Capitolo 14
“Ciao, Priscilla.
Ci vediamo domani?”
“Sì, Camila. Domani
è il mio giorno libero, sarò a casa fin dalla mattina.
Aspetta, ti accompagno alla porta.”
“Ciao, Bilbo.”
Camila si china ad accarezzare il cane, sdraiato nel suo cesto come al solito. “Ci
vediamo domani, pelosone.” Bilbo risponde
scodinzolando.
“Camila, vai già
via?” domanda Giancarlo, tornato da due minuti dal suo ufficio.
“Sì,” risponde lei. “Il suo pranzo è in cucina. Simona le ha
preparato i carciofi ripieni.”
L’uomo sorride e
annuisce, andandole incontro per raggiungere la cucina. “
Arrivederci, a
domani,” dice lei velocemente, imboccando il corridoio
dietro Priscilla.
Due settimane di
lavoro a casa dei Falco, e quasi non le sembra vero: sta bene, si trova bene.
Il primo giorno è passato
in maniera surreale e a tratti divertente. La spesa al supermercato, la pulizia
del salone e dei bagni in compagnia di Simona, la passeggiata con Bilbo e
Simona nel parcheggio condominiale. E poi la preparazione del pranzo, con
quella che è a tutti gli effetti una specie di amica, e non un datore di
lavoro. Quel giorno, a sorpresa, Davide le ha raggiunte per mangiare con loro.
Camila si è sentita
emozionata per tutta la durata del pranzo. Davide l’ha guardata più volte da un
lato all’altro del tavolo, e le ha sorriso quando Simona si è alzata per
rispondere al telefono.
Lei gli ha detto:
“Non pensavo che saresti tornato a pranzo.”
Lui ha risposto
con: “Volevo vederti.”
Nei giorni
successivi Camila ha imparato a conoscere l’abitazione del Falco. Simona le ha
mostrato in che modo vuole che vengano puliti i pavimenti, le porte, le
finestre. Le ha mostrato il contenuto del ripostiglio, della dispensa che non
aveva visto il giorno prima e del garage. Le ha perfino fatto vedere come
funziona il forno.
Camila ha
incamerato ogni informazione con la solita cortesia e professionalità, anche se
non si spiega perché Simona le abbia mostrato anche l’attrezzatura da sci di
suo marito.
E’ una persona
speciale, Simona, e lei l’ha capito subito. Non ha un effettivo bisogno di
qualcuno che l’aiuti in casa, ma ha molto bisogno di qualcuno che le faccia
compagnia, che le ricordi che è ora di avviare il
pranzo e che scriva e legga con lei la lista della spesa.
Giancarlo è un uomo
molto impegnato. E’ raro che, quando arriva, alle nove del mattino, Camila lo
trovi in casa, ed è altresì raro che rientri per pranzare con la sua famiglia.
I suoi affari lo portano spesso e volentieri in giro per la regione, e a volte
anche fuori dai confini del Lazio, per cui è normale che Simona si senta sola.
Ha alcune amiche, ma Camila ha avuto il sentore che si
tratti per lo più di donne con gusti molto diversi dai suoi. Simona è
giovanile, spigliata. Si interessa di musica e di sport, in particolare di
hockey su prato, lo sport praticato da Priscilla. E’ una brava madre ed una
brava moglie, ma è una donna molto sola. Camila non sa se possiede fratelli o
sorelle.
E poi c’è il resto
della famiglia. Priscilla, Giancarlo e Davide.
Priscilla è poco
presente in casa. Al mattino è in ospedale, e di pomeriggio è in giro con i
suoi amici, alcuni dei quali stanno preparando la tesi
di laurea. Camila ha ascoltato alcune conversazioni fra madre e figlia, e a
dire il vero non è sicura che si tratti di più amici o di un solo amico, magari
il suo ragazzo. Quando è in casa, Priscilla è sempre allegra e gioviale,
proprio come sua madre. Il sorriso non l’abbandona mai, soprattutto nei
confronti di Camila. Le chiede se ha bisogno di una mano quando la vede pulire
il bagno, e le domanda se Bilbo le ha causato problemi con i suoi giochetti attira-attenzione.
Giancarlo è l’unico
con cui Camila ha un rapporto più freddo, distaccato. Si vedono poco, è vero.
Spesso, il rientro di lui coincide con l’uscita di lei, per cui non hanno
ancora avuto modo di chiacchierare come si deve e di conoscersi, tuttavia
Camila si sente un po’ intimorita dal capofamiglia. Giancarlo è l’unico che non
si lascia andare a battute e sorrisi. E’ molto tranquillo e sereno, ma non è
come le donne di casa. Questo lato del suo carattere la mette in soggezione, ed
è per questo che quando gli parla lo fa rapidamente, cercando di limitare
quelle che potrebbero essere parole superflue o non gradite.
Con Davide, infine,
il rapporto è completamente diverso, sia da quello con Giancarlo sia da quello
con Simona e Priscilla. C’è qualcosa di speciale fra di
loro, e Camila se ne sta pian piano rendendo conto.
Il primo giorno di
lavoro, Davide le ha detto che non c’era bisogno di pulire la sua camera,
perché se n’era occupato lui il giorno prima. Il secondo giorno, non appena è
arrivata, le ha detto la stessa cosa. L’ha fatto anche il terzo giorno, e il
quarto e il quinto.
Davide non consente
a Camila di pulirgli la stanza, di rifargli il letto, di spolverare i suoi
soprammobili. Le ha mostrato la sua camera, ma non le ha permesso di pulirla.
Non vuole che lo faccia. Non vuole che sia, nella sua stanza, la donna delle
pulizie.
In realtà non vuole
che lo sia neanche nel resto della casa. Quando sua madre non lo vede, Davide
aiuta Camila a sistemare le pentole o la spesa. L’aiuta con il bucato, e si
prende cura di Bilbo quando lei deve lavare i pavimenti.
Camila sa che lui
lo fa per lei.
Camila sa che è il
suo modo per dirle ‘Ci sono’.
Camila lo apprezza,
più di quanto dovrebbe e vorrebbe.
In casa nessuno
conosce ancora la sua storia. Sanno che è nata a Carovigno, ma non le hanno
chiesto nulla dei suoi anni nel paesino pugliese. Sanno che ha vissuto in
Germania per qualche anno e che poi si è trasferita in Basilicata. Sanno anche
che è sposata. Hanno appreso queste informazioni durante la firma del
contratto, quando Camila ha fornito al commercialista una fotocopia della carta
d’identità.
Sono molto
discreti. Non sono degli impiccioni. Per loro – in particolare per Simona – è
importante che Camila sia capace ed affidabile. Rispettano i suoi silenzi, il
suo carattere chiuso, il fatto che non ami particolarmente parlare di sé.
Camila pensa e
ripensa ai Falco anche quando raggiunge il suo appartamento. Ha il pomeriggio
libero, oggi, dato che la famiglia Ballotta è partita per qualche settimana. In
queste due settimane ha lavorato anche presso i vecchi clienti, proprio come
aveva programmato all’inizio.
Una volta
all’interno della casa, sente la voce di Alessia provenire dal salotto. Sente
anche quella di Ida, e quella di un’altra ragazza, che però non conosce.
Si ferma per un
attimo davanti alla porta della stanza. Le saluto o non le saluto? Se alzano la
testa per guardarmi, le saluto.
Ida, Alessia e la
ragazza senza nome continuano a parlare, sedute al tavolo, ricoperto di libri e
di quaderni. Nessuna si accorge di lei. O forse notano la sua presenza e
decidono di ignorarla.
Camila si volta e
va in cucina. Dalla sua dispensa afferra un pacco di biscotti al cocco, e dal
frigorifero prende una bottiglia d’acqua. Si chiude in camera e decide di
rilassarsi.
Prima di
addormentarsi, ripensa al sorriso di Davide.
***
“Perché si chiama
Bilbo?” domanda Camila una mattina, mentre lei e Simona passeggiano col cane
nel parco che collega i palazzi del quartiere.
La zona è
tranquilla, poco trafficata. Sembra quasi che si trovi fuori dalla caotica
Roma, e a Camila piace molto. Qui, con i Falco, si sente al sicuro.
Simona sorride alla
sua domanda. “E’ stata Priscilla a scegliere questo nome.
Sai, in onore di Bilbo Baggins.” Camila annuisce. Non
ha mai mangiato al McDonalds, ma ha letto Il Signore
degli Anelli. “Quando lo abbiamo preso c’è stata un po’ di
confusione sul nome da dargli. Come al solito, Davide e Priscilla hanno
cominciato ad azzuffarsi. Lui voleva chiamarlo Azzurro.”
“Azzurro?”
“Biancoazzurro,” si corregge la donna. “In onore della Lazio,” aggiunge, sollevando le sopracciglia.
Camila ha avuto
modo di conoscere la fede calcistica di Davide, attraverso i poster che ha
intravisto nella sua stanza e attraverso le magliette sportive che ha lavato e
steso ad asciugare.
“Ma Priscilla si è
opposta,” riprende Simona. “Il cane è nero, non poteva
chiamarsi Biancoazzurro, o Azzurro. Alla fine ha scelto di chiamarlo come un
hobbit, perché è piccolo e peloso.”
“E’ un nome
originale,” dice Camila. “Gli sta bene. Bilbo era
molto originale.”
“Ti va di portare
il guinzaglio?” chiede l’altra. “Ormai sei con noi da quasi
un mese. Bilbo ti considera di famiglia, e non è il solo,” dice, dandole un colpetto col gomito. “Avanti, guidalo tu
alla ricerca del suo posto preferito. Cambia ogni giorno, lo sai. Chissà oggi dove ci porterà.”
Camila accetta il
guinzaglio provando una strana sensazione nel petto. E’ come se Simona le
avesse affidato un bene prezioso. E’ come se le avesse confermato, ancora una
volta, che si fida di lei. Che le vuole bene.
***
“Camila? Puoi venire un secondo?”
La voce è quella di
Giancarlo. Camila ha camminato sulle uova per tutta la mattinata, sapendolo in
casa, ma si è rallegrata del fatto che l’uomo sia rimasto in un angolo del
salone a leggere il giornale e a navigare su Internet. Ora però l’ha chiamata a
rapporto.
Cosa vuole da me?
Ho fatto qualcosa di sbagliato? Vuole licenziarmi?
Spegne
l’aspirapolvere con cui stava pulendo le scale e scende al piano di sotto.
Dalla cucina arriva il profumo della lasagna al forno che Simona sta
preparando.
“Eccomi,” dice con un sorriso. “Ha bisogno di qualcosa?”
Giancarlo si libera
degli occhiali da vista e alza la testa dal tavolo. “Tieni,”
dice, porgendole una busta bianca. “Il tuo primo assegno.”
Oh. Il mio primo
stipendio.
“Grazie,” dice lei, accettando la busta senza aprirla.
“Grazie a te,” ribatte lui. Le sorride. “Avrei anche bisogno di una tua
firma qui,” dice, indicando il foglio della busta
paga.
“Certo.” Camila si
china sul foglio e lascia il suo nome e cognome.
“Simona è molto
felice di averti in casa,” dice Giancarlo a bassa
voce, per non farsi sentire da sua moglie. “Anche i ragazzi lo sono. Sono
adulti, è vero, quindi forse dovrebbero fare loro quello che fai tu, però sono
contento che qualcuno si occupi di loro così bene. Oltre a Simona, è chiaro.”
E’ la prima volta
che Giancarlo le fa un complimento di questo tipo. E’ la prima volta che
riconosce, in pubblico, di apprezzare il suo operato in casa.
“Grazie,” dice Camila, allargando le spalle, a testa alta. “Anch’io
sono contenta di essere qui, di lavorare per la sua famiglia.”
***
Prima dell’arrivo
di Camila, Davide nasconde in casa una barretta al cioccolato.
Lo fa ogni giorno.
Ogni santissimo giorno.
La nasconde nei
cassetti in cui sa che Camila dovrà sistemare le posate. La nasconde nel
portariviste, sapendo che sua madre chiederà alla ragazza di occuparsi di
quelle da buttare. La nasconde nella tasca del giaccone di Camila, prima di
salutare le donne di casa ed uscire per andare a studiare in biblioteca. E ogni
volta, quando torna a casa e va a controllare, si accorge che la barretta non
c’è più.
Camila è rimasta ad
occhi aperti, quando ha trovato la prima barretta. Era nel
porta spazzolini del bagno del piano di sotto. Non aveva idea di cosa potesse
farci una barretta al cioccolato in quel posto, per cui – senza dire nulla a
Simona – l’ha riposta nella dispensa, al solito posto.
Il giorno dopo ne
ha trovata un’altra, stavolta nel ripostiglio dell’aspirapolvere e dei detersivi.
Il terzo giorno, la
barretta al cioccolato era nella tasca del suo giaccone.
In quel momento ha
capito che non si trattava di una coincidenza, né di una strana abitudine degli
abitanti della casa.
Davide aveva
lasciato le barrette per lei. Come quando erano bambini, come quando erano a
Carovigno.
Dal quarto giorno
in poi, ogni volta che ha trovato una barretta in giro per casa l’ha nascosta
in tasca e l’ha mangiata durante il viaggio di ritorno al suo appartamento.
***
Davide e Camila si
parlano poco in casa. In presenza di Priscilla e Simona, si limitano a
conversare dell’argomento di cui si sta parlando, ma è raro che si guardino
negli occhi.
Lui non vuole
metterla a disagio.
Lei ha paura che
sua madre e sua sorella possano capire che il loro rapporto è diverso da quello
con gli altri.
A volte, però, si
incontrano nel corridoio, o in salotto. A volte, quando Camila scende le scale
per tornare al suo appartamento, lui le sale per rientrare a casa.
In quei momenti,
quando sono da soli, Camila sente il battito del cuore accelerare senza motivo
apparente. Davide, da parte sua, vorrebbe dirle qualcosa, intavolare una
conversazione, ma tutto ciò che riesce a fare è sorridere.
Non è mai stato
insicuro con le donne. Ha sempre saputo come fare colpo, come lasciare il
segno.
Con Camila, invece,
è diverso. Con lei si sente un idiota, incapace di andare oltre i regali
nascosti al sapor di cioccolato e i sorrisi rubati di nascosto.
Una sera, due mesi
dopo l’assunzione di Camila, lui e Giancarlo sono seduti sul divano a guardare
una partita di Champions League. Priscilla e Simona sono ad una cena in
pizzeria con la squadra di hockey.
“Che succede con
Camila?” domanda ad un tratto il patrigno.
“Che succede?” gli
fa eco Davide.
Giancarlo gli
lancia un’occhiata. “Ho visto il modo in cui la guardi quando
gira per casa. Sembri un cagnolino.”
“Ma che dici! Sono
sempre all’università quando lei è qui. Non la vedo mai.”
Giancarlo non dice
nulla, ma continua a guardarlo.
“Che
c’è? Oh, per piacere.
Non la guardo in nessun modo, non sono un cagnolino.”
Si alza dal divano.
“Perché te ne vai,
allora?” domanda l’uomo, sorridendo.
“Ho da fare,” borbotta Davide.
“Oh, andiamo!”
esclama mentre lo vede prendere la via delle scale. “Volevo solo prenderti in
giro. Non le dirò che hai una cotta per lei, promesso!”
“Smettila!” grida
Davide di rimando. “Non c’è nessuna cotta. Finiscila!”
E’ chiaro anche al
ragazzo, però, che scappare dal salotto ha dato a Giancarlo la conferma che
aspettava.
***
“Camila, stai
benissimo!” Priscilla sorride, seduta sulla sua poltrona, mentre un ragazzo dai
tratti asiatici si accinge ad asciugarle i capelli.
Camila osserva la
propria figura allo specchio, notando come i capelli lisci la rendano diversa,
più giovane.
L’idea di andare
dal parrucchiere è stata di Priscilla. La ragazza ha chiesto un parere a Camila
in merito ad un nuovo taglio, e alla fine le ha chiesto di accompagnarla. Una
volta giunte a destinazione, la sorella di Davide le ha proposto di occuparsi
anche dei suoi capelli.
“Perché non ti
affidi anche tu a Sergio?” le ha chiesto. “E’ il migliore.”
Camila ci ha
pensato per un quarto d’ora, e alla fine ha deciso di concedersi un regalo. Ha
chiesto a Sergio, questo è il nome del parrucchiere, di tagliarle i capelli di
qualche centimetro e di renderli lisci durante l’asciugatura.
Era da tre anni che
non si concedeva un momento simile. Da quando vive a Roma, infatti, non è mai
andata dal parrucchiere. Non ha mai voluto sottrarre soldi dal suo fondo per il
Brasile.
Ora, però, qualcosa
è cambiato. Lavorare per i Falco l’ha cambiata. Si sente più sicura, più forte.
Si sente meritevole di un attimo per se stessa, come quello che sta vivendo
ora, dal parrucchiere.
Lavorare per tante
famiglie diverse era un conto. Lavorare principalmente per una sola famiglia le
ricorda i tempi in cui lavorava per i Bauer, o i tempi in cui si occupava della
sua casa, delle sue pentole e del suo bucato.
Non si sente più
una dipendente, una nomade. Si sente un membro della famiglia.
***
Le settimane
passano.
Camila continua a lavorare
per i Falco.
Davide continua a
studiare.
Priscilla lavora in
ospedale e si allena per le partite di hockey.
Giancarlo lavora e
guadagna.
Simona manda avanti
la casa in compagnia di Camila.
Bilbo si diverte a
mordere il suo nuovo gioco di gomma, un regalo che Camila gli ha comprato
quando ha saputo del suo quarto compleanno.
Tutto sembra
normale. Tutto sembra procedere come al solito… ma così non è.
Qualcosa sta
cambiando. Due cuori stanno cambiando.
Quello di Davide, e
quello di Camila.
Comunicano con
parole semplici, quando non sono soli, e con sorrisi luminosi quando invece lo
sono.
Lei pensa a lui
prima di addormentarsi. Lui fa lo stesso.
Vivono entrambi ciò
che non hanno mai vissuto, e questo li spaventa, li mette a disagio.
E’ per questo che Camila
non ha il coraggio di domandare a Davide di Alessia.
E’ per questo che
Davide non ha il coraggio di domandare a Camila di suo marito.
Fino a che, un
giorno, Camila resta dai Falco oltre le tre del pomeriggio. Simona vuole donare
alla Caritas tutti i vecchi vestiti di Giancarlo e per farlo ha bisogno di
radunarli, scegliere quelli che possono essere riutilizzati e chiuderli nei
pacchi appositi. Per questo motivo chiede a Camila di rimanere oltre il solito
orario. Camila accetta volentieri, e tra una camicia e un paio di pantaloni
ascolta le parole di Simona, la quale decide di raccontarle parte della propria
vita.
“Il
mio primo matrimonio è durato diciotto anni. Cosimo, il padre di Priscilla e Davide, è
morto quando loro avevano diciassette e nove anni. Avevo quarant’anni. Non
pensavo che mi sarei potuta rialzare, sai? Ero pronta
a dedicarmi esclusivamente a loro. Ero pronta morire come donna. Poi ho
incontrato Giancarlo, e lui mi ha fatto cambiare idea su parecchie cose,” dice sorridendo.
“Ci
siamo risposati cinque anni dopo, per lui era il suo primo matrimonio. La sua famiglia mi ha sempre rispettata
molto, sai? Ero la vedova di un poliziotto, una madre di due figli. Mi hanno
amata tanto, e hanno amato tanto anche i miei figli.
“L’idea di
andarcene dalla Puglia è stata mia,” dice. “Non volevo
che i ragazzi crescessero lì, dove loro padre era
morto. Volevo ricominciare, volevo che loro ricominciassero un’altra vita.” Resta per un po’ in silenzio, occupandosi di controllare
che le camicie abbiano ancora tutti i bottoni, prima di metterle nella scatola
delle cose da donare. “Giancarlo avrebbe voluto un figlio,”
riprende poi. “Ma io non me la sono sentita. Non tanto per la mia età, quanto per… quanto per… Posso confidarti
una cosa?” domanda, insicura.
“Sì,” risponde Camila. “Certo.”
“I
miei figli non sono particolarmente legati a Giancarlo. Lo rispettano, gli sono affezionati, ma
non… non l’hanno mai considerato come un padre. Priscilla era quasi una donna
quando Cosimo è stato ucciso. Ha accettato il mio nuovo matrimonio, così come
lo ha accettato Davide, ma so che… che non sono felici di lui. Sono felici per
me, ma non amano Giancarlo come hanno amato il loro vero padre. Suppongo sia
normale, no? Non posso pretendere il contrario.
“E’
per questo che ho preferito non avere altri figli. Chissà come l’avrebbero presa, come
avrebbero reagito. Male, sicuramente. Avrebbero sofferto troppo nel vedermi
madre di un fratello o di una sorella a metà. Si sarebbero allontanati ancora
di più da Giancarlo, e lui avrebbe potuto…”
Avrebbe potuto considerarli come figli di
serie B. Camila completa la
frase mentalmente, lasciando a Simona qualche minuto per sé.
Ogni essere umano
nasconde una storia, lei lo sa bene. Anche Simona ne nasconde una, e nonostante
abbia privato suo marito della possibilità di essere padre a tutti gli effetti,
Camila non se la sente di giudicarla male.
Non può immaginare
cosa Simona e i suoi figli abbiano passato quando Cosimo è morto. Non può
immaginare cos’abbiano dentro Priscilla e Davide, in merito a quella grave
perdita.
“Per favore,” dice Simona ad un certo punto, “non parlare di questo con
Priscilla. O con Davide. Preferisco che loro non conoscano questi miei
pensieri. Va bene?”
“Certo, signora.
Non si preoccupi,” risponde immediatamente, per rassicurarla.
“Sarò discreta.”
“Grazie, Camila.”
Le due donne
restano in garage fino alle sei, e dopo aver sistemato i vestiti in apposite
scatole rientrano in casa: Simona per preparare la cena, Camila per prendere le
sue cose andare via.
“Grazie per avermi
aiutata,” dice Simona, accompagnandola alla porta.
“Chiederò al commercialista di conteggiare tre ore di straordinari nella
prossima busta paga.”
“Oh, no, non si
preoccupi,” si affretta a dire Camila. “Non ho fatto
nulla di speciale.”
“Sì, invece,” ribatte la prima. “Mi hai dato tre ore del tuo tempo, e
per questo ti ripagherò.”
Non lo sa, pensa Camila, ma mi
ripaga ogni giorno, accogliendomi nella sua casa. Sorridendomi e ringraziandomi
sempre con tanto calore.
“Va bene,” accetta alla fine. “D’accordo.”
Simona sorride.
“Ehi, ti ho già detto che questo nuovo taglio ti sta d’incanto?” Le accarezza
le punte dei capelli. “Sergio è proprio bravo, e il liscio ti dona tantissimo.”
“Grazie, signora.”
Simona apre la
porta per far uscire Camila, ma si ferma quando si trova davanti suo figlio.
Il ragazzo ignora
sua madre e si concentra su Camila. “Sei qui? Sei ancora qui?” domanda, incurvando le labbra in un sorriso.
“Sì,” rispondono all’unisono lei e Simona. “Camila mi ha
aiutato a fare ordine in garage,” continua quest’ultima.
“Domani andremo alla Caritas a portare un mucchio di vestiti per i bisognosi.”
Davide annuisce, ma
continua a guardare Camila.
Da quando ha tagliato i capelli è ancora più
bella. E le sue labbra, le sue labbra sembrano fatte di panna. Sono anche
soffici come la panna?
“Vuoi che ti
accompagni?” chiede. “Sono tornato a casa per posare i libri e prendere la
macchina. Devo andare da un mio amico che abita nel tuo quartiere. Se vuoi posso darti un passaggio.”
“Vai con lui,
Camila,” interviene Simona. “Arriverai sicuramente
prima.”
“D’accordo,” dice la ragazza, stringendo il pugno nella tasca del
giaccone. “Verrò con te.”
Scendono le scale uno accanto all’altro. I loro giubbotti sono
praticamente attaccati.
“Non devi andare da
un tuo amico,” dice lei quando sono davanti al
portone. “Vero?”
Si guardano. Gli
occhi scuri di Davide brillano come quelli azzurri di Camila. “No,” risponde il ragazzo. “Non devo andare da un mio amico.”
Salgono in macchina
silenziosamente, senza parlare. L’unico rumore nell’aria è quello dei loro
passi sul cemento.
E’ sbagliato, pensa Camila. Non posso sentirmi così su di giri.
“Hai lavorato molto
oggi?” chiede Davide mentre mette in moto.
“No,” risponde lei. “Ho aiutato tua madre a mettere da parte
alcuni vecchi vestiti di Giancarlo,” dice. “E
stamattina abbiamo pulito i vetri.”
“Di nuovo? Ma non
li avete puliti la settimana scorsa? Mi madre è
ossessionata dai vetri,” dice sbuffando. “Pulisce sempre anche quelli della sua
auto.”
Camila sorride,
perché sa che è vero. Una volta, mentre erano in giro a fare la spesa, Simona
si è fermata in una piazzola del raccordo per pulire i finestrini della sua
piccola utilitaria.
“Non ti dà
fastidio?” domanda Davide. “Che ti faccia fare sempre le stesse cose?”
Camila scrolla le
spalle. “No,” risponde. “E’ il mio lavoro.”
Rispetto agli
inizi, rispetto a quando l’ha rivisto per la prima volta nel suo appartamento,
si sente più a suo agio con lui. Gli piace la sua compagnia. La desidera.
“Mica hai pulito la
mia stanza?” domanda lui ad un tratto. “L’ho pulita io due giorni fa.”
Camila sorride.
“No, non l’ho pulita.”
Evita di dirgli che
due giorni fa Simona le ha fatto passare l’aspirapolvere e la cera speciale sul
parquet. Sa che Davide ne risentirebbe, e non vuole dargli un dispiacere. Non
vuole che si mortifichi.
“Hai trovato la
barretta di oggi?”
Camila infila la
mano nel giaccone e gli mostra il pezzo di cioccolato. “Stai diventando sempre
più audace,” dice, scartandola e spezzandola in due.
“E se Giancarlo si fosse accorto della barretta nel suo comodino?” Gliene porge
metà. Lui sorride e l’accetta.
“Per fortuna sei
arrivata prima di lui,” ribatte, facendole
l’occhiolino.
“Come va con gli
esami?” domanda Camila. “Sei a buon punto?”
Lui annuisce. “Sto
studiando come un disperato,” commenta. “Voglio
laurearmi in fretta.”
Davide si volta a
guardarla per un momento lungo. La strada che conduce al raccordo è deserta,
per cui indugia sui suoi occhi per molto.
“Stai bene così,” dice a bassa voce.
A differenza della
sera al McDonald’s non se ne pente, non si corregge.
“Come?”
“I nuovi capelli,” dice. “La nuova acconciatura. Sei più… sei
ancora più bella.”
Da quanto tempo un
uomo non le faceva un complimento? Mesi. Anni.
“Grazie,” risponde lei.
Restano in silenzio, un silenzio carico di emozione.
Vorrei tanto fermarmi e darle un bacio.
Dirle che Alessia ed io non ci vediamo più. Chiederle ancora una volta di suo
marito. Ho promesso, è vero, ma ho bisogno di sapere, voglio sapere.
In questi tre mesi mi ha parlato, ha
accettato le mie barrette, mi ha sorriso sempre. Che significa? Cosa significa
questo per lei? Mi desidera? Mi vuole semplicemente bene?
“Alessia ed io non
stiamo più assieme,” dice, gli occhi nella direzione
di lei.
Camila, nel sentire
le sue parole, avverte uno strano tonfo proprio all’altezza del cuore. Per tre
mesi si è domandata se lui e la sua coinquilina fossero ancora una coppia. Non
ha più visto Davide all’appartamento, e non ha più sentito Alessia parlare di
lui con Ida, ma ciò non vuol dire che potessero vedersi altrove.
Adesso ha finalmente
avuto risposta alla domanda che per tutto questo tempo si è posta.
“Oh. Non lo sapevo.”
“Ora lo sai,” dice lui sorridendo.
Un altro lungo
momento di silenzio. Oltrepassano l’uscita che tre mesi prima li ha condotti al
McDonald’s e sorridono entrambi, guardandosi negli occhi.
La radio accesa fa
da sottofondo ai loro pensieri, alle parole che muoiono nelle loro rispettive
gole.
Una volta raggiunta
casa di Camila, Davide parcheggia e spegne il motore.
Entrambi restano
fermi nei propri sedili.
“Questo
fine settimana Priscilla andrà in Sardegna, te l’ha detto?” chiede
Davide.
“Sì. Per una
partita,” risponde lei. “Giusto?”
“Esatto. Il
campionato è ripreso, la sua squadra andrà in trasferta. Mia madre e Giancarlo
l’accompagneranno.”
“Davvero? Questo
non me l’ha detto,” mormora Camila. “Partiranno
venerdì?”
“Esatto, venerdì
sera. Priscilla giocherà sabato pomeriggio. La squadra rientrerà sabato sera in
aereo, ma loro rimarranno lì fino a domenica.”
“Tu non vai?”
Davide sorride e
scuote il capo. “No. Io resto qui.”
Resta qui per me? Resta qui per rimanere con
me? Dovrò lavorare anche venerdì e sabato? Perché Simona non mi ha detto nulla?
Davide stringe la
cintura di sicurezza con due mani per farsi coraggio, per racimolare il
coraggio di cui ha bisogno per fare il prossimo passo. L’idea gli è venuta
quando ha saputo della partita di Priscilla, quando ha collegato le date. L’ha
elaborata a sufficienza, per tre settimane. Ha perfino immaginato un discorso
da fare a Camila; discorso che, neanche a dirlo, ora ha completamente
dimenticato.
Slaccia la cintura
e si volta verso di lei, inspirando prima di riaprire la bocca.
“Sabato è il tuo
compleanno. Non so se hai impegni, ma se non ne hai… lo passeresti con me?
Verresti a cena con me per festeggiare il tuo compleanno?”
Camila allarga gli
occhi in segno di stupore. “Come fai… come lo sai?
Come fai a sapere che è il mio compleanno?”
“Ho curiosato fra i
documenti di Giancarlo,” risponde subito.
“Perché?”
“Perché sono
curioso,” ribatte pronto. “Allora? Hai qualche impegno
per sabato sera? La domenica è il tuo giorno libero, forse hai-”
“Accetto,” risponde Camila. “Va bene,”
aggiunge. “Verrò a cena con te.”
“Davvero?”
Annuisce e gli
sorride.
“Magnifico,” commenta lui, estasiato. “Perfetto.”
***
I successivi due
giorni passano in un lampo, sia per lui che per lei.
Venerdì mattina,
Davide va a comprare un nuovo vestito per l’appuntamento con Camila. Ne ha
tanti, nell’armadio, ma con lei non vuole usare un completo già indossato con
Alessia, o con altre ragazze.
Lo stesso giorno,
Simona e Giancarlo comunicano a Camila che sabato non dovrà recarsi a lavoro, e
le danno appuntamento a lunedì mattina.
“Priscilla mi ha
detto che domani è il tuo compleanno,” dice Simona.
“E’ un peccato che noi saremo fuori città, ma lunedì
festeggeremo come si deve, ok?”
Camila arrossisce.
“Non ce n’è bisogno, signora, grazie.”
“Non dire così,” interviene Giancarlo. “Possiamo andare a cena fuori se
per te non è un problema. E basta con questo ‘signora’ e ‘signore’. Puoi darci
del tu. Giusto?”
“Giusto,” ribatte Simona. “Glielo dico da un po’ di tempo, ormai,
ma si ostina a usare il lei. Allora, ricapitolando: domani sei in vacanza.
Davide rimarrà qui perché deve studiare, ma saprà badare a se stesso e a Bilbo.
Tutto chiaro?”
Camila è presente
solo fisicamente. La sua mente vola già a sabato sera.
“Tutto chiaro,” risponde alla fine.
Prima di ritornare
al suo appartamento, augura ai Falco un buon fine settimana. Saluta Bilbo
prendendolo in braccio e fa l’in bocca al lupo a Priscilla per la sua partita.
Di ritorno
dall’aeroporto, Davide guida con il sorriso sulle labbra al pensiero della
serata che lo attende il giorno dopo. Il sorriso si allarga ancora di più
quando, una volta a casa, trova un biglietto sulla sua scrivania. Gliel’ha
lasciato Camila. Contiene il suo numero di telefono e un messaggio scritto in
corsivo: Così possiamo rimanere in
contatto.
Il ragazzo vorrebbe
telefonarle, parlarle, ma non vuole fare la figura del ragazzino. Camila è una
donna, e vuole trattarla come tale. Senza essere infantile, o pedante, o
asfissiante.
Per questo si
limita ad inviarle un messaggio. Le dice che ha trovato il biglietto e le
augura una buona serata. Lei risponde con un ‘Grazie.
Buona serata anche a te. A domani.’ che lo manda
(ancora una volta) in estasi.
***
Camila si guarda
allo specchio per l’ennesima volta. Il vestito che indossa è finito in valigia,
quella notte, per puro caso. Non l’ha mai utilizzato in questi tre anni,
proprio perché si tratta di un vestito. Una gonna non è l’indumento più comodo per
pulire i pavimenti.
Si guarda e si
riguarda allo specchio, cercando di capire se la sua scelta è adatta.
Il vestito è di
velluto nero. Arriva alle ginocchia, ed ha una fascia orizzontale di seta
proprio sotto il seno. In questo modo, la gonna cade sui fianchi e sulle gambe
senza risultare aderente, senza rivelare le sue forme. Lo scollo è quadrato, e
il tessuto è arricciato in corrispondenza del seno. Le maniche sono lunghe, a
palloncino.
Camila ricorda
esattamente il giorno in cui ha comprato il vestito. Ricorda di averne comprato
anche un altro dello stesso modello, ma color verde
smeraldo.
Le scarpe che ha ai
piedi sono basse e nere. Le ha comprate ieri pomeriggio, ad un negozio del suo
quartiere. Un’altra eccezione al suo regime economico fatto di ristrettezze e
sacrifici.
Compio 32 anni, si è detta. Mi merito qualcosa di bello, qualcosa di speciale. Mi merito una serata
speciale con Davide.
Fin dal mattino si
è occupata di se stessa.
Ha lavato con cura
i capelli, e li ha pettinati come ha visto fare al parrucchiere di Priscilla e
Simona. Li ha resi lisci grazie al balsamo e ad una maschera al cocco che,
oltre a domare i suoi ricci, li ha anche profumati. Dopodiché ha passato in
rassegna il suo armadio, e ha quasi pianto di gioia quando ha scoperto di avere
un vestito di velluto. Se ne era completamente dimenticata.
Ha scelto un paio
di collant velati, neri come l’abito, e ha fatto una prova generale, indossando
tutto. E ora, come questa mattina, stenta a riconoscersi. Ha perfino osato un
velo di rossetto chiaro sulle labbra, e un accenno di fard rosa sulle guance.
Non possiede
gioielli. Quella notte non ha pensato neanche per un minuto a portare con sé il
suo portagioie.
Si guarda allo
specchio e vede una persona diversa, una nuova Camila.
E proprio quella
Camila, la nuova, fa una domanda alla vecchia Camila. Una domanda importante.
Una domanda scomoda.
Sei ancora decisa a partire? Vuoi ancora
lasciare l’Italia? Vuoi ancora usare i tuoi risparmi per andartene in Brasile?
Sei cambiata, in questi mesi. Sei di nuovo felice. Hai conosciuto persone
magnifiche, persone da cui non devi necessariamente scappare. Davide può
proteggerti. Davide può amarti.
Camila scaccia via
l’ultima domanda rapidamente. La cancella dalla mente, dimenticando di aver
pensato ad una simile possibilità.
Davide è un ragazzo. E’ giovane, è curioso,
è ancora acerbo sotto certi aspetti. Non ha vissuto ciò che ho vissuto io. Non
è mai stato povero, o spaventato. Ha sofferto la morte di suo padre, soffre
ancora per essere lontano da Carovigno, ma io non sono l’altra parte della sua
mela. Io non posso cercare in lui l’amore di cui ho bisogno. Davide non può
salvarmi di nuovo.
***
“Ehi, Camila!”
Ida esce dalla sua
stanza e vede Camila camminare verso l’ingresso. Nota il suo abbigliamento, il
trucco sul viso, i capelli acconciati. “Wow!”
Alessia si affaccia
dalla porta della cucina, colpita dalla voce della sua amica.
“Dove stai
andando?” chiede Ida. “Non dirmi che esci.”
Alessia scoppia a
ridere, come se la cosa fosse impossibile. Camila alza la testa e allarga le
spalle.
“Ho un appuntamento,” dice, continuando verso la porta. “Buona serata.” Apre la
porta e mette un piede fuori, ma poi ci ripensa. Torna indietro e raggiunge le
due ragazze in cucina. “Mi sono stancata di pulire le vostre camere,” dice. “Da oggi in poi dovrete arrangiarvi.” Riesce solo a
vedere l’espressione di sorpresa di Alessia prima di girare i tacchi e
andarsene.
Col sorriso sulle
labbra.
Davide indossa lo
stesso sorriso, e quando arriva sotto casa di Camila riesce a malapena a
trattenersi dall’esultare come dopo un gol della sua squadra del cuore.
Lei sale a bordo
lentamente, facendo attenzione a non sgualcire il velluto e a non far rompere i
collant. Il suo profumo dolce colpisce Davide immediatamente, facendolo sorridere
ancora di più.
“Buon compleanno,” esordisce, avvicinandosi per darle un bacio sulla
guancia.
Lei non si tira
indietro. “Grazie,” risponde, chiudendo gli occhi
quando le labbra di lui si fermano più del dovuto sulla sua pelle.
“Sei bellissima,” sussurra Davide al suo orecchio.
“Grazie,” ripete Camila, prima di osservarlo meglio. I suoi capelli
biondi sono freschi di shampoo, e le guance sono rasate alla perfezione.
Indossa un completo color grigio topo, con una camicia della stessa tonalità.
Non ha la cravatta.
Anche tu sei bellissimo, pensa, ma non lo dice. Se ne vergogna.
“Sei pronta per
andare a festeggiare?” chiede lui.
“Dove andiamo?”
“Ho prenotato in un
ristorante fuori Roma,” risponde Davide. “Si chiama
“No.”
“Si trova sulla
Pontina, dovremmo viaggiare per un po’, ma è un gran bel posto. Non ci vado da
tanto tempo, ma la cucina è sempre buona.”
Anche questa non è
stata una scelta affidata al caso, o all’abitudine. Per il compleanno di
Camila, Davide non ha voluto un ristorante qualsiasi, o una delle tante
pizzerie in cui ha sedotto le sue ex. Ha scelto
“Come sta Bilbo?”
domanda lei. “Ti sei occupato di lui?”
“Sissignora. Questa
mattina si è accorto che non c’eri.”
“Davvero? Non ci
credo.”
“Sì, invece. Ogni
settimana, di domenica, quando passano le nove e capisce che non arriverai, va
alla porta e inizia ad abbaiare. Diventa nervoso.”
“Sul serio!?” esclama lei. “Non lo sapevo!”
“Già,” riflette lui. “Credo che nessuno se ne sia accorto, che
nessuno abbia collegato il suo nervosismo al fatto che tu non ci sei.” Si ferma
per un secondo. “Io l’ho fatto perché divento nervoso come lui quando tu non ci
sei.”
***
Seduti al tavolo
apparecchiato per due, Camila e Davide hanno appena finito di ordinare la cena.
Sono entrambi tesi ed emozionati, ma cercano di non darlo a vedere.
“Com’è andata la
partita di Priscilla?” domanda Camila ad un tratto.
“Hanno perso,” risponde Davide. “Sette a due.”
“Che peccato.
Priscilla ci teneva tanto a vincere.”
“E’ vero,” risponde lui. “E’ la più grande della sua squadra, e non
potrà giocare ancora per molto. Questo è, probabilmente, il suo ultimo
campionato. Sarebbe bello se riuscisse a concluderlo in testa, o almeno nelle
prime posizioni.”
“E’ da tanto che
gioca?”
Davide beve un
sorso di Coca Cola e annuisce. “Ha cominciato a Carovigno.
Io giocavo a calcio, lei a hockey. I nostri genitori l’accompagnavano tre volte
a settimana a Brindisi per farla allenare. Carovigno non aveva una squadra di
hockey all’epoca… e neanche ora, credo. Quando ci siamo trasferiti a Roma è
rimasta un anno ferma. Non riusciva neanche a prendere il bastone in mano.
Lasciare la sua squadra di Brindisi non è stato facile per lei. Poi nostra
madre ha cercato di farla reinserire, e pian piano ha ricominciato.”
Camila pensa alle
parole di Simona, quel giorno nel garage. Immagina quanti sacrifici abbia fatto
per far sì che i suoi figli continuassero ad essere sereni.
“Tu non hai ripreso
a giocare, invece.”
Davide scuote il
capo. “A Carovigno giocavo per due ragioni. La prima: frequentare i miei
compagni di classe anche di pomeriggio. La seconda: accontentare mio padre.”
“Era lui a farti
giocare?”
“No,” dice dopo un attimo di riflessione. “In realtà non mi
sono espresso a dovere. Da bambino adoravo mio padre. Era il mio mito, il mio
eroe. Qualsiasi cosa lui facesse io cercavo di
imitarlo. Pensavo che, così facendo, mi avrebbe voluto ancora più bene. Sarei
stato ancora più bello e più bravo.” Sorride,
vergognandosi della sua ammissione. “A mio padre il calcio
piaceva molto, moltissimo. Ero contento di giocare perché sapevo di
renderlo contento. Quando segnai il primo gol festeggiai per diverse settimane,
ma non per il gol in sé: ero semplicemente felice di aver reso orgoglioso mio padre.”
Camila ha gli occhi
lucidi. “Sono certa che tuo padre ti volesse molto bene.
Indipendentemente dalle tue prodezze calcistiche.”
Davide annuisce.
“L’ho capito col tempo,” dice, “ma alla fine l’ho
capito.”
***
“Qual è il tuo
eroe?” domanda Davide, dopo che il cameriere ha portato via i piatti vuoti
dell’antipasto.
“Il mio eroe?”
“Sì. Il mio era mio
padre, il tuo? Una persona a cui ti sei ispirata da bambina, oppure una persona
che ammiri moltissimo.”
Camila non deve
riflettere molto. La risposta è ben chiara, nella sua mente.
“Se ti dico che il
mio unico eroe sono io, me stessa, faccio la figura della presuntuosa?”
“No,” dice lui. Avvicina la mano alla sua, la sfiora. “No,” ripete.
Camila abbassa lo
sguardo, ma non si sottrae al tocco di Davide.
“I miei genitori
non mi hanno insegnato molto,” continua lei. “O
meglio: ciò che mi hanno insegnato non mi avrebbe mai e poi mai condotta qui,
dove sono adesso. Non sono mai stati dei buoni esempi per me.”
“Come hai fatto,
allora?” chiede lui a bassa voce. “Come hai fatto a non diventare come loro?”
“Non lo so,” risponde, genuinamente sorpresa. “Non ne ho idea. Forse
mi sono aggrappata ad un sogno, alla speranza che le cose potessero andare
meglio. Forse tu mi hai aiutata.”
“Io?!”
Camila annuisce.
“Tu,” dice con un nodo alla gola. “Mai nessuno… mai
nessun estraneo si era occupato di me o preoccupato per me. Diamine, neanche i
miei stessi genitori si preoccupavano per me. Quando camminavamo vicini si
scansavano, mi dicevano che puzzavo. Come se avessi delle colpe per il fatto
che non potevo lavarmi. Tu invece non l’hai fatto. Tu non ti sei mai
allontanato da me. Forse mi hai dato speranza. La speranza che le cose
potessero migliorare, che anche gli altri potessero interessarsi a me. Volermi bene.”
Gli occhi lucidi,
stavolta, sono quelli di Davide.
***
La cena procede
lentamente. Le pietanze arrivano calde e ben cotte al tavolo, e i camerieri
sono precisi e cortesi. Camila e Davide mangiano due porzioni di pasta ai
funghi, due di carne ai ferri e poi decidono di dividere un grande piatto di
patatine.
Mentre mangiano,
continuano a parlare, a conoscersi. Camila è molto più aperta al dialogo
rispetto alla cena al Mc, ma non si lascia mai scappare nulla degli anni in
Basilicata, né di suo marito.
Davide muore dalla
voglia di sapere, ma ha fatto una promessa e desidera mantenerla.
“Tua madre mi ha
detto che volevi chiamare Bilbo ‘Azzurro’,” dice
Camila ad un certo punto.
“E’ vero,” risponde lui sorridendo. “Per qualche giorno sono passato
da Azzurro a Biancazzurro, ma alla fine Priscilla ha vinto.”
“Azzurro è un nome
da principe,” scherza Camila. “Non un nome da cane.”
“Azzurro è un gran
bel nome,” precisa lui, sollevando l’indice come
farebbe un professore. “Potrei chiamarci mio figlio, così. Azzurro, o
Biancazzurro. Quello sarebbe il primo nome. Il secondo sarebbe Lazio.”
Camila ride.
“Smettila!” dice. “Quei bambini ti odierebbero, non appena capirebbero ciò che
gli hai fatto.”
“Hai ragione,” concorda lui. “Sarebbe un gesto crudele.” Beve l’ultimo
sorso di Coca Cola prima di farsi più serio. “Allora, sei pronta per il dolce? E’ il tuo compleanno, del resto.”
“Il dolce? Dobbiamo
ordinare anche il dolce?”
“No,” risponde lui con un sorriso. “Quello l’ho ordinato io
prima di venire qui.”
Davide chiama il
cameriere che si è occupato di loro e gli chiede di portare la torta.
“La torta?” chiede
Camila. “Hai ordinato una torta?”
“E’
il tuo compleanno, no? Una torta mi sembra il minimo.”
Camila non crede ai
suoi occhi quando vede arrivare un piccolo carrello con su
un vassoio rotondo. Sul vassoio è appoggiata una torta ricoperta interamente di
cioccolato. Sulla torta c’è una piccola candela rosa. E’ accesa.
I presenti si
voltano al passaggio del carrello. Alcuni sorridono, quando capiscono che si
tratta di una sorpresa. Tutti immaginano che si tratti della sorpresa di Davide
per la sua fidanzata, Camila.
Il cameriere
appoggia il vassoio al centro del tavolo, mentre un altro arriva con una
bottiglia di spumante, due bicchieri, due piattini e due forchette da dolce.
“Buon compleanno,” dicono i due a Camila.
“Grazie,” dice lei, appoggiando una mano sul petto per illudersi di
poter fermare il cuore.
Tutti gli occhi
sono puntati su di lei, ma quelli che la catturano sono gli occhi di Davide,
quelli più felici. “Grazie,” ripete, quando i
camerieri si allontanano. “E’ meravigliosa. E’
bellissima,” dice, guardando la torta.
“Ed è anche
buonissima,” le fa eco lui. “Proviene
dalla migliore pasticceria di Roma. Mia madre, quella golosona, potrà
confermare.” Impiega qualche secondo per aprire la
bottiglia di spumante, e lo versa nei due bicchieri.
“Allora,” riprende. “Hai pensato al desiderio da esprimere?”
Camila guarda la
piccola fiammella della candela con il cuore palpitante e pieno di gioia, ma
anche di malinconia, di domande e di dubbi.
Qual è il mio desiderio, adesso? Cosa
desidero?
Alza lo sguardo sul
viso di Davide, e nei suoi occhi trova la risposta.
“Sì,” dice. “Ho pensato.”
“Bene, allora
soffia ed esprimi il tuo desiderio.”
E Camila lo fa.
Chiude gli occhi, si avvicina al vassoio, e come una bambina esprime il suo
desiderio nascosto. Il desiderio che non avrà mai il coraggio di rivelare a
nessuno. Il desiderio che non si avvererà mai.
***
Il viaggio di
ritorno a Roma è silenzioso, e non perché i due ragazzi non abbiano nulla da
dirsi. I loro animi sono confusi, tesi. Nello stesso modo, per lo stesso
motivo… anche se non lo sanno.
Camila stringe fra
le mani la scatola contenente la parte di torta al cioccolato e panna che non
sono riusciti a mangiare.
Davide stringe il
volante, fra le mani, cercando di riorganizzare i pensieri. “Hai passato una
bella serata?” domanda quando il silenzio inizia a disturbarlo. La sua voce è
profonda, più profonda del solito.
“Sì,” sussurra Camila. E poi, a voce più
alta: “Sì. Ho passato una serata bellissima.”
Lui la guarda, le sorride.
“Ne sono contento. Buon compleanno,
Camila.”
“E’ stato il mio
compleanno più bello.”
“Il più bello in
assoluto?”
“Sì,” risponde, gli occhi bagnati di lacrime a cui non sa dare
una spiegazione. “Il compleanno più bello. Qui a Roma. Con
te.”
Davide allunga una
mano e le accarezza la guancia. Lei inclina la testa e si lascia toccare,
coccolare. Chiude gli occhi. Sospira.
“Sono più grande di
te,” dice ad un tratto, senza rendersene conto, senza
volerlo effettivamente dire. Apre gli occhi e vede che Davide la sta guardando.
“Sono più grande di te,” ripete.
Davide non sa cosa
dire. Vorrebbe ribattere con un sarcastico ‘E allora?’, ma non se la sente di
rovinare l’atmosfera. “Perché ci pensi?” chiede invece. “Perché pensi alla
nostra età?” La sua mano, dal viso si abbassa sul grembo di lei. Camila la
chiude nella sua.
“Perché è la cosa
più semplice,” risponde Camila. “E’ la cosa più facile
a cui pensare adesso.”
“Che vuoi dire?”
Si ritrova a
frenare sotto casa di Camila senza rendersene conto. Sono arrivati.
Slaccia la cintura
e prende la scatola con la torta per appoggiarla sul cruscotto.
“Che vuoi dire?”
ripete. “Perché parli della nostra età? E’ un problema per te?”
Si volta verso di
lei, e si avvicina di qualche centimetro. Con la mano le sfiora i capelli, il
viso.
“Che
c’è, Camila? A che pensi?”
Quante cose vorrei dirti, Davide. Vorrei
raccontarti tutto, ma se lo facessi cosa accadrebbe? Mi faresti licenziare? Mi
faresti scoprire? Mi allontaneresti? Smetteresti di essere così dolce con me?
Non posso, Davide.
Non posso seguire ciò che mi dice il cuore. E’ impazzito, negli ultimi mesi. Tu
l’hai fatto impazzire, tu l’hai reso pazzo.
Davide si avvicina
ancora di più, fino a prendere il viso di lei fra le mani.
Non riesco a rifiutarti, a scostarmi da te.
Le tue mani sono così morbide, così soffici.
“Penso
di essermi innamorato di te quando ti ho vista nelle docce di Carovigno. Lo sai?”
“No,” dice lei, trattenendo le lacrime. “No.” Scuote il capo
velocemente, stringe gli occhi.
Non dirlo, ti prego. Non dirmelo.
“Invece sì,” ribatte Davide. “Ero solo un bambino, e per me non eri
altro che una curiosità, una specie di fiaba. Ma forse mi
sono innamorato già allora, chi lo sa?” Non smette di accarezzarle le guance
con i pollici. Non smette di cercare i suoi occhi. “Ho
sempre avuto voglia di proteggerti, Camila. Sia allora che adesso. Non
so perché, ma è così. E non mi importa se sei più grande di me. L’età non
conta. Tu sei meravigliosa. Non piangere, per favore. Perché piangi? E’ per tuo marito?”
Promessa rotta. Non mi importa neanche di
questo, adesso.
“Perché piangi?”
“Io non posso,” dice lei asciugandosi gli occhi, allontanandosi da lui.
“Per me non è come… io non provo quello che…”
“Allora
dimmelo,” sussurra lui. “Dimmi che non provi niente
per me. Dimmi che in queste settimane, ogni volta che siamo rimasti soli, non
hai provato niente qui.” Davide prende la mano di
Camila e se la porta al petto, sul cuore. “Dimmi che non
provi niente... e ti lascerò stare. Non ti disturberò
più, te lo prometto.”
Camila risponde
stringendo le dita attorno alla sua mano. Non gli è mai stata così vicina. Non
ha mai desiderato così tanto essere vicina a qualcuno.
“E’ sbagliato...” prova a dire, ma la voce muore in gola.
“Perché? Perché sei
più grande di me? Perché lavori in casa mia? Adesso ti bacio,
Camila. Adesso ti do un bacio. Poi mi dirai se quello che proviamo è davvero
così sbagliato.”
Camila non lo
ferma, quando lo vede avvicinarsi. Non si tira indietro, non lo blocca.
Non blocca neanche
se stessa. Non riesce a farlo. Non vuole farlo. Nonostante sia sbagliato,
nonostante una parte di lei le stia gridando di
fermarsi.
Lo bacia.
La bacia.
Si baciano. Per la
prima volta.
Davide trema.
Camila ha paura.
I loro cuori
battono all’impazzata mentre le labbra si incontrano con dolcezza, con candore.
Quel candore che
Camila non ha mai provato. Quel candore che Davide non conosceva prima di
incontrare Camila.
Si abbracciano, si
stringono. Lui le accarezza i capelli, il viso.
Si lasciano andare
entrambi: a ciò che sentono dentro, alla passione che li guida, all’istinto.
“Ciò che provo per
te non è sbagliato.” E’ Camila a parlare. La voce le trema, così come le mani.
Davide le stringe nelle sue, mentre respira il suo profumo, la sua pelle. “Non
è sbagliato,” ripete lei. “Ma mi fa così tanta paura
che non so… che non so fare altro che scacciarlo, che scacciarti.”
Davide sorride. “Lo
hai sempre fatto,” dice. “Lo hai sempre fatto, fin da
quando eravamo bambini. Mi scacciavi dalle docce, volevi che ti lasciassi in
pace. Ricordi?”
Lei annuisce,
mordendosi l’interno della guancia.
“Ma sono tornato, o
sbaglio? Mi hai scacciato, ma sono tornato. Puoi farlo anche adesso, Camila.
Puoi scacciarmi. Ma anche stavolta mi vedrai tornare. Tornerò
sempre per te, perché ti amo.”
Il cuore di Camila
si stringe fino a scoppiare.
“Davide.” Gli getta
le braccia al collo, lo stringe. Lo bacia di nuovo, e di nuovo si lascia
baciare.
“Vieni con me,” le dice Davide ad un tratto. Le sue labbra sono rosse,
così come quelle di Camila. “Non sono pronto a lasciarti andare.
Non stasera. Non dopo questa sera. Vieni a casa mia.”
Camila dovrebbe
rifiutare.
Ma non lo fa. Tutto
ciò che riesce a fare è ascoltare il suo cuore, seguirlo, rispondere al suo
disperato appello.
E’ in nome del suo
cuore che accetta la proposta di Davide.
E’ in nome del suo
cuore che fa l’amore con lui.
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