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Autore: Kimmy_90    12/03/2011    3 recensioni
"Per superare un esame non è necessario completare almeno metà test correttamente.
Anzitutto bisogna svolgerne più del 65%: è infatti strutturato di modo che non possa essere concluso interamente, sicché il tempo dato agli allievi è sempre minore, e di molto, di quello che necessiterebbe per essere completato. Svolgerne questa porzione ovviamente non implica la promozione: di questo minimo 65%, bisogna aver risposto correttamente ai due terzi delle domande. Ma c'è un'altra clausola: se si fornisce risposta a più del 90% delle domande, allora per avere successo bisogna averne fatte almeno i sei settimi giuste.
Questo, per insegnare a far solo ciò che serve, poiché è meglio fare poco e bene che molto e molto male.
E se un soggetto riesce a superare questa seconda condizione, ecco: quello è l'unico caso in cui uno studente può essere palesato migliore degli altri, poiché lo è, e di molto.
"
Itachi e Kakashi. Un mondo che è pronto al collasso – ma no, non ancora. Il tempo viaggia lento.
Loro due, i due geni, iniziano insieme un cammino che li porterà alle più estreme conseguenze: due storie simili, allievo e maestro, bambino e ragazzo. Due Custodes affatto qualunque: sia per il loro passato, che per il loro futuro.
Questa è la loro storia.
La storia di uno dei tanti inizi.
Questo è uno dei tanti passati, uno degli innumerevoli fili che portò al collasso dell'Ignis Regio.
Alla fine schiuse le labbra sottili, e si pronunciò: "Io servirò sempre la Regio.", concluse.
Ed ora il suo sguardo pareva cercare supporto a quella sua affermazione.
E' la risposta giusta, no? – chiedeva.
Kakashi sorrise lievemente.

[Prequel de "I Frutti del'Oblio"].
Genere: Guerra, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Jiraya, Kakashi Hatake, Tsunade
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cristallo di sale'
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10


Capitolo 10




Solo tre giorni prima Tsunade s'ergeva spavalda: potente, capace, astuta. Tsunade poteva fare tutto, e intendeva assolutamente farlo. Regnava incontrastata: altro che Globus o Ignis Umbra, era lei, e lei sola, il vero cuore della regio. Quello che poteva fare non lo faceva nessuno: nessun altro sapeva farlo. Al di sopra di tutto e di tutti, tre giorni prima Tsunade camminava sul tetto del mondo.
Gli esperimenti procedevano.
Le tecnologie progredivano, gli ingegneri elaboravano.
La squadra era partita alla caccia della volpe.
Il suo laboratorio era tappezzato di fogli e schemi: i libri s'impilavano sul pavimento, le tastiere e i touch screen si consumavano. Tutta la tecnologia della regio era rinchiusa lì: dall'elettromagnetico al nucleare, dal biologico al chimico. Tutto per Tsunade.
Gli occhi ridotti a due fessure contornate da gonfi aloni verdastri, salutò Jiraiya con voce squillantemente stravolta. Quello, dalla tenda beige, le parlò: dal Ludus al Fronte, il suono delle loro voci attraversò una decina di antenne ripetitrici lungo tutta la regio.
"Come va la mia bestiola?" domandò la donna, raggiante nel suo disfacimento.
Il Custos non mancò di notare la voce rauca ed esausta.
"Da quant'è che non dormi?"
"Che t'importa, Jiraiya? Dimmi di Itachi."
"Ho sentito che ne stai progettando altri, di bambini come Itachi." non pareva particolarmente rincuorato: Tsunade era di tutt'altro avviso.
"Esatto." rispose, sorridendo. "Mutazioni su mutazioni, una cosa assolutamente meravigliosa. Più vado avanti e più ne scopro - ora piantala e dimmi di Itachi, non devi farti gli affari miei."
Jiraiya espirò, rassegnato.
"Itachi va male."
Tsunade non colse. Grugnì qualcosa - d'altronde, che Jiraiya ce l'avesse con lui era cosa risaputa. Per l'uomo il bambino andava male a prescindere.
"Lascialo in pace. Sono sicura che va alla grande, è inutile che continui a cercare difetti su difetti dove non ce ne sono."
"E' un bravo guerriero, Tsunade."
"Visto?"
"Ma un pessimo Custos."
La donna soffiò fra i denti. "Certo, solo Jiraiya è un ottimo Custos, vero? Se fosse per te dovrei prendermi e clonarti - solo così saresti soddisfatto dei tuoi iniziandi."
Jiraiya si fece forza per sorvolare sul punzecchiamento delirante di Tsunade.
"Itachi non è un iniziando. E' questo il punto."
"Ah, sì?"
"Senti, sono stati giorni piuttosto strani - perché non vai a dormire e ne riparliamo dopo?"
"Cosa? No! Sono io che ti ho fatto la domanda, e tu ora mi risponderai, razza d'insubordinato! Che ha Itachi che non ti gira, eh? Troppo piccolo? Troppo veloce? Troppo sveglio? Troppo bravo?"
Jiraiya sospirò.
Era successo una ventina di anni prima: una scena piuttosto simile, specialmente nei toni. Erano al refettorio, si ricordò Jiraiya - d'altronde, uno dei pochi luoghi in cui Custodes e Philosophi s'incontravano. In quell'occasione, Jiraiya rivedeva Tsunade dopo tre anni: ebbe qualche difficoltà a riconoscerla, malconcia com'era. E lui che andava lamentandosi delle condizioni al fronte...
Sveglia da almeno dieci giorni se non per i collassi che le imponeva il proprio corpo, la ragazza stava finendo di studiare per l'ammissione ai ricercatori biologico-medici.
O qualcosa del genere - il Custos non aveva mai ben capito né saputo come funzionasse esattamente la faccenda.
Sta di fatto che Tsunade non vedeva altro che libri da mesi, e, prossima ad un'esaminazione, stava per crollare.
Ci parlò civilmente per circa venti minuti: poi la stanchezza ebbe la meglio, e lei iniziò a divagare. In un modo che Jiraiya non comprese mai, finirono a litigare: perplesso, il refettorio osservava un assurdo battibecco che si concluse con uno schiaffo decisamente ben assestato.
Jiraiya aveva guardato la schiena di Tsunade allontanarsi, e, con l'impronta della sua mano stampata in faccia, l'unica cosa cui era riuscito a pensare era che Tsunade stava indubbiamente male.
Ecco cosa pensava ora Jiraiya: Tsunade stava male.
Ma questa volta un motivo per litigare c'era. Uno serio, uno decisamente fondante.
"Allora?"
E Jiraiya non avrebbe potuto non sostenere le sue tesi. Sia perché non intendeva abbandonarle, sia perché erano sin troppo evidenti – ne andava della carriera della donna, e quindi della sua vita.
"Ascolta..."
Avrebbe dovuto dare una pessima notizia ad una persona che non ne aveva assolutamente bisogno.
Tsunade avrebbe accusato il colpo.
Lo avrebbe accusato in modo violento.
Molto probabilmente Jiraiya si accingeva a tagliare definitivamente quel poco di legame che era rimasto fra loro.
"Qualche giorno fa Itachi ha condotto un'operazione memorabile, questo lo riconosco. Il problema, Tsunade..."
E Jiraiya spiegò.
Il problema, Tsunade, è che tu sei una che ha fretta.
Che vuole tutto e subito.
E non ce la puoi sempre fare, Tsunade.
Ogni cosa a suo tempo.

La storia dei Bellatores era strana, forse fastidiosa.
Non fu quello a pugnalare al cuore la donna.
Fu il fatto che Itachi non mangiava da tre giorni.


***


Hana inclinò la testa, seduta, osservando il bambino. Che la ignorò.
Allora inclinò la testa dall'altra parte.
Ma non cambiò nulla.
"Guarda che fra un po' devo andare." disse la ragazzina.
"Vai."
"Ma – sono venuta a prenderti, non è che posso tornare indietro a mani vuote!"
"Chi te lo ha ordinato?" domandò Itachi, affatto retorico: si chiedeva davvero chi potesse essere stato. Genma?
Hana aggrottò le sopracciglia.
"Che t'importa? Vieni, se no ti lasciano qui."
"Va benissimo. Se non mi ordinano di muovermi, io non mi muovo."
"Oh, ma che ti prende, maledizione?"
"Sto pensando."
"Tu pensi troppo!" la ragazzina si levò in piedi, sbuffando. "Ti si fonderà il cervello."
"Buona missione."
"Accidenti a te!"
Non riusciva a fare l'offesa con quel nano.
Aveva un che di mistico, in quello sguardo contemplatore che si portava addosso da qualche giorno. Qualcosa di davvero innaturale.
Sembrava quasi... vecchio.
Hana lasciò la tenda, rinunciando a recuperare quello che sarebbe potuto essere un compagno da contendersi. Itachi non la guardò – Itachi pensava.


***

La voce di Tsunade si arrese definitivamente alla stanchezza che la opprimeva.
"Prova anche solo a omettere una singola cosa, un singolo avvenimento, o gesto..."
"Ti ho detto tutto, Tsunade. Tutto."
"Lo hai maltrattato, lo hai ferito, prima al fisico e poi all'animo. Non ti bastava avere nel tuo plotone un genio come lui? No. Dovevi fare di testa tua. Cosa gli hai fatto?"
"Niente."
"Sei un ometto, Jiraiya. Non vali niente."
Jiraiya tacque.
Come insulto era nuovo. Forse era per questo che tagliava: più che d'insulto, sapeva di convinzione.
"Ora tu rimedierai. A qualunque cosa tu abbia fatto, tu rimedierai. Inventati un modo – non puoi farmi questo, Jiraiya. Non puoi. Non te lo permetto."
"Ti giuro che..."
"Non mi interessa!" la donna sbottò.
Jiraiya serrò le labbra, in attesa della valanga d'urla che un ringhio del genere solitamente preannunciava.
Ma Tsunade non fece niente. Respirò, limitandosi a riflettere.
"Ti manderò Kakashi. Lui è più bravo di te, per queste cose – non l'ho scelto per caso, come tutore. Itachi è un bambino, ha bisogno del polso e della sottigliezza di un Rector, degli educatori veri, non di un Custos attempato che si atteggia a dio del fronte."
"Tu cosa intendi fare?"
"Sono nel bel mezzo di almeno sei progetti. Non posso fermarmi, mi manca tanto così. Specialmente per la volpe."
"Tsunade, sei stanca."
"Cosa pensi, che io abbia bisogno della tua ipocrisia? Mi hai messo tu in questa dannata situazione, adesso lasciami fare il mio lavoro. Se Kakashi fallisce, subentro io. Non possiamo permetterci di perdere un elemento come Itachi. E questo vale anche per te, Jiraiya: mettitelo bene in testa, quel bambino e quelli che verranno rivoluzieranno la nostra regio. E la volpe sarà il colpo finale. Ne abbiamo bisogno, Jiraiya. Disperatamente – o verremo schiacciati dai bianchi."
Il Custos non fiatò, mentre la voce della donna si stemperava.
"Come vuoi." asserì infine.
"Esatto. Come voglio. Jiraiya, ora la tua priorità è Itachi. Kakashi avrà carta bianca. Hai capito?"
"Sì."
"Sono un tuo superiore, Jiraiya."
"Certo."
"Carta bianca."
"Carta bianca per Kakashi."
"Adesso lasciami lavorare.".
Dal bracciale di Jiraiya giunse solo il rumore grattato del silenzio radio. Rimase immobile qualche istante, la testa svuotata.
Poi si alzò.


Itachi, seduto al margine della tenda dove dormiva, si vide precipitare una razione davanti al naso: per un pelo riuscì a non sussultare. Jiraiya, in piedi al suo fianco, lo osservava da almeno un metro e mezzo più in alto.
Il bambino si voltò verso l'uomo, osservandolo interrogativo.
"Qual'è il tuo problema, eh?" ringhiò quello, a denti serrati "Cosa ti fa pensare di avere diritto di non mangiare? Forse non sono stato sufficientemente chiaro riguardo la tua importanza nelle milizie?"
Itachi non rispose: lo sguardo perso, sembrava non comprendere bene di cosa stesse parlando. Quello che comprendeva, però, era che Jiraiya pareva seriamente alterato - ovvero, alterato sul serio. La voce lontanamente incrinata, agitata, domata con difficoltà nel tono fermo e possente che manteneva costantemente il Custos.
"Rispondimi."
Non aveva più niente dei suoi modi autoritari, netti e misurati, visceralmente professionali. Sembrava non fosse nemmeno più lo stesso uomo, tanto la mimica del suo volto era cambiata: da nulla, ora esplodeva in una smorfia per Itachi assolutamente indecifrabile.
"Non intendevo non mangiare."
"Non intendevi non mangiare?" ripeté quello, schernendolo attonito. "Prego?"
"Credo di essermene dimenticato."
"Tu Credi?"
"Io credo."
Se Jiraiya esplodeva, Itachi rimaneva lineare, tranquillo, atono.
Itachi pensava.
"Mangia."
"Sì."
Il bambino si sporse verso l'involucro che quello gli aveva lanciato, e, tranquillo ed imperturbabile, si mise a mangiare.
"Che diamine ti è preso, ragazzino?" tornò a ringhiare il Custos, flettendosi ad incombere su di lui. "Si può sapere? Non sei capace di accettare una critica che sia una? Dove pensi di andare, comportandoti in questo modo, eh? Ti dovrebbero prendere a frustate, razza di agricola!"
Fra un morso e l'altro, Itachi osservava il Custos perdere ogni ritegno.
Era inutile che Tsunade gli dicesse che lo aveva ferito, dannazione a lei: i Custos sono ferite ambulanti, sono feriti per definizione, crescono sulle loro cicatrici. Così funziona. Se quel genietto era un debole, non era un problema né suo, né tanto meno della donna, che non aveva alcun potere al riguardo.
Era solo del Sistema che si ostinava a volerlo fare volare con ali che non aveva ancora imparato ad usare.
"Hai intenzione di fare qualcosa o il tuo piano era di lasciarti morire di fame, eh?"
"Non era mia intenzione."
"No?"
"Stavo pensando."
Le labbra dell'uomo si arricciarono, inacidite.
Stava pensando.
Jiraiya prese ufficialmente in odio il bambino.
Stava pensando.
Da che mondo precipitava?
"Tu non sei degno di essere un Custos."
"Lo so."
La risposta del bambino, calma e cosciente, fece fremere di stupore l'uomo.
"Ma meno ancora hai diritto di sprecare tutto quello che la regio ha investito su di te lasciandoti morire di fame."
"Lo so. Non intendevo farlo."
"Prova a saltare un solo pasto, da oggi in poi, e ti caccerò il cibo direttamente giù per la gola."
"Sì."
Jiraiya aveva sì preso ufficialmente in odio il bambino, ma a partire da quel discorso iniziò a provare una strana inquietudine in sua presenza. Non riusciva a capirlo. Non ci era mai riuscito, incapace di collocarlo negli schemi chiari e saldi della gerarchia della regio.
Nemmeno decidendo di mandare tutto in fumo aveva ottenuto una reazione sensata.
Aveva appena rischiato di turbarlo in modo definitivo, e lui non aveva fatto una piega.
E allora perché non aveva mangiato, quei tre giorni?
Perché aveva smesso di proporsi per missioni, o di fare qualsiasi altra cosa non fosse chiaramente obbligatoria?
Jiraiya non lo capiva.
E per questo lo odiava.
E per questo lo temeva.


Passò due giorni appiccicato ad Itachi, senza perderlo di vista un solo secondo, mai a meno di due metri da lui. Dicendogli di mangiare quando doveva mangiare, dicendogli di dormire quando doveva dormire – in pratica, ordinandogli come vivere.
Quando vide Kakashi aggirarsi per l'accampamento, si limitò ad andarsene. Si prese e si allontanò, lasciando Itachi da solo.
Kakashi si vide Jiraiya venire incontro: fece per parlare, ma venne interrotto dal fatto che l'uomo non lo stava guardando negli occhi. Ed, infatti, quello si limitò a camminare. Oltrepassò Kakashi e continuò nella sua avanzata senza degnare d'uno sguardo il Rector.
Bene, pensò ironicamente il ragazzo.
Si strinse mentalmente nelle spalle e si avvicinò alla tenda da cui aveva visto uscire il Custos.
"Buondì."
Itachi levò lo sguardo sul Rector, sorpreso. Poi realizzò: se quanto aveva detto Jiraiya era vero, la sua condotta era stata pessima. Kakashi, in quanto suo tutore, era stato indubbiamente mandato per controllare cosa stesse combinando.
O qualcosa del genere.
Com'era che non ci aveva pensato?
Al bambino pareva di stare perdendo pezzi di ragionamento per strada, troppo stanco nel seguire i suoi pensieri per prestare attenzione a tutto il resto.
"Salve, Kakashi."
Kakashi si stiracchiò, andando poi a trafficare con il suo bracciale. E poi si sedette di fronte al bambino.
Lo trovò un po' cresciuto.
"Come va?"


***


La testa di Tsunade era divisa in tre.
Da una parte le mutazioni.
Dall'altra la volpe.
Dalla terza, Itachi.
Per quanto al momento non potesse metter mano sul bambino in alcun modo, dovendo star dietro alle altre due sue preoccupazioni, era proprio quello il suo pensiero predominante.
Itachi, che s'insinuava fastidioso come un ruscello nella sua mente, continuava a distrarla, ed iniziava a farle provare l'angoscia.
La donna strizzò le palpebre, cercando di concentrarsi.
Intanto, le cattive notizie si ammassavano. La squadra incaricata di indagare sul demone volpe inciampava continuamente in difficoltà: la foresta nord si stava dimostrando più intricata del previsto. E, se il trend della sua fortuna continuava su quella linea, molto probabilmente catturare la volpe si sarebbe rivelato molto più complicato di quanto pensavano.
Per questo passava le notti a sistemare apparecchi artificiali di contenimento, lasciando le giornate per testare i rami delle mutazioni. Ma, per quanto riguardava le mutazioni, il discorso iniziava a farsi complicato. Soprattutto a causa di Itachi.
Se Itachi falliva, tutto il progetto delle mutazioni falliva.
E lei non poteva permetterselo.


***

"Non credo di essere un buon Custos, Kakashi."
"Quindi va male?"
"E' possibile."
Il Rector osservava con minuzia i movimenti del volto di Itachi. Liscia come la porcellana, avrebbe detto, la pelle si muoveva attorno ai muscoli in un modo nuovo. Per quanto Itachi fosse abbastanza inespressivo, c'era una mimica diversa sul suo viso, che gli dava un'aria piuttosto diversa da quella che ricordava. Itachi era una piccola macchinetta funzionale, precisa e ligia al dovere: davanti all'occhio di Kakashi, invece, c'era l'ombra di una persona che andava definendosi. C'era qualcosa di più di quello che c'era sempre stato. C'era paura e insoddisfazione, fastidio, volontà, e una lontana combattività ancestrale che sembrava veramente aver difficoltà a farsi strada.
"Dunque, credo tu abbia una vaga idea di perché mi han mandato qui." Fece il ragazzo, sistemandosi a gambe incrociate. "Vero?"
"Abbastanza. Immagino sia perché va male."
Le parole di Itachi scivolavano calme e imponderate. Era come se una parte della sua testa, quella che aveva sempre governato le cose da dire, si fosse velocizzata.
"Quasi." rispose, pensoso.
"Quasi?"
Sembrava una piccola fontanella. Ecco cosa sembrava.
"Il motivo principale è stato il tuo digiuno. Non l'hanno apprezzato, direi. Non è stata una trovata furba."
Itachi tacque, osservandolo. Vide il volto di Kakashi contrirsi istantaneamente, per poi tornare alla sua espressione abituale di seria tranquillità.
Kakashi sapeva che ai ragazzini fa bene parlare: parlando, chiariscono le idee, e si definiscono.
Strappato alle sue sessioni di tortura, si era appena reso conto di una cosa abbastanza sconvolgente: si parla ai ragazzini, ai bambini, come si parla ai torturati.
Aveva sentito lo stesso tono, per quanto più tenue, nelle sue parole. Aveva notato la stessa struttura del discorso.
Si era appena reso conto che nella saletta di tortura e nella SubSphaera, sostanzialmente, aveva sempre fatto la stessa cosa. Sia dall'una che dall'altra parte, senza distinzioni reali.
Inspirò, cercando di non badare troppo a quell'illuminazione: qualunque cosa facesse, funzionava, e questo era il punto importante. Dunque, avrebbe dovuto fare in modo che funzionasse e basta, senza soffermarsi sui metodi.
"Io non mi ero reso conto di non stare mangiando."
Il Rector levò le sopracciglia, lontanamente incredulo.
"Non ti eri reso conto di non stare mangiando?"
"No."
"Questo è male, Itachi. Perché?"
Il bambino flesse leggermente la schiena, osservando il terreno, pensoso.
"Non è normale." rispose infine.
"Il tuo corpo ti sta dicendo che non gli serve il cibo."
"Il mio corpo non vuole continuare. Credo."
"Continuare cosa?"
"Questo. Ma la mia mente?"
Kakashi faticava a seguire il dire del bambino.
"La tua mente cosa diceva?"
"La mia mente pensava. Ho pensato, Kakashi. Ho pensato tanto. Jiraiya mi ha dato molto a cui pensare."
"E dunque?"
"Jiraiya ha detto che non devo proteggere i Bellatores. Jiraiya ha ragione. Lo so che non si devono proteggere i Bellatores, Kakashi – eppure l'ho fatto lo stesso, senza rendermene conto. Così come non mi sono reso conto di non mangiare. C'è qualcosa che sfugge al mio controllo, Kakashi, e non capisco cos'è. Più cerco di controllare tutto, meno riesco a gestire."
Kakashi lo ascoltò. Optò per ascoltare, lasciando che fosse lui a condurre il discorso: un discorso che, chiaramente, stava covando da giorni.
"E' normale non riuscire a gestire tutto. Ci sono cose che non devi gestire, devi fare e basta. Fare senza rendertene conto."
"Lo ha detto anche Jiraiya, qualcosa del genere. Quindi è lì che fallisco? Nella parte di me che non controllo direttamente?"
"Possibile. perché me lo chiedi?"
"Io devo diventare migliore, Kakashi. Devo capire dove sbaglio. Jiraiya sa dirmi quali sono i miei errori, ma non sa spiegarmi perché li commetto. Devo capirlo da solo. Ma non ci riesco."
"E' a questo che hai pensato?"
"Sì."
"Hai capito qualcosa?"
"No."
Itachi si aggirava, spaesato, nei meandri della sua stessa mente. Cercava di capire qualcosa che nessuno aveva mai capito: perché ci si comporta in un determinato modo.
Kakashi non lo sapeva. Sapeva solo qual'era il modo per far sì che ci si comportasse nel modo corretto: il Ludus. Il Ludus aveva sempre funzionato.
Anche con lui. Aveva fatto fatica, ma aveva funzionato.
Perché Itachi si incastrava così tanto?
"Lo sai qual'è l'unico modo per migliorare?"
Il bambino non rispose.
"Non cercare di capire come fare. Ma fare. Finché non funziona. Anche se capisci come fare, questo non significa che poi tu sia in grado di farlo. Mentre se sei in grado di fare qualcosa, è assolutamente inutile comprendere come l'hai fatto. E' roba da Philosophi, non ci tange."
"Jiraiya ha detto che devo perdere almeno un Bellator, per poter essere un Bravo Custos."
"Indubbiamente non lo perderai stando qui a pensare."
"Dunque io devo andare a combattere affinché uno dei miei cada?"
Vista così, suonava innaturale.
"Non è quello in concetto, Itachi."
"E allora qual'è?"
"Tu devi dare la possibilità ai tuoi Bellatores di proteggerti."
"E dunque di morire?"
Kakashi corrugò le sopracciglia, interdetto.
"Hai mai fatto la palaestra, Itachi?"
"Sì."
"Con Jiraiya, vero?"
"Sì."
"Tu chi sei, nella palaestra?"
"Sono la guida del braccio."
"Bene. Chi guida il braccio?"
Il bambino parve riflettere, studiando per bene la situazione.
"Il gomito?"
"E la spalla."
"Gomito e spalla."
"E' una buona metafora, Itachi, è per questo che usiamo la palaestra: tu sei gomito e spalla. I tuoi Bellatores sono il resto. Tu stai combattendo a gomitate, o, peggio ancora, pensi di poter combattere solo con la spalla. Così non fai il tuo lavoro, Itachi. Non puoi lasciare il resto del braccio indietro, fa male a te, fa male a lui, e metti a rischio il resto del corpo."
Nuovamente silenzio.
Itachi digerì.
"Lasciati andare, Itachi. Devi solo combattere, non fare altro."
"Ma io ho sempre combattuto. E' questo quello che non capisco – ho combattuto bene, ma ho combattuto male."
"Non dovrai capirlo."
Già.
Itachi storse le labbra, avendo intuito cosa intendeva Kakashi.
"Finché non perderò un Bellator, avrò combattuto male. Ma anche se lo perdessi, non significa che avrò combattuto bene."
"Infatti non erano queste le condizioni esatte che aveva imposto Jiraiya per la tua promozione. Quali erano, Itachi?"
"Finché riporterò le stesse ferite dei miei Bellatores, finché li tratterò come Custodes, manterrò i guanti neri."
"Non ti ha detto di andare a far morire un Bellator. Ti ha detto di andare a fare il Custos. I Bellatores muoiono, Itachi. E anche i Custodes. Così come i bambini del Ludus vengono bocciati e frustati. Così funziona la regio."
"... così funziona la regio."

Rimasero in silenzio, lo sguardo basso, intenti a pensare.

Itachi sembrava rinfrancato. Sembrava che Kakashi lo avesse preso e tirato fuori dal buco in cui era andato stupidamente a cacciarsi.
Non pensare troppo, Itachi. Non cercare di capire.
Se no è questa la fine che fai.
Ecco qual'era stato il messaggio portato dall'ambasciatore.
Ma non solo.

"Itachi, se vuoi continuare a migliorare, non puoi farti fermare da queste cose."
"... non lo farò più."
"Ma soprattutto, non puoi sognarti di digiunare. Mai."
"Mai."
"La tua vita è un immenso bene per la regio. Saresti come un traditore a rubargliela."

Itachi non voleva rubare la propria vita alla regio.
Lo sapeva.
Ne era certo.
Eppure aveva cercato di farlo. In qualche modo. In qualche improbabile modo, aveva cercato di farlo. Senza rendersene conto.

"Hai capito?"
"Certo."

Aveva avuto bisogno di Kakashi, se ne rendeva conto. E Kakashi era lì.
A liberarlo. Sì, liberato: Itachi si sentiva più leggero, sentiva la sua testa più fluente, i pensieri meno incastrati, meno densi.
Inspirò, annuendo.
Non ci pensare, Itachi.
Fai.
Questo era il messaggio, che il bambino abbracciò e fece rapidamente suo.
Perché erano stati tre giorni da incubo.
Tre giorni passati a chiedersi come fare per perdere un Bellator, o, peggio ancora, per non perderlo.
Sino a chiedersi Perché premesse così tanto la vita di un Bellator.
Che aveva di importante?
Niente.
Eppure importava.
No, non a lui.
Itachi era destinato a fare grandi cose. Non poteva farsi fermare dalla vita di un Bellator.
Non poteva sprecare i suoi occhi per un Bellator.

Kakashi vide il volto del bambino distendersi.
'Tutore', lo chiamavano.
Lui aveva la pessima sensazione di aver sforato un po' troppo la linea del Tutore.
Ma Tsunade gli aveva dato carta bianca, e quello era il suo modo di lavorare, anche se leggermente più azzardato del solito.
L'importante era che avesse funzionato.


                Ma perché, Itachi, curarsi della vita di un Bellator?








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Oilà!
Bene, ci sono U_U Ecco il primo, piccolo strappo di Itachi. Bene. 4 capitoli per concludere.
Ce la posso fare.
Sono schifosamente di fretta, quindi non uccidetemi se non rispondo alle vostre meravigliosamente lunghe e telepatiche recensioni. Vi ringrazio tanto T^T casomai facco il reply una per una appena riesco U_U'
comunque, a livello generale...
Piantatela di leggermi nel pensiero T_T oppure sto diventando preveibile? Vabè che la storia è fissata, però... T_T
e lasciatemi in pace Hana, ecco, solo quello. Hana non si tocca. Povera, Piccola Hana. <3

Ciau :)





















   
 
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