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Autore: Meggie    06/03/2011    4 recensioni
Non fu amore a prima vista, non fu perfetto e non fu facile. Ma sì, fu comunque amore. (Kurt/Blaine)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LET YOUR COLORS BURST

CAPITOLO 3

Ciò che Kurt ricordava delle provinciali erano i riflettori, gli applausi, qualche mezzo sorriso e poco altro.
E una vittoria a pari merito con i New Directions.
Ciò che Kurt ricordava era più che altro legato alle sensazioni, piuttosto che ad avvenimenti effettivi. La sensazione di inadeguatezza. La sensazione di non essere parte di tutto quello. Di essere dalla parte sbagliata, in qualche modo.
Di quanto fosse sbagliato.
Di quanto fosse giusto, invece, lo sguardo di Blaine addosso, anche durante una performance. Anche durante qualcosa di puramente scenico perché in effetti era così, era solo coreografia e non era per lui tutto quello, era per il pubblico.
E il suo cuore che la pensava diversamente, solo per un secondo. Che si permetteva di ritenerlo importante, di ritenerlo rivolto a sé.
Kurt ricordava tutto quello e poco altro.
Ricordava l’abbraccio di Mercedes, di come si fosse sentito a casa.
E ricordava la mano di Blaine sulla propria spalla. “Dobbiamo andare”. Ricordava l’arrivederci. Di nuovo, ancora una volta guardando Mercedes negli occhi, gettando occhiate al resto del Glee Club. Non il suo, però, non più.
Ricordava poche cose, che però non facevano altro che ripetersi in continuazione nella sua mente. Senza sosta.
Solo due settimane prima era stato con loro. Aveva fatto parte di quel gruppo.
Kurt guardò con la coda dell’occhio gli altri ragazzi chiacchierare animatamente gli uni con gli altri. Vide Wes complimentarsi con ciascuno dei suoi compagni e stringere mani a tutti quanti. Chiuse gli occhi, provando a complimentarsi con se stesso, ma non ci riuscì. Le parole non si formavano neppure. Non riusciva neppure a pensarlo.
“Tutto bene?”
Girò la testa verso Blaine, accanto a lui, che lo guardava con la testa leggermente inclinata e un leggero sorriso. Sembrava preoccupato e meno partecipe a festeggiare rispetto agli altri.
Kurt gli sorrise, consapevole di quanto risultasse forzato, ma era il massimo che avrebbe potuto ottenere in quel momento. “Non preoccuparti”. E sapeva che era una frase stupida, perché Blaine era così attento a lui e al farlo sentire parte del tutto, farlo sentire a casa, farlo sentire al sicuro, che Kurt sapeva sarebbe stato impossibile.
Blaine era un buon amico. Praticamente perfetto.
“Sicuro?”
Kurt annuì, cercando di essere più convincente questa volta, prima di avviarsi verso gli altri. “Dobbiamo andare” mormorò, facendo un cenno con la testa verso l’uscita.
Non aspettò la risposta di Blaine, si limitò a girarsi e a riprendere a camminare. Ma sentì lo sguardo dell’altro puntato addosso fino a quando non salirono sull’autobus, diretti nuovamente alla Dalton.

*

“Avanti!”
Kurt alzò gli occhi al cielo in modo teatrale ed esagerato, sperando di risultare abbastanza chiaro, ma dato che Blaine continuava a tirargli la manica della divisa probabilmente non fu così.
“Sono stanco e devo ancora finire il saggio su-“
“Quello lo farai domani. Anzi. Ti aiuto, prometto. Tu però ora vieni a festeggiare con noi. Abbiamo vinto! Siamo passati! Kurt, non puoi rimanere in camera a studiare, te lo proibisco”
Kurt alzò un sopracciglio, cercando di non notare il fatto che la mano di Blaine fosse ancora sul suo braccio. O quel sorriso che gli illuminava il viso. O quello sguardo consapevole del fatto che non avrebbe mai ricevuto un no come risposta.
A volte Kurt non lo sopportava proprio.
Ma per la maggior parte del tempo non riusciva neppure a pensarlo, un modo per dirgli di no. Era impossibile. Impossibile per lui e per la sua testa e per la sua voce. Andavano sempre in un’unica direzione.
“D’accordo” sbuffò infine. Era vero che non aveva voglia di festeggiare. Non con loro. E ogni volta che ci pensava si rendeva conto di quanto fosse ingiusto nei confronti di quei ragazzi che, in un modo o nell’altro, l’avevano accolto. E stavano cercando di farlo sentire parte di un gruppo.
Non era colpa loro. Non era colpa di nessuno. Ma non poteva farci niente se non faceva che perdersi e crogiolarsi in quella malinconia che rispuntava ogni volta che ripensava ai New Directions. Era un sentimento di amarezza e di nostalgia che ormai lo accompagnava ogni giorno da quando si era trasferito lì e che si era solo accentuato quando li aveva rivisti, su quel palco, a cantare tutti insieme.
Tutti insieme, tranne lui.
Era felice per i Warblers. Lo era sul serio. Perché, beh, erano favolosi e vocalmente erano pazzeschi e Kurt lo sapeva, dannazione, non era sordo e non era stupido. Era felice per loro, perché poteva solo immaginare quanto fosse stato difficile arrivare fino a quel punto. Solo che lui non era parte di quel percorso.
Non si sentiva parte di niente.
“Ottimo!” esclamò Blaine, trascinandolo velocemente fuori dalla stanza, “si stavano tutti chiedendo dove fossi. Non possiamo festeggiare se manca un membro!”
Kurt stirò le labbra in un sorriso, guardando Blaine che lo trascinava per il corridoio.
“Vieni, passiamo di qui, conosco una scorciatoia”
Kurt si limitò a seguirlo e ad aumentare il passo. Blaine aveva ancora la mano stretta attorno al suo braccio e Kurt aveva ancora gli occhi puntati su di lui. E gli venne in mente quando poche settimane prima si era ritrovato a correre tra i corridoi della Dalton. Anche allora Blaine l’aveva convinto a prendere una scorciatoia. Anche allora l’aveva trascinato in giro tenendo il suo polso stretto tra le dita.
Abbassò gli occhi.
Non aveva voglia di festeggiare, ma aveva voglia di stare con lui. Voleva che quella mano continuasse a tenerlo stretto. Voleva ascoltare Blaine rifilargli consigli che si rivelavano forse disastrosi, ma in cui credeva fermamente. Voleva vederlo sorridere come quando, poco prima, si era presentato davanti alla sua porta, o come quando erano usciti quelle volte insieme. Voleva sapere la sua opinione riguardo all’ultima copertina di Vogue, che lui aveva trovato sottotono. Voleva sapere come sarebbero stati i suoi capelli senza tutto quel gel.
Voleva un mucchio di cose e non aveva idea di come poterle avere.
Aumentò la corsa, fiancheggiando Blaine, e sorrise leggermente. Per il momento si sarebbe accontentato di quello. Della presa sul suo braccio, del sorriso, delle piccole cose.
Dei festeggiamenti con gli altre Warblers e delle risate con gli altri ragazzi.
Si sarebbe accontentato.

*

Era patetico.
E forse in un altro momento avrebbe agito diversamente. Forse avrebbe agito e basta.
Ma era stanco. E non aveva voglia di festeggiare. E, soprattutto, era lì solo per un motivo. Un motivo che era andato a prenderlo nella sua camera, l’aveva letteralmente trascinato per i corridoi della Dalton e poi l’aveva posizionato su uno dei divani in pelle che occupavano la stanza.
Blaine.
Un motivo che poi l’aveva lasciato lì, con un bicchiere di Dio solo sapeva cosa in mano. Un motivo che in quel momento stava parlando con Wes,  Jeremy e Flint dall’altra parte della stanza.
Era patetico.
Era una festa per i Warblers. Per tutti quanti, non di certo un’uscita a due. Blaine non aveva alcun obbligo a stare lì a far compagnia a uno che non voleva compagnia.
E lui era stato solo un idiota a pensare di passare una serata con lui. Ed era un idiota a pensare che Blaine dovesse lasciar perdere tutti i suoi amici per far sì che il suo morale non precipitasse più a terra di quanto già non fosse. Blaine non gli doveva niente. Proprio niente.
“Non sembri divertirti”
Kurt spostò di scatto lo sguardo da Blaine verso la figura in piedi davanti a lui. “Sono solo stanco. Non avrei dovuto venire, mi dispiace se vi sto rovinando la-“
“Ma piantala” David lo interruppe con un sorriso, prima di sedersi accanto a lui e lanciare un’occhiata veloce in direzione di Blaine. Kurt deglutì. Era stata un’occhiata casuale, giusto? “Non si può festeggiare se manca uno di noi. Ed è stata una giornata lunga, hai il diritto di essere stanco”, David tornò a guardarlo, sempre sorridente, e Kurt si sentì leggermente meglio. Anche se continuò a sperare che quell’occhiata in direzione di Blaine fosse solo…
… niente.
E Kurt quasi si morsicò la lingua quando si rese conto di essere tornato a guardarlo. E di aver indugiato forse un po’ troppo sulla sua figura per poter passare inosservato. Di aver indugiato troppo sulla linea delle spalle, sulla mano sinistra che stringeva un bicchiere, sul profilo del viso e sul leggero sorriso che incurvava le sue labbra. Uno di quei sorrisi appena accennati. Blaine era sempre così cordiale, così perfetto, quando parlava con gli altri, quando sorrideva. Non era mai sopra le righe o vistoso o particolare o teatrale.
Non era niente come lui. Come Kurt.
Distolse nuovamente lo sguardo.
Non era totalmente vero. Quando cantava Blaine sorrideva. Sorrideva tantissimo e si muoveva e agitava le mani in quel modo che Kurt trovava adorabile e che lo faceva spesso deconcentrare. E quando era con lui, a volte, si comportava allo stesso modo. Sfogliava Vogue o Vanity Fair o Elle, sdraiato sul suo letto, e borbottava infastidito da alcuni abbinamenti di vestiti o di colori o di accessori.
A volte era come lui. A volte era come Kurt.
Ma solo a volte.
“Va tutto bene?”
Kurt si ricordò solo in quel momento che David era ancora accanto a lui. “Uh. Sì. Certo. Scusami. Non so dove ho la testa-“
Ed era pronto a continuare con una delle sue solite battute, ma la risatina di David lo bloccò. “Sì, beh, credo di avere un’idea”
Uh.
Kurt si impose di giocare la carta dell’ignoranza perché no, non sarebbe andata come le altre volte, non avrebbe di nuovo rischiato di rendersi ridicolo per un ragazzo e non avrebbe di nuovo rischiato di farsi spezzare il cuore. Farselo spezzare sul serio, questa volta.
Aggrottò le sopracciglia, guardando David negli occhi, ma l’altro si limitò a scuotere le spalle e a dargli una pacca sulla spalla prima di alzarsi in piedi. “Coraggio, Kurt”
Coraggio.
Kurt gli sorrise, seguendo David con lo sguardo mentre si dirigeva verso Ezra e Matthew.
Coraggio.
Si costrinse a non girare la testa verso Blaine. Si costrinse a non guardarlo di nuovo perché, sul serio, era patetico.
Ma quella parola, quel ‘Coraggio’ pronunciato da David, era così diverso da come era abituato a sentirselo ripetere, che Kurt non aveva idea di cosa provare. Non aveva idea di cosa fare o di come agire.
Non l’avrebbe saputo ancora per un po’ di tempo.
Non l’avrebbe saputo perché in quel momento era ancora così assorto da quell’aura che pensava di vedere attorno a Blaine da non pensare neppure di andare oltre. Di andare veramente oltre.
Gli ci sarebbe voluto solo un altro po’ di tempo, anche se Kurt non lo sapeva ancora.
Perché in quel momento, non sapeva più nulla, né su di sé né del suo mondo. Perché tutto, tutto era stato mandato all’aria.
Riprese a sorseggiare dal suo bicchiere, facendo una smorfia disgustata al sapore che accolse in bocca.
Cinque minuti dopo, stava ripercorrendo i corridoi della Dalton, diretto verso la sua stanza.

*

La fregatura nell’avere una cotta verso qualcuno era che si vedevano solo alcune cose. E si tralasciavano altre.
Kurt avrebbe dovuto saperlo, perché era così che si era comportato con Finn. O con Sam.
Una cotta, però, era irrazionale. C’era e non c’erano motivi validi. C’era perché era così.
Questo, Kurt lo sapeva per certo.
Lo sapeva perché l’ultima cosa di cui poteva aver bisogno in quel momento era una cotta per qualcuno, ma era capitato. E non era neppure totalmente irrazionale, perché nonostante le tempistiche sbagliate, Blaine era una scelta decisamente migliore di Finn o di Sam o di qualsiasi altro ragazzo. Perché Blaine gli sorrideva – quasi sempre in modo controllato e impeccabile, ma a volte, a volte si lasciava andare e rideva con lui e Kurt doveva fermarsi per imporsi di respirare perché se ne dimenticava. E lo sfiorava, di continuo, per sbaglio o no, sulla spalla, sul ginocchio, lungo il braccio. Parlava con lui e invadeva i suoi spazi e non aveva paura di essergli così vicino da poter essere scambiato per il suo ragazzo, non aveva paura di stargli vicino e basta. E lo ascoltava e lo capiva e lo consigliava, spesso con idee forse dettate più da un passato di cui Kurt non conosceva quasi nulla, che altro. Ma c’era. Era lì ed era lì per lui.
Non lo lasciava solo.
E quindi sì, forse era irrazionale, ma Blaine gli piaceva.
Kurt vedeva solo quello. Le cose belle. La parte luminosa e perfetta e levigata e così a modo che avrebbe potuto conquistare anche Burt, ne era sicuro.
Kurt vedeva solo quello.
Anche quando Blaine non era così bravo, anche quando, nonostante gli sforzi, non risultava perfetto, Kurt non se ne accorgeva.
Era una cotta stupida e irrazionale, come tutte le cotte.
Gli piaceva. Blaine gli piaceva e a volte cercava di dimenticarsene. Cercava di mettere da parte tutto perché a mostrarlo, a provare ad afferrarlo, sarebbe finita come con Finn. Un disastro.
Kurt lo sapeva.
E così si cullava con quel sentimento, con quelle farfalle nello stomaco che svolazzavano, anche quando Blaine parlava con altri, anche quando non era con lui, anche quando gli dava uno di quegli stupidi consigli, anche quando non era perfetto.
Perché per Kurt lo era.
Era solo una cotta, che Kurt chiamava amore perché, beh, doveva essere quello. Era stato innamorato di Finn, no? E quello era simile, quindi, sì, doveva essere amore.
Ma non lo era. Non ancora.
Era solo una cotta.
Perché non fu amore a prima vista.
Fu amore solo quando Kurt aprì gli occhi, li aprì sul serio, e vide i limiti di Blaine. E vedendo quei limiti lo accettò comunque.
In quel momento fu amore. Solo in quel momento.

*

 “Dai” borbottò aggrottando le sopracciglia, “Per favore? Solo un pochino?” arricciò le labbra, mentre le mani continuavano a stringere il cellulare, “Non fare l’antipatico, andiamo” sbuffò, scrutando attentamente all’interno della gabbia.
Pavarotti gli restituì lo sguardo, inclinando la testa di lato. Ma non disse nulla.
“Che cosa ti costa? Mi accontento di poco, giuro!” esclamò esasperato. 
Pavarotti non ne voleva sapere apparentemente. Lo guardava, ma il suo becco rimaneva chiuso. Non cinguettava da un giorno intero. E stava perdendo le piume.
E dire che solo un paio di giorni prima Kurt avrebbe pagato per farlo stare zitto e dargli la possibilità di studiare, e quello non aveva fatto altro che trillare felice.
Stupido usignolo.
Un usignolo muto, in quel momento.
Incrociò le mani sotto il mento, continuando a fissare intensamente Pavarotti, cercando in qualche modo di convincerlo ad aprire il becco.
Fu in quel momento che sentì dei passi riecheggiare in corridoio e quando sollevò lo sguardo Blaine era appena entrato nella stanza.
Gli aveva mandato un messaggio poco prima, preso dalla disperazione di star assistendo agli ultimi momenti di vita di Pavarotti. Forse l’aveva avvelenato. E sì, forse gli aveva augurato il peggio un paio di giorni prima, perché era snervante dover recuperare interi programmi scolastici con un usignolo trillante nelle orecchie, ma non gli aveva fatto nulla, in realtà. Se ne stava occupando sul serio e si stava impegnando.
E Pavarotti, invece, non cantava più.
Forse era bastata la maledizione?
“Ho ricevuto il messaggio, che succede?” Blaine gli si avvicinò, preoccupato.
“È Pavarotti, penso stia male” rispose, allontanandosi leggermente dalla gabbia. “Mi sto prendendo cura di lui, ma non canta e sta anche perdendo le piume” continuò.
Blaine lo guardò, prima di sedersi e osservare Pavarotti aggrottando le sopracciglia. “Oh, sta solo facendo la muta. Sta cambiando le piume, quindi il suo corpo deve solo rallentare un po’” disse infine, con tono rassicurante.
Kurt chiuse gli occhi ed emise un sospiro di sollievo. Ok. Pavarotti non stava per morire, quindi.
La sua maledizione nei suoi confronti non era stata letale. Non gli aveva fatto nulla. 
“Non preoccuparti” proseguì Blaine sedendosi meglio accanto a lui, “Ha cibo e acqua e sembra che la sua gabbia gli piaccia”
Sembra che la sua gabbia gli piaccia.
Kurt stirò le labbra a quelle parole. Avrebbe voluto ribattere che era pur sempre una gabbia. E una gabbia aveva le sbarre e una serratura e degli obblighi.
Ma Pavarotti era solo un usignolo, in che altro posto avrebbe potuto vivere se non lì?
 “Dagli un po’ di tempo” mormorò Blaine, e la sua voce era sempre così calma, così sicura, così certa, sempre e comunque. Kurt aveva così tanta voglia di chiedergli se stessero ancora parlando di Pavarotti. Se, forse, non stessero parlando di lui.
Anche a lui serviva solo un po’ di tempo, no?
Solo quello. Solo del tempo. E avrebbe nuovamente fatto parte di un gruppo. Proprio come Blaine.
Tu come hai fatto?
“Canterà di nuovo in men che non si dica” disse infine Blaine, prima di girarsi a guardarlo e Kurt non riuscì a dire nulla, solo ad osservarlo di rimando e a sorridergli leggermente. Avrebbe voluto fargli quella domanda. Avrebbe voluto sapere, perché c’erano così tante cose che non riusciva a capire. C’erano così tante cose che andavano oltre. Così tante cose che non poteva capire.
Kurt pensava che fosse solo una questione di conoscenza. Che prima o poi sarebbe arrivato ad un punto in cui tutto gli sarebbe apparso chiaro. Sarebbe arrivato ad essere così integrato all’interno di quella scuola da essere come Blaine.
L’aveva fatto Blaine, poteva riuscirci anche lui, no?
“Non dimenticarti delle prove dei Warblers alle cinque”
Kurt annuì, mordendosi leggermente le labbra. Sembrava aver perso completamente le parole. Forse era così, forse non le aveva più.
Le aveva rimesse in gabbia.
Blaine si inclinò verso di lui, colpendolo scherzosamente con la spalla, “Regionali, arriviamo!” disse allegro e Kurt non poté non sorridergli, questa volta leggermente più convinto.
E poi Blaine gli diede una pacca sul ginocchio e Kurt si limitò a seguirlo con lo sguardo mentre usciva dalla stanza.
Le parole erano sparite dalle sue labbra. Le aveva rimesse in gabbia, non c’erano più.
Forse era in gabbia anche lui.
Era come Pavarotti.
Kurt osservò l’usignolo e inclinò la testa.
E si chiese quanto, invece, ci fosse di Blaine in quelle parole. Quanto in gabbia fosse lui.
Kurt non sapeva se sarebbe mai riuscito a penetrare in quel’ambiente così tanto da sentirlo proprio. Non sapeva se sarebbe mai arrivato ad annullarsi per essere invisibile.
Non farti vedere.
Sembra che la sua gabbia gli piaccia.
Nasconditi.

Kurt però non si era mai nascosto in tutta la sua vita. Mai.
Blaine forse sì.

*

 Blaine lo faceva impazzire. Completamente. Senza neppure accorgersene, perché Kurt dubitava che fosse così, così consapevolmente maligno, nei suoi confronti.
Solo che lo faceva impazzire.
E non era un modo melodrammatico per dire che era perso di lui – anche se lo era – o che la sua sola presenza gli impediva di concentrarsi – anche se era vero -. No. Blaine lo faceva impazzire veramente.
Gli sorrideva, e lo sfiorava, sempre senza avere paura, sempre senza pensarci due volte, sempre senza il timore di poter essere contagiato. E gli parlava e lo ascoltava e gli dava consigli e Kurt si perdeva. Si perdeva ad osservarlo, a cullarsi con quelle farfalle nello stomaco, ad ascoltarlo cantare.
E poi, poi Blaine diventava di nuovo perfetto e così a modo e così gentile e sicuro e controllato.
E Kurt impazziva.
Erano piccole cose e piccoli dettagli, ma Kurt ci faceva sempre più caso. Sempre di più. Ogni giorno era come accorgersi di mille particolari, mille sfumature a cui non aveva neppure pensato e che erano sempre state lì.
Il suo sorriso cambiava, quando c’erano gli altri.
E raddrizzava la schiena e annuiva composto e le mani erano sempre elegantemente appoggiate alle gambe.
E poi si metteva a cantare e si trasformava di nuovo. E riprendeva a sorridere come sorrideva a lui, con un sorriso che gli illuminava gli occhi e faceva battere il cuore di Kurt all’impazzata. E si muoveva, saltava, si divertiva come un ragazzino. Flirtava con lui.
E Kurt impazziva.
Blaine l’avrebbe fatto uscire fuori di testa. Ogni giorno che passava alla Dalton, ogni giorno che trascorreva tra quelle mura, ogni momento che si ritrovava con Blaine, Kurt se ne convinceva sempre di più.
Ti farà impazzire. Ti farà impazzire sul serio.

*

Jeremy era nel suo corso di storia, ed era stato abbastanza gentile da passargli gli appunti che si era perso dall’inizio dell’anno – un’enormità di fogli grazie a cui Kurt era diventato ancora più pallido del solito quando l’aveva adocchiata -, ma Kurt era comunque incline a mandare tutto al diavolo.
Il livello di preparazione alla Dalton era di gran lunga superiore rispetto al McKinley, Kurt l’aveva sempre sospettato, ma trovarsi davanti all’incapacità cronaca – sua – di rimanere al passo era frustrante. Non era abituato a stare indietro.
In ogni campo.
E poi era entrato Blaine nella stanza, e Kurt si era dimenticato tutto quello che aveva appena studiato. Bella fregatura.
In compenso, ci aveva guadagnato il poter cantare una canzone con lui. Loro due da soli. Niente Warblers, niente osservatori, nessuno pronto a sbirciare o a ridere o a prenderlo in giro perché era vicino ad un ragazzo. Perché era così vicino ad un ragazzo.
Baby, it’s cold outside.
Le parole, dette da Blaine avevano la capacità di far fare cose, al suo stomaco, che Kurt non credeva possibili.
Aveva sempre pensato di essere stato innamorato di Finn. E forse, forse, era stato così. Ma quella era un’altra cosa. Più bella. Che lo spaventava anche un po’, perché era qualcosa di un po’ più grande. Perché nonostante ogni tanto si ritrovasse a pensare a quei dettagli che lo facevano impazzire – e non in senso buono – di Blaine, bastava un sorriso come quello, come quello che gli stava rivolgendo in quel momento, per dimenticarsene.
Forse Kurt l’aveva messo su un piedistallo che non meritava del tutto, ma non importava. A Kurt non importava perché quella sensazione che gli faceva provare valeva la pensa di tutto.
Blaine gli faceva contorcere lo stomaco come se avesse avuto la nausea, ma stava benissimo. E il suo cuore sembrava sempre sottoposto ad uno sforzo immane, ma non era doloroso. E la sua testa ogni tanto si perdeva informazioni su Carlo Magno o Salinger o Shakespeare, ma faceva posto al sorriso di Blaine.
Andava bene così.
Senza una vera coerenza, senza un vero perché. Kurt non sapeva trovare risposte a delle domande che neppure si poneva, sapeva solo quello che provava.
E provava una gran paura e qualcosa di ancora più forte che la contrastava.
Era nuovo, ed era bello.
Blaine aveva degli occhi stranissimi. Kurt lo sapeva. Ma quando si era ritrovato a pochi centimetri dal suo viso, e la bocca aveva continuato a emettere suoni senza che neppure lui se ne accorgesse, troppo preso ad osservare il ragazzo che aveva davanti, se n’era accorto sul serio.
E Blaine gli aveva guardato le labbra. Kurt ne era sicuro. Non era stupido. E poteva essere un sognatore romantico, sul serio, ma Blaine gli aveva guardato le labbra.
E quando qualcuno ti guarda le labbra è perché ti vuole baciare, giusto?
Funzionava sempre così, nei film.
Il bacio, comunque, non era arrivato. Kurt aveva continuato a cantare e a girovagare per la stanza mentre annunciava quanto fosse tardi e che no, non poteva proprio rimanere lì ancora. Doveva andare.
E andava bene così, Kurt non si era aspettato nulla. Gli bastava quello, gli bastava flirtare con lui e vedere Blaine seguirlo come nessun ragazzo aveva mai fatto e guardarlo come se fosse stato qualcosa di importante.
Ma era solo la canzone, giusto?
Nel momento in cui ricadde sul divano accanto a Blaine, Kurt non seppe in cosa sperare. Perché Blaine era lì, a qualche centimetro da lui, e gli stava sorridendo e Dio, era bellissimo. Avevano flirtato – e Kurt non era esperto in tutto quello, ma sì, era abbastanza sicuro di cos’avessero appena fatto. Di cosa facevano di continuo quando cantavano. O quando cantava solo Blaine – e avevano riso e avevano cantato. E ora erano lì.
E l’attimo dopo era già finito. L’attimo dopo Blaine si stava complimentando con lui del fatto che nessuna ragazza con cui l’avrebbero fatto cantare a quello spettacolo di Natale al Kings Island sarebbe stata brava quanto lui.
Kurt l’aveva osservato uscire dalla stanza. Si era inumidito le labbra, quasi immaginandosi qualcosa che non avrebbe potuto avere perché erano solo amici. E flirtavano e scherzavano e Blaine non faceva che toccarlo, una pacca sulla spalla, una stretta al ginocchio, una presa sul suo polso, ma erano solo amici.
Solo quando si era ritrovato a parlare con il professor Shuester e si era lasciato sfuggire quelle parole, quel “Sono innamorato di lui”, si era reso conto di dove era arrivato. Di che cos’era quella sensazione che contrastava la paura.
Kurt aveva sorriso. Innamorato. Sono innamorato di lui.
Era la prima volta che provava qualcosa del genere. Era la prima volta che quel sentimento arrivava così in profondità. Aveva avuto cotte stupide e come tutti gli stupidi adolescenti si era lasciato trasportare dal tepore di una possibilità che Kurt sapeva non esistere affatto. Come tutti gli adolescenti stupidi si era convinto che fosse abbastanza la sua, di volontà, per creare magicamente un rapporto con Finn.
Con Blaine era diverso, però.
Non sapeva cosa fare, si ritrovava ad osservarlo proprio come un adolescente stupido, ma si ritrovava anche a pensare a quanto, comunque, fosse fortunato ad averlo nella propria vita.
Erano solo amici. E lui era innamorato.
Era un gran casino. E Kurt non sapeva ancora se ne sarebbe valsa la pena.
Ma in quel momento non gli importava. Non gli importava proprio.

*

NOTE: Ed ecco qui la terza parte :)
Con la prossima chiudiamo questa storia \o/
E niente, non so cosa dire di questa parte XD Uh… spero vi piaccia? <3 Grazie per i commenti e per leggerla, mi fa un enorme piacere sapere che avete voglia di seguirla.
A presto con la quarta e ultima parte :)
   
 
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