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Autore: BBV    07/03/2011    8 recensioni
A diciotto anni, la vita di Victoria Hamilton
è stata completamente stravolta da un brutto incidente,
che l'ha portata a trasformarsi in una teenager ribelle e sfacciata.
Sua madre decide di mandarla a vivere dal padre e dalla sua nuova famiglia: una moglie e due figlie.
Insieme a suo fratello Shane parte per Longwood, un piccolo paese sperduto del Wisconsin.
Per Victoria è l'inizio di un incubo, un incubo dove appare Nathan,
un ragazzo presuntuoso e irruente, il ragazzo della sua sorellastra.
Un ragazzo che con prepotenza, arroganza e gesti folli riesce a sconvolgerle la vita.
«Se non mi dici il tuo nome, io mi butto», strillò ancora, facendomi sobbalzare.
«Victoria», gridai con quanto fiato avevo in gola. «Il mio nome è Victoria».
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ''The Rain Series''
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Capitolo 19

“Un anno senza pioggia”

 

 

Nei giorni successivi all’ultimo incontro con Nathan e precedenti alla mia imminente partenza, avevo cercato di classificare i miei pensieri in due categorie: le cose che “posso cambiare” e le cose che “non posso cambiare”. Ma il fatto che ci stavo provando non voleva dire che ci stessi riuscendo. Dopotutto, cos’è che posso veramente cambiare…e cosa no?

E la sera prima della mia partenza ero ancora lì, sul davanzale della finestra della stanza di Shane, dove da un paio di giorni ero solita passare le mie giornate, fissando ma non guardando veramente quello che c’era fuori. Pensavo troppo, pianificavo troppo. L’ho sempre fatto sin da quand’ero bambina. Ed ancora, quell’estate, ero vittima della mia crescita, della confusione, delle emozioni discordi. Sapevo che non sempre dicevo la cosa giusta al momento giusta o riuscivo a parlare quando avrei dovuto ma era per quello che scrivevo canzoni. Parlavo attraverso lettere aperte e armoniose.  

Ho sempre pensato che la gente non avesse tempo corresse troppo nella vita, senza avere una meta precisa. Io una meta ce l’ho.

 

«Driiin, driiin».

 

«Non ci sono per nessuno», sollevai il cellulare con tono incolore e mi preparai all’ennesima chiamata di mia madre in cui organizzava il mio ritorno e cercava ancora una volta di capire qualcosa in più di quella mia estate. Forse si aspettava che rimanessi di più, come aveva deciso Shane.

 

«Neanche per due vecchie amiche?», urlò Kate. Nonostante mi fossi promessa di non manifestare troppe emozioni con nessuno, sentire la voce di Kate e il sottofondo di Rachelle mi risvegliò per un po’ dal mio coma.

 

«Kat, Elle…!», esclamai sorpresa.

 

«Ti aspettavi qualcun altro? Beh, fottiti…siamo solo noi!», riprese la solita Rachelle. Sorrisi scostandomi dal divano e prendendo a gironzolare per la stanza buia e deserta.

 

«Non sono mai stata così felice di sentirvi», e nonostante fossi davvero piacevolmente sorpresa di risentirle, la mia voce non fu tanto d’accordo, tanto che sentii Rachelle mormorare una parolaccia divertita.

 

«Dico davvero», continuai. «Non vedo l’ora di tornare da voi». Mi portai una mano alla fronte mentre ascoltavo le loro voci e cominciavo a rivedere i lati positivi del ritornare a casa.

 

«Bugiarda al quadrato!», disse, a voce più alta del solito, Kate. «“Non vedo l’ora di tornare da voi”», mi imitò in malo modo Rachelle. Quella ragazza era esasperante.

 

«O non vedi l’ora di andare via da Nathan?», il suo nome fu solo sussurrato, ma il solo sentirlo mi fece perdere un battito e la regolarità del respiro.

 

«Sai, dovresti guardarti alle spalle…c’è qualcuno che ti tradisce intorno a te», dissero ridendo. Non mi misi neanche a pensare a chi avesse potuto aggiornare le mie amiche sulla mia triste e patetica situazione sentimentale/sociale.

 

«Shane!», dicemmo all’unisono. «E’ incredibile. Peggio di una pettegola!».

«Perciò quant’è attendibile la sua storia?», tentò più seria, Kate. Sospirai, senza voglia di dire troppo o troppo poco, decisa a trovare le parole giuste. Ma quante parole potevano descrivere me e Nathan? O quello che provavo? Forse nessuna parola, forse tutto il vocabolario.

 

«Shane ha detto la verità», comincia. «Sono io che non l’ho detta a me stessa», ammisi.

 

«Quindi…ti sei davvero innamorata di lui?», sentii la voce di Rachelle.

 

«Mettiamola così: Elle, ti ricordi quando mi hai detto di voler assistere ad un miracolo?». Non rispose.

 

«Quando sentirai di essere veramente felice, me lo dirai vero?».

 

«Io sono felice».

 

----------

 

Una ragazza fissava tranquillamente con una tazza di cioccolato caldo fumante, un paio di valige di fronte a sé. Quella ragazza ero io. Presi un pezzo di carta stracciato, feci la punta della matita con un temperino di plastica verde.

Nei momenti di ispirazione, ognuno fa quello per cui è nato. Il pittore dipinge, lo scrittore scrive, così come il cantante. Tutti hanno bisogno di un ispirazione, di una canzone.

Non avrei mai creduto di innamorarmi nel giro di un estate di un ragazzo come Nathan: arrogante, presuntuoso ma pieno d’amore. Non era decisamente nei miei piani.  

 

“…appunterò di questa permanenza a Longwood caso mai un giorno vorrò ricordare di queste torture”.

 

“Detesto questo giorno, detesto Longwood e la sua gente, detesto quello che mi aspetta, ma…”

 

Il mio primo giorno a Longwood avevo appuntato i miei pensieri nella mia prima pagina di diario.

Sorridevo all’idea di quanto fosse cambiato. Io non detestavo Longwood, al contrario sembrava proprio che quella piccola cittadina del Wisconsin e i suoi abitanti, mi avessero fatto dono di molte cose: l’amicizia, e beh si, anche l’amore.

E alla fine di tutto, non avrei ricordato quell’estate come la peggiore, ma come tre mesi in cui sono cresciuta.

Non feci in tempo a scrivere più di “io credo che…” che qualcuno bussò alla porta della mia stanza facendomi sobbalzare.                                                                                                                           

 Quando andai ad aprire, mi ritrovai di fronte Nathan. «Ti va di fare una passeggiata?», domandò stringendosi nelle spalle con le mani nelle tasche. Era imbarazzato?

 

«Piove?», la mia domanda avrebbe voluto risultare un affermazione, ma in quel momento dimenticai anche il vocabolario.

 

«A me non importa», alzò le spalle.

 

Feci un grosso sorriso e afferrai il cappotto. «Neanche a me».

 

Quando fummo sotto la pioggia mi chiese se non mi dava fastidio le gocce. Scossi la testa pensando che Nathan non sapeva il legame che avevo io con la pioggia. Il resto della passeggiata la passammo in silenzio. Girammo intorno alle gocce fredde e trasparenti, lanciandoci sguardi e nessuna parola. Mi sembrava che cercasse di parlarmi a volte, ma poi si bloccava e rimaneva in silenzio. Se era venuto da me quella sera un motivo c'era. Ma sapevo, anzi ne ero sicura, che se gliel'avessi chiesto, non mi avrebbe risposto.

Nathan era una terribile tortura per il mio subconscio.

 

«C’è un posto preciso dove stiamo andando?».

 

«Sai cos’ho pensato? Che se essere Nathan e Victoria è impossibile, per una sera voglio essere Peter e voglio che tu sia la mia Jude», disse a fatica ad occhi socchiusi e infastiditi dalla pioggia.

 

«Eh… Jude», replicò prima che potessi parlare. «Tu stasera canterai per me!».

La luce della luna illuminala il profilo di Nathan rendendolo etereo. Ma smettila, essere innamorata ti rende davvero così sdolcinata?  Scossi la testa, non era l’essere sdolcinata, ma tutti prima o poi troviamo uno dei lunghi motivi per cui amiamo una persona. Quella notte Nathan mi stava dimostrando il perché di quello sconnesso sentimento che avevo cominciato a provare per lui.

Ma toccava anche a me, giusto? Non volevo lasciargli il ricordo di una ragazza in lacrime all’aeroporto, non volevo che mi prendesse per la ragazza piena di lacrime e dal viso rovinato dalla tristezza. Lui doveva conservare il ricordo della sua Victoria. Era il mio unico bisogno. 

 

«Ah si?», sorrisi. E se non volessi?».

 

«Tu vuoi. Vuoi sempre cantare», mi prese in giro.

 

Quella notte oltre a cantare per lui, gli raccontai le cose più stupide che quell’estate non ero riuscita a dirgli di me. E lui, con un po’ più di fatica si lasciò scavare dentro. Mi raccontò del suo rapporto con i genitori, di come, da piccolo, credeva che suo padre avesse dei cloni che parlavano per lui in tv. Mi raccontò del suo sogno di medico che non facilmente tirava fuori agli altri. Era tutto più semplice ormai.

La pioggia non mi dava più fastidio.

 

---------

 

«Mi mancherai tanto Victoria». Norah corse ad abbracciarmi, la mattina seguente, quando fummo all’aeroporto. Mi aveva lasciato detto che Emma mi augurava “buon ritorno a casa” e dal suo tono sincero decisi di credergli.

 

«Grazie Norah, è stato un piacere conoscerti», le dissi stringendola forte. Norah si era rivelata un tipo strano, semplice ma puro. Molto diversa da mia madre, ancora mi erano oscure le strane scelte di mio padre ma, era una brava persona. Quella giusta per mio padre. 

«Maddie!», le accarezzai i capelli e lascia che fosse lei ad abbracciarmi. «Grazie sorellina», le dissi. «Sei stata la mia più grande musa quest’estate e lo sarai ancora, vero?», e asciugandosi le lacrime me lo promise.

 

«Marnie, Lucas», strinsi forte entrambi, lasciando che i miei occhi si inumidissero. Quanto mi rendevano fragili quelle persone? Sembrò un secolo quando mi staccai da loro e salutai, per ultimo, Shane.

 «Dimmi solo una cosa? Perché vuoi rimanere qui?». E anche se sapevo la risposta, mi divertii quando mio fratello si voltò verso Marnie e mi disse. Per lei

«E anche perché più stiamo lontani meglio è per il mondo…», mi lasciò scappare un altro sorriso.

 

«Sei pronta?», mi chiese papà con sguardo dolce. Feci per annuire quando sentii una voce. 

«Aspetta». Nathan apparve dietro le mie spalle, con il fiato corto, per aver corso, indossando una t-shirt nera e dei jeans chiari. I capelli erano ancora scompigliati. Credevo che non mi avrebbe mai raggiunta lì.

 

«Devo dirti una cosa…».

 

«E non potevi dirmela ieri?», dissi ridendo, con la speranza nel cuore, che avesse minimi altre mille cose da dirmi.

 

«Tu tiri fuori il meglio di me, come nessun’altro fa, lo sai? Ed è per questo che…», lo interruppi rapidamente.

 

«Non dirlo ti prego, se lo dicessi non me ne andrei più», scossi la testa per cercare di scacciare il sorriso nervoso comparso sul mio volto. Aggrappai entrambe le mani sulla sua maglia nera, stringendola come se fosse questione di vita.

 

Scosse la testa. «Puoi scordartelo», sospirò. «Non ti lascio prima di avertelo detto».

 

«Ti amo», gridò. Si allontanò da me di pochi centimetri e gridò ancora più forte quelle due paroline. Abbassai lo sguardo più imbarazzata che intimorita. Nell’aeroporto le persone ci ignoravano, ma sentivano. Dopotutto quante scene come quel in quel posto? Addii, arrivederci, bentornata.

 

«L’hai sentito? Io, ti amo», continuò portando le mani alla bocca per ampliare il suono delle sue parole. Mi affrettai a bloccarlo. La gioia più grande era sapere quanto difficile doveva essere stato per lui dirlo, e urlarlo. Conoscendo Nathan ci aveva pensato tutta la notte.

 

«Se ti dico che ti amo anch’io la smetti di urlare?». Scoppiai a ridere tra le lacrime e mi resi conto di averlo detto senza paura. Alzai lo sguardo e vidi i  miei occhi nei suoi, brillare. Fu in quel momento che mi sentii pronta ad andare.

 

«Mi sono innamorato di una ragazza piena d’amore, lei è la cosa migliore che mi sia mai capitata», sussurrò ancora, in modo che potessi sentirlo solo io.  

 

Prima di lasciarmi definitivamente allontanare da lui, mi sussurrò all’orecchio un ultima preghiera. «Torna da me».

Ed io glielo promisi.

 

"Cara Rain,

Ricordi quando ti ho detto che dovevo guardare avanti? Che dovevo riempire i vuoti del mio passato? E’ stata la parte più sensata di tutta l’estate sai? Ne sono successe di cose. Ho ripensato finalmente a te senza dover versare una lacrima, ho trovato dei nuovi amici, una famiglia su cui finalmente contare…mi sono innamorata. Eppure c’è ancora qualcosa da fare…L’ultimo vuoto da riempire è questo diario.

Non posso andare avanti se continuo a scriverti. Se continuo a scriverti non chiuderò mai i conti con le memorie di un passato a cui devo dare le spalle. Questa sarà la mia ultima volta, non l’ultima in cui ti parlerò – non ti farei mai questo -, ma sarà l’ultima volta in cui mi aggrapperò ad un tuo ricordo invece di lasciare che sia tu ad aggrapparti alla mia vita.

Ma voglio che tu sappia, che l’amore è forza, l’amore è potente, pericoloso. Incute paura, dà coraggio. Mette di fronte a scelte che finiscono sempre per ferire qualcuno, ma ne vale sempre la pena. Mi dispiace solo che tu non sia mai stata capace di provare quello che provo io.

Un giorno senza Nathan, è come un anno senza pioggia. Lui è la pioggia che una notte, di piena estate, mi ha avvolto. E’ stata la cosa più bella che sia mai stata mia."

 

Fine...  

 

 

Grazie.
Quant’è piccola questa parola? Quanti significati può assumere? Quanto valore relativo ha per ognuno di noi? Bene, voglio che per un attimo chiudiate gli occhi: immaginiate di essere sul Titanic ad assaporare il vento e l’odoro del mare tra le braccia di Leonardo Di Caprio. Quello è il mio grazie. Un grazie infinito che si tramanderà a chiunque leggerà questa storia. Perché può darsi che abbia aiutato voi come ha fatto con me, o magari abbia alleggerito un momento pesante o vi abbia fatto riflettere.

E ora che sono qui seduta pensando a questa storia, capisco di non aver fatto altro che narrato una storia che non mi appartiene. Non è la mia storia, è la storia di Vicky e Nathan…che non posso lasciare che finisca così. Amo il dramma, sono principalmente una persona molto masochista ma… finché ho le mie illusioni, voglio il lieto fine. La storia, perciò, non è ancora finita...

 

 

 

  
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