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Autore: Mary15389    07/03/2011    1 recensioni
Quattro anni dopo l'arresto di Ronald Weems, un seriale con le sue stesse caratteristiche si ripresenta tra le strade di Washington. La squadra è chiamata a collaborare, ma un presentimento aleggia nei pensieri di tutti...
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Then you catch him CAP20 CAPITOLO 20
 
Continuava a guardarsi intorno, incapace di prendere posto sul divano di fronte alla donna che si era invece accomodata. Tranquilla, troppo tranquilla. Prima che riuscissero a dirsi qualcosa, il telefono del ragazzo squillò e lui rispose. Poche battute e ripose il telefono continuando a guardare la donna, che domandò ancora una volta se fosse successo qualcosa.
“Signora Harris, suo figlio aveva qualche amico molto intimo?” chiese infine l’agente, voltandosi poi nuovamente verso gli scaffali di quel salotto.
“Io...non credo. Cioè...non lo so.” Rispose balbettando.
“Lei e suo marito volevate avere un figlio, o Nathan è stato semplicemente un incidente di percorso?” disse a bruciapelo senza voltarsi, ormai incattivito dalla sua implicazione in quella situazione e dalle risposte insensate della donna.
“Ma come si permette...?” urlò lei alzandosi dal divano. Il giovane si voltò a fissarla.
“Dico solamente, che più che indipendenza, quello che riserva a suo figlio mi sembra disinteressamento. Non sa cosa fa, se ha amici, resta sempre solo...” continuò vedendo la donna ritrarsi in silenzio e tornare seduta al suo posto. “Non è nemmeno troppo preoccupata per la mia visita.” Concluse voltandosi di nuovo.
“Senta, io ho il mio lavoro, la morte di mio marito ha fatto ricadere su di me tutta la responsabilità anche di Nathan, ma lui è un ragazzo intelligente e forte. È riuscito a crescere bene anche così.”
“Suo figlio potrebbe essere responsabile di tre omicidi.” Confessò infine e notò la donna non reagire in maniera sconsiderata, non disse nulla, quindi riprese a parlare. “Si è dimesso dalla clinica quando ha compiuto diciotto anni, non sapeva nemmeno questo?”
“Io...” mormorò solamente la donna non aggiungendo altro.
“Crediamo che abbia un posto dove vivere e soprattutto dei soldi. Chi l’ha riconosciuto sostiene che usi capi di sartoria...”
“Dottor Reid dove vuole arrivare?” chiese infine la donna all’agente che non smise di far scorrere le dita sui libri, fin quando si fermò su un tomo che catturò la sua attenzione. Nel silenzio lo afferrò e ne guardo la copertina, avviandosi poi verso la donna e mostrandoglielo. Lei sollevò gli occhi dal volume agli occhi del giovane. “Il romanzo illustrato di mio figlio...sono pur sempre una madre.”
“Ripeto la domanda...” il ragazzo prese posto di fronte alla donna. “...non ha mai visto suo figlio dal giorno del ricovero?” dopo che la donna scosse la testa in senso negativo il ragazzo aprì la copertina. “Non è un libro comprato in una libreria, ma uno di quelli che vengono dati agli autori da distribuire come omaggio alle persone più intime.”
La donna lo fissava non riuscendo a proferire parola, si stropicciava le labbra con le dita di una mano. Tesa, ma non come qualcuno preoccupato per il proprio figlio. Piuttosto come qualcuno preoccupato per se stesso. “È vero...” confessò sospirando, “è venuto a cercarmi appena uscito dalla clinica. Era felice di essere tornato a casa, ma io non riuscivo ad accettarlo. Mio figlio era stato in una struttura psichiatrica...”
“L’ha respinto di nuovo.” Completò Spencer accompagnato dal cenno di assenso della donna.
“Qualche tempo dopo mi sono ritrovata questo dietro la porta. L’ho preso come una sorta di ringraziamento.”
“Per cosa?” chiese l’agente. Tutto poteva immaginarsi tranne che Nathan dovesse in qualche modo ringraziare la madre per qualcosa.
“Io gli faccio avere dei soldi. Tutti quelli di cui ha bisogno e anche di più a volte. Non ci incontriamo mai di persona, li lascio in facoltà in una busta. Lì non sanno nulla di quello che è successo a Nathan, quindi semplicemente lui va lì a ritirarli.”
“Lei sa che le donne che uccide...sono tutte bionde e con gli occhi azzurri?” chiese quasi sottovoce, provocando una reazione di terrore negli occhi della donna.
“Non sono stata una buona madre...” sussurrò affondando il viso tra le mani.
“Signora Harris, mi deve dire dove si potrebbe trovare Nathan.” Ordinò quasi il giovane, trattenendo per un secondo il fiato, sentendo forse vicina la conclusione di quel caso.
La donna risollevò il volto verso l’uomo asciugando alcune lacrime che glielo rigavano. “Questo veramente non lo so dottor Reid.”
Il ragazzo si alzò afferrando nuovamente il romanzo di Nathan. “Le dispiace se lo tengo? A fine delle indagini potrà riaverlo.” Disse semplicemente, attendendo una risposta da Sarah.
“Faccia pure.” Rispose alzandosi a sua volta e accompagnando l’agente alla porta. “Non...non c’è nessuna speranza che vi stiate sbagliando?” domandò in un sussurro.
“Me lo auguro signora Harris, non sa quanto.” Concluse scomparendo alla vista della donna.
 
Emily Prentiss occupava la toilette femminile della BAU. Era tornata da parecchi minuti da quell’ospedale e si era rifugiata in quella stanza a guardarsi allo specchio, camminando avanti e indietro. Non riusciva a non pensare alla collega che non era in ufficio con loro. Erano entrate insieme in quell’edificio, poi si erano separate. E non l’aveva vista più.
Avevano così pochi elementi in mano, che il pensiero che potessero non ritrovarla si materializzava insistente nelle loro menti. Ma lei lo rifiutava. Nathan Harris sapeva perfettamente chi era JJ, non era una prostituta, non l’avrebbe uccisa. Le sue vittime erano solo le prostitute. Lo ripeteva costantemente nella speranza di convincersi, ma era anche vero che la collega corrispondeva perfettamente alla vittimologia del ragazzo. Era bionda e aveva gli occhi azzurri. Ricordava ancora quando lei stessa le aveva chiesto come facesse a mantenere tutta quella calma sul lavoro. Ma erano altri tempi, molti anni prima, quando ancora non si era del tutto ambientata. Ora era parte integrante di quella squadra, e il panico la stava assalendo.
Si controllò ancora una volta, cercando di riprendere padronanza di sé, poi si avviò verso la porta e uscì di nuovo nei corridoi. Inevitabilmente, per raggiungere l’open space, passò davanti all’ufficio dell’agente Jareau, al quale lanciò un’occhiata veloce. Poi portò le mani alla base della giacca che indossava, sistemandola mentre spingeva la porta a vetri e raggiungeva la sua scrivania, facendo un cenno di saluto a Derek che era seduto alla sua postazione.
“Reid?” chiese indicando la sedia di fronte a sé.
“È tornato a interrogare la signora Harris, abbiamo scoperto che il ragazzo si mantiene in qualche modo e che forse la sua vittimologia è definita dal bisogno di uccidere un surrogato della madre.” Spiegò brevemente, tornando poi a concentrarsi sui suoi fogli, restando comunque a sorvegliare la donna con la coda dell’occhio. La vide stropicciarsi il viso e osservare il vuoto. Dopo minuti di silenzio parlò finalmente.
“Non c’era nessuno in quei corridoi con me.” disse semplicemente continuando a guardare il nulla di fronte a sé. Il ragazzo ripose i fogli e fece girare la sedia fino ad incontrare la figura della collega che riprese a parlare. “Probabilmente non aveva nessuno, il medico mi ha chiesto se ero una parente. Nessuno che piange la sua morte, nessuno che ne reclama il corpo.” Era quasi una riflessione ad alta voce.
“Che ti succede? Non ti ho mai vista così...” chiese l’agente di colore incontrando finalmente lo sguardo terrorizzato di Emily.
“Io sono entrata con lei, dovevo coprirle le spalle...” confessò portando ora l’attenzione a JJ.
“Emily, non è colpa di nessuno, vi siete separati tutti. Anche Hotch era con voi ed è rimasto fuori. Semplicemente è successo, è terribile lo so, ma abbiamo bisogno di stare concentrati per trovarla.” Cercò di infonderle la forza necessaria. Lei scosse la testa sospirando. Aveva ragione, dovevano essere al loro meglio per rintraccialo, non era il momento per cedere.
 
L’agente Hotchner era uscito dall’ufficio di Penelope seguito da Dave. Si erano diretti insieme verso l’ufficio del capo, dove l’uomo aveva allertato la polizia di intensificare le pattuglie per le strade. Il fatto che avesse con sé JJ, non voleva dire che non avrebbe cercato altre donne da uccidere. Jennifer non corrispondeva del tutto al suo profilo di vittima. Si trovò a dover parlare anche con la stampa, cercando di calmare l’allarmismo che stavano creando, non avrebbe voluto che la famiglia della donna si preoccupasse apprendendo la notizia dalla televisione.
David osservava con sguardo vigile i movimenti del collega, seduto alla sedia dall’altra parte della scrivania, si tormentava il pizzetto riflettendo. Quando finalmente l’uomo ripose il telefono e prese un sospirò, si sporse in avanti per parlargli. “Il profilo è stato dato alla polizia, ma d’altronde nemmeno serve. Abbiamo un nome e cognome e delle foto, cosa dovremmo fare adesso?”
“Dobbiamo capire dove si trova, dobbiamo raggiungerlo prima che sia troppo tardi.” Rispose Aaron portandosi le dita alla fronte.
“Reid dovrebbe fare un profilo geografico.” Propose ancora l’agente anziano.
“Intanto scopriamo che notizie riesce ad ottenere dalla donna, poi...non so quanto possa servire. Nathan è troppo intelligente per aver lasciato una qualsiasi traccia.”
“Ma tentar non nuoce, d’altronde passeremo tutta la notte in ufficio. Con JJ là fuori nessuno di noi vorrà pensare a tornare a casa.” Continuò Rossi, controllando istintivamente l’orologio.
“Questa serata sarà particolarmente lunga.” Pronunciò l’agente supervisore alzandosi dalla sua poltrona e girando intorno al tavolo. Prima che arrivasse alla porta il collega aveva fatto lo stesso. Entrambi scendevano le scale che li avrebbero portati nell’open space dove Derek ed Emily stavano rivedendo i fascicoli del caso in cerca di qualsiasi cosa che potesse mettere luce su quello che era accaduto.
“Hai parlato con il medico?” chiese Hotch raggiunta la donna.
“Si, pugnalata al cuore anche questa volta. La ferita non era profonda, ma ha perso comunque troppo sangue. Non ha avuto il tempo di procedere con gli altri suoi rituali perché...” il discorso le si troncò spontaneo tra le labbra. Sospirarono tutti guardandosi intorno, quando le porte si aprirono e Spencer li raggiunse con un volume sotto braccio.
“Gli manda dei soldi.” Esordì poggiando sulla scrivania il tomo.
“Ehi ragazzino, hai comprato un libro?” domandò Morgan sporgendosi in avanti.
“È il romanzo illustrato di Nathan Harris.” Spiegò il dottor Reid, “Lo ha lasciato alla madre come ringraziamento per i soldi con cui lo mantiene. Uscito dalla clinica l’ha cercata, ma lei lo ha respinto ancora, ma non gli ha negato un supporto finanziario.”
“Ti ha detto dove trovarlo?” la speranza di David era forte nel formulare la domanda.
“No...non ha idea di dove possa essere, non sa se ha amici. I soldi glieli lascia in facoltà e lui li va a ritirare lì, perché nessuno sa che Nathan è stato in clinica. Pensano che tutto sia normale come sempre.” Concluse prendendo posto alla sua scrivania e aprendo il libro.
“Ci servirebbe un profilo geografico, magari può aiutarci a capire qualcosa.” Lo esortò Aaron scambiando un’occhiata con i colleghi.
Il ragazzo faceva scorrere velocemente le dita sulle pagine, voltandole una dopo l’altra. “Giusto il tempo di finire qui e lo faccio subito.” Rispose senza distogliere l’attenzione dalla lettura.
Quel comportamento lasciò tutti interdetti. Nonostante la facciata di tranquillità e professionalità, il giovane agente non stava per niente bene. Si chiedevano in silenzio per quanto ancora avrebbe resistito in quelle condizioni, quanto ci sarebbe voluto perché esplodesse. Ma soprattutto, non riuscivano a immagine come avrebbe potuto sfogarsi.
  
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