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Autore: Hakigo    11/03/2011    2 recensioni
RACCONTO INTERROTTO.
[Cit. capitolo 7 - Delle urla provenivano dall’esterno e il fumo rendeva impossibile vedere ciò che stava accadendo a meno di quattro metri di distanza. La donna sentiva gli invasori vicini, i loro passi, i respiri attraverso le maschere e vedeva chiaramente anche i laser rossi che usavano come mirini per i loro fucili. Tratteneva il respiro, per non farsi sentire. Per il fumo, non riusciva più neanche a tenere gli occhi aperti: probabilmente avevano lanciato dei lacrimogeni. Non sapeva quanto tempo fosse passato. Forse un’ora, forse solo dieci minuti, ma Honey non accennava a svegliarsi.
Un colpo di tosse a dimostrare che fosse viva. I mirini che si univano all’istante in un unico punto.
]
E se le parti per una volta fossero invertite? Se fossimo noi, i cattivi? Honey è una bambina che crescendo imparerà a difendersi dagli invasori, a distinguere i bravi dai malvagi: non aveva calcolato che un giorno, lei stessa sarebbe stata accusata di alto tradimento.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C’era un’altra grande differenza tra i Temma e gli invasori.
L’ecosistema era molto differente, come anche la vegetazione. In alcune zone cresce una strana pianta, che i terrestri chiamano Intelligence: se questa viene sciolta in una particolare soluzione insieme ad altri tipi  di piante, si ottiene una sorta di nuova intelligenza. La mente comincia a ragionare più in fretta e chi ne fa uso di conseguenza è molto più perspicace, in grado di arrivare a risolvere quesiti che prima non riusciva neanche a capire, solo a patto che eserciti la sua mente ad utilizzare a pieno la sostanza.
Tuttavia, i Temma non possono farne uso a loro piacimento: esistono delle cerimonie, in cui uno degli eremiti che vivono nelle vicinanze, scendono dalla loro solitudine e preparano la soluzione con un rituale.  Solo gli eremiti conoscono la ricetta alla perfezione e  sono pronti a morire pur di non dirla ad anima viva.
Ogni abitante riceve la miscela tre volte: all’età di tre anni, poi a sette ed infine a diciassette anni, ogni volta con una dose maggiore alla precedente. Se un Temma per casi estremi avesse dovuto farne uso una quarta volta, come di solito facevano i capi delle città più importanti, poteva raggiungere almeno il doppio del quoziente intellettivo di un altro suo simile.
L’assimilazione della sostanza comincia solamente una settimana più tardi, ma non è detto che il corpo non risenta di alcuna conseguenza. Coloro che ricevono la sostanza, possono sentirsi male per svariati giorni, ritornando in piena forma solo quando l’assimilazione è conclusa.
Si raccontava che un terrestre fosse venuto a conoscenza di tale miscela, ma che non fosse riuscito a sopravvivere ai dolori che l’avevano colto. Gli umani non potevano farne uso. Ecco la grande differenza tra le due popolazioni.

Quando Honey partì, la mattina successiva alla notizia della sua partenza, aveva solo cinque anni. Di conseguenza non aveva subito il secondo rituale.
Honey era la prima dei bambini della sua età a partire, perché molti degli abitanti del suo villaggio rifiutavano di dare i loro figli in custodia agli invasori. Oscar e Aida avevano già deciso di sottoporla subito al rituale, senza aspettare che avesse compiuto sette anni, per paura che in tempo di guerra non avrebbe potuto ricevere la miscela che le spettava. Gli umani avevano paura che i Temma potessero diventare più intelligenti e in alcuni paesi il rituale era già stato abolito.
Così, prima di andare nella villa dei Mikin, presso la quale Honey avrebbe passato gli anni successivi fino all’età di diciassette anni, i genitori la portarono dall’eremita di nome Austin, conosciuto come uno dei più scorbutici eremiti in tutto il continente, che abitava proprio vicino al loro villaggio.
Il tizio era seduto su un’enorme pietra, intento a preparare la soluzione, quando loro arrivarono.
“Buon giorno, Austin” disse il padre Oscar.
L’altro grugnì di rimando. Era infastidito in modo evidente; si alzò a fatica. Honey poté constatare che era molto vecchio: le gambe erano fine e sembravano reggerlo a malapena, gli occhi si erano scuriti e non erano più normalmente luminosi come quelli del resto degli abitanti, la bocca era ridotta ad una fessura ed i capelli erano praticamente inesistenti. Le tese una ciotola con una sostanza melmosa e con un odore rivoltante. Honey storse la bocca: non se la ricordava così.
“Forza, prendi” la incitò la mamma.
Prese il contenitore tra le mani, continuando a studiarla. Era più che convinta che da un momento all’altro potesse uscire un mostro orrendo da quella sostanza “Non sono sicura di volerlo fare” pigolò spaventata.
“Tsk, neanche a sprecare del tempo per prendere il necessario. Bambina insolente” mugugnò il vecchio, facendo sentire per la prima volta la sua voce da quando erano arrivati.
“Ci scusi, ma effettivamente non ha l’aspetto che ha durante il rituale” rispose divertita Aida.
“Questo perché questa sostanza effettivamente è diversa” rispose il vecchio “ La bambina non può assimilare una dose che dovrebbe prendere fra due anni e non si sa neanche se possa riprenderla fra dieci anni, con questi maledetti invasori. La roba verde è un antidolorifico.”
“Vorrebbe dire che queste sono entrambe le soluzioni insieme?” chiese stupito Oscar.
“Esattamente.”
Vedendo che il vecchio non dava spiegazioni, la mamma dovette parlare di nuovo “Ma non è un po’ troppo? Non si potrebbe preparare qualcosa che può conservare fino ai diciassette anni?”
Il Temma la guardò in cagnesco e Aida rabbrividì “Perché pensa che l’abbia preparata stamattina stessa e non l’abbia presa già pronta? La soluzione perde il suo effetto se non presa il giorno stesso in cui viene preparata...Praticamente la ciotola potrebbe assimilare tutto al posto della bambina”
“Diventerà subito intelligente come un diciassettenne?”
“Signora, mi sta prendendo in giro? È ancora piccola, la soluzione impiegherà il doppio del tempo a fare effetto, forse un paio di anni, con la sostanza che ho aggiunto per non farle provare dolore. Comunque sì, sarà sempre un paio di gradini sopra i suoi coetanei” confermò infine “ E ora, bevi, prima che mi innervosisca” tuonò facendo sussultare Honey, che mandò giù la soluzione in tre secondi netti.
Ebbe un conato di vomito e si parò la bocca con la mano, pronta a sputare tutto.
“No, non farlo. Non ho intenzione di prepararne un’altra” disse tranquillo il vecchio, sedendosi sulla roccia dov’era seduto prima e la bambina obbedì mandando tutto giù a forza.
“Grazie Austin” fece il padre.
“Adesso potete andare. Buona fortuna.” E gli rivolse la schiena.

Honey ebbe altri conati per tutto il tragitto, tanto che gli occhi cominciavano a lacrimare. La mamma le stava vicino e le carezzava la testolina, tenendosela stretta. Era triste, come il papà. Nessun genitore vorrebbe mai separarsi dai figli, ma non avevano altra scelta. Sapevano di potersi fidare di quella famiglia.
Si ritrovarono in una radura molto vasta, con un enorme giardino ed una villa di almeno tre piani al centro. La bambina spalancò la bocca affascinata. Non le sembrava vero che da quel giorno avrebbe vissuto lì.
“Che bella mamma!” esclamò stupita.
“Già” commentò lei sorridendo.
“Abbiamo fatto bene a fidarci” disse il padre, un po’ affannato per aver portato una valigia gigante da solo con uno zaino altrettanto pieno.
Arrivarono davanti all’entrata e bussarono alla porta. Un ragazzino venne ad aprire la porta, guardandoli corrucciati.
“Boyce, ti ho detto di non aprire” fece una donna dandogli un buffetto dietro la testa che il ragazzino, Boyce, percepì a malapena, troppo intento a fissarla.
“Sì?” chiese la donna voltandosi verso di loro. Era bionda, alta ed elegante. Sprizzava grazia da tutti i pori e non li guardava come tutti gli altri umani che Honey aveva incontrato.
“Sono Oscar” disse il padre e gli occhi della donna si illuminarono. Annuì e guardò la bambina con sguardo amorevole.
“Quindi è questa la famosa Honey” sorrise, facendola arrossire “Non pensavo che fossi tanto bella” commentò dandole una piccola carezza sulla testolina “Non vi pentirete della vostra scelta”.
I genitori annuirono convinti.
“Entrate, vi offriamo qualcosa” i tre entrarono, poggiando appena i piedi, come se stessero camminando su un luogo sacro. L’entrata era gigantesca, grande almeno come casa sua, con il pavimento cosparso di oggetti che non aveva mai visto. C’erano due bambini intenti a giocare. Dal colore degli occhi, dovevano essere dei Temma anche loro. Honey alzò lo sguardo verso il soffitto e spalancò la bocca. Là, in alto, le sorridevano degli strani esseri simili a degli umani, ma con delle ali. Per un attimo aveva pensato che fossero veri, poi si era accorta che in realtà era solo un disegno enorme. Delle scale portavano al piano superiore, dove sembravano provenire delle voci di altri bambini.
“Devono essere molti” constatò la mamma, parlando alla donna che annuì.
“Molti altri sono nella vostra situazione. C’è persino un bambino di nove anni che non è di queste parti. Non ha ricevuto il rituale dei sette anni e non sappiamo come rintracciare un qualsiasi eremita per farci dare la miscela.”
La bambina si stupì che la donna avesse tutte quelle informazioni e si rese conto che la situazione fosse davvero grave.
Oscar osservava la figlia apparentemente turbato. Aveva cominciato a capire come andassero le cose e si chiese se il processo della soluzione non fosse già cominciato, nonostante Austin avesse assicurato che sarebbe cominciato solo fra un anno o più.
 “Dovremmo informarla di una cosa” fece alla padrona di casa quando si furono seduti a prendere qualcosa da bere “Honey ha ricevuto stamattina la miscela, potrebbe sentirsi male in questi giorni”
“Pensavo si ricevesse solo a sette anni, non a cinque!” commentò stupita la donna.
I coniugi annuirono “In realtà è così, ma abbiamo deciso di sottoporla prima, nel caso non fosse possibile darle ciò che le spetta come è successo a noi da giovani. Probabilmente arriverà a delle soluzioni prima degli altri bambini, perché ha ricevuto entrambe le soluzioni stamattina”
La donna adesso appariva seriamente turbata.
“L’eremita le ha aggiunto un’altra pianta come antidolorifico che frenerà il processo, ma non sappiamo se subirà comunque dei dolori” continuò Aida.
“È la prima volta che sento una cosa simile, ma vedremo cosa fare. Penso che sarà l’unica bambina ad aver ricevuto entrambe le miscele, con i tempi che corrono” aggiunse la donna rabbuiata. Poi si illuminò e allungò la mano verso i genitori “Non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Minnie Newman, ma quando ci siamo stabiliti qui abbiamo dovuto cambiare nome. Adesso sono Mohena Mikin, moglie di Simon Newman detto Sebastian Mikin.”
I coniugi annuirono. Non potevano trattenersi oltre, dovevano andare a lavoro.
Honey percepì un’aura di tristezza mentre Mohena riaccompagnava i genitori – senza valigie – alla porta. Gli occhi le si riempirono di lacrime e cominciò a piagnucolare, mentre entrambi la abbracciavano, odorando bene il suo profumo. Prese il suo braccialetto con sopra inciso il nome e lo diede alla mamma “Se andate via, portate via anche il mio nome” piagnucolò mentre Aida prendeva il bracciale, sorridendole, stupita allo stesso tempo di una frase simile. La miscela stava già entrando in circolo.
“Honey, non fare la piagnucolona! Fra pochi anni ci rivedremo, vedrai! Il tempo passerà in un lampo” la rassicurò il padre sorridendole, abbracciandola di nuovo.
Quando la porta si richiuse dietro di loro, Honey piangeva ancora, aggrappata alla gonna della donna che le carezzava i capelli amorevolmente.
“Se vuoi, puoi chiamarmi mamma” le sorrise e la bambina annuì.
“Però tu devi chiamarmi H” le ordinò ancora in lacrime. Il compromesso era raggiunto.

I capelli erano cresciuti e li teneva legati in una lunga treccia che adesso le correva lungo tutta la schiena.
Seduta ai margini dell'infinito, appena sopra la scogliera che dava sul mare, Honey ripensava alle parole che le aveva detto la mamma la sera in cui le aveva annunciato la sua partenza.
Non sapeva come avrebbe preso il suo ricongiungimento insieme ai genitori. In fin dei conti, l'avevano lasciata in quella casa di terrestri senza pensarci troppo, anche se era stato per il suo bene. Magari era un fastidio per loro tenerla dentro casa da piccola, per la paura che combinasse qualche guaio. Scosse la testa. Impossibile. Le parole e le lacrime della sua mamma erano troppo sincere per nascondere una bugia. Aveva ogni secondo impresso ancora nella sua mente, indelebile. Era molto attaccata a quei ricordi perché erano gli unici che le avrebbero permesso di poter riconoscere i genitori tra qualche mese, quando avrebbe compiuto diciassette anni secondo il calendario di Temma.
Adesso aveva sedici anni. Gli anni passati con la sua nuova famiglia non erano stati dei migliori. Passava il tempo con dei bambini che non capivano i suoi ragionamenti, che la prendevano in giro perché leggeva troppi libri e che la mettevano da parte perché riusciva sempre a capire dove si fossero nascosti tutti durante il gioco del nascondino.
Una volta aveva persino litigato con un’altra bambina prima di andare a dormire, svegliando tutti i bambini già addormentati. Il giorno dopo, Mohena l'aveva spostata in una piccola stanza vicino a quella dei figli tutta per lei, per evitare stupidi incontinenti…o inconvenienti.
Aveva passato le giornate a studiare in disparte. Nella biblioteca c’erano molti libri in tante lingue diverse e quando aveva espresso il desiderio di impararle, il signor Sebastian aveva gentilmente acconsentito. Adesso era in grado di leggere anagrammi, di parlare spagnolo, italiano e francese, oltre la sua lingua e quella inglese che talvolta i genitori parlavano tra di loro.
Tuttavia, nonostante fosse tanto diversa, in realtà aveva trovato un amico in quella gigantesca casa piena di bambini frignanti: Boyce.
Lo aveva visto per la prima volta appena arrivata nell’enorme villa, era stato lui stesso ad aprire la porta. Non avevano mai parlato tanto, ma quando Honey entrò per l’ennesima volta nella biblioteca, che ultimamente fungeva anche da sala di musica, lo trovò lì intento a studiare un foglio pieno di righe, punti e strani simboli. Quando lei gli aveva chiesto cosa fossero, lui li aveva chiamati “spartiti” e le aveva spiegato che servivano per leggere la musica.
Con Abram era stato diverso. Lo aveva visto la prima volta solo dopo un paio di giorni dal suo arrivo. Aveva un paio di anni più di lei e lo aveva visto rientrare insieme al signor Sebastian. Aveva dei vestiti laceri che mostravano varie parti di pelle, specialmente delle gambe. Appena aveva incrociato il suo sguardo, le aveva sorriso gentilmente, ma non si era presentato. Mohena le aveva poi spiegato che quello era il primogenito e che non stava quasi mai in casa, troppo intento ad esplorare l’ambiente circostante. Era con lui che aveva cominciato ad esplorare la foresta ed erano diventati amici. Passava tutto il tempo con lui quando non studiava o non era seduta vicino a Boyce a sentirlo suonare. Poi però lui aveva cominciato ad interessarsi degli affari del padre e si era ritrovata ad esplorare la foresta da sola.
"H!" si sentì chiamare dal palazzo dei Mikin, non molto distante dalla scogliera. Honey non permetteva a nessuno di chiamarla con il suo nome intero. Era un privilegio riservato unicamente ai membri della sua famiglia, di conseguenza non aveva mai svelato a nessuno il suo vero nome ad altri che hai due coniugi che l’avevano in custodia.
I Mikin erano una delle famiglie terrestri, abitanti presso la riserva di Hailo, che non erano del tutto favorevoli alla conquista del pianeta. Erano una famiglia potente, formata dai genitori e due figli maschi. Il maggiore dei due, Abram, diciannovenne, aveva già cominciato ad amministrare un tantino il territorio, insieme a suo padre. L'altro fratello invece, Boyce, era un tipo più solitario, amante dell'arte e della musica. Non c'era artista che non conoscesse e Honey si trovava spesso a studiare con lui, visto che i Mikin l'avevano accolta quasi fosse una figlia, insieme ad altri bambini che aspettavano di compiere i diciassette anni per tornare a casa. I bambini che abitavano lì erano accomunati tutti dalla stessa situazione familiare, troppo piccoli all'arrivo dei terrestri per poter essere bene accuditi dai genitori legittimi.
Honey aveva sempre mantenuto la promessa fatta alla mamma. Studiava in un istituto privato, seguendo le lezioni insieme a Boyce, suo coetaneo, pagando la retta grazie a dei piccoli lavori che svolgeva al palazzo. Aveva cominciato ad insegnare ad alcuni dei bambini le regole principali della nuova lingua imposta dai terrestri, l’inglese.
Honey aveva sviluppato dei leggeri muscoli lungo le cosce, grazie alle continue corse per le foreste della sua isola. Gli occhi non brillavano più della stessa luce di quando era piccola. Il viso ed il portamento erano eleganti, il corpo slanciato, nonostante i vestiti smessi che utilizzava per andare in esplorazione.
La foresta era grandissima e anche se ci viveva da parecchi anni non aveva ancora finito di esplorarla tutta. Sapeva che ci sarebbe voluta una vita per conoscerla da cima a fondo.
Arrivò a grandi passi fino al palazzo. I Temma avevano la caratteristica di avere muscoli abbastanza resistenti, di conseguenza per tutta la popolazione lo spostarsi all’interno della foresta non era più di una semplice passeggiata.
“Sono qui!” disse arrivata sotto la grande scalinata, dove la padrona di casa, la signora Mohena, la aspettava paziente. Era una donna distinta, portava sempre dei grandi cappelli, ricchi di piume di uccelli terrestri, poggiati sempre sui suoi capelli biondo cenere. Anche se ormai aveva quasi cinquant’anni, Mohena risultava sempre una bella donna. Aveva sempre trattato Honey come una figlia. Non la trattava mai male e la maggior parte delle volte, la ragazza le confessava i suoi pensieri. Mohena l’aveva aiutata spesso, perché quando ancora abitante della Terra, aveva esercitato la professione di psicologa. Era anche grazie a lei che Honey era riuscita a separarsi in parte dalla sua famiglia.
“Devo andare a fare compere in centro, accompagnami, ti prego!” disse mentre scendeva le scale velocemente. Quando la pregava di fare qualcosa, diventava immediatamente giovane, come se le ricordasse com’era lei ai tempi del liceo.
“Non ci sono problemi” disse Honey. Non doveva sforzarsi di parlare inglese in sua presenza. Uno dei tanti lati positivi dei Mikin era quello che riuscivano a parlare alla perfezione il linguaggio dei Temma.
“Bene!” trillò la donna “Vedremo di trovarti qualche nuovo vestito. Quando tornerai dalla tua famiglia fra qualche mese, voglio che vedano quanto ti abbiamo trattato bene in questo periodo di tempo”
Honey sorrise, piegando leggermente la testa di lato “Non so’ davvero come ringraziarvi per il vostro affetto” sussurrò mentre allargava le braccia, dove la signora Mohena si tuffò immediatamente.
“Sei stata come una figlia per noi, non dimenticarlo” disse la donna, per poi darle due pacche affettuose sulla schiena e uscire dall’abbraccio, andando verso la macchina. Le famiglie potevano possedere un’unica auto ecologica, in modo da evitare uno squilibrio nell’atmosfera.
I terrestri erano piombati nel mondo dei Temma da meno di vent’anni, eppure la maggior parte del verde era stato sostituito da strade, palazzi, agenzie, dove tutta la popolazione era obbligata a lavorare senza sosta per i terrestri. Honey però non odiava la famiglia Mikin. Loro erano diversi e si opponevano in continuazione alla loro sottomissione. Era sicura che se un giorno o l’altro ci fosse stato bisogno di qualcuno per guidare una rivolta, loro sarebbero stati i primi ad issare la bandiera della popolazione.
Partirono dopo pochi minuti, il tempo di darsi una sistemata e vestirsi in modo adatto per la città.
Il guidatore della macchina di Mohena non impiegò molto a portarle entrambe in centro, fermandole davanti a uno dei tanti negozi di abbigliamento.
“E adesso diamoci da fare!” proclamò la mamma adottiva entrando in uno dei negozi più costosi del centro.
“Mohena…” cercò di iniziare Honey.
Mamma!” puntualizzò la più grande in inglese. Era il suo modo di farsi chiamare, la sua mamma inglese, perché la mamma Temma c’era già.
La ragazza sospirò “Mamma, non voglio che spendiamo tutti questi soldi…” disse sentendosi in colpa, afferrando qualche targhetta dai vestiti esposti. Sapeva che alla sua mamma piaceva vestire elegante ma era piuttosto esagerato!
“Oh, ti prego! Almeno un vestito costoso per il tuo rientro!” la supplicò.
“E cosa diranno i miei genitori quando mi vedranno con un vestito completamente diverso dal loro? Si sentiranno degli straccioni!” rispose la giovane e quel ragionamento fece accigliare Mohena, che rimase momentaneamente pensierosa.
“Va bene. Però un vestito costoso voglio comprarlo lo stesso” proclamò mentre prendeva un vestito e lo appoggiava sopra il corpo della figlia. Si portò una mano sulla guancia “Cara…Il tuo corpo è così splendido. Non capisco perché tu non voglia dargli tutte le attenzioni necessarie!” sospirò.
La questione per me è irrilevante” disse Honey. Usava l’inglese solo quando voleva dare un forte impatto alle sue parole, quando non voleva assolutamente essere contrariata.
Alla fine fu costretta a provarsi almeno un vestito. Era bianco, lungo fino a sotto le ginocchia, con la gonna che terminava in un amabile pizzo, un tantino scollato.
Sei bellissima!” trillò la mamma in contemporanea alla commessa.
Mamma, non lo indosserò, lo sai…” disse stufa, rossa per la vergogna “Preferisco di gran lunga un paio di pantaloni!”
“Suvvia non fare queste scenate…”
Alla fine Honey fu costretta ad indossare il suo nuovo vestito subito, già prima di uscire dal negozio.
Nella folla, un odore familiare risvegliò i suoi ricordi. Gli occhi ritornarono di un verde smeraldo intenso, mentre cercava la persona che emanava quel profumo, il profumo di casa sua, della sua famiglia, ma non vide nessuno. Si sentì immediatamente triste e i suoi occhi ritornarono di un verde scuro e privo di vitalità.
Girarono qualche altro negozio, per poi fermarsi ad una caffetteria. In quel momento Mohena svelò il vero motivo per il giro in città. “Sai, ho scoperto una cosa interessante…”
“Mmh..” mugugnò Honey, per farle cenno che la stava ascoltando.
“C’è un ragazzo che si trasferirà da noi fra pochi giorni!” disse esaltata la mamma.
“Benvenuto” borbottò mentre girava il caffè nella tazzina.
Mohena ne risultò delusa dal suo comportamento ma andò avanti ugualmente “Potrebbe piacerti, cara. Ho notato che non guardi neanche un ragazzo per più di dieci secondi” borbottò.
Alzò lo sguardo neutro “I ragazzi non mi interessano, mamma” rispose. Che occhio disattento. C’era in realtà un ragazzo che guardava molto più del necessario, suo figlio Abram, il suo fratello adottivo, con quel fare fiero e composto, già pronto a spalleggiare il padre nonostante la giovane età…Ma i Temma stavano con i Temma e di conseguenza gli alieni stavano con gli alieni.
Mohena sbatté i pugni sul tavolino, catturando l’attenzione del personale del locale “Non sopporto questo tuo modo di fare menefreghista! La tua famiglia è importante tesoro ma se incontrerai il ragazzo giusto, lui diverrà la tua famiglia, com’è stato per me ed Sebastian” incrociò le braccia sul tavolo, imbronciata “Prometti che ti cercherai qualcuno”
Non posso promettere qualcosa che non mi riguarda” disse secca Honey. Non era di certo il tipo che correva appena vedeva un ragazzo di bell’aspetto, ma a quanto pareva, Mohena non aveva ancora capito che il momento doveva ancora arrivare.
Lo riterrò un sì” rispose irritata la donna, bevendo il suo caffè, per poi lasciar cadere la discussione.

Più si avvicinava la data del suo ritorno e più i giorni passavano lentamente. Non si sentiva a suo agio, nella biblioteca, insieme a tutti i figli adottivi, mentre aiutava Abram ad insegnare le basi della lingua ai bambini più piccoli. Sospirava ogni volta che il ragazzo si voltava. Era così evidente che gli piacesse eppure lui non se ne era accorto, come il resto della sua famiglia.
“Boyce!” chiamò non appena entrò nella sala musica, dove il suo coetaneo si esercitava con il piano “Tua madre ha cominciato a parlare di ragazzi in mia presenza, stamattina. Dille qualcosa ti prego!” disse nella disperata speranza che il fratello l’ascoltasse.
Lui si limitò a contenere una risata “Sai com’è fatta nostra madre. E’ come un mulo, si impunta ed è impossibile smuoverla dalle sue idee”.
Honey sbuffò. La risposta di Boyce era scontata, visto che era proprio da Mohena che aveva preso il suo carattere. Poteva impuntarsi nelle sue decisioni ed era impossibile smuoverlo dai suoi ragionamenti e dalle sue convinzioni tanto quanto era possibile trovare un orso a giocare amorevolmente con un coniglio. Ridacchiò, che c’entravano l’orso ed il coniglio? Si ricompose “Ma insomma, tu sei il suo preferito…”
“Non mi immischio in questi affari per donne. Resisti ancora un po’, fra poco tornerai dalla tua famiglia e sarà tutto finito” tagliò corto mentre prendeva la chitarra, dopo essersi stufato del piano.
Honey si sedette, sconfitta dalla risposta secca ma ragionevole dell’altro, ascoltando la melodia che suonava pian piano arpeggiando. Si alzò. “Perché non vieni fuori a suonare? Giù, alla scogliera!” chiese entusiasta. Honey non aveva mai provato ad imparare a suonare. Lasciava a Boyce il compito di farlo per lei, talvolta fino a notte fonda.
“Mmh..” mugugnò l’altro senza essere d’accordo. Non era mai stato un amante delle escursioni.
“Non fare il bambino e alzati. L’aria fresca non ti farà male!”
Dopo altri tentativi, finalmente Boyce si schiodò dalla sua sedia, portando con sé la chitarra. Per lui fu un po’ difficile arrivare fino alla scogliera, visto che non era allenato e non apparteneva ai Temma.
Appena arrivati, Boyce si sedette su una coperta che si erano portati, mentre Honey si stese su un basso e solido ramo dell’albero a cui era appoggiato il fratello con la schiena, imitando una leonessa sugli arbusti della Savana, come aveva visto nei libri degli animali che aveva in casa.
I pomeriggi con Boyce erano sempre silenziosi e lei non se ne stupiva. Era come se entrambi capissero il bisogno di silenzio da parte dell’altro. Lui arpeggiava e lei canticchiava la melodia che le sembrava tanto familiare. Quella musica, suonata così, portava alla mente tantissimi ricordi tristi della sua infanzia. Ricordava precisamente il parco giochi deserto davanti casa. Ricordò la mamma che ogni notte entrava nella camera dei fratelli per leggerle la favola della buona notte e l’ultimo pensiero che le attraversò la mente fu la sera in cui la mamma le aveva comunicato la sua partenza. Era davvero familiare. Si incuriosì “Perché suoni sempre questa canzone? La suoni da un sacco di anni, mi sembra” chiese.
“Ti sbagli, l’ho ideata bene qualche giorno fa’” disse il fratello gongolante.
“No no, è impossibile. La conosco già” si tirò su col busto Honey, puntellando coi gomiti sul grande ramo dell’albero.
“Possibile che tu non ti ricordi da dove provenga?” Boyce alzò lo sguardo per farle quella domanda, guardandola incredulo ma infastidito allo stesso tempo, smettendo di giocherellare con la sua adorata chitarra.
“Sinceramente, no”
“Diamine, H!” sbuffò lui girandosi da un’altra parte, guardando verso il mare “E’ la canzone tradizionale del tuo paese. Quando la cantavi prima di metterti a letto da piccola, mi dicevi che ti ricordava la tua mamma perché te la cantava sempre prima di andare a dormire e per farti stare tranquilla!” sputò il rospo, infastidito.
Lo guardò incredula e i suoi occhi tornarono di nuovo a brillare “Ti ricordi ancora quella canzone? Boyce, sei un genio!” proclamò felice, buttandosi completamente sul ramo “Continua, ti prego”
Boyce riprese, fiero delle sue capacità, a suonare lentamente.
Improvvisamente, quando la canzone aveva preso il suo ritmo, qualcosa smosse gli arbusti della foresta. Honey alzò la guardia, portando la mano verso la coscia destra, dove di solito portava il portachiavi con il coltellino, trovandolo velocemente. Gli animali da quelle parti erano feroci e bisognava sempre essere attrezzati. Tra i rami, i tronchi e la vegetazione, si cominciò a distinguere bene una sagoma Temma. Non poteva essere umana. Le caratteristiche della popolazione erano troppo visibili. La figura si avvicinava velocemente. Honey notò un bagliore di qualcosa di metallico quando l’essere non ancora identificato passò sotto i raggi solari. Era armato. Doveva pensare a qualcosa, ma camminava troppo velocemente.
“Allontanati da lui” tuonò la voce dal timbro maschile di quella figura, facendo trasalire entrambi i ragazzi “Gli alieni non devono frequentare gente del nostro pianeta” proseguì.
“Chi va là?” chiese Honey con tono impaurito, mentre tirava fuori lentamente il suo portachiavi. Sudava freddo. Non aveva paura degli animali ma non poteva affrontare un suo simile. Doveva proteggere Boyce, che anche se aveva smesso di suonare, guardava tranquillo la figura, senza lasciar trasparire nessuna emozione. Honey invidiò la sua capacità di rimanere impassibile di fronte a una minaccia. Scivolò lentamente giù dal tronco dell’albero, parandosi davanti al fratello.
La figura emise una specie di sospiro, tipico di chi non aveva abbastanza pazienza. Dopo pochi secondi, la figura venne fuori dal buio. Era un esemplare maschio, della stessa razza di Honey ma dall’aria molto più minacciosa. Vestito unicamente dalla maglietta e dai jeans entrambi strappati, probabilmente perché aveva affrontato la foresta per un lungo lasso di tempo.
“Allontanati” incalzò il Temma.
“Chi sei?” chiese di nuovo. Non aveva intenzione di sottostare alle sue richieste, anche perché se l’altro voleva fare del male a Boyce, lei non avrebbe potuto permetterglielo, anche se il tipo era molto più grosso di lei.
“Non ha importanza” disse solamente.
“Ti ho chiesto chi sei!” strillò minacciosa lei.
Il Temma si immobilizzò all’istante. Aveva sempre lo sguardo su Boyce ma stavolta ne era impaurito.
Honey si voltò verso il fratello. Lo vide puntare contro il loro “ospite” un’arma da fuoco e il fiato le morì in gola. Boyce, il suo adorato fratellino, adesso era anche capace di manovrare uno di quegli affari?
Il Temma non rispose e i due fratelli ne approfittarono per scappare il più veloce possibile, sicuri che lo strano tipo non li avrebbe seguiti.
Arrivarono a casa in fretta, Honey era impaurita mentre Boyce era chinato in avanti a riprendere fiato. Non era abituato a quegli sforzi, pigrone qual era.
“Mi spieghi perché diamine hai un’arma nei pantaloni?!” chiese infuriata lei.
“E tu perché hai un coltellino?” domandò di rimando il fratello.
“Per difendermi, è ovvio”
“Ti sei data la risposta da sola, H”
Entrambi si zittirono.
“Chi credi che fosse? Lo conosci?” Chiese Boyce non appena ebbe ripreso abbastanza aria.
“Abito qui da troppo tempo, anche se lo avessi conosciuto, non lo riconoscerei” disse Honey incrociando le braccia al petto. E poi era troppo impegnata a guardare la sua espressione che le fattezze del suo viso. Non avrebbe mai detto che in una riserva tranquilla come Hailo esistessero tipi simili, che incutessero così tanta paura. Le venne l’istinto di abbracciarlo e rimasero così per un po’ di minuti che a Honey sembrarono un’eternità.
A separarli fu la tosse di circostanza del maggiordomo “La signora e il signore Mikin hanno un annuncio da fare” disse l’uomo in giacca e cravatta, per poi allontanarsi.
Entrambi si recarono nel grande salone dei genitori. Avevano deciso di non dir niente del loro pericoloso incontro fino a quando la situazione non si fosse chiarita almeno per loro, fino a quando non avessero scoperto le vere intenzioni del Temma.
Il signor Sebastian Mikin iniziò il discorso non appena tutti i fratelli maggiori di quattordici anni si furono riuniti nella stanza. L’atmosfera sembrava tesa e Honey sperò che il Temma non fosse passato per la casa prima che per il bosco dove lo avevano incontrato.
Il padrone di casa si schiarì la voce “Oggi al quartiere generale della riserva di Hailo sono arrivate alcune segnalazioni che riguardano i Temma” ecco, era passato di casa “A quanto pare, alcuni…vostri simili nella riserva si stanno mobilitando per una rivolta contro le grandi città”
Honey sospirò di sollievo tra sé e sé. Almeno non si era ancora fatto male nessuno.
Sebastian passò un braccio intorno alle spalle della moglie che parlò al suo posto “Noi siamo ancora completamente disorganizzati ad una situazione simile. Non vogliamo nessuna rivolta al momento, almeno fino a quando i nuovi arrivati cominceranno a diminuire di numero. E’ faticoso occuparci di voi tutti insieme e non vorremmo che oltre ai bambini che sono stati portati qui per necessità, si aggiungano anche gli orfani. Vi preghiamo quindi di rifiutare ogni tipo di richiesta da parte dei rivoltosi. Cercheremo di risolvere la situazione il più presto possibile.”
Mentre Mohena concedeva la parola ai ragazzi che volevano fare domande, Honey non poteva fare a meno di dargli ragione. La famiglia Mikin non chiedeva soldi alle famiglie, nonostante facesse senza problemi qualcosa di illegale. Probabilmente il tipo che avevano visto per la foresta era uno dei rivoltosi.
Ma perché tutto si stava mobilitando in quel momento? Cosa stava succedendo al di fuori della riserva?
Strinse inconsciamente la mano del fratello, per la troppa ansia, il quale ricambiò senza indugi la stretta. Abram li osservava al loro fianco. In qualche modo riuscì a percepire la paura della sorella e le passò un braccio intorno le spalle, in un piccolo abbraccio confortante ed affettuoso. In un altro momento Honey sarebbe arrossita sicuramente ma adesso era troppo impegnata a pensare al tipo che aveva incontrato nella foresta.
Le venne in mente un’idea e alzò una mano. Mohena le concesse la parola.
“E se portassimo qui da noi i rivoltosi? Non dovrebbe essere una cattiva idea. Potrebbero stare qui un certo periodo di tempo e appena la situazione si raffredda li lasciamo tornare nella riserva, liberi. La nostra villa è enorme e in più abbiamo anche la casa non molto lontana da qui.”
I genitori la osservarono per qualche minuto. All’apparenza non sembrava una cattiva idea.
“Come un programma di rieducazione, intendi?” chiese Sebastian.
“Secondo me ci sta!” disse Abram colto da un’improvvisa illuminazione “Poi potremmo insegnargli delle tattiche per come affrontare un’eventuale conflitto! Papà, quest’idea è geniale” disse entusiasta.
“E’ geniale ma complicata” rispose Mohena “E se non volessero essere rieducati?”
“Mamma, penso che potremmo farcela. Noi siamo sempre stati dalla loro parte, dobbiamo aiutarli” disse Boyce con tono neutro, come sempre ma stavolta più concitato all’idea di un po’ di lezioni in più su come manovrare le armi.
“Vedremo cosa possiamo fare” disse infine Sebastian.
Nessuno aveva altre domande e la riunione venne conclusa. Honey, come tutti gli altri figli adottivi, si sentivano pieni di sé, grazie alla possibilità di poter aiutare i Mikin nelle loro decisioni importanti. Allo stesso tempo, si sentiva soddisfatta della propria idea. Se mai il suo popolo dovesse fare una rivoluzione, doveva essere assolutamente preparato.
Forse aveva alzato la richiesta anche per avere un motivo in più per tornare nella foresta, in cerca dello strano individuo. Si sentiva incuriosita da lui, dai suoi modi di fare. Si vedeva lontano un miglio che sarebbe stato in grado di sacrificarsi per la propria patria.
Insieme a tutti i suoi pensieri, le tornò in mente la sua famiglia, che abitava a qualche miglio di distanza dall’enorme riserva. C’era già stata una rivolta? Se si, suo padre e i suoi fratelli stavano bene o erano morti sotto le mani dei terrestri. Trasalì. La sua famiglia era più che debitrice verso gli umani, visto che avevano accolto la loro figlioletta senza troppi problemi. Se glielo avessero chiesto, non sarebbero mai stati in grado di urlare a gran voce che TUTTI i terrestri erano cattivi come si dimostravano. Un altro brivido freddo le percorse la schiena.
Abram si accorse del suo volto cupo. Le alzò il mento con due dita, costringendola a guardarlo.
“Andrà tutto bene, vedrai, sorellina” le sussurrò baciandole la fronte.
Non aveva mai provato così tanto dolore sentendosi chiamare “sorellina” ma non ci pensò su troppo. Si sarebbe data alle lacrime da sola in camera sua.
Boyce strinse di nuovo le dita, che erano ancora intrecciate con le sue. Si voltò verso di lui e sorrise. Entrambi capirono al volo che lei al più presto avrebbe fatto ritorno nella foresta.
Il suo più grande pensiero era però quello di far arrivare la notizia ai propri genitori ma dopotutto, che fretta c’era? Fra una trentina di giorni sarebbe tornata lei stessa a casa e avrebbe dato l’annuncio, appena tornata dal lavoro.
Momentaneamente quel problema allora era risolto. Il mattino seguente, sarebbe immediatamente corsa nella foresta a cercare il Temma che aveva quasi aggredito lei e suo fratello.



Note Finali*
E dopo una settimana eccoci tornati! Che fatica gente! È la prima volta che aggiorno la settimana successiva al capitolo precedente °-° Mi scuso per il ritardo di qualche giorno ma ho dovuto revisionare tutto il capitolo perché mancavano diverse parti ._.
Avrete sicuramente notato che tutti gli abitanti della villa in cui si trova Honey la chiamino H, beh, dovete leggerlo eich (o acca, come preferite) ù_ù
Le parti in corsivo sono quelle in cui i personaggi parlano in inglese.
Quelli che seguono gli altri miei racconti, nel corso della storia noteranno diversi riferimenti. Questo perché questa storia è nata molto prima delle altre e con la sicurezza che non l’avrei mai pubblicata, ho utilizzato varie idee che avevo già in mente. Detto questo, pardon.
Al prossimo aggiornamento (spero sempre nella prossima settimana).
Baci, haki-chan <3

   
 
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