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Autore: _Fedra_    05/03/2011    2 recensioni
Qualcosa di strano sta accadendo nella vita di Cate Mantis, da una misteriosa bambina che sembra provenire direttamente da un altro mondo a un'inquietante signora bianca che afferma di conoscere molte cose su di lei. Tutto ciò l'avvicina sempre più al mondo di Narnia, una dimensione parallela nella quale ella virà la più grande avventura della sua vita, insieme a un amico decisamente inaspettato! p.s. questa fanfiction è stata tradotta in inglese sul sito Fanfiction.net con il titolo "The last passsage".
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edmund Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The passage'
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 Stavo volando. Nel vero senso della parola. Vedevo il mondo attraverso le orecchie fulve del cavallo come in un  mirino, ondeggiando dolcemente al ritmo con il suo collo, il suo fiato caldo andava al ritmo con mio, il suo cuore si era fuso con la mia anima. In quel momento, io e Philip eravamo una cosa sola, lo stesso essere, la stesso spirito, uniti, indivisibili. Non avrei mai immaginato che andare a cavallo fosse una cosa così bella. Qualche volta, da piccola, avevo desiderato fare un giro sui quei cavalli dall’aspetto malinconico che trainano le carrozzelle per le vie di Roma, desiderio che si era sempre concretizzato in sella a uno di quelli della giostra che allestivano sempre in piazza Navona durante le vacanze di Natale. Ma la realtà era ben diversa dall’ambiente artificiale in cui ero vissuta fino a quel momento. Non era semplicemente l’emozione più bella e forte che avevo provato fino a quel momento. Era un vero e proprio modo di percepire il mondo in maniera diversa, avvertendolo in tutte quelle forme invisibili che solitamente la vita di tutti i giorni preclude. Attraversai il prato a tutta velocità, svoltando poi verso un gruppo di rocce bianche accese dal sole, dove Edmund mi stava osservando un po’ perplesso, appollaiato su una di esse.
“Whoa!” esclamai con enfasi mentre frenavo Philip a pochi metri da lui. “Coraggio, Ed, tocca a te!” lo esortai poi, balzando giù con naturalezza.
“Che? Di già?” domandò lui impallidendo con tutte le lentiggini.
“Ma dai, è facilissimo! Ho imparato io in dieci minuti!” lo presi in giro io porgendogli le redini. “E’ come andare in giostra, solo che è più bello!”.
Edmund scosse il capo, ritornando nuovamente scontroso come un orso bruno.
“E dai, altrimenti come farai a dare una lezione a Peter? E’ da mezz’ora che si pavoneggia con quell’unicorno!” dissi io, giocandomi la mia carta peggiore, è vero, ma sicuramente la più efficace perché, nell’udire quelle parole, il ragazzo balzò in piedi come se si fosse scottato, trascinandosi a grandi passi verso il cavallo.
“Questa me la paghi!” borbottò scontroso mentre provava a montare in sella, riuscendoci goffamente solo al terzo tentativo.
“D’accordo, tanto lo sai che in duello sono imbattibile” risposi io tranquillamente, alludendo alle spade abbandonate sul prato in attesa dell’allenamento.
“Bando alle ciance…Cate! Come faccio a far partire questo coso?”.
Io scoppiai una risatina e gli spiegai tutto. Edmund ascoltava e annuiva di tanto in tanto con qualche grugnito titubante. Dalle rapide occhiate che gettavo di tanto in tanto a Philip, era fin troppo evidente che il cavallo aveva tutta l’aria di uno che si stava divertendo un mondo. Sentivo che sarebbero diventati grandi amici.
“Ho capito” disse a un certo punto Edmund.
“Allora parti, su!” risposi io discostandomi da lui per non farmi travolgere, intuendo che stava per fare una partenza a razzo.
E difatti, poco ci mancò che mi unissi anch’io alla galoppata folle in cui il ragazzo si lanciò, avendo dato le gambe con un entusiasmo un po’ eccessivo, passandomi talmente vicino che la terra cominciò a tremare sotto il peso degli zoccoli del sauro.
“CHE FAI?” gli gridai esasperata. “FRENA! FRENA!”.
Ma Edmund non sembrava in vena di starmi a sentire, tutto preso a urlare come un pazzo in sella a Philip (che in realtà non stava poi galoppando così forte), il quale correva senza una meta precisa per il prato. Io presi a rincorrerli come una matta, continuando a gridargli di tirare le redini, fino a quando il cavallo, sicuramente intuendo che il suo aitante cavaliere stava per perdere i sensi dalla paura, rallentò dolcemente l’andatura, fino a fermarsi al passo e allungando il muso verso un ciuffo d’erba fresca, cosa a cui Ed non era preparato, aggrappato alle redini com’era, e ruzzolò malamente giù dal collo del cavallo ormai completamente fermo, trovandosi a pochi centimetri dal suo nasone vellutato. La scena era così ridicola che non riuscii a trattenermi e scoppiai in una fragorasa risata.
“Che c’è?” domandò il ragazzo, sempre con il muso di Philip a due centimetri dal naso.
“No, niente! Scusa, sei stato fantastico! Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah!”.
Edmund sembrò imbronciarsi ancora di più, incrociando le braccia sul petto. “Non è divertente!” brontolò.
“Dai, su, non sei stato così male!” continuai a ridere io. “Insomma, hai resistito al galoppo fino all’ultimo e poi…patatrac!, mi cadi da fermo! E’ stato buffissimo!”.
“A me non fa ridere!” continuò il ragazzo imperterrito.
Philip emise una serie di brontolii bassi che potevano essere interpretati benissimo come una risatina.
“Almeno risali, così vediamo di non rifare il botto!” lo incoraggiai io. “A cavallo è come in bicicletta: prima di imparare, si cade sempre. Vedrai che tra poco andrà meglio, fidati!”.
“Sì, sì, va bene, mi fido” borbottò lui spazzolandosi via l’erba che si era appiccicata alla casacca nella caduta.
Philip alzò gli occhi al cielo con fare rassegnato.
 
Molte scene di panico e cadute dopo, si poteva dire che Edmund fosse diventato un bravo cavallerizzo, al punto da decidere di sana pianta di andare a sfidare nientemeno che Peter , con il quale si lanciò in una fole corsa giù per la collina, strillando e sbeffeggiandosi l’una l’altro nel modo in cui solo un grande conoscitore della psicologia maschile sa tollerare. Io stetti a osservarli divertita dalle rocce bianche che costellavano la valle, raggiungendo poi Susan e Lucy che si stavano allenando un po’ più giù.
“Ciao, Cate!” mi salutò Susan mentre rendeva la mira per il suo arco. “Tutto bene?”.
“Alla grande!” risposi io allegramente.
Susan sorrise e scagliò la freccia, la quale mancò di poco il centro del bersaglio. La ragazza soffocò aristocraticamente un’imprecazione che per pochi attimi increspò le sue labbra carnose.
“Coraggio, non era poi così male” cercai di consolarla. “Del resto, il bersaglio era molto lontano”.
Non ci eravamo accorte che nel frattempo Lucy era scivolata tranquillamente al nostro fianco, scagliando il suo piccolo pugnale e centrando il bersaglio con la precisione degna di un serial killer. Alle nostre occhiate sbigottite, la bambina rispose con uno dei suoi incredibili sorrisi innocenti.
In quella, Edmund e Peter irruppero alle nostre spalle in sella ai loro destrieri, facendoci voltare di scatto.
“En gard!” tuonò Edmund, sguainando la spada e sfidando il fratello.
Peter cominciò a snocciolargli consigli su consigli sulla tecnica (ops, non ci avevamo pensato!), parando tutti colpi con una precisione disarmante. Erano talmente presi a menarsi un colpo dietro l’altro, che quasi non si accorsero del Signor Castoro che si era avvicinato incautamente a loro, finendo pericolosamente vicino agli zoccoli dei loro cavalli. Fu Philip ad accorgersi in tempo del castoro, impennandosi sulle zampe posteriori per richiamare l’attenzione dei due duellanti.
Edmund strillò spaventato e si aggrappò spasmodicamente al collo del cavallo, terrorizzato alla sola idea di finire nuovamente con il sedere per terra. “Cavallo!” esclamò per riportarlo all’ordine.
Il sauro poggiò di nuovo le zampe anteriori sull’erba e si voltò verso di lui con fare mansueto, mormorando: “Mi chiamo Philip”.
Nel sentirlo parlare, per poco Edmund non cadde sul serio, lanciandomi immediatamente una lunga occhiata interrogativa. “Lo sapevi?” domandò con la voce che tremava.
Io mi trattenni a stento dallo scoppiare a ridere di nuovo. “Certo!” fu la mia risposta.
Il ragazzo stava giusto per lanciarmi una serie di imprecazioni poco carine, quando la voce del Signor Castoro ci riportò bruscamente alla realtà.
“Maestà!” esclamò in tono tutt’alto che rassicurante. “La Strega Bianca sta venendo qui! Vuole parlare con Aslan! Dovete venire, subito!”.
Quelle parole fecero calare il gelo su di noi. L’occhiata che io Edmund ci lanciammo l’un l’altra era fin troppo chiara. Paura. Paura cieca di ritrovarci di nuovo al cospetto di quell’essere. Ma questa volta non avremmo fatto lo stesso errore.
“Andiamo” disse Peter voltando l’unicorno.
Noi annuimmo seri e lo seguimmo in silenzio. Io mi affiancai subito a Philip, cercando di stare il più possibile vicino a Edmund. In quel momento ci sentivamo più che mai vicini l’un l’altro. Non parlammo per tutto il tragitto, fino a quando non ci schierammo tutti insieme di fronte alla tenda di Aslan. Il grande leone stava sulla porta, squadrando con i suoi bellissimi occhi d’ambra il mostruoso corteo che stava venendo verso di noi. La sola voce stridula del nano che annunciava la sua signora mi fece accapponare la pelle. Quattro ciclopi sorreggevano la Strega Bianca, la quale sembrava ancora più marmorea in confronto al trionfo di colori che aleggiava nel campo, creando tutto attorno a lei un’atmosfera plumbea, gelida, come se anche lo stesso cielo fosse diventato improvvisamente bianco di neve. Mentre scendeva dalla lettiga, quel demonio lanciò un’occhiata verso di noi, facendomi intuire immediatamente per chi era venuta.
“C’è un traditore tra i tuoi, Aslan?” chiese Jadis con la voce affilata come un coltello.
Mi si rivoltò lo stomaco, stringendomi d’istinto a Edmund. No, perché, perché proprio lui?
“Nessuna offesa ti è stata arrecata da lui!” ruggì Aslan.
La strega ghignò crudele. “Davvero? Ti ricordo che ogni traditore spetta a me. Il suo sangue mi appartiene. Non oserai negarmelo!”.
Che stava dicendo? Che cavolo stava dicendo? Non aveva senso, era assurdo, schifoso, blasfemo!
“Vieni a prenderlo, allora!” tuonò Peter sguainando la spada, mentre tutti noi ci stringevamo attorno al ragazzo, facendogli da scudo.
La Strega Bianca gli lanciò un’occhiata sprezzante. “Davvero credi di impedirmi di prendere ciò che è mio di diritto, piccolo re?” domandò spietata. “Aslan sa che se non avrò il sangue come stabilito, Narrnia cadrà e sarà distrutta dal fuoco e dall’acqua. Quel ragazzo morirà sulla Tavola di Pietra secondo la tradizione!”.
L’orrore che quelle parole suscitarono in tutti noi si manifestò in un mormorio concitato che esplose da ogni parte. Era più di quanto potessi sopportare.
“Edmund non ha tradito!” tuonai, facendo un passo avanti, decisa. La rabbia aveva vinto la paura. “Io sono la prova di tutto ciò!”.
“Ciò non basta a cancellare la sua colpa” rispose la strega, fissandomi in modo sadico. “e di certo non mi starò a preoccupare di quanto possa starmi a cuore il tuo amichetto. Per me, lui non è una cosa di mia proprietà e ci faccio quello che voglio. E penso che da ora in poi lo sia per tutta Narnia”.
Soffocai a fatica un conato di vomito, evitando di cadere a terra solo perché Susan mi aveva cinto le spalle con le braccia. Tutto assomigliava in maniera impressionante a un film dell’orrore.
“Proferirà con me in privato” tuonò la voce di Aslan al disopra delle nostre teste.
La strega gli lanciò uno sguardo trionfante, seguendo il leone all’interno della tenda. Nel campo piombò un silenzio di tomba. Susan mi fece sedere sull’erba, le gambe che mi tremavano in maniera incontrollata, cercando disperatamente di calmarmi, cosa che in quel momento era assolutamente inutile. Eravamo tutti e cinque pallidi come cenci, incapaci di parlare, ognuno immerso nei propri orribili pensieri. Edmund caracollò acanto a noi, prendendo a strappare ciuffi d’erba con le dita e lanciandoli distrattamente per aria. Era più pallido che mai e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. Non riuscivo a trovare la forza di guardarlo per più di dieci secondi. Sulle sue labbra c’erano i fantasmi di mille discorsi che in quel momento avrebbe voluto affrontare con noi, anche se sapeva benissimo che non sarebbero serviti a cambiare la situazione. Non potevo sopportarlo. Non volevo lasciarlo. Era il mio primo vero amico, e non solo. In qualche modo sentivo che Aslan non avrebbe mai permesso alla strega di ucciderlo, ma come? Una cosa era certa: quella specie di demonio avrebbe dovuto passare sopra il mio cadavere prima di torcere un solo capello a Edmund,. Garantito. Il flusso disperato dei mie pensieri fu interrotto dalla comparsa della strega sulla soglia della tenda. Sembrava furibonda, il suo solo sguardo faceva rizzare i capelli in testa dalla paura. Il cuore mi pulsava dolorosamente nelle orecchie; il fiato mozzo di Edmund accanto a me era la sola cosa che riuscivo a udire. Jadis attraversò il campo a passi lenti, lanciando un’occhiata tagliente dritta verso il ragazzo, che per un attimo fu sul punto di svenire, poi rimontò sul suo trono senza proferir parola.
“Ha rinunciato al sangue del Figlio di Adamo!” annunciò la voce di Aslan alle sue spalle.
Un boato di gioia esplose tutto intorno a noi. Non riuscivo a crederci, era salvo!
“Come farò a essere sicura che manterrai la promessa?” chiese la strega.
La risposta di Aslan fu un ruggito così grandioso, da farla piombare seduta sul trono come un sacco di patate, gli occhi sgranati dal terrore. Un coro di risate accompagnò il tutto, mentre la Strega Bianca abbandonava il campo con la coda fra le gambe. Lucy gridò di gioia e saltò la collo del fratello, il quale la strinse nell’abbraccio più tenero che avessi mai visto. Susan e Peter lo abbracciarono a loro volta, di nuovo tutti e quattro, di nuovo uniti, come se nulla fosse accaduto. Io rimasi in disparte, lasciando quell’immensa gioia tutta alla famiglia Pevensie. Lo sguardo mi cadde su Aslan e lo vidi incredibilmente triste, anche se, non appena notò la mia occhiata preoccupata, il leone si limitò a sorridermi con il suo sguardo ambrato. La cosa però non mi impedì di rabbrividire.
 
Poco più tardi, mentre preparavo il pranzo nella mia tenda, dei passi dietro di me mi fecero sobbalzare. Senza pensarci, strinsi Edmund nell’abbraccio più forte che avrei mai saputo dare a un essere umano, piangendo sommessamente sulla sua spalla.
“Sono felice che tu sia qui” gli sussurrai pianissimo.
 
 Buongiorno a todos! Come state? Ok, ora potete tirare un sospiro di sollievo (La_la, calma l'esercito, che alla befana ci pensiamo fra un paio di capitoli!).

Innanzitutto, vorrei dedicare la prima parte di questo capitolo a Haydid, un grande amico molto simile a Philip che oggi non c'è più. Grazie di tutto, bello! Non ti dimenticherò mai!

Per la seconda, ragazzi, ho rabbrividito quanto voi! Ok, l'ho messo apposta il finale con l'abbraccio orsacchiotto, altrimenti non mi reggeva il cuore!

Auguro a tutti voi un buon finesettimana!

A presto!

Baci!

Sunny




 
 
           
 
 
 
 

   
 
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