aveva detto Fang lui era forte, lui ci sarebbe riuscito a superare quel tranello che la vita beffarda gli aveva teso ed anzi sarebbe stato in grado di fare come si suol dire occhio per occhio e dente per dente.
Però stava solo mentendo a se stesso, il 29 d’agosto aveva perso davvero qualcosa, una di quelle cose che non ti riporta indietro nessuno, una persona speciale, di quelle che, mi dispiace, non si dimenticano. Non si possono lasciare in un cassetto come vecchie foto ingiallite e sdrucite dal tempo, perché comunque qualcosa di loro ti rimane impresso, una frase, un gesto, anche il più insignificante degli sguardi che solo a quella persona apparteneva; a Keeran di Poole gli era rimasto il carattere. E malgrado che siamo miliardi mai si ripeterà perché siamo stati creati per essere, avere una ed una sola anima irripetibile. Alla fine si è ciò che si perde, nel bene e nel male.
Esattamente sotto le fronde della quercia stava una lapide di marmo color alabastro sferzata, come Keeran, dalla pioggia e dal vento. Accanto ad essa era stato poggiato un magnifico mazzo di gardenie, dai grossi fiori candidi proprio come la pietra.
E più infondo ancora dietro la lapide, stava un piantina gracile, figlia della grossa quercia. Era scossa dal vento che la tormentava in continuazione. Era nata con le condizioni sbagliate però se avesse superato il rigido inverno che si prospettava all’orizzonte, forse un giorno sarebbe fiorita rigogliosa.

Epilogo
Era stato come se due mesi e mezzo prima fosse salito a bordo d’un aereo di cui era pilota, aveva cominciato a volare spinto dalla voglia di sapere che cosa c’era oltre il solito. C’erano state turbolenze che gli avevano fatto tremare le vene, spesso era stato lui stesso a volersi arrischiare compiendo qualche vite verticale, a fare giri della morte; nonostante tutto era però sempre riuscito a mantenere il controllo del velivolo.
Ora che aveva visto abbastanza, che aveva sperimentato oltre il giusto, aveva però voglia di tornarsene a casa. Ma quella notte nella grotta era stato come scoprire all’improvviso che non cera abbastanza carburante per tornare. Sarebbe precipitato di sicuro. L’unica cosa che gli rimaneva da fare era rendere epica la sua fine, avrebbe fatto un’ultima acrobazia aerea, ormai non importava più l’andare a schiantarsi, perché quella era una certezza, ma il come.
Solo una cosa, un domanda gli turbinava ancora dentro. Come aveva fatto a spingersi così in là senza accorgersi?
   
 
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