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Autore: Ellie_x3    08/03/2011    4 recensioni
Respiravo sabbia. Boccheggiavo e non trovavo pace.
Ero quasi certa che sarei morta -soffocata. Alla fine chi era senz'aria ero io.- quando mi giunse all'orecchio un suono di shamisen. Era più soave della prima volta, era più armonico.
Era una farfalla blu che si posava su ogni corda, soffermandosi ad accarezzarla un istante.
Era l'unico essere umano a cui volevo bene.
E non era umano.

[Shot sperimentale totalmente basata su Demon and Daughter, un pv bellissimo che io ho amato alla follia.]
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaito Shion, Miku Hatsune
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: la canzone sui cui è basta la shot è Demon and Daughter, cantata da KAITO.
Pure i pezzettini in inglese che ci sono qui e là sono della canzone, ovviamente non miei XD

Burn My Soul

[We were told a long time ago
Of a blue demon who had a gentle heart
And the story of a young village girl
We'll tell you of it, we'll you tell you of it. ]


Burn my Past
“Non si deve giocare con gli oni”

Mamma me lo ripeteva sempre.
Mi guardava, una mano fresca appoggiata alla mia guancia, e mi diceva: “Miku-chan, non si gioca con quelle creature.”
Io sbattevo gli occhioni -già all'epoca erano pazzamente azzurri, così chiari da fare male a chi li guardava- e, a malincuore, mi guardavo alle spalle. Mi aspettava, a pochi passi, immancabilmente, quell'essere.
Ogni volta era diverso.
A volte aveva le corna, altre no. A volte era antropomorfo, anche se non sapevo ancora cosa volesse dire quella parola, altre no.
Ma non mi importava. Non importava più nulla.
Prendevo la mano della mamma e me ne andavo con lei, le spalle girate a quegli oni con cui giocavo ogni giorno.

Mia madre era una strega.
Fu bruciata quando ero piuttosto piccola con l'accusa di essere l'incarnazione della volpe.
Ricordo le fiamme che si levavano alte, in quella notte d'inverno, e ricordo i bambini del paese che, raccolta una pietra da terra, la lanciavano in mezzo alle fiamme.
Dentro, la mamma urlava.

Mi chiedo perchè, se era davvero una volpe, non tentò nemmeno di trasformarsi e fuggire.


Miku-chan.”
la sua voce era fissa nella mia mente. Era un piccolo oni a cui avevo dato le spalle qualche giorno prima, abbandonandolo. Sorrideva.
Mi tese una mano.
Vieni, Miku-chan. Adesso puoi giocare.
Non ci pensai su nemmeno per un istante.
“Sì” dissi.
Risi e corsi da lui. O lei.
O qualunque cosa fosse.

Avevo continuato così a giocare con gli oni, arrivando persino ad apprezzare il fatto che quella donna dall'aspetto malaticcio, sempre sanguinante e triste, fosse scomparsa.
Da quella notte di fiamme e di caldo potevo finalmente giocare con i miei amici tutti i giorni, tutto il giorno. Sempre.
A quattordici anni ero ancora con loro, spiriti non totalmente maligni che mi offrivano i sorrisi che il genere umano non poteva regalare a nessuno.
Mi pettinavo un un piccolo pettine che era stato di mia madre, della madre di sua madre prima di lei, e cantavo e mi chiedevo chi avrebbe risposto alla mia voce quel giorno.

Non avevo i sandali. Neanche un paio economico.
Non ne sentivo il bisogno.
Tutti i giorni portavo lo stesso kimono, ma a volte capitava che un piccolo Oni ne rubasse uno e me lo regalasse.
Erano affettuosi, generosi, gentili.
Io cantavo per quelle creature e mi chiedevo perchè mamma, quella donna dal viso incavato, mi volesse lontana da loro.

“Miku-chan, sei l'essere umano migliore del mondo”
“Miku-chan, non potremmo mai farti del male.”
“Miku-chan, io ti voglio veramente bene.”

Miku-chan, aspettaci. Miku-chan, lo sai? Miku-chan, Miku-chan.

Ben presto -troppo, troppo presto- mi accorsi di odiare la compagnia umana.
Mi bendai gli occhi nella speranza di non vedere nulla, ma ancora non era sufficiente.
La sola intuizione del mondo, la luce solare che filtrava  tra le bende bianche, questo mi bastava per impazzire lentamente, marcendo dentro.
Decisi che, se uno specchio dà noia, va rotto.
E presi lo spillone di mia madre, per mettere fine a quella luce fastidiosa.
Avrei giocato nel buio, ma nel buio avrei continuato a cantare.

Burn my Present


He began talking to her
And she smiled at him
[…]
The demon was the first one
That she wanted to speak to

“-Non ti fa male?”
Era primavera, quando per la primissima volta mi rivolse la parola.
Per la prima volta sentii quella voce, senza altro modo per vederlo se non immaginarlo. Stava cantando, accompagnato dalle fredde note di uno shamisen. Ricordavo la forma di uno strumento musicale, anche se vagamente.
La cosa che mi stupì sul serio fu, invece, il suono: sembrava vetro, cristallo spezzato. Sabbia. Ghiaccio.
E quell'uomo, quello che mi aveva rivolto la parola così gentilmente, cantava come se cercasse aria.
Apriva la bocca, parlava, ed ero in paradiso.
Apriva la bocca, cantava, ed ero in una scatola. Completamente privata del mio respiro.

Non mi chiese come fossi arrivata fino alla sua casa. Forse immaginò che avessi semplicemente seguito quel sentiero che nessuno prendeva mai, o indovinò come la sua voce mi fosse penetrata nell'anima anche quando nessun altro poteva sentirla.
Se avessi avuto occhi, l'avrei guardato stupita. Ma a quelli avevo rinunciato tempo prima, così mi limitai a gustare il breve silenzio fra una sillaba e l'altra, mentre il cantante dalla voce di sabbia continuava
“Ti manca un sandalo. Ti sei graffiata il piede, stai anche sanguinando. Non ti fa male?”
“No. No, non mi fa affatto male.” risposi, soavemente. Era la prima volta che parlavo ad un essere umano.
I miei compagni di giochi lo trovarono terribile.
Io sorrisi, sorrisi a quella voce tanto gentile, e mi parve di non aver mai fatto nulla di così giusto.

“Ti chiami Miku, giusto?”
Annuii, sovrappensiero. “Hm-mm” Inciampai nelle corde dello shamisen, che tintinnarono.
Incredibilmente, il suono fu molto più piacevole di quando erano le dita del ragazzo con la voce di sabbia a pizzicarle.
“Miku, perchè sei qui?”
“Perchè ti ho sentito cantare.”
“Non avresti dovuto.”
-Ma erano recriminazioni senza importanza, perchè non c'era vera determinazione nelle sue parole.
O non non volevo andarmene, lui non voleva che me ne andassi.
Sarebbe stato perfetto così.
“Come ti chiami?” domandai, investita da una marea montante di curiosità come non l'avevo mai provata prima.
Attese. Una manciata di secondi, forse poco di più.
Ignorai le voci degli oni che mi chiamavano, che mi invitavano ad allontanarmi da quel ragazzo e raggiungerli.
Non dovevo essere lì, io.
Non dovevo stare con lui, io.
Ma non appena sentii la consistenza fredda della sua mano contro la mia guancia ogni altra voce perse importanza.
“Mi chiamo Kaito.”

Se fosse sempre stato com'era cominciato, forse avrei smesso di cantare per gli Oni.
Kaito era il più bel passatempo che potessi desiderare.
Ed era umano proprio come me, anche se quando cantava non lo sembrava affatto.
Era inquietante ascoltarlo, nel buio della mia testa. Risvegliava sogni che mai avrei dovuto sognare, dava vita a istinti che in me non ci sarebbero dovuti essere.
Evocava le immagini che gli Oni piantavano in me, le faceva germogliare, ed esse nella sua voce crescevano.
Faceva paura, a volte, ma era una sensazione piacevole.
Iniziai, sotto sua insistenza, a indossare entrambi i sandali. A dire di 'no' agli oni.
Iniziai ad avere cura di mè stessa, e lui iniziò a proteggermi.

“Kaito?”
“Miku. Che cosa c'è?”
La sua voce gentile, giusto un filino apprensiva. Era l'unica voce che sentivo con piacere.
Ed era mia.
“Ti piaccio, vero Kaito? Mi vuoi bene?”
“Ma certo.”
“Anche se non ho gli occhi, mi vuoi bene lo stesso? Anche se li ho sprecati.”
Il fruscio della seta anticipò il suo movimento, lasciandomi prevedere il suo abbraccio. Mi accoccolai contro di lui, sul suo petto, la testa incassata fra il suo viso e la sua spalla.
Aveva un buon profumo, Kaito.
Anche quello, però, toglieva ogni respiro, ogni particella d'acqua. Era secco, claustrofobico.
“Certo, Miku-chan. Non ti servono gli occhi. Hai la tua voce.”
“Se non avessi la voce?”
“Non potresti cantare, ma ti vorrei bene lo stesso.”
“Ti voglio bene, Kaito. Sei l'unico essere umano a cui voglio tanto bene.”
E sempre quella pausa. E il suo mento poggiato sulla mia testa, il suo abbraccio un poco più stretto.
“Anche tu sei l'unico essere umano a cui voglio bene, Miku.”

“Non finirà mai?”
“Mai.”

Ma se ne andò, proprio come ogni altro sogno all'arrivo del mattino.
Sapendo che non potevo seguirlo, credendolo davvero, mi lasciò sola, una piccola nota senza padrone né pentagramma.
Ero imprigionata nella clessidra della sua voce, senza un goccio d'acqua. Mi mancava il respiro.
Raccolsi le mie cose -dovevo raggiungerlo.
Come avrei fatto, se quella sete raschiante non avesse smesso di torturarmi?
Mi fermarono, paesani e oni insieme.
Tutto ciò che era stato da me scordato e rinnegato avanzò con la pretesa di salvarmi.

'E' un demone, Miku-chan. Quell'essere è un demone.'
'Non ti farà altro che male.'
'Lascialo perdere, Miku-chan.'
Alla fine, era sempre così. Non si gioca con gli oni.

Se fossi stata una brava bambina avrei ascoltato la mamma. Ma non lo ero.
Ero cattiva. Ero sbagliata. Ero assetata.
Ero pronta a scommettere mè stessa, giocare e vincere.
Ancora una volta.

Burn my Future

 [The blind village girl was
A beautiful white flower
Wanting to see the demon
Bring him to me
Everyday for a while, everyday
Someday she'll begin to hear
The demon's voice ]

Kaito, il demone, l'oni, il cantante senz'aria, non doveva essere troppo distante.
Non poteva essersene andato così.
Non doveva.
Non l'avrei mai perdonato, se avesse fatto una cosa del genere.

-Ma.
Perchè?

Non potevo trovarlo. Non riuscivo a trovarlo.
Era ovvio, in fondo. Nel mio mondo di tenebra, gli occhi marciti in fondo ad un corpo estraniato dal genere umano, perchè mai sarei dovuta essere in grado di rivoltare la foresta intera alla sua ricerca?
Non era il mio campo.
Io mi ero limitata a giocare con gli Oni tutta la vita, sacrificando ciò che di più caro potevo avere.
E ciò che ora desideravo.

Mi chiesi perchè -perchèperchèperchèperchè.
Sotto di me c'era erba quando doveva esserci fuoco.
Respiravo sabbia. Boccheggiavo e non trovavo pace.
Ero quasi certa che sarei morta -soffocata. Alla fine chi era senz'aria ero io.- quando mi giunse all'orecchio un suono di shamisen. Era più soave della prima volta, era più armonico.
Era una farfalla blu che si posava su ogni corda, soffermandosi ad accarezzarla un istante.
Era l'unico essere umano a cui volevo bene.
E non era umano.

Ma credo di dover essere grata al semplice fatto che mi abbia permesso di essere al suo fianco. Prima di scappare. Prima di abbandonarmi.
Una fonte prosciugata di ogni sua sostanza, di ogni importanza, di ogni libertà di scelta.

Mi ero tolta la vista perchè il mondo degli uomini mi era andato in odio.
Non potevo, ora, privarmi della voce a causa di uno strumento dal suono appassito.
Ma ero tentata.

“Kaito.”
“Miku, non dovevi trovarmi.”
Sbuffai.
“Allora avresti dovuto nasconderti meglio.” replicai, bruscamente. “Potevi andare più lontano.”
“Non ne avrei avuto il coraggio.”
“Allora non lamentarti. Tu non te ne volevi andare, quindi rimani.”
“Non posso.”
“Puoi, invece.”

Avevo giocato con centinaia di Oni.
Perchè lui si opponeva, quella cocciuta farfalla color oltremare che non riuscivo a prendere?
La figura di Kaito si sbriciolava in terra ogni volta che apriva bocca, ma se fosse rimasto con me non avrei trovato la sua voce insopportabile. Al contrario, volevo che la sua sete fosse anche la mia.
Che la sua mancanza di respiro potesse essere condivisa.
Volevo disubbidire ancora una volta.
Volevo che lui lo capisse.
Volevo-
Kaito.

E basta.

Mossi un passo verso di lui.
Mi ero raccolta i capelli solo per fargli piacere, quel giorno, con lo spillone che era stato di mia madre.
Un fruscio mi indicò che doveva essersi alzato, o quantomeno doveva aver posato lo shamisen.
Alzai una mano e, con un movimento elegante, mi sciolsi i capelli. Lo spillone era duro e gelido fra le mie dita.

'Vieni a giocare con noi, Miku-chan.'

Non avrei mai più risposto a domande del genere. Erano insidiose, infide, così ariose da darmi la nausea.
Era una relazione perversa, quella tra me stessa e quegli esseri soprannaturali né buoni né cattivi. Ma alla fine ero diventata niente più che una di loro.
Forse lo ero sempre stata.
Forse mia madre era davvero una volpe.
Mossi un altro passo verso Kaito.

La sua voce di sabbia suonava vuota, spaventata.

“Miku-chan?”
“La mamma mi diceva che non dovevo giocare con gli oni.” mormorai, lamentosa “Ma io ti amo.”
Il silenzio, stavolta, fu piuttosto lungo. Tormentato.
Immaginai Kaito mordersi il labbro, a disagio.
“-Anche io.”
Fu il parto di una riflessione troppo lunga, probabilmente una bugia.
Ma non mi importò. Non molto.
Se Kaito mi diceva 'ti amo', non poteva altro che essere vero. Almeno nella mia mente lo era.
Un altro passo verso di lui.
Quando fui abbastanza vicina da sentirne il respiro, troppo lento per essere umano, gli gettai le braccia al collo.
“Hai detto che non ti importa se non ho gli occhi, no?”
“Non mi importa.”
“A me basta la tua voce.”

“-Cosa?”

Sorrisi.

Kaito era il primo umano a cui avevo sorriso, ma era stato un errore.
Kaito era il primo Oni che avevo amato, ma non me ne pentivo.

Lo spillone brillò. Così forte che, da qualche parte nelle mie tenebre, lo vidi persino io.

“Unisciti al mio buio, Kaito. Questi occhi non sono altro che uno specchio rotto. Gettali.”

O li avrei gettati io.


Vieni, amato cantante dalla voce di sabbia.
Vieni a giocare con gli esseri umani.








Note:

Oh, mio dio. La mia prima FF sui Vocaloid ed è questo schifo! Fra l'altro, Kaito e Miku come coppia non mi piacciono neanche tanto.
Ma questa canzone (Demon and Daughter) mi ha semplicemente stregata, quindi dovevo assolutamente scrivere qualcosa. Trovarci una fine, quantomeno.
Comunque, come sempre, chiamo a gran voce le critiche. Smontatemi, madame e messeri. <3
Chiedo scusa a tutti gli amanti del fandom se ho vagamente vandalizzato i poveri Kaito e Miku -.-'' sono imperdonabile.
Un bacione
Ellie


   
 
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