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Autore: Ofelia di Danimarca    08/03/2011    1 recensioni
Due persone, due mondi lontani un abisso...ma, forse, lo stesso sguardo disincantato verso il mondo...e una strana pressante voglia di far parte della vita dell'altro. Claudio Rizzo e Monica Morucci
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Immagina un castello, con le finestre che si affacciano sul lago di Ginevra…”
Perchè gli fosse tornato alla memoria quel verso, proprio in quella mattinata così piatta e monocolore, non riusciva a spiegarselo.
Ma di certo restare concentrati sulla lezione era impossibile.
 
Non che la Sabatini fosse una cattiva professoressa, tutt’altro.
La scrutò un po’ mentre, appoggiata alla cattedra col libro di testo in mano, descriveva un quadro, illustrandone le caratteristiche con tono entusiasta… si vedeva che era una che amava quello che faceva. Anche se a volte sembrava buffa, in fondo era proprio quello il suo bello.
Era appassionata.
 
- Oh, Rizzo, scusa…ma a che pagina siamo?
Tolse gli occhi dalla prof e li rivolse al suo compagno di banco che lo guardava con fare interrogativo.
- Centodieci.
Rumore di pagine sfogliate con una certa veemenza.
- Grazie, eh…
Claudio si ritrovò suo malgrado a scuotere leggermente la testa.
La IIA era una sezione di sfasati. La maggior parte dei suoi componenti viveva stabilmente su un altro pianeta, preoccupandosi di ridiscendere in classe solo quando c’era da farsi mettere un voto sul libretto… nessun vago interesse per lo studio, nessuno spirito di gruppo… roba che gli faceva rimpiangere, e questo era grave, la sua vecchia classe.
 
Abbassò gli occhi sul libro di arte, già sottolineato ed evidenziato, lo stesso dell’anno precedente.
Anche il quadro in questione era cosa già vista… e non lo convinceva.
Non gli era piaciuto nemmeno la prima volta che l’aveva studiato…un’ultima cena caotica e incasinata come non se ne erano mai viste su una tela.
 
La Sabatini chiuse il libro con un gesto plateale. Voleva dire che, per quel giorno, la lezione era finita.
E meno male, pensò Claudio.
Al suono della campanella era già fuori. Giusto il tempo di trovare dei soldi nella tasca della sua tracolla nera, ed era per i corridoi.
Aveva fame, teneva cinque euro in mano e camminava verso la IIIA.
Chissà che combinavano i suoi ex compagni …dovevano essere in pausa pure loro…chissà se….
 
La classe era vuota.
I banchi erano incasinati di libri e di fogli, sulle sedie ricadevano le giacche…ma manco un’anima.
“Ma dove cazzo sono?”
Si morse il labbro per nascondere il disappunto…poi alle spalle gli comparve Valerio.
 
- Ciao Cla’ – gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla – volevi fare una sorpresa a Cicerino piazzandoti al posto al primo banco, come l’anno scorso?
Claudio ricambiò la pacca, poi a voce bassa rispose:
- No figurati, ero solo passato a vedere che combinavate, e se sopravvivevate senza di me.
Il tono ironico era abbastanza evidente, e Valerio sembrò gradire.
- Sai Cla’, la tua mancanza si sente di brutto… io quel posto al primo banco di fianco al mio te lo ridarei anche subito…
- Ovvio - Claudio si mise ad annuire, con un mezzo sorriso - dove più lo trovi uno del mio livello con cui farti due chiacchiere nelle ore di latino, o no?
- Già…è pazzesco…mi sembra ieri che eri là – Valerio fece un cenno in direzione dei primi banchi centrali – e invece ora al posto tuo mi devo sorbire la compagnia della Morucci che sta fuori di testa…
Claudio si irrigidì involontariamente.
Abbassò gli occhi per un attimo e poi li rivolse verso il banco di cui stavano parlando.
- Ah…quindi stà là…
Valerio rispose con una faccia poco entusiasta.
- Sì ma è fuori totale…sembra che lo fa apposta, a farsi stare sul cazzo da tutti.
Claudio aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì a controbattere come voleva. Fissò Valerio con aria incomprensibile. Ma stava parlando di lei o parlava di lui?
Si strinse nelle spalle.
- Beh, magari è proprio così.
Valerio smise per un attimo di trafficare con l’astuccio, e lo guardò con aria perplessa.
- Cosa è proprio così?
- Magari fa proprio apposta… dico, a farsi stare sul cazzo…magari lo fa come difesa, perché non ha voglia che gli altri le rompano le scatole.
La frase gli uscì tutto d’un fiato, e quando il suono si spense nell’aria, Claudio si stupì di ciò che aveva detto.
Le parole che aveva appena pronunciato….suonavano quasi come una difesa.
Lui, lui che si prendeva la briga di difendere qualcuno. Da quanto non succedeva?
Di difendere una ragazza, per di più.
Si passò una mano tra i capelli, infilandola poi nella tasca dei jeans. Valerio lo guardava poco convinto.
- Boh – fece poi quest’ultimo alzando le spalle – non lo so, l’ho detto così per dire… in realtà non credo che faccia apposta…mi sa che è proprio così lei…semplicemente un po’ stronza.
Silenzio dall’altra parte. Claudio si rigirava tra le mani i cinque euro.
- Lei è stronza, dici… ma quanto siete stati stronzi voi invece non conta?
 
Valerio ora era senza parole, ma che importava.
Gli era tornato alla mente l’episodio da cui poi era scattata la ”okkupazione” scolastica, quella fintissima ribellione di massa a cui lui non avrebbe partecipato manco sotto tortura.
Gli era tornato in mente che proprio lui, Valerio, aveva preso la Morucci e l’aveva chiusa dentro a uno sgabuzzino largo tre metri per quattro… e l’aveva lasciata là… un giorno…senza dir nulla a nessuno… che se non l’avesse recuperata Cicerino ci avrebbe fatto la muffa, lì dentro, altro che una giornata… quando l’aveva saputo aveva stentato a credere che fosse stata opera di Valerio.
 
- Quanto stronzo sei stato tu…con lei…
Dietro le spalle di Claudio spuntarono Lucia e Margherita… quest’ultima accennò un saluto, ma appena si rese conto di che espressione aveva il ragazzo sul volto, il “ciao” le morì sulle labbra.
Lucia vide Valerio alzarsi dalla sedia con uno scatto e iniziare a urlare, fuori di sè come non l’aveva quasi mai visto.
 
Ma Claudio si era già voltato e aveva già lasciato la classe.
Non aveva voglia di sentire le giustificazioni dell’amico. Non aveva voglia di ascoltare i suoi perchè, la difesa dell’onore del padre, e far star zitti quelli che non sanno di te, e tu mi dovresti capire perché anche tu hai un padre che bla bla bla… tutto questo non contava un cazzo.
La realtà, che Valerio si ostinava a non vedere, era che quello che Monica aveva detto lo avevo punto- aveva riaperto una ferita che non aveva fatto in tempo a rimarginarsi da sola ed era stata coperta a forza, artificialmente. E una ferita coperta a forza, quando si riapre, fa più male di prima.
 
“A Valerio ribolle il sangue, semplicemente perché le cose che gli ha detto Monica, in fondo le
pensa pure lui… ma le palle per accettarlo ancora non ce le ha”.           
 
Lo stomaco gli gorgogliava, e il nervoso richiedeva di essere sfogato.
Cosa faceva di solito in queste situazioni?
A cosa accorrere per distrarsi?
Diede una secca manata alla macchinetta delle merendine che non si decideva a cedergli la barretta di cioccolato che voleva.
 
Per calmarsi…
… la sua ricetta tipica era ben consolidata: scherma, giro nessuna meta-tutta velocità con una delle macchine di suo padre, mp3 con i Nine inch nails nelle orecchie…e una ragazza, una qualunque, che lo aiutasse a non pensare…
 
Alla fine la macchinetta dovette umilmente cedere davanti alla sua determinazione.
Addentò un abbondante pezzo di cioccolato, tagliando di netto la barretta.
Aveva il sentore che quel giorno non avrebbe funzionato, la sua fidata ricetta…
“ Immagina un castello, con le finestre che si affacciano sul lago di Ginevra; là, sulla finestra, nei giorni assolati e caldi, c’è un uomo così assorto nella lettura che non alza gli occhi...”
Di nuovo, quel verso nella mente.
 
 



 
 
 
 
Claudio cercava di non pensare alla discussione con Valerio.
Ma era dura.
L’allenamento di scherma gli era servito- quello serviva sempre.
La sciabola era, tra tutte, la sua arma preferita- l’arma d’attacco per eccellenza.
I suoi fendenti stavano migliorando sempre di più…ogni volta più precisi… anche quella sera era riuscito quasi sempre ad anticipare i colpi del suo avversario, e con l’affondo finale, l’aveva sconfitto.
 
Quello che non riusciva a sconfiggere, invece, era il rammarico per quel dannato litigio.
In fondo, si disse mentre usciva dalla palestra, che bisogno c’era di aggredirlo in quel modo?
La domanda se la poneva, certo, ma era una domanda retorica.
Come al solito, lui già sapeva la risposta.
 
Appoggiò il borsone a terra, davanti alla sua Mini, e aprì la macchina.
Avrebbe dovuto aspettare che anche suo zio terminasse l’allenamento ed uscisse, ma non gliene importava- voleva andare a casa. C’era una cosa, una pagina di libro che doveva assolutamente rileggere…
 
- Ehi, aspetta!
Una voce lieve gli giunse all’orecchio mentre gettava la sua roba sul sedile posteriore.
Non era suo zio.
Si voltò e vide avvicinarsi una ragazza… una che non aveva mai visto prima.
La guardò mentre gli si parava davanti con un leggero sorriso sulle labbra.
- Ti chiami Claudio, vero?
Ce l’aveva di fronte da due secondi, e già aveva capito che non era del Colonna.
Aveva qualcosa di contraddittorio in lei… il tono della voce contrastava in maniera decisa con la sua espressione…timido e accorto il primo, intraprendente la seconda.
- E tu chi saresti?
Lei si voltò per un attimo e diede uno sguardo fugace alla macchina.
- Questa è tua?
Claudio la fissava con espressione neutra. Non rispose. Era curioso di vedere dove sarebbe andata a parare.
- Sai, ti ho visto dentro, mentre ti allenavi…ero lì ad aspettare che mio fratello uscisse...ma poi ti ho visto. Sei molto bravo.
Di solito i complimenti non gli facevano alcun effetto. Un po’ perché era abituato, un po’ perché non ci credeva mai fino in fondo, e un po’ perché il parere degli altri non gli importava.
Eppure, lì per lì, quella frase gli fece quasi piacere.
- Grazie - fece, annuendo.
La ragazza sorrise soddisfatta.
- Io mi chiamo Gaia – e gli porse la mano.
Claudio osservò quella mano tesa verso di lui. Mentre gliela stringeva, cercò di cogliere qualcosa in più di lei.
I capelli castano scuro, perfettamente lisci…gli occhi nocciola… il tono dolce…eppure lo sguardo era quello di una persona decisa, che sa quello che vuole.
C’era qualcosa che non tornava.
La vide mentre estraeva un blocco di post-it dalla borsa, e una penna.
- Che fai? – le chiese con tono quasi allarmato. Sapeva bene cosa stava facendo in realtà, ma l’idea non gli piacque per nulla. Era successo già altre volte, con altre, in passato…
- Ecco tieni – fece lei, ignorando completamente lo sguardo gelido che ottenne di rimando – è il mio numero. Potresti chiamarmi, una di queste sere…che ne dici?
Claudio prese il foglietto dalla mano tesa.
- Bene….ci vediamo.
Saltò in macchina prima che lei potesse opporsi. Mentre accendeva il motore la sentì dire che era del liceo Visconti, e che se avesse voluto, avrebbe potuto andarla ad incontrare là.
Non rispose nulla, e se ne andò sgommando ,infischiandosene alla grande delle urla dello zio che, dall’ingresso della palestra, gli intimavano di aspettare.
 
 




 
Quella sera, mentre era nel letto, a occhi chiusi, le facce della giornata gli roteavano nel cervello vorticosamente.
Il viso stupito e adirato di Valerio, la faccia entusiasta della Sabatini, l’espressione severa di suo zio, il fare ambiguo del suo nuovo incontro, quella Gaia…
 
Claudio iniziò a chiedersi se non fosse davvero stato meglio per lui andarsene a Princeton, in America, via da Roma, via da quella casa, via da tutti quelli che lo avevano conosciuto e che lo volevano conoscere, via per non pensarci più, via per essere solo uno qualunque, solo Claudio, nulla di meno e nulla di più…
….essere sé stesso.
Una cosa così semplice a dirsi, ma in concreto così ardua, e impestata quanto il quadro di Tintoretto di quella mattina.
“Immagina un castello, con le finestre che si affacciano sul lago di Ginevra; là, sulla finestra, nei giorni assolati e caldi, c’è un uomo così assorto nella lettura che non alza gli occhi; ma se lo fa, usa un dito come segnalibro, alza lo sguardo e scruta al di là dell’acqua, verso il Monte Bianco, e oltre.”
 
 
 
   
 
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