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Autore: Dilandau85    07/03/2011    0 recensioni
Breve fanfiction di pochi capitoli scritta di getto dopo aver visto l'anime di Gantz, in particolare su Joichiro Nishi. Un ipotetico racconto sul suo anno nella stanza della sfera nera, dal volo dal tetto alle vicende iniziali del manga/anime.
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si guardò intorno nella stanza. Era un appartamento completamente spoglio e composto da più locali. La camera dove aveva ripreso conoscenza era piena di gente e tutti gravitavano intorno ad una grossa e inquietante sfera nera che ne occupava il centro. Solo qualcuno rimase stupito dal suo arrivo, la maggior parte non se ne curò minimamente. Ma neanche lui si curò di quella gente, non prima, quanto meno, di aver rivolto tutte le attenzioni del caso a se stesso. Cos’era successo? Si era davvero buttato dal tetto della scuola o era stato solo un sogno? Cos’era quel posto? Non provava alcun dolore e il cuore che martellava fastidiosamente in petto, le gocce di sudore viscido che scivolavano lungo la sua schiena non facevano altro che confermargli che fosse ancora vivo... Ancora vivo? Ma che significato aveva tutto ciò? La sua coscienza non doveva tentare di farsi beffe di lui a quel modo: lui era morto, ricordava perfettamente quella orrenda sensazione; altro che sogno! E ora era vivo, in carne ed ossa, come lo era sempre stato prima di allora. Per quanto fosse assurdo quella era l’unica certezza che aveva.
In breve si rese conto che non sarebbe stato necessario assillare gli altri con tutte le domande che voleva porre, perché queste medesime le stavano ponendo tutti a tutti nel casino più totale, senza che nessuno conoscesse alcuna risposta, senza capirci niente.
“Ma dove siamo?”, saltò fuori un uomo sui cinquanta grasso e pelato.

“Siamo forse morti?”, più ansiosa e nervosa una bella signora se ne uscì con questa domanda.
“Ma allora questo cos’è, il paradiso?”, propose un giovane col volto pieno di brufoli.
“E da quando in qua dal paradiso si vede la Torre di Tokio?!”, lo riprese un altro uomo sulla trentina, dal volto scaltro.
“Cerchiamo di stare calmi e di fare chiarezza!”, di nuovo il cinquantenne.
“Ehi, non riesco a toccare la finestra!”, un’altra donna occhialuta era rimasta allibita di fronte agli infissi.

“Qualcuno di voi sa cos’è quella sfera nera?”
Mentre ascoltava distrattamente i commenti e le domande dei suoi coinquilini si rendeva conto che era troppo agitato. Doveva calmarsi, non c’era alcun motivo per restare in quello stato così teso. Era vivo e stava bene, e in quello non c’era niente di strano o di anomalo. Sarebbe bastato attendere e stare a guardare per fare un po’ di chiarezza, pensò, ma doveva restare calmo! Respirando capì che tutti coloro che si trovavano in quella stanza erano nella sua stessa condizione, ovvero erano tutti morti appena prima di ritrovarsi in quel posto.
Il caos regnava nell’appartamento; ognuno vociava rumorosamente e tutti si struggevano: chi dalla disperazione per la situazione ignota e la consapevolezza di essere morti, chi dalla gioia perché al contrario era assolutamente certo di essere vivo, in ogni caso le emozioni di ciascuno erano palesi ed esagerate. A lui invece non importava granché di tutto ciò. Non aveva alcun senso farsi prendere a quel modo dalle emozioni e lui era già assuefatto da tempo a quella sua fredda indifferenza e apatia per scivolarci dentro anche in quel contesto assurdo.
Guardò meglio: non proprio tutti si struggevano, bensì tutti tranne uno. Era un ragazzo delle superiori, probabilmente, un bel ragazzo alto e dai lunghi capelli corvini. Ecco, anche a lui sembrava non importare niente della loro situazione. Il costume che indossava era davvero buffo. Una tuta nera attillatissima con degli strani bottoni sparsi sul corpo, in un misto tra il futuristico e il ridicolo. Anche lui gravitava intorno alla sfera girandoci attorno con la stessa impazienza di uno squalo in attesa della sua preda. Quando la sfera iniziò a cantare tutti i presenti prestarono la massima attenzione in un misto di stupore, divertimento e paura.
“Cosa diamine c’incastra la ginnastica alla radio?!”, fece un tipo sulla ventina guardando con un’aria da sbruffone la sfera.
Poi apparvero sulla sua superficie quelle scritte che lo avrebbero accompagnato periodicamente da lì ad un anno intero: “Bastardi, la vostra vita è finita...”
Ma anche quello non bastava ad attirare più di tanto la sua attenzione. Quella schermata fu presto sostituita con un’altra: c’erano delle brevi istruzioni corredate da una foto, dicevano di uccidere l’alieno Kabuto e descrivevano in modo alquanto improbabile alcune delle sue caratteristiche.
Nishi non capiva tutto ciò, ma sembrava che la cosa stesse diventando sempre più ridicola. Tuttavia se quello era uno scherzo lui non ci sarebbe cascato, né si sarebbe esaltato dando così soddisfazione all’organizzatore. Semplicemente si sarebbe limitato a non fare nulla così come stava già facendo.
Quando la sfera si aprì di scatto tutti quelli che stavano là vicino sussultarono colti di sorpresa
“Ehi, ci sono delle armi qua dentro!”
“Guardate, un uomo!”
Nishi cercò di farsi largo con lo sguardo per capire cosa stava accadendo, infine decise che a quel punto ne sarebbe valsa la pena di alzarsi dal pavimento dove si era seduto in disparte. Dopo averci pensato si alzò e si avvicinò per vedere da più vicino. Voleva scrutare cosa faceva quel tipo interessante, il liceale con la tuta nera: lo vide avvicinarsi risoluto alla sfera e afferrare una pistola e un fucile. L’aria seria che aveva in volto suggeriva che anche la situazione fosse altrettanto seria e da non prendere sotto gamba.
Le valigette metalliche che erano impilate dalla parte opposta alle armi attirarono subito la sua attenzione, nel mentre che tutti gli altri si erano buttati sulle armi ad esaminarle. Ne scartò un paio finché non ne trovò una col suo nome scritto sul coperchio. Non si curò neanche di come questo potesse essere possibile. La sfilò dal suo alloggiamento e tornò a sedersi lontano da tutti, aprendo finalmente il contenitore per vedere cosa conteneva: una tuta come quella del ragazzo liceale, e probabilmente della sua taglia, osservandola aperta. Non seppe perché lo fece, forse era bastato lo sguardo del ragazzo dai capelli neri, ma si alzò ed uscì dalla stanza cercando un luogo più appartato per cambiarsi. Nessuno lo notò o disse niente. Fatta eccezione del ragazzo delle superiori gli altri erano tutti adulti e non sembravano prestare molta attenzione a un ragazzino delle medie silenzioso come lui. Solo allora poté constatare che, come avevano asserito gli altri astanti poco prima, la porta di ingresso era intoccabile. Questo era strano, perché per intoccabile intendeva proprio che la sua pelle non riusciva neanche a sfiorare il freddo metallo della maniglia o il legno della porta. Quando tentava di afferrare il pomello questo gli sfuggiva, come se fosse stato un ologramma di perfetta fattura. Pur non capendo tutto ciò smise di curarsene dopo qualche attimo. Ciò che non capiva non era un problema per lui; non era necessario che il suo cervello riuscisse a spiegare con la logica tutto ciò che accadeva intorno a lui; vivere nell’ignoranza a lui non avrebbe creato nessun disagio; bastava non curarsene e il gioco era fatto. Quando trovò un angolo appartato si cambiò in fretta coprendosi poi coi vestiti che aveva dietro, ovvero la sua divisa scolastica. Almeno non avrebbe dato troppo nell’occhio. Solo allora tornò nella stanza della sfera per vedere che aria tirava.
Appena entrato il liceale puntò per la prima volta lo sguardo su di lui, immediatamente. Era uno sguardo diverso rispetto a quello che aveva avuto tutto il tempo. I suoi occhi si erano accesi mentre si avvicinava a passi lunghi verso di lui: Nishi lo scrutò scettico dal basso verso l’alto quando il ragazzo si fu arrestato di fronte a lui. Che diamine voleva?
“Ti ho notato subito, appena sei stato trasferito in questa stanza; tu sei diverso dagli altri”, fece quello, “Sembra quasi che non sia la prima volta per te qua dentro”

Nishi apparve confuso da quelle parole.
“Lo stesso posso dire io di te, ma per il resto non so niente. A proposito, sarebbe buona norma presentarsi innanzi tutto, non trovi? Io sono Joichiro Nishi, 2a media, e non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo”
Il ragazzo più grande parve scalfito nella sua armatura dal tono così tagliente di Nishi. Probabilmente non se lo immaginava da uno col suo aspetto.
“Mi chiamo Shion Izumi e a tua differenza ho già trascorso molto tempo in questa stanza”

“Non ti dare troppo disturbo”, lo interruppe subito Nishi sbrigativo, “non mi interessa sapere di più di questa situazione”
“Forse invece dovrebbe importarti qualcosa, se vuoi sopravvivere a questa caccia”
“Sai, dopo essere morto cadendo da un quarto piano e essermi risvegliato senza un graffio qua dentro, l’idea di aver trovato dopo la morte una nuova vita invece che il niente è qualcosa che ha fatto crollare tutte le mie certezze o le mie poche basi morali. A questo punto davvero me ne frego, non sto scherzando. Ogni cosa ha perso il suo senso”
“Be’, anche in questo siamo simili. Lasciati dare un consiglio, ragazzino, prendi un’arma e non ti allontanare troppo quando saremo fuori, se non vuoi che ti esploda la testa. La cosa è più semplice di quanto possa sembrare. Basta attenersi alle istruzioni del Gantz, niente di più, niente di meno. Mi sembri uno sveglio. Spero di rivederti alla fine della missione, ma non contare per questo sul mio aiuto in caso di bisogno”

“Non temere”, rispose seccamente. Ma nonostante il tono arrogante seguì subito il suo consiglio e andò a raccogliere una delle strane pistole appoggiate sulla rastrelliera nella sfera.
Fu in quell’istante che iniziò il tutto. Sulla sfera la scritta mutò di nuovo; ora era apparso un conto alla rovescia, per un complessivo di un’ora di tempo. In quello stesso istante, una ad una, le persone nella stanza presero a scomparire nel panico generale. Quella vista fu inquietante persino per lui. Si smaterializzavano dalla testa ai piedi, come se venissero scansionate da qualcosa all’interno della sfera. Infine toccò anche a lui; era una sensazione strana e indescrivibile e ci fu un attimo in cui i suoi occhi vedevano contemporaneamente il muro dell’appartamento e il cielo stellato di Tokio.
Tutto il gruppo dell’appartamento si trovò riunito su un incrocio stradale.
“Qualcuno sa dove siamo?”
“Sì, è il quartiere di Setagaya, guardate, da qui si vede la tangenziale”
“E adesso cosa facciamo?”

 Già, quella sì che era una bella domanda, concreta, forse l’unica domanda seria partorita da quel branco di idioti.
“Io me ne vado a casa, chiamo un taxi”
Ma ben presto si resero tutti conto che erano invisibili agli occhi dei passanti e che anche telefoni pubblici e cellulari non funzionavano per via di qualche guasto sistematico. Per quanto volesse rimanere coerente con la sua linea di pensiero dell’indifferenza e mantenere il sangue freddo, quella situazione così illusoria e tangibile al tempo stesso stava rendendo i suoi sforzi così onerosi da essere quasi vani. Ripensò alle parole di Izumi; non sembrava che stesse scherzando dal suo tono di voce, e comunque lui non voleva verificare di persona la veridicità di quelle parole. Maledizione, quella volta non riusciva a restare impassibile. Aveva paura, una dannata paura dell’ignoto. Adesso che si trovava nella sua città natale smaniava di poter tornare a casa, ma la consapevolezza di non poterlo fare lo stava tormentando. Izumi... Già, Izumi; che fine aveva fatto? Si guardò intorno freneticamente. Un attimo fa era lì insieme a tutto il gruppo. Possibile che in quei pochi istanti che si era perso nei suoi pensieri si fosse dileguato a quel modo, senza lasciare alcuna traccia? Certo, Izumi aveva specificato che non l’avrebbe aiutato, ma anche il solo stare vicino a lui invece che a quell’ammasso di inetti gli avrebbe dato un po’ di sicurezza in più. Non ci aveva messo molto a giudicare quella gente, come era suo solito. E poi cos’era questa sensazione irrazionale di terrore? Di cosa aveva da temere? Cosa sarebbe cambiato se anche gli fosse esplosa la testa per davvero? In fondo era già morto...
Il gruppo di persone che lo accompagnava in quel breve lasso di tempo era già riuscito ad instaurare un contatto sociale, mentre lui se ne stava da solo vittima delle sue congetture. Li vide confabulare qualcosa e iniziare ad allontanarsi in blocco ed entro poco si ritrovò da solo. Era sempre stato da solo e aveva preferito questo stato di cose allo stare assieme a gente incapace... Ma in questo momento l’idea di restare solo lo terrorizzava. Non sapeva neanche perché, dal momento che si trovava nella quiete notturna di quel tranquillo quartiere della grande metropoli e che apparentemente non vi era niente da temere. Eppure quella sensazione sgradevole non lo abbandonava, anzi, gli impediva più che passava il tempo di ragionare in maniera lucida, annebbiandogli la mente. Quel luogo non era casa, era un luogo ostile, ostile e malvagio, lo intuiva nel profondo del suo subconscio. Fu solo un istante perché anche lui si mise a correre dietro al gruppo degli altri che fin dal primo momento non avevano fatto altro che ignorarlo. Mentre correva per raggiungerli e non perderli di vista le parole di Izumi gli martellavano nella testa: “Ti consiglio di non allontanarti troppo, altrimenti la tua testa esploderà”. Forse faceva bene a smettere di correre e attendere là dove si trovava che qualcosa, qualsiasi cosa accadesse? Ma nonostante tutto continuò a correre finché non raggiunse tutti gli altri e poté sentirsi in qualche modo al sicuro.
L’esplosione parve quasi un tuono. Calcinacci e frammenti di mattone crollarono subito dopo poco distante da dove si trovavano e tutti volsero lo sguardo verso la sorgente di quel boato. Una nube di polvere si alzava lattiginosa tra le case.
“Avete sentito?”

 “Cosa sarà stato?”
“E che ne so?! Andiamo a vedere!”
Di nuovo come un gregge di pecore si rimisero tutti a correre, e Nishi li seguì anche questa volta a breve distanza. Li vide svoltare un angolo sulla destra e appena anche lui lo ebbe sorpassato li scoprì tutti piantati in asso intenti a fissare ciò che di assurdo stava accadendo davanti ai loro occhi. C’era Izumi al centro di quello spettacolo, in mano una katana sporca di sangue e nella fondina una pistola come la sua. Tutto intorno una gran quantità di mostri che potevano assomigliare a dei grossi lupi. Ma quelli non erano lupi normali, si vedeva da un chilometro. Attorno a Izumi c’era un discreto numero di cadaveri di quelle bestie, ma ancora tanti, troppi lo attorniavano snudando le zanne minacciose. Ma il volto del ragazzo era una maschera di ghiaccio e di determinazione, la paura qualcosa di troppo lontano per emergere dai suoi lineamenti perfetti. Peccato che la stessa cosa in quel momento non si potesse dire di Nishi. Lui che era sempre stato così fedele al suo stile di vita, tanto coerente da gettare quella sua stessa vita giù da un tetto senza troppi rammarichi e senza un vero e proprio motivo, posto davanti a quella vista non riusciva più a controllarsi. La paura lo aveva colto, mentre molte di quelle fiere lentamente iniziavano a rivolgere il loro sguardo indemoniato da Izumi anche a lui e agli altri che attendevano colti dal suo stesso timore là intorno.
Era letteralmente paralizzato, congelato. Quelle bestie enormi erano poco più piccole di un cavallo e sembravano inferocite. Con quei loro denti aguzzi avrebbero potuto dilaniare in men che non si dica le loro carni, e ucciderli poco a poco... Per quei brevi istanti gli sembrò di poter addittura annusare l’odore della morte, tanto era vicina a lui. Ma un conto era accettare di morire cadendo, spaccandosi l’osso del collo e salutando il mondo in meno di cinque minuti; ben diverso era quello che stava per accadere. E purtroppo sarebbe accaduto tutto così presto che era giunto il momento di fare i conti con quella realtà.
Sei bestie si erano fatte avanti verso di loro ringhiando e acquattandosi sulle loro lunghe e grosse zampe, pronte scattare e a caricarli e loro non riuscivano a fare altro se non restare immobili o fare qualche timido passo indietro. Nishi lanciò uno sguardo disperato a Izumi. Questi sembrava non curarsi minimamente di loro, troppo intento a combattere alternando la spada con la pistola. Se anche avesse chiesto aiuto Izumi non sarebbe mai intervenuto, lo avrebbe semplicemente ignorato come aveva promesso. Poi il primo lupo scattò. Galoppò all’impazzata e si scagliò sulla sua prima vittima, uno dei tizi rimasto paralizzato alla sua immediata sinistra. Gli saltò addosso con tutte e quattro le zampe atterrandolo e prese letteralmente a mangiarlo partendo dalla sua spalla. Le urla dell’uomo furono tremende, mai Nishi aveva udito un tale orripilante suono. In pochi morsi l’uomo perse completamente il braccio, divorato dalla bestia che a quel punto, non ancora sazia, si rivolse alla sua faccia. Fu una scena orribile, tanto orribile che solo a quel punto Nishi trovò il coraggio o la disperazione necessaria per voltare le spalle e scappare.
Chiuse gli occhi e corse più velocemente che poteva, ma non durò molto. Non aveva percorso pochi metri che il rumore delle zampe felpate di un’altro mostro gli fu alle spalle sempre più incalzante, finché non sentì una morsa dolorosa serrarsi attorno alla sua tibia; rovinò al suolo e si volse verso la sua gamba per vedere il lupo che la strattonava a destra e sinistra per cercare di strapparla dal resto del corpo.
Tutt’intorno nel frattempo quello scorcio cittadino e residenziale si era tramutato in un vero e proprio inferno. Nessuno di quelli che erano con lui era riuscito a salvarsi da quella furia immotivata. Nishi cercò di divincolarsi dal morso della bestia, ma questa era troppo forte. E solo in quel momento realizzò che il dolore immenso che provava non era dovuto a una qualche ferita o alla sua carne straziata, bensì al terrore nero che si era impossessato di lui tanto da fargli percepire addirittura un dolore che lui non stava provando. Quando fu cosciente di ciò fu l’istinto di sopravvivenza a prendere il sopravvento sulla paura, e, ricreato da una nuova spinta ardimentosa, scagliò con l’altra gamba che era libera una pedata contro il lupo così potente da farlo volare e sbattere contro un muro che sarà stato distante da lì almeno cinque metri. Non perse tempo in congetture e si alzò immediatamente in piedi. Il massacro là attorno era tutt’altro che finito, e lui voleva soltanto salvare la pelle. Mai come allora questa gli era stata così cara. Riprese a correre lungo la strada da cui era venuto cercando un qualsiasi nascondiglio. Quando scorse ai lati del marciapiede un casottino di cemento armato si precipitò verso di esso e tentò di aprirlo. Il pannello metallico che ne segnava la porta era chiuso con un massiccio lucchetto, ma quando lo afferrò in mano e tirò con tutta la sua forza questo si sbriciolò come se fosse stato di vetro, consentendogli di accucciarsi in quell’angusto ambiente. Tirò a sè lo sportello e trattenne il respiro. Forse se la sarebbe cavata stando nascosto là dentro zitto zitto? Le urla dei suoi compagni erano qualcosa di micidiale; da delle piccole fessure sulla porticina metallica gli era possibile in minima misura vedere cosa stava accadendo là fuori. In breve degli altri uomini che avevano percorso con lui quel sentiero non sarebbe rimasto nient’altro se non ossa e sangue.
Si ritrasse da quella vista. Era troppo rischioso; doveva pensare soltanto a sopravvivere, a salvarsi, ammesso che quel caos prima o poi fosse finito. Solo allora si guardò la gamba che era stata addentata. Su di essa non vi era alcun segno, la tuta che indossava non risultava neanche in minima misura rovinata da quello shock tremendo. Mentre l’uomo accanto a lui era finito fatto a pezzi. Forse era davvero merito della tuta? Si guardò le mani e strinse i pugni. La sensazione di potenza che provò lo fece sentire stranamente bene; si sentiva fortissimo, e il fatto che avesse devastato con tanta facilità quel lucchetto ne era la prova tangibile. Nonostante tutto pregò affinché quei mostri orrendi non scoprissero mai quel suo nascondiglio. Voleva solo che finisse tutto. Se lo avessero attaccato in blocco... Chissà se quella tuta sarebbe bastata. Un lampo si accese nella sua testa: aveva sempre una pistola, che stupido! Come aveva fatto a scordarlo?! La estrasse dalla tasca e la impugnò pronto ad usarla nella maniera più celere che poteva, se solo se ne fosse presentata l’eventualità. Questa d’altronde giunse presto. Sentì i passi di quelle bestie maledette avvicinarsi al suo nascondiglio, e una cosa era certa: non era una sola.
Avevano scoperto dove si trovava, dannazione! E ora che fare? Piuttosto che farli entrare tutti in quello spazio minuscolo sarebbe stato meglio cercare una via di fuga all’esterno, ma come? Aveva ancora così tanta paura... Ancora non aveva smesso di tremare. Non voleva morire, maledizione, no, non voleva morire un’altra volta, in quel modo! Tirò un calcio fortissimo come aveva fatto prima, e il pannello metallico schizzò via portandosi dietro un lupo. Con un’agilità e una velocità che non aveva mai avuto prima si alzò in piedi e iniziò a correre, sparando alla cieca davanti a sé e di lato con quella assurda pistola, premendo innumerevoli volte uno solo o tutti due grilletti a casaccio. Ma i lupi gli furono addosso in tre, col loro aspetto e il loro fetore disgustoso. Cercò con lo sguardo la sua pistola, ma vide che nel trambusto gli era scivolata troppo lontano, così tentò di liberarsi di quelle bestie a pugni. Scagliò un manrovescio a un lupo che tentava di artigliargli la gola, e mentre questo veniva catapultato lontano, a un altro che gli mordeva il braccio esplose letteralmente la pancia con un tonfo sordo. Il sangue caldo di quella cosa lo investì impedendogli di vedere; si ripulì con la manica e guardò l’ultima fiera che col suo peso gravava sopra di lui. Adesso basta, tutto ciò lo aveva stufato. Afferrò il collo dell’animale con entrambe le mani e strinse con quella sua nuova forza disumana. La bestia parve senza respiro, sofferente, e lui allora strinse più forte ancora e ancora finché questa non smise di rantolare. Forse era morta? Gettò quel corpo inerme a terra e corse verso Izumi, che non aveva ancora smesso di lottare. Sembrava che il numero di quelle bestie fosse infinito.
“Izumi! Izumi, aiutami, ti prego!”, non sapeva ancora per quanto avrebbe potuto resistere e continuava ad avere paura per la sua vita. Corse disperatamente, inciampando ogni tre passi, finché non gli fu accanto.
“Se sei ancora vivo cerca di tenere a bada queste bestie! Chi le controlla si trova in quella casa, una volta ucciso sarà tutto finito, ma io da solo non ce la faccio!”

Nishi non capiva, ma non voleva che Izumi lo lasciasse solo in mezzo a quelle fiere. Invece fu proprio ciò che avvenne. Il ragazzo, appena vide che Nishi era al suo fianco, smise di combattere e si precipitò a gran velocità dentro l’abitazione.
“Non mi lasciare, Izumi! Ti prego, aiutami! Brutto bastardo!”, niente, Izumi ormai era uscito dalla sua visuale. Ma perché lui doveva restare là a rischiare la vita mentre il ragazzo più grande faceva chissà cosa?
In breve fu di nuovo circondato dai lupi. Maledizione, non voleva essere attaccato ancora una volta dalla loro ferocia!
“Sparite! Bestie di merda!”
Si guardò intorno. Doveva raggiungere la sua pistola ad ogni costo. Scattò rapidissimo caricando le bestie che gli intralciavano la strada, finché poté afferrare di nuovo la sua arma. Ora doveva solo levarsi da là. Lanciò uno sguardo all’abitazione che lo sovrastava. Forse sul suo tetto si sarebbe salvato? Era così alto... Ma forse con quella tuta avrebbe potuto raggiungerlo saltando? Quando le bestie gli si avventarono contro fece solo due passi di rincorsa prima di staccarsi dal suolo desiderando di saltare il più in alto possibile. E ce la fece. Si aggrappò con le mani sul bordo del tetto e si issò sopra di esso tirando un sospiro di sollievo. Quelle stupide cose sembravano in crisi di fronte a tutto quel dislivello; si tiravano ritte sulle zampe posteriori grattando sul muro con le anteriori, ringhiandogli contro rabbiose, ma più di così non sembravano in grado di spingersi. Si sdraiò di pancia sul tetto e prese con tutta calma la mira. Quando premette soltanto il grilletto superiore sul display dell’arma gli apparve lo scheletro dell’animale, come se si trattasse di una radiografia in tempo reale. Quando aggiunse anche il grilletto inferiore l’arma emise un bagliore e un rombo, ma nessun rinculo e nessun effetto parve seguire. Quindi Nishi sparò ancora e ancora preda della rabbia verso quella situazione, finché non si rese conto che era tutto inutile; quella pistola sembrava essere niente più che un giocattolo, e lui c’era cascato in pieno. Fu in quel momento che il lupo che gli era più vicino sotto di lui esplose in più punti in uno spettacolo davvero disgustoso, e voragini si aprirono allo stesso modo sull’asfalto là intorno. Altro che giocattolo, quell’arma aveva un potere devastante! La guardò meravigliato. Adesso si sarebbe divertito un po’ lui. La situazione si era tramutata rovesciandosi completamente, passando da essere un incubo a un videogioco avvincente. Riprese la posizione di mira e tentò di centrare bene il colpo, ma in tutto ciò non si era neanche accorto che stava scomparendo. Di nuovo i suoi occhi furono puntati sul pavimento di parquet della stanza con la sfera nera. Izumi era là in piedi con l’aspetto perfettamente lindo e lo osservava dall’alto al basso mentre se ne stava prono con la pistola in mano in puntamento verso il niente.
Quando anche Nishi lo realizzò si alzò immediatamente in piedi. Era tutto finito, era finito per davvero. Non c’era bisogno di interrogarsi sul perché fossero rimasti solo loro due là dentro. Tutti gli altri li aveva visti morire in mezzo a quella strada massacrati brutalmente. Era sopravvissuto... Ecco, sopravvivere a quelle condizioni era qualcosa di veramente appagante, niente a paragone di condurre e trascinare avanti una vita facile e priva di significato. D’ora in avanti sarebbe stato tutto diverso per lui.

Il timer sulla sfera si era arrestato a dodici minuti dalla fine e dopo pochi secondi, con un tocco di campanello, apparvero delle nuove scritte sulla superficie nera. Nishi si avvicinò in fretta, curioso. Comparve un disegno stilizzato di Izumi, con tanto di nome e poi un punteggio: 28 punti, 7 punti alla fine. Izumi storse il naso contrariato, lanciando un paio di accidenti alla sfera nera. Poi l’immagine mutò e apparve il suo di disegno: Nishi-kun 2 punti, 98 alla fine.
“Bravo, ragazzino. Questa volta ce l’hai fatta. Sei ancora sicuro di non volerne sapere di più su questa storia?”
“Quello che è successo è successo. Vorrei solo sapere cosa accadrà ora”
“Oh, ce ne andiamo a casa e ci rivediamo alla prossima. Avvertirai una strana sensazione alla nuca quando il Gantz ti richiamerà”, e neanche ebbe finito di dire quelle parole che si avviò fuori dall’appartamento. Izumi era palesemente stanco morto, e la stessa cosa valeva per lui. Non vedeva l’ora di tornare a casa, ormai si era fatta notte fonda.
  
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