{Quanto piena
e ricca
di Speranza è la mia vita!}
«
Ecco, tu sai…»
Un angolo di tenebra si conserva
a mezzogiorno, tra le campane urlanti,
con un gesto corrucciato.
Hanno lasciato dei rami nella tomba:
erano secchi, disadorni e bianchi di ossa.
« Tu mi hai detto che potevo.»
Alza il viso al sole – raggi tiepidi le soffiano
amorevoli le loro promesse mai infrante.
Beatrice socchiude gli occhi,
nel giallo riverbero – e non è vernice,
è
luce –
le ciglia nere disegnano sulla pelle calda.
Le ninfe ridono nell’acqua verdastra;
colgono fiori di ninfea come doni all’armonia.
« Hai ragione, lo sai?»
Beatrice finge il sonno ancora, ancora,
mima il dolce nulla e rotola sull’erba,
affonda la bocca fiduciosa nel cotone: stringe
in uno spasmo notturno la mano a lei tesa,
sbadiglia, aggrovigliata sotto il sole.
« Fai finta di niente, e ti metti in mostra!»
Sbiadiscono carne e sangue d’argento:
basta, lei ne è certa, una parola a incatenare.
C’è tanto sole, lì, che le iridi di
Apollo
non lo assorbono tutto, già splendono,
che le scorre sulla pelle morbida, intreccia
minuscole dita tra i capelli leggeri.
Beatrice ride come un cinguettio:
si alza, esamina l’arabesco di fili sulle spalle
e ride più forte; lui
sorride, stupito.
« O Morte, non prendi nulla!»
Non vede più niente, Beatrice.
Le iridi verdi e accese di speranza palpitante
sono pezzi di vetro verso il cielo.