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Autore: Sheep    05/03/2011    5 recensioni
Un ragazzo coi capelli rossi e una sorellina troppo intelligente in una famiglia troppo grande e troppo strana. Una coppia di gemelle, avvolte in un’ombra di riservatezza e mistero. Un prestigioso attore americano che si reca a Londra per recitare a Broadway. Cosa succederebbe se i loro destini s’intrecciassero? E se il famigerato attore, in più, avesse seri problemi con suo fratello?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mie care, oh mie care **

Ecco a voi, a grande richiesta, il famosissimo capitolo 7. <3

Capitolo nato tra compiti, corsi pomeridiani, la prenotazione della partenza per Londra –sì, Londra *_* la mia amata scuola mi offre l’opportunità- ed eventi vari… non avete idea!

Però insomma, dopo un po’ di fatica –a parte che il primo “paragrafo” non mi piace- ce l’ho fatta.

Che dire?

In questo capitolo ritorno ai Fawn e ai Jonas, uno di loro in particolare. Ma mi annoiano e annoieranno anche voi i lunghi preamboli, perciò … passiamo ai ringraziamenti!

 

PS. C’è del romantico e il romantico non è il mio forte , prego di perdonarmi eventuali inadeguatezze D:

Sheep

 

Hedley: Mia cara, mia cara bella Laura. Vediamo … Oltre che a ringraziarti per i complimenti per la fict, devo ringraziarti anche per la doppia recensione, l’aggiornamento, che mi ha tirato molto su il morale quando per me le recensioni erano “poche”. Che dirti? Sono salva dall’ira del piccolo Zack per miracolo, ma sono qui. Conosci già i miei commenti riguardo alle tue preferenze. Ti lascio al capitolo, anche perché è tardi.

 

Minako_86: Oddio, è mezzanotte meno dieci e io dovrei leggere tutta quella bellissima, lunghissima recensione? Facciamo così, domani me la leggo e ti scrivo un ringraziamento come si deve, ora non riuscirei a farlo decentemente. *-* Grazie <3 (ps. NON DISTRARMIIIIII)

 

Invisbile: Mia cara. Certo che ci devi stare qui J Tu sei una delle mie lettrici fedeli D: Grazie mille mollissime e centomilioni (??) per i commenti al modo di scrivere e ai personaggi. Ringraziamo tutti di cuore.

 

Itsbrie: Che piacere rivederti *_* Potrei morire di gioia! E di emozione, per i tuoi complimenti. Sono felice felicissima ma sul serio troppo che tu abbia scelto di seguire proprio the last rose e che ti piaccia il modo in cui l’ho strutturata. In realtà è il risultato di un evento assolutamente ordinario capitatomi quest’estate. Guarda un po’ che ne è venuto fuori *-* Comunque graziegraziegraziee (e non scusarti per il ritardo!)

 

Fiery: Last but not Least! Dodici in punto e io ti ringrazio dodici volte (ma anche tredici) per la recensione, per i complimenti al rapporto tra Drew e Nick e perché trovi che la leggenda sia azzeccata *-* Tra l’altro, tranquilla per Charlie/Drew … in questo capitolo ci sono le risposte!!!

 

Godetevelo –almeno spero!- e fatemi sapere!

Liberissime di lanciarmi pomodori e chiedere la ri-stesura *_____*

 

Baci!

 

 

Capitolo 7

 

C’era nell’aria troppa tristezza per essere il ventiquattro dicembre e Nicholas non era il solo a pensarlo.

Anche i suoi fratelli, infatti, si erano resi conto che non appena l’ultimo concerto dei Jonas Brothers sarebbe terminato, di lì a qualche ora, le loro strade sarebbero state divise per sempre, nonostante tutte le precedenti aspettative. Si sentivano completamente adulti e l’unica, magra consolazione rimaneva quell’assurda città, ormai sommersa dalla neve in ogni angolo o marciapiede. L’inquietudine trasudava dalle pareti, dai loro maglioni pesanti; i loro sguardi tradivano lo sforzo di trattenere segreti scomodi, impossibili da confessare -soprattutto alla vigilia di Natale.

Kevin ripensò alla sua bambina, l’ultima smorfia affettuosa che gli aveva rivolto dalle braccia sicure della nonna, la madre di Danielle. Rivide il suo nasino buffo, il vestitino a fiori rosa che faceva risaltare gli occhi smeraldini, e si chiese cosa le avrebbe risposto di lì a qualche anno, quando, bellissima e cresciuta, gli avrebbe domandato per quale motivo se n’era andato. Perché l’aveva abbandonata.

Si lasciò cadere sul divano proprio mentre Joe entrava in salotto, la vecchia polaroid tra le mani. Lo osservò aggrottare la fronte al di là delle lenti spesse, nel vano tentativo di mettere meglio a fuoco un Nick irritato, intento a scarabocchiare su pezzi di carta strappata, al pianoforte, in attesa di ispirazione. L’albero, alla sua destra, luccicava di blu e argento; non erano i suoi colori preferiti, ma si combinavano perfettamente con l’arredamento pratico e moderno del salotto. Il minore scattò una foto che avrebbe mostrato a sua madre, non appena fosse tornato in Texas, e scomparve lungo il corridoio avanzando con passo lento e pesante. Ripose la macchina fotografica sulla scrivania, poi, attirato dai raggi mattutini, si perse per qualche minuto a osservare il cielo limpido oltre l’ampia finestra: sì, poteva concedersi una pausa.

 

Le librerie di Londra erano molto diverse da quelle americane. Erano enormi, fin troppo sobrie ed assolutamente più affollate. Joe non era un topo di biblioteca, non si era mai considerato un gran fan dei libri nemmeno in adolescenza, ma ogni tanto leggere lo aiutava a rilassarsi. Gli piaceva, nelle giornate d’inverno, perdersi tra le pagine di Paulo Coelho con una brocca di caffè a portata di mano, svaccato su di una poltrona, magari coi piedi sul tavolo basso. Eppure nella fretta di partire aveva finito con lo scordare L’Alchimista nel cassetto del comodino e trovarsi ora, in un mondo alieno, senza alcun compagno di viaggio. Le offerte natalizie erano il punto della situazione: se solo avesse trovato qualcosa di interessante … lanciò un’occhiata sbilenca a Twilight* e si diresse verso il fondo del corridoio. Si guardò intorno senza interrompere la sua ricerca, tuttavia a catturare la sua attenzione fu tutt’altro che un vecchio tomo polveroso. Difatti, alla distanza di un espositore circa, avvistò una ragazza che di ‘polveroso’ aveva ben poco. Teneva aperto tra le mani un volumetto dalla copertina verde acqua, alcune pagine ripiegate sul retro per facilitare la lettura. Gli occhi, di un indefinibile color acquamarina, scorrevano velocemente i versi di una poesia. Aveva capelli castani, chiari e mossi oltre le spalle, e una finissima collana d’argento da cui pendeva una pietra azzurra. Era forse la più bella ragazza che avesse mai visto. Joe le si avvicinò di soppiatto, calcandosi il cappello in testa e tentando di darsi un’aria casuale. Si fermò accanto a lei e scrutò una fila di titoli, poi afferrò la ristampa delle migliori opere di Bukowski e vi diede una scorsa. Non resistette a lungo; presto, preso dalla frenesia, si sporse verso di lei e sfoderò il suo miglior sorriso:

«Oh, interessante!» Esclamò. «Pablo Neruda

Questa volta lasciate che sia felice.

La ragazza arricciò istintivamente il naso, lo sguardo fisso su pagina diciannove.

… succede solo che sono felice

Fino all’ultimo angolino del cuore.

«Quella è una delle mie preferite.» Insistette Joe, con tono insolitamente serio. L’ultima volta che aveva letto Ode al giorno felice , rifletté, era una persona diversa. Una persona così diversa che ora perfino lui stesso, da esterno, avrebbe stentato a riconoscersi. «Beh, sarebbe carino che tu rispondessi qualcosa, a questo punto, non credi?»

Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,

tu canti e sei canto.

Ammiccò, avvicinandosi un poco; la sconosciuta richiuse il libro di scatto e lo scaraventò su un mucchio di altri in offerta, visibilmente stizzita. « Piantala.»

Si avviò verso l’uscita, ma Joe la seguì. «Oh andiamo, non puoi negarmi una chiacchierata il giorno di Natale.» L’afferrò per un braccio non appena la porta scorrevole si fu richiusa alle sue spalle. «Ehi!»

La giovane si voltò e lo fissò con aria truce. « Lasciami subito, o mi metto a urlare.»

«Solo se mi dici come ti chiami.»

«Sto per cominciare.»

«Nome e cognome, intendo.»

«Ora grido.»

«E io stringo di più.» Joseph alzò un sopracciglio. «Dai, mi basta solo il tuo nome»

«Maniaco di merda!» Fece per colpirlo con uno schiaffo, ma lui riuscì a intercettare il polso e bloccare il suo goffo tentativo di ribellione. «Mi fai schifo!»

«Addirittura?» Scoppiò a ridere di fronte al viso imbronciato della ragazza.

«Alice White.» Ringhiò. «Contento? Alice White. E’ così che mi chiamo.»

«Sul serio, Athena Bennet?» Joe mollò la presa per indicare il cartellino di riconoscimento che la ragazza teneva agganciato alla tasca della giacca; faceva parte di qualcosa come un’associazione di volontariato, iniziata dai membri di una parrocchia locale.

Ten mostrò il dito medio, allontanandosi a gran velocità. «Vaffanculo, stronzo!»

*

«Credi che Babbo Natale arriverà stanotte, Drew?» Gli occhi della piccola Sophia Fawn si accesero di speranza. «Non si perderà nel buio, vero?»

Andrew allacciò i polsini della nuova camicia con aria contrariata, maledicendo mentalmente quel tipo di abbigliamento troppo aderente e scomodo. Presentabile era il termine che aveva usato sua sorella, ma Drew non avrebbe mai confidato appieno nei consigli di una femmina primogenita le cui frasi più sensate contenevano nel novanta per cento dei casi parole astruse come trendy, cool, in e out.

«Certo che verrà, baby.» Tenne lo sguardo fisso sullo specchio del corridoio, dove un nuovo sé stesso poco dopo si passò una mano tra i capelli, decisamente più corti del solito – Devi tagliarli, aveva detto Diana, sembri uno spaventapasseri, andiamo!

«Che peccato che la mamma non sarà con noi.» La bambina bionda strinse al petto il coniglietto di pezza rosa che portava il nome di Mr. Carrot. «Spero tanto che Babbo Natale le lasci qualcosa. E anche a te: che sei il fratello migliorassimo del mondo!»

Andrew arrossì lievemente. «Grazie, baby. Ma non esagerare.»

«No, sul serio.» Insistette l’altra, con un’adorabile espressione corrucciata. «Quando sarò grande e diverrò una principessa ti regalerò un po’ del mio castello. Forse anche un po’ di giardino.»

Drew sorrise, orgoglioso. Adorava la sua sorellina più di ogni altra cosa al mondo, gli venne da pensare, e non sopportava il clima familiare in cui era costretta a passare i suoi giorni. Diana comparve d’un tratto, interrompendo i suoi pensieri e trascinandosi letteralmente dietro la giovane Malice, vestita di tutto punto, coi lunghissimi capelli rossi insolitamente sciolti e il broncio marcato da un filo di trucco. Era molto, molto diversa dal solito, tanto che il fratello in un primo momento stentò a riconoscerla. Non le chiese dov’era finita la sua felpa sformata né quando i boccoli ramati avessero raggiunto la schiena, si limitò a lanciarle un’occhiata interrogativa a bocca spalancata.

«Buonasera!» Esclamò la primogenita. «Che splendori siete, questo Natale! Devo assolutamente fotografarvi!»

«Non ti azzardare.» Obiettò Keith, facendo capolino dalla porta del salotto. Scoppiò a ridere, e per la prima volta i Fawn sembrarono una famiglia comune. Una famiglia comune e felice, come in una stupida commedia americana.

«Ho lasciato Chopin a metà.» Si lamentò Mal. «Proprio ora che … »

«Proprio ora che è Natale.» La rimbeccò Diana. «E’ il nostro giorno.»

«Il giorno dei parenti.» Keith arricciò il naso in una smorfia intenerita.

«Il giorno del silenzio.» Osservò Malice.

«Il giorno delle principesse.» Li corresse Sophie.

«Il giorno dei miracoli.» Concluse Drew.

 

 

Il campanello trillò poco prima della mezzanotte.

I ragazzi Fawn si voltarono istintivamente in direzione della porta. La piccola Sophie, addormentata sul divano, si rivoltò sotto il plaid senza svegliarsi. Fu Andrew ad alzarsi per primo; Diana era troppo intenta a sistemare i piatti, in cucina, mentre Malice scarabocchiava note apparentemente insensate su una mano e Keith blaterava a telefono con chissà quale ragazza.

Drew s’infilò in tasca qualche spicciolo, pronto ad accogliere i carol singers con una certa benevolenza. Non era mai stato un fanatico religioso ma una volta qualcuno, in chiesa, gli aveva insegnato bene quanto anche un solo sorriso potesse rivelarsi importante. Soprattutto per chi passa un intero giorno di festa sotto la neve, costretto a ricevere innumerevoli porte in faccia.

Aprì e rimase sorpreso –o forse non così tanto- di trovarsi davanti una giovane donna, molto diversa da come se la ricordava. L’aveva vista di sfuggita all’aeroporto e ci aveva scambiato un paio di battutine pungenti che non l’avevano aiutato a comprendere la sua condizione psicologica. Adesso Charlotte gli si parava davanti in tutta la sua spontaneità, i capelli mossi lasciati liberi sulle spalle e gli occhiali a montatura grossa chiazzati d’acqua. Teneva tra le mani un pacchetto: Lo stringeva contro il cappotto coi guanti grigi, spaventata che potesse scivolarle di mano e finire nella neve, bagnandosi.

«Ciao.» Lo salutò, col viso in fiamme.

«Che ci fai qui?»

«Sono passata … a salutarti. Per darti questo.» Charlie porse ad Andrew quello che aveva tutta l’aria di essere un libro ben camuffato, con le mani che tremavano forte. Lui lo afferrò senza pensarci due volte.

«Grazie.» Disse. «Non dovevi.»

«Lo so.» Scosse la testa, sovrappensiero. «E’ solo che Natale … non è Natale. Non senza te, D

Drew percepì un dolore all’altezza dello stomaco. «Maledetta.» Strinse i denti e di scatto l’abbracciò. Charlotte non riuscì a trattenere le lacrime.

«Buon Natale, Andrew.» Mugugnò, dall’alto della sua spalla.

«Buon Natale, Charlie.»

E, rasserenato, alzò gli occhi verso il cielo in una tacita preghiera.

 

  
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