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Autore: Jo_March_95    08/03/2011    3 recensioni
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Primavera:
Una donna con la manicure appena fatta mi si avvicina, e mi prende il palmo della mano nelle sue, per vedere cosa non và. Le sorrido e la mando via con un gesto. I suoi occhi castani mi guardano gentili. Sono verdi quelli che vorrei vedere. Ancora un po’ di pazienza mi ripeto. Aspetto con ansia che il sole faccia il suo giro nel cielo e che firmi la mia uscita. Aspetto il momento in cui potrò tornare a casa, aspetto il momento in cui le mie mani non saranno più vuote.
Estate:
<< Promettimi che un giorno ti sforzerai, che terrai una delle mie rose. >>
<< Si, Francis-san. Un giorno terrò una delle tue rose. >>
<< Merci Kiku! >> Gli sorrido, contento e orgoglioso.
<< Il giorno del mio funerale potrai poggiare una rosa sulla mia tomba, e non la toglierò mai più. >>
Autunno:
E vorrei che la mia morte fosSe come quella delle foglie, non un’esPerienza dOlorosa, ma il Semplice ritorno Al mittente, al quale bacerò i piedi e le Mani per ringraziarlo di avermI inviato a te. E infine vorrei che tu rileggessi le ultime frasi della lettera e facessi particolare attenzione ai caratteri scritti in grassetto, e vorrei tanto che rispondessi non con le parole, ma permettendomi di insidiarmi una volta e per sempre nel tuo cuore, di scavarmi senza farti troppo male un posticino caldo e confortevole dal quale poter essere tutto ciò di cui hai bisogno e tutto ciò che ami.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                            Capitolo 2: Estate
 

Mi sento stanco.
L’Estate è appena iniziata e io sono già stanco di vedere il Sole.
O forse sono solo stanco di ammirarlo da solo.
Il disco luminoso del cielo mi sveglia ogni mattina con la sua prepotenza, per farmi capire che se voglio stare su questa Terra devo sottostare alle sue regole.
Ma io ora sono troppo debole per essere diligente.
Non abito più nell’appartamento assieme a Seychelles. Ora la mia casa ha le pareti bianche, i lettini reclinabili e un odore insopportabile di pulito.
Non ci sono fiori sulla mia finestra, perché il mio coinquilino è allergico al polline.
Ogni giorno cerco di spiegargli come sia irresistibile l’odore delle piante, ma a lui non interessa.
O meglio, secondo me finge di non interessarsi.
Lasciare le rose della mia vecchia casa è stata la cosa più dura per me.
Sey ha detto che se ne prenderà cura lei, ma io non mi fido, e mi sento come una mamma che abbandona i suoi figli alle cure di un’estranea.
Per quanto possa essere capace non potrà mai eguagliarla o sostituirla.
Il caldo è insopportabile, ma io non lo avverto, perché la mia finestra deve stare sempre chiusa.
E’ passato così tanto tempo da quando ho respirato l’ossigeno appena sfornato dalle piante che non riesco più a ricordare cosa si prova.
L’unica cosa che mi tiene compagnia qui è il mio taccuino e la fotografia del mio angelo.
Sarà lui, al momento giusto, a portarmi via. Non so dove mi condurrà però.
Non amo molto questo mio nuovo alloggio.
Non sarebbe corretto dire che lo odio, perché alla fine non è poi così male.
Ti portano sempre da mangiare in camera e tutti ti sorridono. Che poi lo facciano solo per abitudine non ha importanza.
Ci sono anche delle persone le cui labbra hanno deciso di scioperare e di smetterla di elevarsi al cielo.
Ho deciso che il mio compito sarà quello di ravvivarle.
La bocca qui non è l’unico organo disoccupato. Anche i capelli se la prendono comoda.
I miei per fortuna ancora non si sono fatti contagiare, ma secondo me l’influenza degli altri li contaminerà. Mi sento quasi fuori moda, a dir la verità.
Una cosa negativa di questo posto è il fatto che non è concesso avere uno stile. Tutti dobbiamo portare la stessa divisa, bianca, spenta, triste.
Di solito quello della neve è un colore che mette allegria, ma in questo posto cambia la sua aura.
Ho proposto al direttore un nuovo colore, ma credo che non abbia accettato il mio suggerimento.
Aveva lo sguardo accondiscendente di chi crede di parlare con un pazzo.
Per me i folli sono loro. Una divisa arancione metterebbe tutti di umore migliore.
Ma qui non ti rubano solo la gioia di vivere. Ti rubano anche il sangue. A volte ho il sospetto che sia un covo di vampiri troppo codardi per ucciderci sul serio.
Ma poi scrollo il capo e mi rendo conto che la mia mente troppo allenata viaggia così velocemente da confondermi.
Se ci fosse Arthùr qui mi direbbe che sono solo una stupida rana e mi prenderebbe a pugni.
Darei qualsiasi cosa pur di essere colpito dalla sua splendida mano, ma prima devo avere il via libera dai medici.
Sì, perché il posto in cui abito ora è un ospedale.

<< Bonjour ami! >> Forse stare qui non mi piace, ma non per questo smetterò di essere quello che sono.
<< Ohayo. >>  Ha gli occhi spenti il mio compagno di stanza. Ma ci sto lavorando. Ci sto provando a riportare un po’ di luce in quel buio quasi assoluto.
Oggi non ha alzato neanche la testa. Non perché non voglia, o perché sia maleducato, è tutta colpa di quel liquido che succhia l’energia per donarti la vita.
Ecco perché non ho acconsentito prima a farmi curare qui. Non credo che farmi indebolire ulteriormente sia il rimedio giusto. Ma Alfred F. Jones ha deciso così.

Quando arriva l’infermiera ha un pacco per me. Come sempre, come tutte le mattine. Ha i capelli corti, di un colore che non so definire. Troppo chiari per essere marroni e troppo scuri per essere biondi. Ha un sorriso ampio e rassicurante. Non ho mai visto qualcosa di paragonabile alla grandezza di quella gioia. O forse sì, il suo seno.
<< Ecco Francis, ecco le tue rose >>
<< Merci mademoiselle >> Mimo il gesto di baciarle la mano, una cosa che non mi è concessa per evitare che qualche corpo estraneo si unisca alla schiera già numerosa di batteri che mi odiano.
Prendo le rose senza toccarle, indossando un paio di guanti.
Lotto con tutto me stesso per resistere alla tentazione di affondarvi il viso e inizio il mio viaggio.
La prima tappa non è lontana, è a pochi passi da me.
<< Ecco Kiku, c’est pour toi >> Poggio il fiore sul comodino, lui ha gli occhi chiusi. Vorrei fargli una carezza, ma ho paura di offenderlo.
Lo guardo un’ultima volta e vado avanti. Apro la porta della stanza giusto un secondo, il tempo di infilarmi attraverso la fessura e passare avanti, nel corridoio.
A Kiku dà fastidio che la porta stia aperta. Non so perché, a me rassicura tanto l’idea che ci sia un mondo pieno di emozioni che mi aspetta al di fuori da questa stanza.
Forse però è proprio questo il problema. Forse Kiku crede che non sarà mai abbastanza forte da varcare l’uscio e andarsene sulle sue gambe. Gli farò cambiare idea. Ci riuscirò.
Una volta nell’atrio mi guardo intorno e faccio mente locale.
Ci sono tante stanze e la mia missione è quella di portare una rosa a tutti. Vado da Feliciano, l’unico che ancora ricorda un po’ come si sorride.
Gli ho promesso che un giorno di questi glielo porto il piatto di pasta che desidera tanto.
Appena sarà in grado di ingerire cibo solido.
Nella stanza insieme all’italiano c’è un musicista.
E’ sempre imbronciato, pensieroso. Il sorriso gli torna solo quando un biondino vestito di verde viene a fargli visita.
La sua situazione è molto complicata. La sua ex moglie lo ha lasciato per un Prussiano albino. E ora tutti e due sono ricoverati nello stesso reparto.
Elizabeta è molto combattuta. Non sa come dividersi. Io le ho detto che non deve per forza rinunciare ad uno dei due, che in queste situazioni è l’amicizia ad essere fondamentale.
Spero di esserle stato d’aiuto.
Avanzo verso la stanza di Gilbert, l’attuale fidanzato dell’Ungherese, in punta di piedi. Lui non ha ancora accettato la sua.. malattia. Dice di stare bene, vuole andare via.
Rifiuta le cure
. E’ la ragazza ad obbligarlo a rimanere, è lei che lo accarezza quando ha le sue ‘crisi’. E’ lei che lo rassicura, che lo accudisce. Lei lo ama anche se lui è malato.
Forse anche Arthùr mi avrebbe amato. Anzi, sono sicuro che mi avrebbe voluto bene. Ma sarebbe rimasto consumato da questo affetto.
No, la scelta che ho fatto è stata la migliore.
Oggi Gilbert non è in stanza. Sarà andato a farsi bello per l’incontro con i medici, ci tiene lui ad apparire sempre in ordine.
Poggio la rosa sul suo comodino, ma noto che le sue lenzuola sono nuove.
Bè il suo servizio in camera è migliore del mio.
Esco dalla stanza, ho ancora un sacco di camere da abbellire.
Esco e lascio la porta aperta, non ha senso chiuderla se non c’è nessuno all’interno a chiedere un po’ di privacy.
Un’infermiera mi ferma e mi chiede di ritornare nella mia stanza.
Fanno tutte così, sono invidiose.

<< Tranquilla cherie ho una rosa anche per te >> Le faccio l’occhiolino e le porgo il mio pensiero.
<< Oggi no Francis, oggi è meglio se torni in camera - aru. >>
<< Mais oggi ho comprato una rosa rosa apposta per Feliks! >>
<< Vai solo da lui e poi torna in camera tua, è un ordine! >>
<< Va bien splendore orientale >> Le mando un bacio mentre si allontana.

Feliks è stato contento della mia rosa. Era allegro anche perché Tori gli ha comprato un cappello bellissimo, che il polacco non ha intenzione di togliere.
Sono davvero una strana coppia quei due. Forse la gente pensava la stessa cosa anche di me e di Arthùr. Forse.

Il silenzio della camera mi fa male alle orecchie. Kiku ha fatto togliere subito la rosa dal suo comodino.
Proprio non le sopporta.
<< Nihon, je t’en prie, mi fai soffrire quando butti le mie rose! >>
<< Non l’ho buttata io, è stata l’infermiera, Francis-san. >>
<< E’ la stessa cosa. >>
Non mi risponde. Aprire la bocca e far uscire quel filo di fiato necessario alla comunicazione per lui è troppo faticoso.
Anche per me sarà la stessa cosa fra qualche tempo?
<< Promettimi che un giorno ti sforzerai, che terrai una delle mie rose. >>
<< Si, Francis-san. Un giorno terrò una delle tue rose. >>
<< Merci Kiku! >> Gli sorrido, contento e orgoglioso.
<< Il giorno del mio funerale potrai poggiare una rosa sulla mia tomba, e non la toglierò mai più. >>

Odio questo posto. Ho provato a farmelo piacere, ho provato a prenderla con filosofia, ad essere forte. Ho provato di tutto, ma è impossibile.
Gilbert e Kiku se ne sono andati via, per sempre. Con una settimana di distanza ho perso due amici. Gilbert è morto quel giorno in cui l’infermiera mi impedì di proseguire la mia missione , l’ultimo in cui consegnai le rose. Lo ammetto, ho pianto molto al suo funerale. Le lacrime erano per la sua morte, ma erano anche per me. Helizabeta ha urlato per tutto il tempo. L’hanno dovuta portare via. Quando si è calmata mi sono avvicinato e le preso la mano. Non ha rifiutato il contatto, mi si è buttata addosso, e ha iniziato a piangere silenziosamente. Io, accarezzandole i capelli, ho cercato le parole adatte da dire in questa situazione, ma non le trovavo. Poi ho pensato cosa vorrei che dicessero ad Arthùr il giorno della mia morte? Quella domanda doveva ispirarmi, invece mi ha solamente aiutato a piangere a mia volta.
Dopotutto se non ci sono parole per fermarla, la morte, non ci sono parole neanche per spiegarla.
E’ morte e basta.

Quella di Kiku invece è stata una morta silenziosa. Ma non dimenticherò mai lo sguardo che aveva prima di lasciarci per sempre.
Era notte, eravamo soli in camera. Io mi pettinavo i capelli, quei pochi che mi sono rimasti; lui invece era nel letto con gli occhi chiusi e respirava piano.
<< Francis-san? >> Era la prima volta che mi chiamava lui.
<< Oui? Kiku? >>
<< Prepara il portafogli, hai un fiore da comprare. >>
All’inizio, preso com’ero a contemplare le ciocche che al movimento della spazzola cadevano sul pavimento, non capii.
<< Un fleure? Mais Kiku, è una settimana che ho smesso di dare fiori alla gente. >> Fu la mia risposta triste.
<< Tu non mantieni le tue promesse Francis-san? I fiori di pesco sono sempre stati i miei preferiti. >>
Mi guardò con uno sguardo dolce, di chi ha più esperienza e cerca di trasmetterti sicurezza. Mi guardò e mi sorrise.
Quando chiudo gli occhi vedo i suoi. Quando chiudo gli occhi vedo la sua tomba, e vedo anche quella di Gilbert.
E penso che presto se ne aggiungeranno altre. E spero di non doverle vedere.

L’altro giorno ho fatto una pazzia. L’altro giorno ho fatto la pazzia più ragionevole di tutta la mia vita. Avevo fatto togliere tutti gli specchi dalla stanza, per non dovermi confrontare ogni momento con l’immagine che vi era riflessa. Avevo fatto regalare la mia spazzola a qualcuno del reparto di pediatria. Una bambina con i capelli biondi e corti. Ha un nome complicato.. Licht.. Lichten.. Non ricordo. Non sopportavo più di starmene chiuso, ma non avevo il coraggio di andare dagli altri, di affezionarmi ancora. Feliciano non mi ha permesso di tenere fede alla mia promessa, non sono stato capace di portargli l’unica cosa che voleva. Il dottor Ludwig si è dimesso appena il cuore dell’italiano è andato a battere in un altro luogo. Spero che il suo paradiso sia pieno di spaghetti, e che lì non si soffra mai la fame.
Le pareti della stanza erano troppo strette per me. Almeno così credevo. Poi mi sono reso conto che era il Mondo a starmi stretto. Così avevo deciso di andare via. Qui in ospedale mi vogliono tutti bene, ma non mi controllavano perché non si aspettavano nessuna ‘sorpresa’ da parte mia. Non mi è stato difficile uscire. E’ stato splendido sentire l’erba sotto i piedi. Cadere è stato spiacevole, ma il venticello che mi stava uccidendo mi faceva sentire bene. Era estate, è Estate. Eppure quella brezza leggera, quel vento impalpabile mi aveva fatto stramazzare al suolo. Cadendo credevo di aver sbattuto la testa. Credevo che fosse per questo che vedevo una testa bionda con i capelli a caschetto correre verso di me con le lacrime agli occhi. Credevo che fosse un’esternazione di gioia da parte del mio angelo, venuto a prendermi. E invece no. Arthùr era veramente lì. Arthùr è veramente qui. Era davvero lui quel giorno, ed è davvero lui, oggi a stare seduto accanto a me, in una sedia di ospedale ad aiutarmi ad indossare la mia parrucca.
Quel giorno ho fatto una pazzia. Ma è stata la pazzia più ragionevole della mia vita.

<< Quel tuo medico.. io credo che sia meglio cambiarlo.. >>
Ho gli occhi chiusi, perché la luce mi da fastidio.
Siamo solo io e lui nella stanza, sto facendo la chemio e per la prima volta da quando ho scoperto di essere malato non mi sento solo.
Come ho potuto pensare di escludere così Arthùr dalla mia vita?
<< Pourquoi? Sarà un po’ scemotto ma sembra un medico capace.. >>
Gli sorrido per rassicurarlo, e per infondergli un coraggio che non ho.
Lui non mi risponde, semplicemente abbassa lo sguardo sui tubi che si fondono con il mio braccio.
Poi all’improvviso avvicina le sue labbra magnifiche alla mia bocca secca e stanca regalandomi un attimo in paradiso.
<< Non ti ci abituare però Frog, ti devo ancora una scazzottata. >>
E’ arrabbiato per quello che ho fatto, la prima cosa che mi ha detto quando ha saputo della mia malattia è stata: ‘’ Appena guarisci ti riempio di botte ’’. Non vedo l’ora che arrivi quel giorno.


Le giornate si stanno accorciando, il sole sta diventando pallido, e l’aria è più fresca.
O almeno Arthùr mi ha detto che è così, io non posso saperlo perché non mi fanno mai uscire.
E anche se avessi il permesso non potrei farlo comunque, le mie gambe sono momentaneamente in sciopero.
Arthùr mi sta stupendo giorno dopo giorno con la sua forza interiore.
Mi sta sempre accanto e non si fa mai vedere stanco.
A volte fa portare delle rose in camera dalla cameriera così che io possa ‘’regalargliele’’.
Pensa che io non sappia che è sua l’idea, vuole farmi credere che l’infermiera Ucraina ci è arrivata da sola.
Poverino, essere romantico non è da lui, ma per me ce la sta mettendo tutta. Spero di riuscire a ripagarlo un giorno, spero di riuscirci.

Il libretto degli appunti mi scivola dalle mani in continuazione. La penna non ne vuole sapere di essere stretta tra le mie dita.
Eppure ho bisogno di scrivere, ho bisogno di farlo per Arthùr.
Ho sentito il mio medico che parlava con un’infermiera. Le diceva di farmi stare comodo e di non darmi più medicine.
All’inizio ho pensato: ‘’evviva sto guarendo ‘’, ho una mente infantile, lo so.
Credo che Arthùr piangerà molto al mio funerale. Prima scrivevo solo per passare il tempo, ora scrivo per Arthùr, per dargli qualcosa di me che gli impedisca di dimenticarmi, ma che lo aiuti ad andare avanti e a superare il dolore.

Arthùr, lo so che sto morendo. Lo so e non ho paura. O meglio a volte mi sento spaventato ma poi penso: se tanto deve accadere perché vivere con l’angoscia dell’attesa? Vivrò ancora per un po’, e sarà il tempo sufficiente per renderti mio. Sì Arthùr Kirkland voglio sposarti. Queste sono le parole che gli dirò domani, primo giorno d’Autunno.


So che la cosa sta procendendo con una lentezza disarmante ma voglio ringraziare tutti quelli che stanno seguendo la fanfiction. Spero di poter aggiornare il prima possibile. Poi vorrei consigliarvi come sottofondi: Per il primo capitolo, la Primavera 'Leaves on the Seine' di David Lanz; Per l'Estate invece 'My Immortal' degli Evanescence. Almeno queste sono le canzoni che ho ascoltato io. Forse avrei dovuto scriverlo prima ma vabbè :°D
  
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