Un respiro.
Il dolore diminuisce.
Un altro respiro.
Il dolore passa.
Un altro ancora.
Passa, passa sempre.
E un altro, un altro e un altro ancora.
La luce lo acceca appena tenta di aprire gli occhi. Li richiude in fretta, reprime a malapena un gemito. Al minimo movimento tutta la faccia s'infiamma. Sente il sangue scivolare lungo il naso, per poi colargli in bocca. Il sapore ferrugginoso si spande sulla lingua. Esala un sospiro, lento, per non procurarsi l'ennesima fitta. Il pavimento sotto di lui è freddo e scomodo. Sente ogni particella del suo corpo pulsare dolorosamente.
“È giorno fatto, sai Remus.”
Le sue stesse parole rimbombano nella stanza, seppur flebili. Parla spesso da solo, in quelle situazioni. La parola gli ricorda che il Lupo è tornato da qualche parte in profondità, dentro di lui. Il battito costante del cuore non basta a convincerlo che è tutto finito.
“Dovresti alzarti, sì.”
La voce è sottile, un rantolo eppure chiaro nel silenzio innaturale che pervade la casa.
“Alzarti, lavarti, medicare le ferite.”
Riesce a sollevare una mano, fino a pochi centimetri da terra. Poi la lascia ricadere pesantemente a terra. Una fitta gli percorre il braccio come una scossa, dall'unghia del mignolo all'ultimo muscolo che collega la spalla al collo. Trattiene il respiro per pochi attimi.
“Mettere su qualcosa per colazione. Ne hai di cose da fare, Rem.”
Si fa leva con le mani, solleva lentamente il busto. Stringe i denti per impedirsi di urlare.
Respira, si dice.
Respira e il dolore passa.
Respira, si ripete.
Con uno sforzo riesce a tirarsi su. Le braccia ferite tremano sotto il suo peso. Respira, il dolore passa. Sposta il busto in avanti, stacca le mani dal pavimento. Resta piegato in avanti, a testa china.
Respira.
Il Lupo se ne è andato.
Respira.
Si è lasciato dietro le ferite.
Respira.
È giorno fatto ormai.
Respira.
Il dolore passa.